Copertina
Autore William Trevor
Titolo Gli scapoli delle colline
EdizioneGuanda, Parma, 2001, Narratori della Fenice , pag. 190, dim. 140x220x16 mm , Isbn 978-88-8246-300-7
OriginaleThe Hill Bachelors [2000]
TraduttoreLaura Pignatti
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe narrativa irlandese
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Indice

Tre persone                        5
Uomo di tonaca                    23
Il lutto                          41
Collega e amico                   63
Domenica in Albis, 1950           79
Le visiteur                       93
Il dono della Vergine            109
Morte di un professore           123
Contro ogni probabilità          145
Gli scapoli delle colline        169

 

 

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Pagina 5

Tre persone



Sulle scale di casa Schele, con le due vetrate policrome ai lati della porta marrone, Sidney si sfila l'impermeabile di plastica per scrollare la pioggia. Entra nella piccola veranda, si ferma un momento per asciugarsi la faccia con il fazzoletto, poi suona il campanello della porta interna. È tutto come piace a loro: lui apre la veranda con la sua chiave e poi si fa sentire. Così sanno chi è: nessun altro suona quel campanello interno.

«Buongiorno, Sidney» lo saluta Vera dopo aver tirato il chiavistello e girato la chiave nella serratura. «Piove ancora, Sidney?»

«Si. Adesso rínforza.»

«Noi non abbiamo messo fuori il naso.»

La luce dell'ingresso è accesa; come sempre, tranne che in piena estate.

Sidney aspetta che la porta sia richiusa, la chiave girata. Poi appende il suo impermeabile di plastica incolore all'attaccapanni nell'ingresso.

«Be', il bagno è lì» dice Vera. «Tutto pronto.»

«Tuo padre...»

«Oh, sta bene, Sidney. Il papà adesso riposa. Sai, dopo pranzo...»

«Speravo di riuscire a venire stamattina.»

«Anche lui lo sperava, Sidney. Verso le undici, magari.»

«È stata una mattinata difficile.»

«Oh, per me va bene anche così.»

Nel bagno i barattoli di pittura, i pennelli e il rullo sono pronti, la vasca e il lavandino sono coperti con vecchie tende. C'è gesso Polyfilla e acquaragia, di cui Sidney la settimana scorsa ha detto di aver bisogno. Ora si rende conto che avrebbe dovuto dire Polyclens, invece di acquaragia; è più indicato, per pulire i pennelli.

«Vuoi un tè, Sidney?» chiede Vera. «Una tazza prima di cominciare, magari?»

Vera ha gli zigomi pronunciati e i capelli tinti di nero, perché stanno diventando grigi. È magra in viso e dappertutto; ha una gonna blu marina stretta sui fianchi ossuti, e il semplice golfino rosso è piccolo come quello di un bambino, aderente sui seni che si vedono appena. Si notano soltanto i grandi occhi castani e le labbra sensuali, gli occhi privi di espressione, le labbra forse uno scherzo della natura, perché per il resto Vera non sembra affatto sensuale.

«Il tè dopo.» Sidney esita e osserva Vera, quasi temesse di offenderla. «Se per te va bene.»

E Vera sorride e dice che naturalmente va bene. C'è una sfogliatina, dice, una sfogliatina all'albicocca comperata ieri, quindi la scalderà.

«Grazie, Vera.»

«Ecco, il papà si è svegliato.»

Il colore scelto è Cuffia di Pizzo. Sidney lo versa nella vaschetta per il rullo e comincia a dipingere il soffitto iniziando dal centro, come una volta gli ha suggerito un uomo in un colorificio. Il colore sembra bianco, ma lui sa che non lo è. Asciugandosi diventerà più scuro. Un effetto satinato, adatto a un bagno.

«Le piastrelle» dice il signor Schele dalla porta quando Sidney ha già iniziato le pareti. «Magari le piastrelle.»

Mentre toglieva le sue cose - lo spazzolino da denti e il rasoio - il signor Schele ha notato le piastrelle intorno al lavandino e alla vasca. In qualche punto sono rovinate, dice. In qualche punto forse sono un po', staccate, e alcune sono rotte. Non te ne accorgi quasi, ma osservando bene vedi che sono crepate. E il silicone intorno alla vasca è ingiallito. Sporco, dice il signor Schele.

«Va bene, sistemerò tutto.»

«Non sarebbe meglio sostituire le piastrelle prima di dipingere? Perché non fa prima le piastrelle?»

Sidney sa che il vecchio ha ragione. La sostituzione delle piastrelle e del silicone andrebbe fatta prima per via della sporcizia. Così si fa di solito. Non che Sidney sia un esperto, non è che risistemi molti bagni, ma gli sembra logico.

«Andrà bene così, signor Schele. Le piastrelle da cambiare non sono molte, solo due o tre.»

Incollerà le piastrelle nuove mentre la prima mano di vernice seccherà sulle parti di legno. Toglierà il silicone e ne metterà di nuovo, un lavoro complicato, che non gli piace. L'ha fatto una sola volta prima d'ora, dietro il lavello della cucina. E mentre quello asciugherà, darà la seconda mano.

«Bravo, Sídney.»

Lavora tutto il pomeriggio. Quando gli porta la sfoglíatina e il tè, e due tipi diversi di biscotti, Vera non si ferma perché lui è impegnato. Sidney non è pagato per quello che fa, a differenza di quanto accade per gli altri lavori: consegnare i volantini del night o distribuirli per strada, a seconda della necessità. Si arrangia con quello che guadagna; non gli serve molto perché non ha un affitto da pagare. Gli basta per il cibo, e per il gas con cui cucinarlo. Non deve pagare l'elettricità; i vestiti vengono dall'emporio dell'usato.

Lo lasciano abitare sopra il night perché c'è una stanza. Di sera vende i biglietti dietro il suo sportello, protetto da Alfie e Harry sulla porta; di giorno fa le pulizie nel locale e risponde al telefono. Tutti i servizi del night sono a sua disposizione, e questa è una cosa che apprezza. Sidney ha trentaquattro anni, trentaquattro anni, una settimana e due giorni. Aveva appena compiuto vent'anni la prima volta che aiutò Vera.

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Pagina 37

«Io non ho mai lasciato l'Irlanda» disse padre Leahy. «Non mi sono mai allontanato.»

«Nemmeno io.» Il silenzio che segui era parte del buio, naturale, non imbarazzante. E Grattan disse: «Io amo l'Irlanda».

L'amavano in modi diversi: inespresso, nell'oscurità, quello era un altro rimprovero. Per Grattan c'era la trama della storia, pentimenti e dispiaceri e dolore, la voce degli uomini non conquistati, lo spirito di donne fiere come imperatrici. Per Grattan c'erano i fiumi che conosceva, le montagne che non aveva mai scalato, la fucsia selvatica vicino alla riva del mare e le rondini che tornavano, il fumo di torba nell'aria delle cittadine, la tranquillità nelle forre profonde. Il suono, l'aspetto, la forma dell'Irlanda, e la pioggia irlandese e il sole irlandese, i vivi irlandesi e i morti irlandesi: tutto questo.

Di domenica, dopo aver detto e poi ridetto messa, padre Leahy se ne stava in mezzo a una folla a guardare gli uomini di Kildare e Kerry, di Offaly e Meath, a lanciare grida di incoraggiamento e deplorare qualche errore. Dopodiché andava a bere una pinta come tanti altri, commentando la partita. Per padre Leahy c'era il ricordo delle auto che passavano, di aver camminato a piedi nudi sulla ghiaia del cortile, del sacrificio che aveva fatto, e dei suoi fedeli che venivano da lui, la croce ricamata su una sacra stola. La buona Irlanda cattolica, un'epoca d'oro.

«Ovunque si sia» disse Grattan, «c'è sempre un cambiamento. Come il giorno diventa notte.»

«Lo so. Certo, lo so.»

La sigaretta di padre Leahy cadde per terra. Ci fu il rumore della sua scarpa che schiacciava la scintilla rimasta nel mozzicone, poi i suoi passi sulla ghiaia. Una luce si accese quando apri la portiera.

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