Autore Hans Tuzzi
Titolo La belva nel labirinto
SottotitoloLe indagini di Norberto Melis
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2017, Varianti , pag. 328, cop.fle., dim. 13,8x21x2,5 cm , Isbn 978-88-339-2868-5
LettoreGiorgio Crepe, 2017
Classe gialli , citta': Milano












 

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Pagina 11

Venerdì 5 giugno 1987


A bunda, duas luas gêmeas em rotundo meneio. Il culo, due lune gemelle in tondo dondolio, cantava il poeta. Nel miracolo d'esser due in uno, pienamente. Gabriel Robernilsen de Rocha quel poeta non l'aveva mai letto, no. Però fin da ragazzino l'aveva fatta semplice, lui: Gabriel di giorno, Gabriela di notte. Quel fisico che lo rendeva un giovane maschio di tutto rispetto - muscoli lunghi e duri, arnese robusto, pettorali pompati al punto giusto in palestra e culo di marmo ben tornito (a bunda é a bunda, redunda: il culo è il culo, a tutto tondo, concludeva l'ode Drummond de Andrade, brasileiro come Robernilsen) - con il favore della luna gli consentiva di tramutarsi in una seducente ragazza dal seno ancora acerbo, men che mezzo meloncino di Cavaillon, seconda misura scarsa; una seducente ragazza, pelle color melassa dono di una nonna chocolat e felini occhi verdi eredità del nonno portoghese. Chi fossero i nonni per parte di padre, e chi poi fosse il padre - chissà?

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Pagina 54

«Così» disse Bonaria infilzando con la forchetta un pezzetto di piovra, «ti hanno affidato il filone dei travestiti. Hai successo?»

«Sì» confermò D'Aiuto, masticando la pizza. «Un doppio successo: personale con loro, che mi fanno il filo, e professionale con la materia d'indagine».

Erano rincasati tardi — lei, poi, dopo aver sterilizzato due gatte e una springer spaniel — sicché di comune accordo erano usciti a cena nella pizzeria dietro casa.

Bonaria ebbe un sorriso da sfinge, sorseggiando la minerale: «Loro ti fanno il filo soltanto per interesse, non certo perché ti credi bello».

«Ah, mi credo?»

Lo sguardo di lei scintillò: «Dicono che l'estate non sia la stagione adatta all'amore, e infatti siamo ancora in primavera... Mi spiace mangiare in fretta, ma ho una forte nostalgia di casa».

Lui le sorrise: «Accendi il desiderio».

«Sì. Che tipi sono?»

«I travestiti? Mah, non c'è un tipo fisso, però, ecco, diciamo che nei diversi profili la vecchia favola delle puttane di buon cuore ce la possiamo dimenticare: droga, invidie, gelosie...»

Bonaria masticò assorta piovra e patate: «Eppure, se han tanti clienti... Ma spiegami perché un omosessuale dovrebbe andare con un uomo travestito da donna».

«Intanto, molti dei loro clienti sono padri di famiglia. Poi, ci sono diverse sfumature di omosessualità, proprio come ci sono diversi tipi di eterosessuali. Anzi, guarda, diciamo che ci sono tante sfumature di sessualità, perché nel mondo mediterraneo molti maschi attivi, in assenza di donna...»

«Sì, certo. In realtà non pensavo agli omosessuali che si incontrano fra loro all'Idroscalo o nei cinema a luci rosse: pensavo ai tanti insospettabili sposati che invece... Sai, c'è un signore che mi porta il suo bassotto. Un uomo simpatico, molto colto, insegna all'università. Bene, lui è così, ma con me, naturalmente, non lo ha mai apertamente ammesso, né a vederlo uno lo direbbe. Non ha mai dichiarato di esserlo, però mi racconta storie strane...»

«Ah». Finita la pizza, la squadrò con involontaria gelosia: «Sei la sua confidente?»

«Non so, la cosa è iniziata per caso due anni fa, quando si seppe che Rock Hudson aveva l'aids. Così, mi parlò di quanti insospettabili nel cinema, in politica, nello sport... Poi, certo, molte sono voci, però... Pensa, mi raccontò che d'estate, le mogli in vacanza, i giovani mariti devon pure... e allora, sai, i vespasiani nei giardinetti... Io non riesco a crederci... Ma perché si sono sposati, allora? O sono come le bestie?»

«Per molti, la voglia è voglia». Non aveva intenzione di approfondire: conosceva bene la zona grigia che dagli oratori, dai collegi e dalle squadre di calcio giovanili portava ai parcheggi per camionisti, ai pisciatoi dei giardini e alle strade intorno alle caserme. «Tu, in ogni caso, non sei in vacanza, e io ho voglia. Direi che è ora di andare a casa, no?» tagliò corto lui chiedendo il conto.

«Io direi che è ora di andare a letto» corresse lei, accarezzandogli la gamba con il piede.

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Pagina 77

Fiorenza e Kim dovevano ancora rincasare. Dalla cassetta della posta spuntava una lettera. Riconobbe la calligrafia di sua sorella Germana ancor prima di notare il francobollo della Nigeria.

La guerra, che è al tempo stesso di etnie e di religioni, ed è pertanto la peggiore delle guerre possibili, dal Kaduna a nord si sta estendendo a tutto il paese, come la lebbra, come il cancro. Accadono drammi, ma il loro numero obbliga a parlare di tragico genocidio, drammi che voi, in Europa, non potete neppure immaginare. Accadono, e a volte, purtroppo, tocca persino, se non assistere, vedere ciò che poi resta, là dove è passato l'odio. Odio di razza e fede: niente di peggio, al mondo. La fede in Dio - il proprio, è ovvio - e persino la fede nella Ragione. Se a forza dovessi venir costretta a scegliere una religione, oggi sarei animista. Pur sapendo che non esistono dèi. Tu capisci cosa voglio dire, vero?

Sì, la capiva. Ogni fede esclude i principi democratici. Le fedi religiose, certo: il Vaticano è una teocrazia, non può ammettere il democratico dibattito. Così le minoranze d'opposizione diventano sette ereticali, e ai tempi - ai bei tempi? - si mandavano al rogo. Ma la fede laica può essere ancora peggiore. La fede in un pensiero politico elevato a verità immutabile. L'orrore delle società totalitarie dove le persone sono considerate e usate come ingranaggi di un sistema, e non come esseri umani. In questo senso, sì, di là dalla Cortina di Ferro si stava assai peggio.

Poi, un'inquietante confidenza:

Vedo i morti: prima si sono insinuati nei miei sogni, poi, da qualche settimana, le loro facce deformi per la consunzione mi fissano sospese nel dormiveglia, ora intente ora minacciose. No, non pensare a mamma e papà, o al nonno o al vecchio Aly - te lo ricordi, vero, il vecchio Aly? No, sono morti più antichi, forse i nostri antenati, forse, in alcuni casi, gente che mi è morta qui, fra le braccia, senza che nemmeno sapessi il nome. Non pensare, ti prego, che sia impazzita. Sono presenze reali, benché io sappia che sono anche, e prima ancora, proiezioni della mia mente. Essi sono qui, tuttavia: mi guardano fisso, come se stessero aspettando. Io sono fermamente intenzionata a vivere ma forse, in qualche modo, mi sto soltanto preparando nel profondo ai rischi di questa guerra civile. Ora, se confidassi queste cose, qui, tutti gli Igala si ritrarrebbero da me col terrore negli occhi, mentre i frati cattolici e i ministri evangelici mi stringerebbero in sottile assedio fanatico sfoderando le armi della teologia: se non esiste un dio, come può esistere un aldilà? Come posso, allora, vedere i morti fissarmi, nella penombra del primo risveglio, come sciacalli in attesa nell'ombra densa intorno al fuoco del campo? Comunque, tranquillo, Norberto: non mi hanno ancora parlato. Questa esiziale linea non è stata ancora varcata. E su questo, ti prego, sul mio vedere i morti, il segreto sancito dal più solenne dei nostri giuramenti: pane carota patata, chi parla abbia la lingua tagliata.

Sorrise fra sé con una fitta di dolore: l'infanzia, paradiso perduto.

La lettera chiudeva brusca: La Storia, tutta la Storia del Mondo, ci insegna una sola inesausta verità: la banalità del Male. Ma noi, io qui nel mio ospedale, tu lì nella tua giungla d'asfalto, noi dobbiamo resistere, Norberto, noi di buona volontà non dobbiamo ammainare il vessillo. Perché noi lo sappiamo, noi: solo il bene è profondo.

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Pagina 81

«Proprio per questa ragione abbiamo pensato a un avvertimento». Finì il caffè, posò la tazza. «Lei in passato ha avuto a che fare con i Servizi?»

Lucantoni ebbe un sorriso malinconico, come se fosse riuscito a ricordare qualcosa che per un istante poteva sostituire l'ossessiva memoria del volto di Petra.

«Senta, avevo poco più di trent'anni, soffiava forte il vento dei Beatles e di Mary Quant. Ero stato appena assunto da un noto quotidiano romano. Già, perché sono laziale, di Genzano. Lei è mai stato a Palazzo Chigi? No? Palazzo Chigi ha due corpi di fabbrica: il più piccolo si erge come una torre, sulla sinistra. Questo edificio, chiamato con notevole fantasia il torrino, cela un locale vasto e buio, con inferriate alle finestre e blindature alla porte. Allora conteneva, e forse contiene anche oggi, la cosiddetta segreteria speciale. Pile e pile di fascicoli: dalle relazioni delle ambasciate ai documenti classificati, dagli atti riservati alle pratiche segrete, dagli atti "esclusivamente per il Presidente" alle informative dei Servizi, su su sino a tutto ciò che deve essere protetto dal Segreto di Stato, ciò che non si può divulgare. Si entra solo con il NOS, Nulla Osta di Sicurezza. Ai tempi avevo la possibilità di farmelo rilasciare in modo non dirò illegale, ma sicuramente indiretto: non mi chieda come. L'ottenni, passai giorni là dentro e pubblicai sul mio giornale un articolo con elementi inediti sul Piano Solo, ricorda?, il colpo di Stato di Segni e De Lorenzo. Gran bel pezzo, e mi fruttò l'assunzione presso la mia attuale testata. E l'attenzione, naturalmente, del SID, il nuovo Servizio segreto italiano».

Melis annuì: Servizio Informazioni Difesa, sostituzione di facciata dello screditato SIFAR del generale De Lorenzo.

«Due anni prima avevo conosciuto Anna, nel 1967 nacque Petra e ci sposammo: dal 1976 Anna lavorò presso la Rizzoli Corriere della Sera a Milano, dove la P2 di Licio Gelli con altri eversori associati tentava di impadronirsi del più autorevole gruppo editoriale italiano. In via Civitavecchia 104, Milano: al Centro documentazione della Rizzoli, brillantemente diretto da Alberto... oh, ma questo non ha importanza. Importa invece che in quel lavoro umile, di taglia e incolla, potenziato dall'informatizzazione che persino nell'arretrata Italia si affermava in quegli anni nei centri di elaborazione dati, mia moglie e io seppimo riconoscere ciò che avrebbe fatto delle fonti aperte l'anima stessa di un moderno Intelligence. Fonti aperte che, per quanto riguarda la politica internazionale, non ho mai più smesso di studiare e di cui, dicono, sono diventato un discreto esperto. Vede, dottor Melis, io sono capace di estrarre dalla realtà quello che c'è ma non si vede. Di entrare in un mondo di cerchi concentrici. Due giorni fa ero in Centro Africa per l'esecuzione di Bokassa. Questo mi fa pronosticare che l'anno prossimo Mitterand verrà rieletto alla grande, ma, anche, la necessità della Francia di confermarsi potenza guida delle ex colonie africane. Come? Il modo più semplice è una nuova esplosione nucleare controllata in un atollo del Pacifico. Così, si lancia un messaggio anche alla nomenklatura sovietica, in pieno affanno. Diciamo entro il 1989. Detto questo, dottor Melis, io con i Servizi non ho mai avuto rapporti. Né i Servizi hanno mai fatto pressioni dirette su di me. Ma sono certo che nei loro archivi troverà un fascicolo a mio nome, se lo cerca».

Melis assentì lentamente. «Naturalmente, dottor Lucantoni, qualsiasi cosa dovesse ricordare...»

«Sì, certo». E si alzò.

Quando già stava per uscire: «Un'ultima domanda: Petra in omaggio a Petra Krause?»

Lucantoni non rispose: mosse la testa in un sì e si chiuse la porta alle spalle.

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«Andando da Mutinelli» con in capo il cappello nuovo di boutique, Fiorenza richiuse la porta con un piede, slacciò il collare a Kim con la destra, posò un pacchetto sulla consolle con la sinistra e, chissà come, riuscì a sfilarsi la giacca in lino color robbia che s'adagiò obbediente sulla spalliera della poltroncina, «ho incontrato, nell'ordine: in via Marsala il Festival delle Lesbiche Fuorisalone con la performance Simulacri di piacere, cioè un laboratorio con tale Vesela, pornoattrice disoccupata; in piazza XXV aprile un fervente comizio di Comunione e Liberazione a favore di Solidarnosc; a seguire lungo i bastioni, verso Porta Venezia, un muto girotondo di gente con cartelli contro».

«Contro cosa?»

«Contro: uno diceva Sono contro lo strutto nel pandoro, un altro Sono contro i punti neri. E qui non ho capito se intendeva i comedoni o le regioni dello spaziotempo. Non ho capito, poi, se i contro erano oppositori o fiancheggiatori di CL. Comunque c'era una gran quantità di tuoi colleghi».

«Vuoi dire la polizia?»

«Perché? Ne hai altri, di colleghi? Già, signor vicequestore, non intendevo la categoria dei maschi adulti conviventi: voglio proprio dire agenti con caschi e manganelli. E, per finire, in piazza Oberdan si esibiva una classe esclusivamente femminile di danzatrici di flamenco».

«Non si può dire che il quartiere non sia vivo...»

«Tutto qui?»

Lui sogghignò, finita di pulire la pipa: «Oh, no, certo che no. Sono lieto che la classe fosse femminile». Si alzò, e le porse un pacchetto nascosto dietro la poltrona: «Buon compleanno».

Lei lo squadrò stranita: «Ma non è il mio compleanno» e già scartava il pacco.

«Meglio: buon non compleanno».

Fiorenza: con gli anni sempre più simile a un ironico elfo androgino, una maturità fresca e stupenda, un volto segnato dalla vita sul quale, pure, la vita aveva limato ogni sfrido. Per lei aveva acquistato d'impulso quella strepitosa coloratissima bambola di Alexander Girard. E vi aveva aggiunto una foto, una foto speditagli da suo fratello Guido, loro due ragazzi sorridenti con le biciclette alla mano, e dietro una sterrata e un marciapiede non finito, un lungo gradino d'asfalto che si perdeva fra cumuli d'erba e terra in quell'Italia della rinascita, l'Italia del boom dall'edilizia affaccendata e frettolosa, dalla modernità sbrigativa e inconcludente.

«Ti invito a cena» disse lei, baciandolo.

«No, preferirei restare in casa. Usciremo domani sera. Venerdì ho due funerali».

Gli passò una mano fra i capelli. «Quei due ragazzi uccisi?»

Assentì.

Cenarono con filetti d'aringa in salsa di senape su lettino di insalata primaverile, formaggio d'alpeggio e fragole. E una bottiglia di Blauburgunder lasciata per mezz'ora in frigo. Lei non affrontò l'argomento delitti, e lui gliene fu grato.

Dopo cena, ciascuno sul proprio libro - lui il decimo e ultimo volume della Storia dell'Italia moderna di Candeloro, lei i racconti postumi di Landolfi - goccia a goccia Melis diede fondo al vino.

«Colui che suo dannaggio sogna: ecco l'uomo oggi, oltre il velo delle apparenze». Posò il bicchiere, ormai vuoto, e uscì sul terrazzino, dove a malapena indovinavi le stelle. «Notte italiana» sussurrò. Laggiù, oltre i tetti e il viale, stormivano alti gli alberi del parco. Non era certo una frase romantica, la sua, né Fiorenza finse di non aver capito.

«Dal buio balza il nero mondo delle notti» mormorò a sua volta, citando Heym.

E lui, senza guardarla, gli occhi sempre persi laggiù, verso quel fazzoletto di verde urbano: «Che cos'è, il Male? Storia o natura?»

«Entrambi, storia e natura. Leopardi nella Ginestra coniuga gli opposti nella stoica utopia di un nichilismo solidale, ben consapevole della contraddizione fra solidarietà umana e destino biologico».

«Pensavo a tutti i morti degli anni di piombo e delle stragi...» esitò.

«Di Stato lo aggiungo io» sussurrò lei.

«... e pensavo che i crimini individuali scompaiono, a fronte».

«Questo vale anche per le guerre, allora: anche per le guerre».

«Eppure, il mondo ha senso soltanto se si persegue la foglia nella foresta».

«Sì, è così, è proprio così» disse lei, una mano sulla spalla di lui. «Vedi che lo sai?»

Kim sbadigliò, stirandosi pigramente: era l'ora dell'ultima pipì.

«La lingua di ferro della mezzanotte. Lo porto giù io» disse Fiorenza.

«Lo portiamo giù insieme: se saremo ancora svegli dopo mezzanotte, ci alzeremo presto al mattino, assicura da qualche altra parte il Bardo». Certo che aveva colto la citazione, lui.

«Non nel Sogno, però, nella Dodicesima notte: lo dice sir Toby, e tu stasera hai bevuto quasi quanto lui» sorrise Fiorenza allacciando il guinzaglio al vecchio mistoterrier.

Melis caricò la pipa.

«Il fumo rende impotenti» l'avvisò lei con interessata premura.

«Sopperirò con la fantasia» garantì lui, accendendola.

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«Dei fanatici? Ce n'è di tanti tipi. Ma uno dei terrori dei fanatici di destra, dei puri e duri che si riempiono la bocca dei sacri valori, è la contaminazione, che invece è alla base della vita. E poi, le parole dei fanatici, di tutti i fanatici, mentono, mentono sempre. Si sottraggono al loro primo e autentico significato. Significano altro da quel che dicono. La loro Patria non è la mia patria, la loro Famiglia non è la mia famiglia. Il loro Dio non è né Dio d'amore né terribile Dio di giustizia: è un Moloch mostruoso. Tutto, nel loro mondo, si fonda su una paura che lentamente porta in luoghi ancora più sconosciuti dell'Altro che questa paura suscita. E poi consideri che noi uomini siamo sempre ciò che ci ha formati, ciò in cui crediamo e ciò che detestiamo, tutto questo insieme, sempre, indissolubilmente: quando un essere umano deve reagire a qualcosa, dalla più grave alla più insignificante, risponde sempre con tutto sé stesso, nessuna voce del proprio io esclusa».

Pandolfini studiò di sottecchi Melis: «Lei sa qualcosa che non mi dice, di questa faccenda». Sospirò, finì il suo whisky: «Comunque, sì, il mondo si è fatto complicato...»

«Complicato?» sorrise Melis. «Soltanto perché è finito il colonialismo, si contano a decine e decine i nuovi Stati e non esiste più la politica delle cannoniere, come i peshmerga afghani stanno insegnando ai russi? Questo è niente, quando nel mondo verranno davvero rimescolate le carte, e con esse i popoli, il brutto sogno di questi fanatici e dei miserabili abituati a contare gli spiccioli dei rapporti umani diventerà un incubo».

«Per ora, il suo incubo è questo. Faccia in modo che non diventi anche il mio».




Angitia, la dea dei Marsi annunciava un manifesto sul muro di fronte.

«Ma allora torniamo alla vexata quaestio» barriva dallo schermo televisivo un faccione che solo a vederlo la fisiognomica diventava una scienza esatta: «Una questione, diciamolo pure, endemica!»

Ma il brigadiere Massimo D'Aiuto, maschia bellezza italica, stava pensando nello stesso tempo a due cose molto diverse fra loro. Una era privata, privatissima. Perché lui e Bonaria, ancora così giovani, avevano deciso di non avere figli?

Ammettiamolo, si disse il brigadiere, spesso amiamo i bambini, perchè sono gli unici che credono a quello che siamo, alle nostre idee, incondizionatamente. Perchè ci prendono per quello che siamo, senza giudicarci, senza vedere i nostri errori e le nostre miserie. Almeno, per qualche anno. Poi anche loro si cresce, si ha giudizio, no? E si giudica, e si condanna e si disprezza. Poi, forse, per alcuni, lentamente, viene l'età nella quale non si disprezza più, e pur mantenendo le facoltà di giudizio s'inizia a concedere agli altri tutte le attenuanti che prima si concedevano solo a noi stessi. I saggi, poi... chissà.

Ora dallo schermo televisivo un alto prelato con assoluta serietà diceva cose terribilmente cretine. Un vecchio signore emaciato e con i capelli raccolti a coda prese poi la parola.

«Eminenza, la storia dimostra l'assoluta arbitrarietà di ogni divisione tra uomini, e la scienza, di suo, dimostra quanto sia erronea la suddivisione, per dirne una, tra bruni e biondi, poiché la genetica ha stabilito in modo inoppugnabile che i bruni sono spesso portatori del gene biondo e viceversa. La recente ricerca scientifica, inoltre, ha ormai inequivocabilmente dimostrato che tutti discendiamo dagli africani. Non dai figli di Noè. Insomma, la sola distinzione fra uomini che abbia rigore metodologico è quella tra chi porta i calzini corti e chi quelli lunghi. Io però non porto calzini, vado nudo pede. Lei, invece, che dovrebbe predicare l'amore e ha appena pronunciato parole che di amore non sono, non soltanto indossa la gonna, ma ha calze di un vistoso colore davvero ben poco virile, vedo».

«Ma và a dar via i ciapp, brutto frocio» fu il commento a mezza bocca dell'omone di là dal banco del bar. «Mi son minga négher, mi son nassùu a Porta Cicca!»

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Pagina 124

«Venga al punto».

«Non voglio parlare di stragi di Stato...»

«Melis! Solo perché Licastro...»

«... ma di delitti con depistaggi di Stato. Nella storia repubblicana non sono pochi, da Calvi e Semerari a Sindona, e forse alcuni legati fra loro: Mattei, De Mauro, Pasolini...»

«Ma via! Pasolini!»

«Le devo ricordare che un magistrato stabilì che quelle ferite non potevano essere state inferte da un giovane uomo solo armato di un travicello? Quel magistrato onesto e scrupoloso non era un esaltato sostenitore della giustizia proletaria, era il fratello di Aldo Moro».

Pasolini. Una morte disordinata, sporca e barocca. Così, sulla riva, febbricitante, era morto il Caravaggio.

«Ma che c'entra? Lei è troppo alterato, non è obiettivo!»

«Sì, forse. Ma lei sa quanto me che gli inquirenti vollero ignorare tutti i numerosi indizi che conducevano, in modo palese, a un agguato di massa».

«Ma per favore!»

«Già, dove sono le prove? Bene, lasciamo stare i morti famosi, Moro compreso, in un paese che ne coltiva l'oblio affogandoli in un mare di retorica. Parliamo di morti qualunque, che nulla hanno a che fare con i potenti». Con voce dura, tagliente: «Ricorda il caso Novara?»

Pandolfini batté le palpebre: «Quale caso di Novara?»

«Non di Novara: Maria Teresa Novara. Non ricorda? Dicembre 1968?»

Pandolfini mosse a disagio le natiche sulla poltrona: «Ma sono vent'anni fa! No, non ricordo, di cosa parla?»

«Maria Teresa Novara aveva tredici anni nel dicembre 1968: era ospite in casa dello zio, a Villafranca d'Asti, quando due topi d'appartamento, Bartolomeo Calleri e Luciano Rosso, entrati nella casa, trovatala sola, la rapirono segregandola in una cascina a Canale d'Alba, meno di venti chilometri. Quando capirono di non poter sperare in un riscatto, la costrinsero a prostituirsi. La tenevano chiusa in cantina, legata al muro con un metro di catena, e così la trovarono, morta di fame, i poliziotti quando il 13 agosto 1969 perquisirono l'edificio. Già, perché il 5 agosto Calleri e Rosso erano stati beccati mentre rubavano in un appartamento di Torino: Calleri aveva tentato la fuga tuffandosi nel Po, dove era annegato, e Rosso durante l'interrogatorio non fece parola del rapimento, condannando la bambina — aveva tredici anni — al suo destino: la morte per fame».

Pandolfini aveva assunto l'espressione imbarazzata e affranta che in quei casi il telespettatore pretende dalla pubblica autorità, ma Melis lo ignorò, proseguendo: «Io allora avevo appena vinto il concorso per entrare in Polizia. Sa cosa mi colpì, più di ogni altra cosa? Che la magistratura di Alba archiviò il caso, considerando la morte di Maria Teresa accidentale, e non un omicidio. Perché? Forse perché un'inchiesta avrebbe portato alla luce la connivenza di tante brave persone? I clienti, che certo non mancarono, forse non sapevano chi era quella prigioniera spaurita ma quanto meno vedevano che era una bambina, una bambina, capisce? Facevano un sesso veloce feroce squallido, pagavano, tornavano alle loro vite più o meno dignitose, molti sicuramente tornavano in famiglia. Agli affetti famigliari, come si dice. Ma nessuno, nessuno parlò, nemmeno con una telefonata anonima, nemmeno dopo quel 5 agosto che vide una bambina, una bambina, capisce?, morire di fame legata e abbandonata nello scantinato di una cascina in una delle più ricche campagne d'Italia». Si ricompose, aveva alzato la voce. «E, naturalmente, una parte della stampa, sempre pronta a titillare morbosità e pregiudizi, compì un delitto contro la pietà dei defunti, suggerendo che forse quella povera vittima, tanto contraria a prostituirsi, in fondo in fondo, chissà?, non era stata».

Era livido, e Pandolfini gli diede un'occhiata di sbieco, irritato e incerto.

«Perché le dico questo?» riprese Melis. «Perché, vede, io non credo che dietro questi delitti, che con la fantasia che li contraddistingue i cronisti di nera chiameranno i delitti dei tarocchi non appena qualcuno spiffererà questo dettaglio, io non credo che dietro ci siano chissà che nomi e chissà che complotti. O chissà quali connivenze. Ma se anche ci fossero, io andrò sino in fondo. E se questo dà fastidio a qualcuno mi si dovrà far fuori, o in metafora o sul serio. Perché io andrò sino in fondo».

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Pagina 144

Protetto da bastioni di libri antichi ma stretto dalle dure necessità del mercato, Castelli, sempre elegante senza ostentazione, invecchiava meno bene di quanto ci si sarebbe potuti attendere: tuttavia, aveva avuto il buon senso di dare un successore al vecchio Mungo, il fox terrier deceduto pochi anni prima. Baldo, un bassotto color carota, abbaiò festoso a Kim, che si limitò a un dignitoso ringhio sommesso, degno di un cane saggio per anzianità.

«Mi fa piacere vederti: un cliente seriamente danaroso mi ha sfibrato. Competente, con ottimi gusti, ma come stimare un individuo o una società che identifica il valore con il prezzo? Più serietà e meno noia, please».

«Non sempre le persone serie sono anche interessanti. Prendi gli accademici» rispose lei.

«No, certo: ma sono convinto che chi ha molti interessi è interessante» replicò lui, riponendo a scaffale alcuni grossi tomi.

«Un biblista, per dire, potrà anche reputarsi serio ma è senza dubbio immensamente noioso, se nella Bibbia ci crede. Io conosco un biblista credente serioso noioso suscettibile e cretino. Si è proposto come consulente per la casa editrice».

«Con poche speranze, mi par di capire» le sorrise il libraio. «Sei qui per te o per Norberto?»

«Anzitutto, per il piacere di vederti. Poi, per Norberto, che ha bisogno di un pensiero gentile, con quel che sta succedendo».

Lui assentì: leggeva i giornali.

«Bello pensare a un poliziotto che legge» osservò, cercando sulle scansie. «Sai, in America un noto regista trash, John Waters, fa pubblicità alla lettura con una frase geniale: se vai a casa di qualcuno e non ci sono libri, non scoparci».

Anche Fiorenza sorrise: «Ha ragione: non ricordo più chi ha detto che il nostro organo più erotico è il cervello». I due cani avevano cessato di annusarsi secondo i loro dettami sociali. «Ma forse questo ce lo raccontiamo noi intellettuali».

«Se parli di sesso forse hai ragione, ma se parli di amore...» Tirò fuori tre volumi: ormai sapeva qual era il tetto di spesa che lei poteva permettersi per questi piccoli lussi. E, mentre lei li sfogliava attenta: «Cosa c'è di vero in questa idea di una setta?»

«Non chiedermelo: sai, Norberto è sempre molto riservato. Perché? Sei un esperto di sette? Credevo che la tua passione fossero i presocratici».

«A modo loro, erano più che sette, misteri: l'orfismo, Eleusi, Dioniso, Pitagora... Secondo il modello messo a punto vent'anni fa da Lofland e Stark, gli individui scelgono di far parte di una setta, o di una chiesa, quando soffrono sotto forti e durature tensioni. Allora, se già sono portati a vedere in prospettiva fideista la soluzione dei problemi, e se in questa fase della loro vita s'imbattono nella setta, e magari hanno anche un legame affettivo con uno o più aderenti, ecco, è fatta. Sono tutti individui fragili, anche se possono apparire forti, molto forti».

«Cosa intendi per chiesa? In quel caso è un culto, no?»

«Si definisce culto un gruppo innovativo verso interessi soprannaturali. Il culto non riscuote il favore della maggioranza. Esso deve essere deviante rispetto alle convenzioni riconosciute. Ma nel corso del tempo può essere accettato dalla comunità, e non essere più considerato deviante. Diventa Chiesa, come avvenne per i cristiani».

«E se invece gli interessi sono etico-politici? I neonazi, per dire».

«Non cambia molto: la dimensione sovrannaturale diventa dimensione mitica. Mitologia data come assoluta ma priva di qualsivoglia riscontro: purezza della razza, immutabili valori della tradizione... Tuttavia, l'analisi sociologica sul campo smentisce molti pregiudizi: non è vero che, per affiliarsi a un culto deviante, l'individuo debba essere affetto da psicopatologie; non è vero che il culto eserciti fascino solo sulle persone ignoranti, molte volte gli appartenenti hanno cultura, in certi casi persino superiore alla media».

«Però è curioso: alla radice delle tre religioni monoteiste, vi è l'idea che l'ignoranza è bene e la sapienza è il peccato supremo».

«Sì, è vero. E questo la dice lunga, no? Ma, tornando al culto, lì il distacco con il mondo convenzionale, affetti e modelli, deve essere totale e assoluto: gli intenti del culto diventano gli intenti dell'affiliato. Tutte le teologie monoteiste, nel momento in cui richiedono la fede, sono assolute e intolleranti. Come dice Gesù, chi non è con me è contro di me, io vengo per dividere il padre dal figlio».

«Vale anche per i movimenti politici?»

«Per tutte le forme di pensiero assolutista, persino le più materialiste. Per il nazismo, poi, è assodato. In tutti i movimenti di destra del nostro secolo sopravvive molto terreno di coltura di Alba Dorata».

«Alba Dorata?»

«The Golden Dawn, una società segreta misteriosofica fondata nel 1888: ne fece parte anche il poeta irlandese Yeats, un premio Nobel, come tu m'insegni».

«Vuoi dire che la loro visione del mondo è come sottoposta ad anamorfosi?»

Si riferiva a quella tecnica pittorica, diffusa soprattutto nel Seicento, per la quale strane figure incomprensibili, se viste a distanza in prospettiva geometrica con una lente si mutano in volti e oggetti ben riconoscibili del nostro mondo tridimensionale.

«Sì, certo: è deformata, proprio come quella di qualunque credente».

Gli tese il libro che aveva scelto: «Quanto?»

Castelli alzò quattro dita della mano - «Solo perché sei tu» - e prese a incartarlo.

Partendo dal principio che, quando uno non pratica più uno sport, lo coltiva sui libri, Fiorenza aveva acquistato una copia secentesca Della ragione e modi d'imbrigliar cavalli di Malatesta: perfetto, e di buon auspicio.

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Pagina 224

In pasticceria a quell'ora si consumava il rito delle bollicine con i salatini ungheresi.

«Ma sì» concionava al tavolino una cinquantenne, rivolta a due amiche, «ci sono andata dopo il burraco di martedì: è un medico che ti legge il fondo della rétina. Mi ha guardata a lungo, luci, lenti, a lungo, e poi mi ha detto... che ho l'intestino di un cane. Sì. Di un cane».

Dal tono, pensò Fiorenza mentre Gino Liverani ordinava al banco due cappuccini e due brioches salate, la tipa sembrava entusiasta della cosa. Strizzò l'occhio a Kim.

«E poi mi ha detto che devo sfogliare la pelle» rivelò ancora la donna, sempre più eccitata. «Perché, lo sapevate? Noi abbiamo milioni di cellule morte! Così, con il guanto di crine...»

«Prima ti spogli poi ti sfogli» concluse, fintamente serafica, una delle due amiche.

Che domande si ponevano, abitualmente, creature di quel tipo? L'ipotalamo è il letto nuziale degli ippopotami? Perché se uno l'ha fatta deve aspettare ancora? E tu, che infradito sei?

Fiorenza sorrise a Liverani, che la raggiunse al tavolino. Le dame del burraco ora parlavano di un centro massaggi. A volte le veniva da credere che avesse ragione Norberto, quando nei giorni no adattava ai milanesi una battuta che in un raffinato film horror Ava Gardner faceva sui newyorkesi: non hanno alcun senso per niente a parte sesso e denaro.

Liverani sospirò: «Ti sono grato per avermi procurato questa traduzione. Le Fiabe caucasiche di Adolf Dirr: soltanto tu potevi pensare di farle tradurre».

«Nel senso che ne venderemo duecento copie e finalmente mi potranno far fuori?»

Liverani sospirò. «Eh, ce li ricorderemo, questi anni: palestre di lusso, negozi di lusso, analfabeti di lusso, gran cattivo gusto diffuso» lanciò un'occhiata in tralice alle damazze schiamazzanti, «chiacchiere su vita e faccende di personaggi più o meno famosi, cioè televisivi, di emergenti, di quelli coi danèe fatti si sa mica come. Sudare (quasi niente, e soltanto in palestra) e mangiare (anche in metafora). Ristoranti di lusso, e l'illusione di avere sempre il miglior pesce e il miglior vino. Tirare l'alba: a ballare, a farsi, a bruciare soldi. La dolce vita ora è soltanto spreco. E chissà quanti che non immaginiamo, a sprofondare nella bancarotta».

«Già, gli anni Ottanta... Sia benedetto Craxi, che ne fa arricchire tanti. Sembra quasi che mangino tutti, ma in realtà sono pochi alla greppia. Sì, forse il lavoro c'è, c'è in alcuni settori un'energia trascinante. Ma i nodi verranno al pettine, più prima che poi».

Le burrache uscirono in un trionfo di squittìi fra il ticchettare di tacchi improbabili.

«Sai» riprese Liverani, «un mio alunno ripetente mi raccontava ieri che lui il venerdì sera esce da un locale e si butta in un altro, ristorante discoteca, poi un'altra discoteca, poi... e sorrideva dicendomi in un ammicco: E le donne, professore... Le donne... Un'allegria contagiosa, come se la fine non debba arrivare mai».

«O forse un'allegria impegnativa» osservò Fiorenza passando a Kim un corno del croissant.

«Sì, un clima strano. Ma è vero, si respira una vena creativa, senti che ci sono le opportunità. Finché dura. Però ho come l'impressione che questi ragazzi, fra vent'anni, non avranno le loro foto da giovani, e men che mai foto di gruppo. Non hanno il tempo di mettersi in posa, intorno la vita corre».

«Forse è anche una reazione agli anni...»

«Di piombo?»

«E delle stragi di Stato, soprattutto. Sai, non dovrei dirtelo, ma ormai la cosa trapela anche su alcuni giornali: gli assassini dei tarocchi potrebbero essere un gruppo neonazi».

«Ah, possibile: i tarocchi si possono considerare il primo gradino dell'esoterismo di massa, e il neonazismo occulto è molto portato alle pratiche esoteriche, così come da sempre lo fu il nazismo. Pensa a Himmler».

«Le rune, il Graal, la lancia di Longino?»

«Sì. Pensa al simbolismo del castello di Wewelsburg: il Sole Nero, Thule. Die Schwarze Sonne, il Sole Nero, si vede ancor oggi rappresentato nel castello di Wewelsburg, l'ombelico iniziatico voluto da Himmler. E poi, certo: l'incantesimo delle rune. Le rune corrispondono ai Chakras, le ruote, i centri di energia occulta che noi introiettiamo, corrispondenti agli organi fisici e fondamentali per evolvere a Sonnenmensch, l'Uomo-sole, anello di congiunzione fra uomo e Super-uomo. L'uomo eterno. Del resto Himmler considerava davvero alcuni membri dell'Ahnenerbe, la Società di Ricerca dell'Eredità Ancestrale, a Wewelsburg, nel 1937, come immortali nel vero senso della parola, morti viventi in quanto passati attraverso la morte mistica». Scosse il capo: «Assurdo come quella destra smonti, grazie a Nietzsche, l'esistenza di leggi divine e poi creda nel mito, così che occultismo ed esoterismo generano nuovi preti e nuova fede. Una gran brutta fede». Inghiottì l'ultimo boccone di croissant: «Come diceva, Goethe? Che avendo noi uomini negato il Grande Maligno ci siamo ridotti al male dei piccoli mascalzoni. Ma anche i piccoli mascalzoni possono infliggere grandi mali, come ben insegna la tragica storia della Germania consegnatasi all'imbianchino e alla banda dei suoi grotteschi famuli».

Il cappuccino finito, si accordarono sui tempi di consegna della traduzione e si salutarono.

Fiorenza attraversò il parco insieme a Kim, foglie al vento in questo mondo fluttuante.

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