Autore Hans Tuzzi
Titolo Il mondo visto dai libri
EdizioneSkira, Milano, 2014, Storie , pag. 156, cop.fle., dim. 14,2x21x1,3 cm , Isbn 978-88-572-2520-3
LettoreGiorgio Crepe, 2016
Classe libri , collezionismo









 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


    9   Quando, il 5 settembre 2013

   11   Assassinare (per un libro)
   19   Botanica, libri di
   25   Canevari
   33   De Marinis, Tammaro
   39   Encyclopédie

   45   Francoforte, Fiera del Libro di
   51   Grolier, Jean
   57   Hypnerotomachia Poliphili
   63   Indiani d'America
   69   J.H.S.

   71   Koberger, Anton
   79   Legatura
   85   Merian, Maria Sibylla
   93   Non-libri
   95   Ornitologia, libri di

  103   Pseudobiblia
  107   Quatre fils Aymon
  111   Raro
  117   Stampa, falsi luoghi di
  121   Torchi privati

  125   Ulysses
  131   Valturio
  133   W.A.F.
  135   Xilografico, libro
  137   Y

  139   Zanzibar
  147   Al lettore disturbato


  149   Dizionario essenziale


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

Assassinare (per un libro)


Non pochi uomini sono stati uccisi per i libri che hanno scritto. Alcuni persino per quelli che hanno soltanto letto. È, questa, un'intolleranza tipica di teocrazie e dittature. Ma... assassinare per un libro? Per il suo puro e semplice possesso? Si è mai ucciso, fuori dalle pagine dei romanzi, nel vero mondo del collezionismo librario? Nella propria autobiografia John Baxter ricorda il caso di un bancarellaro che strangolò l'amante e ne sezionò il cadavere in tanti pezzi che seppellì lungo il percorso di golf di Leatherhead: assassino, sì, ma non per un libro. Se scartiamo il noto episodio del parroco sassone Johann Georg Tinius, che in piena età Biedermeier uccideva per procurarsi libri da leggere, e lo scartiamo in quanto manifestazione di bibliomania, non di bibliofilia, io conosco un solo caso che si presta a così atroce sospetto. E poi un secondo caso, questo certo, ma non per un libro, per un volantino. Falso, per di più; e all'origine dell'omicidio proprio in quanto falso.

Sto parlando di Mark William Hofmann, americano classe 1954 nato a Salt Lake City, nello Utah. Dopo un viaggio di studio in Inghilterra, nel 1980 aveva compilato un falso in caratteri egizi rielaborati in modo tale da poter sembrare la fonte delle cosiddette Tavole Auree all'origine del Libro dei Mormoni. Sostenne di averlo trovato fra alcuni fogli di un esemplare della Bibbia di re Giacomo ingrommati insieme dalla sporcizia, e riuscì a venderlo per 20.000 dollari. A quel punto, Hofmann produsse altri falsi, sempre legati alla storia dei Mormoni e sempre limitati a singoli fogli manoscritti, nonché abilmente congeniati per risultare utili e pertanto appetibili ora a questa ora a quella fazione interne alla setta. Ma falsificò e vendette anche firme di celebri personaggi della storia e della letteratura americane, da Washington a Lincoln, da Mark Twain a Emily Dickinson, finché non si sentì pronto per il grande passo, un falso volantino a stampa, ma che volantino. Su un foglio di carta dell'epoca, tolto a un antico volume, ricreò il primo documento stampato nelle colonie inglesi d'America, l' Oath of a Freeman, un foglio volante originariamente impresso in sole cinquanta copie, tutte da tempo perdute. Iniziò una trattativa di vendita con la Library of Congress, per una cifra superiore al milione di dollari. Ma... Ma il demone della bella vita e dei libri rari – sì, Hofmann era un bibliofilo – lo aveva spinto ad accumulare debiti; pressato dal bisogno, offrì alla Chiesa dei Santi dell'Ultimo Giorno un lotto di documenti malamente contraffatti. Nacquero così i primi dubbi sulla sua affidabilità, che, se resi noti, avrebbero compromesso la vendita alla Library of Congress; in un vortice di autentica paranoia, Hofmann pensò di guadagnare tempo uccidendo con due bombe fai da te un noto collezionista di autografi e la sua segretaria. Ma una terza bomba gli scoppiò in auto, ferendolo. Anche lui vittima? La polizia non ci mise molto a inchiodarlo, e i giudici a condannarlo, nel 1988, a cinque anni per falso, e all'ergastolo per duplice omicidio. In carcere tentò il suicidio: lo salvarono, ma perse l'uso del braccio destro. Qualcosa in lui, o forse il destino, aveva punito la mano del falsario.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 19

Botanica, libri di


Mignonne, allons voir si la rose... E chi, se non un francese, poteva comporre il più noto, il più bello, il più ricercato, il più sensuale fra i libri illustrati su questo fiore? Una rosa, Stein dixit, è una rosa. Fresca e aulentissima, d'accordo. Ma Les Roses di Pierre-Joseph Redouté sono anche un piccolo monumento al Settecento illuminato e galante visto con gli occhi di chi ormai sa "quant'era dolce la vita, prima della Rivoluzione".

[...]

Questo, al fondo, ci insegnano i libri di botanica: che il mondo, così come ogni generazione l'ha conosciuto, non è che la costante evoluzione del continuo migrare e mescolarsi di popoli e specie. I coturnati achei invadono la Grecia minoica e dalle sponde orientali del Caspio il melo giunge in Europa; Lucullo e Pompeo importano dall'Asia ciliegio e pesco, e già ecco i barbari premere alle foci dell'Istro; noi rechiamo a inca e aztechi cavalli ferro sterminio e raffreddore, e loro ci ricambiano con sifilide cacao pomodoro e patata. Oggi è il kiwi a farsi italiano, o, con percorso inverso, la lima o limetta che parte dalla Calabria per diventare lime nei Caraibi.

Ecco un buon motivo per sfogliare le varie Flora o Pomona. Per capire che nessun angolo del mondo è mai stato un hortus conclusus.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 25

Canevari


Nomen omen: qual mai altra passione poteva coltivare il conte Guglielmo Libri Carucci della Sommaja (Firenze, 1803 – Fiesole, 1869), se non quella per i libri antichi? E non ci si lasci ingannare dagli scarni dati di nascita e morte: l'uomo, matematico insigne e attivista politico nella Carboneria, trascorse gran parte della vita all'estero, prima a Parigi, poi a Londra. E, sempre, per cause di forza maggiore. Nel 1830, infatti, Libri, cattedratico a Pisa dal 1823, è coinvolto nei processi contro i carbonari e fugge a Parigi, dove già era stato e dove è assai apprezzato per i suoi studi matematici. Naturalizzato francese dal 1833, docente alla Faculté des Sciences, dal 1838 al 1841 pubblica una Histoire des sciences mathématiques en Italie de la Renaissance au XVIIIe siècle per la quale utilizza lettere libri e manoscritti di Galilei e Cartesio da lui sottratti, insieme a vari preziosi volumi, alla Biblioteca Medicea Laurenziana. Nel 1843 ottiene la cattedra di Matematica allora istituita al Collège de France. Amico di alte personalità del mondo artistico e culturale, proprio in quanto erudito e appassionato bibliofilo è nominato nel 1841 Segretario della Commission du Catalogue général des manuscrits des bibliothèques publiques de France: sarà in questa veste che passerà alla storia per aver spogliato di numerose e mai catalogate rarità librarie le biblioteche di provincia francesi sopravvissute ai saccheggi della Grande Rivoluzione. Libri, infatti, si comporta come in quegli anni molti archeologi: ritrova tesori sepolti nell'oblio, e di quei volumi dimenticati dagli uomini ma non dal Dio dei Libri, ne trattiene una parte per le proprie collezioni. Numerosi sono infatti i manoscritti e incunaboli che Libri ri-scopre nei depositi di biblioteche mai inventariate, ma molti non tornano allo Stato, vanno ad arricchire la sua biblioteca, che arriva a contare così circa 1.800 manoscritti e 40.000 libri a stampa, tutti rari o di gran pregio. Ma i mormorii si fanno voci, le voci clamore, e nella primavera del 1848, anno rivoluzionario per la Francia e l'Europa, il conte Libri fa appena in tempo a imbarcarsi per Londra con gran parte della collezione stipata in 18 casse: Luigi Filippo non è più re e l'antico carbonaro è pubblicamente denunciato. Nonostante l'appassionata difesa di amici come Prosper Mérimée, al tempo ispettore generale dei monumenti storici, il 22 giugno 1850 un tribunale della Seconda Repubblica lo condanna in contumacia a dieci anni.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 39

Encyclopédie


Il popolo non aveva pane. Gli diedero libri, non brioches. E fece la Rivoluzione.

Dell' Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences des arts et des métiers di Diderot e d'Alembert — la più grande impresa editoriale dell'Illuminismo, o, come la ribattezzò lo storico Robert Darnton, "Il Grande Affare dei Lumi", sappiamo ormai tutto: dell'associarsi, nel 1745, del libraio Le Breton con tre colleghi al fine di tradurre la Cyclopaedia di Chambers uscita a Londra da Knapton nel 1728; di come il libraio Briasson coinvolga da subito Denis Diderot; e questi, due anni dopo, d'Alembert. Ma presto l'impresa ruppe i confini angusti del progetto iniziale, limitato alla sola traduzione dei due volumi in-folio originali di Chambers (il supplemento in due volumi è del 1753) e si dilatò per proporsi come nuova e autonoma imago Mundi sino a raggiungere dimensioni impreviste: il primo volume di testo uscì nel 1751, l'ultimo volume di tavole nel 1772; in tutto, 17 volumi in-folio di testo e 11 di tavole, per un insieme di 71.818 voci e 2.885 tavole a un costo complessivo, per i sottoscrittori, di 980 livres, cinque volte il salario medio annuo di un lavoratore parigino. Un crescere in itinere confermato dal fatto che la lettera di sottoscrizione stampata in ottomila copie (tante, per l'epoca) offriva l'opera al prezzo di 280 livres a volume. Senza contare il successivo Supplément, voluto dal libraio parigino Panckoucke, al quale Diderot collaborò soltanto come autore di alcune voci.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 45

Francoforte, Fiera del Libro di


Tutto chiuso nell'arco del secolo, il viaggio terreno di Sigmund Feyerabend, e il secolo è il decimosesto dell'era cristiana: nato a Heidelberg nel 1528, morto a Francoforte nel 1590, identificò vita e lavoro con la città sul Meno. E il suo lavoro fu quello di stampatore e libraio, o, come si diceva al tempo per indicare il libraio-editore, con vocabolo greco, bibliopola.

Un ritratto inciso nel 1587, all'età di 59 anni, ci restituisce l'immagine d'un uomo grosso, atticciato, dal volto carnoso capace di emozioni carnali; è, tuttavia, la complessione fisica che si ritrova inaspettata in individui capaci di grandi speculazioni astratte. Un bue muto, come 1'Aquinate, solido nel lavoro – il cognome è parola che in tedesco indica la fine della giornata lavorativa, la "giusta sera" –, sia esso manuale o di cervello. Oltre a mettere in piedi uno dei più fiorenti commerci librari del tempo – la didascalia del ritratto recita orgogliosamente Sigismundus Feyerabendius Bibliopola Francofurti ad Moenum – l'uomo fu, infatti, incisore in proprio, coltivando l'arte della xilografia, l'incisione su legno. Conosciamo trentadue titoli stampati da Feyerabend fra il 1556 e il 1590, e almeno uno di questi, la Chronica di Keller, edito nel 1574, riccamente illustrato con xilografie di Jost Ammann, vide il libraio-editore incidere di sua mano le tavole con i ritratti dei dogi veneziani.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 57

Hypnerotomachia Poliphili


Omero degli umanisti tipografi, Aldo Manuzio vantava, in un'epoca nella quale stampatore ed editore erano una sola persona, una compagine redazionale di eccezionale valore: i suoi curatori e correttori di bozze si chiamavano Erasmo da Rotterdam, Pietro Bembo, Navagero, Sanudo, e poi, fuggiti da Bisanzio caduta preda del Sultano, Lascaris e Musuro e Calcondila e Apostolis ai quali dobbiamo le prime edizioni a stampa dei classici greci. Tutto questo, quasi per caso.

Aldo nacque infatti a Bassiano, presso Roma, verso il 1450, e a Roma studiò con Gaspare da Verona e Domizio Calderini. Erano gli anni dei primi libri a stampa italiani, impressi nel monastero di Subiaco dai tedeschi Arnold Sweynheim e Conrad Pannartz. Studiò greco a Ferrara con Battista Guarino – erano i secoli quando le università italiane attiravano allievi da tutta Europa –, poi divenne precettore dei principi di Carpi, forse su raccomandazione del loro zio, il celebre Giovanni Pico della Mirandola. Nel 1489 è a Venezia, dove stabilisce una società editoriale con il figlio del Doge, Pierfrancesco Barbarigo, e il tipografo Andrea Torresani, del quale sposò la figlia. Lì la stampa era stata introdotta da due fratelli tedeschi, Vindelino e Giovanni, provenienti da Spira: il 18 settembre 1469 la Repubblica aveva concesso a Giovanni il primo "privilegio di stampa" della storia, inventando così l'antenato del nostro copyright. Ai tedeschi era seguito il francese Nicolas Jenson, presso la cui officina si era formato Andrea Torresani. In breve, Venezia contò 151 tipografie – quante ne avevano Parigi e Lione sommate insieme – che, negli anni novanta del Quattrocento, stamparono 1.491 titoli, più di un quarto della produzione europea.

| << |  <  |