Copertina
Autore UNDP
Titolo Lo sviluppo umano Rapporto 2004
Sottotitolo15. La libertà culturale in un mondo di divesità
EdizioneRosenberg & Sellier, Torino, 2004, , pag. 316, cop.fle., dim. 207x280x20 mm , Isbn 978-88-7011-951-0
OriginaleHuman Development Report 2004
TraduttoreChristine Cavagnet, Ilaria Correndo, Petra Mezzetti
LettoreLuca Vita, 2004
Classe politica , sociologia , diritto , storia contemporanea , globalizzazione
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Indice


Sintesi. La libertà culturale in un mondo di diversità    17


1. Libertà culturale e sviluppo umano                     31

Partecipazione e riconoscimento                           32
Libertà, diritti umani e ruolo della diversità            33
Identità, comunità e libertà                              35
Globalizzazione, asimmetria e democrazia                  38
Conclusioni                                               41

2. Libertà culturale o morte culturale                    45

La libertà culturale - una dimensione inesplorata
    dello sviluppo umano                                  46
La promozione della libertà culturale richiede il
    riconoscimento delle differenze di identità           55
Tre miti che circondano la libertà culturale e lo sviluppo57
Le sfide attuali per la libertà culturale                 64

3. La creazione di democrazie multiculturali              65

Risolvere le incertezze statali tramite il riconoscimento
    della differenza culturale                            65
Politiche che garantiscano la partecipazione politica dei
    vari gruppi culturali                                 68
Politiche sulla religione e la pratica religiosa          74
Politiche sul diritto consuetudinario e il pluralismo
    legale                                                76
Politiche sull'utilizzo di molteplici lingue              78
Politiche che pongano rimedio all'esclusione
    socioeconomica                                        84

4. Come affrontare i movimenti per la dominazione
   culturale                                              93

I movimenti per la dominazione culturale - le sfide
    di oggi                                               94
Il dilemma delle democrazie - misure restrittive o
    concilianti?                                          97

5. Globalizzazione e scelta culturale                    105

Globalizzazione e multiculturalismo                      108
Flussi di investimenti e conoscenza - includere le persone
    indigene in un mondo globalmente integrato           111
Flussi di beni culturali - ampliare le scelte attraverso
    la creatività e la diversità                         116
Flussi di persone - identità molteplici per i cittadini
    globali                                              120

Contributi speciali

I diritti umani incarnano i valori fondamentali
    delle civiltà umane di Shirin Ebadi                   41
Diversità - da causa di divisione a motivo di inclusione
    di Nelson Mandela                                     61
Riconoscimento della diversità linguistica nella
    costituzione afgana di Hamid Karzai                   82
La differenza non è un pericolo ma una fonte di forza
    di John Hume                                         102
I popoli indigeni e lo sviluppo di Ole Henrik Magga      111

Riquadri

2.1 Due aspetti dell'esclusione culturale                 45
2.2 La definizione dei diritti culturali viene dopo i
    diritti civili, politici, economici e sociali: perché?46
2.3 Misurare la libertà culturale                         49
2.4 L'indice di sviluppo umano:
    catturare le disuguaglianze tra gruppi                54
2.5 Politiche culturali - protezione del patrimonio
    culturale e promozione del libertà culturale          56
2.6 Le disuguaglianze tra gruppi possono fomentare
    conflitti e tensioni                                  59
2.7 La differenza di etnie nelle Isole Salomone non è
    causa di conflitto                                    60
3.1 Una guida sommaria al federalismo                     69
3.2 La sfida del federalismo: le difficili linee e
    prospettive politiche della Nigeria                   70
3.3 Rappresentanza proporzionale o vincitore "piglia
    tutto"? Il cambiamento effettuato dalla Nuova Zelanda 73
3.4 I numerosi aspetti degli stati confessionali e laici
    e i loro effetti sulla libertà religiosa              74
3.5 Codice di diritto personale indù e musulmano: il
    dibattito in corso per un codice civile uniforme      75
3.6 Accesso alla giustizia e al riconoscimento culturale
    in Guatemala                                          77
3.7 Istruzione multilingue in Papua Nuova Guinea          79
3.8 Quante lingue ci sono in Africa? L'85% degli africani
    parla 15 lingue centrali                              81
3.9 Diritti terrieri nelle Filippine                      86
3.10 Esperimenti con il programma contro la discriminazione
    in Malaysia e Sud Africa                              88

4.1 Leadership, manipolazione ideologica e reclutamento
    dei sostenitori                                       97
4.2 Asia centrale - il pericolo connesso alla limitazione
    delle libertà politiche                               98
4.3 Egitto - distinguere tra moderati ed estremisti      100
4.4 Algeria - malcontento, democratizzazione e violenza  101
4.5 Stati Uniti - colpire l'intolleranza e l'odio        103

5.1 Cultura - il cambio di paradigmi nell'antropologia   109
5.2 Fonti dell'etica globale                             110
5.3 Le società private e le persone indigene possono
    lavorare insieme per lo sviluppo                     114
5.4 Usare i diritti di proprietà intellettuale per
    proteggere la conoscenza tradizionale                115
5.5 Il dibattito sui beni culturali e il fiasco dell'
    Accordo multilaterale sugli iinvestimenti            116
5.6 Il successo del sostegno dato dalla Francia alle
    industrie culturali nazionali                        119
5.7 Il dilemma del velo in Francia                       121
5.8 Contratti temporanei - accogliere i lavoratori ma
    non le persone non funziona                          123
5.9 Come Berlino promuove il rispetto per la differenza
    culturale                                            124

Tabelle

    [...]

Figure

    [...]

Cartine

    [...]

Aspetti chiave

    [...]

Note                                                     127
Nota bibliografica                                       130
Bibliografia                                             132


Aspetto chiave statistico 1. Lo stato dello sviluppo umano

    [...]

Aspetto chiave statistico 2. Nota alla tabella 1:
    precisazioni sull'Indice di Sviluppo Umano di quest'anno


Indicatori di Sviluppo Umano

I.   Monitorare lo sviluppo umano:
     accrescere le scelte individuali...
[...]
II.  ... per condurre una vita lunga e sana...
[...]
III. ... per acquisire conoscenza...
[...]
IV.  ... per avere accesso alle risorse necessarie per uno
         standard di vita dignitoso...
[...]
V.   ... preservandole per le generazioni future...
[...]
VI.  ... garantendo la sicurezza personale...
[...]
VII. ... e raggiungendo l'uguaglianza tra donne e uomini
[...]
VIII.Strumenti per i diritti umani e dei lavoratori
[...]

Note sulle statistiche utilizzate nel
    Rapporto sullo Sviluppo Umano                        277
Note tecniche
    1 Il calcolo degli indici di sviluppo umano          285
    2 Identificazione dei paesi a massima e ad alta priorità
      per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio        292
Definizione dei termini statistici                       295
Riferimenti statistici                                   305
Classificazione dei paesi                                308
Indice degli indicatori                                  313


 

 

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SINTESI

La libertà culturale in un mondo di diversità

In che modo la nuova costituzione dell'Iraq accoglierà le richieste per una rappresentanza equa degli sciiti e dei curdi? Quali e - quante - lingue parlate in Afghanistan dovrebbero essere riconosciute dalla nuova costituzione quali lingue ufficiali dello stato? In che modo dovrà comportarsi il tribunale federale nigeriano con la legge della sharia, che stabilisce di punire l'adulterio con la morte? L'assemblea legislativa francese approverà la proposta di vietare il velo ed altri simboli religiosi nelle scuole pubbliche? Gli ispanici presenti negli Stati Uniti si oppongono all'assimilazione alla cultura americana tradizionale? Si arriverà a un accordo di pace per porre fine ai combattimenti in Costa d'Avorio? Il presidente della Bolivia rassegnerà le dimissioni dopo le crescenti proteste del popolo indigeno? Si riusciranno mai a concludere i negoziati di pace necessari per porre fine al conflitto tra tamil e sinhala nello Sri Lanka? Questi sono soltanto alcuni degli argomenti trattati negli ultimi mesi. La gestione della diversità culturale rappresenta una delle sfide principali dei nostri tempi.

A lungo considerate minacce divisive per l'armonia sociale, scelte come queste sul riconoscimento e l'accettazione di etnicità, religioni, lingue e valori diversi - rappresentano un inevitabile aspetto chiave del panorama politico del XXI secolo. Leader e teorici politici di ogni schieramento si sono dimostrati contrari al riconoscimento esplicito delle identità culturali - etniche, religiose, linguistiche e razziali. Di solito, la conseguenza è stata la soppressione delle identità culturali, perpetrata a volte nello stesso modo brutale della politica statale attraverso le persecuzioni religiose e le pulizie etniche, ma anche attraverso la quotidiana esclusione e discriminazione economica, sociale e politica.

La novità presente nel mondo contemporaneo è l'ascesa delle politiche sull'identità. In contesti notevolmente diversi e in modi diversi - dai popoli indigeni dell'America Latina alle minoranze religiose dell'Asia meridionale alle minoranze etniche dei Balcani e dell'Africa agli immigrati dell'Europa occidentale - le persone si stanno nuovamente mobilitando intorno alle vecchie ingiustizie etniche, religiose, razziali e culturali, e pretendono che le loro identità vengano riconosciute, rivalutate e accettate dalla società nel suo complesso. Dal momento che subiscono la discriminazione e l'emarginazione dalle opportunità sociali, economiche e politiche, esse chiedono anche giustizia sociale. Un'altra novità presente nel mondo contemporaneo è l'ascesa di movimenti coercitivi che rappresentano una minaccia per la libertà culturale. E, in quest'era della globalizzazione, gli individui, le comunità e i paesi che hanno l'impressione che le loro culture locali stiano per essere cancellate hanno fatto affiorare una nuova categoria di rivendicazioni e richieste politiche. Essi vogliono mantenere la loro diversità in un mondo globalizzato.

Perché questi movimenti sono apparsi proprio adesso? Essi non sono isolati, ma fanno parte di un processo storico di mutamento sociale, di lotte per la libertà culturale, di nuove frontiere nel progresso delle libertà umane e della democrazia. Essi vengono sospinti e forgiati dalla diffusione della democrazia, che sta dando ai movimenti uno spazio politico maggiore per la protesta, e dal progresso della globalizzazione, che sta creando nuove reti di alleanze e sta proponendo nuove sfide.

La libertà culturale è una parte fondamentale dello sviluppo umano, poiché essere in grado di scegliere una propria identità - chi si è - senza perdere il rispetto degli altri o essere esclusi da altre scelte è importante per vivere una vita al massimo del suo sviluppo. Le persone vogliono la libertà di professare apertamente la loro religione, parlare la loro lingua, celebrare la loro eredità etnica o religiosa senza timore del ridicolo o della punizione o di avere accesso ad opportunità ridotte. Le persone vogliono la libertà di prendere parte alla vita della società senza doversi privare del bagaglio culturale prescelto. Si tratta di un'idea semplice ma di difficile realizzazione.

Replicare a queste richieste rappresenta una sfida pressante che gli stati devono affrontare. Se gestito in modo corretto, il maggiore riconoscimento delle identità porterà a una maggiore diversità culturale nella società, che finirà per arricchire la vita delle persone. Esiste comunque un grande rischio.

Queste lotte per l'identità culturale, se prive di gestione o non sufficientemente gestite, possono rapidamente diventare una delle maggiori fonti di instabilità all'interno degli stati e tra gli stati - e arrivare quindi a scatenare il conflitto che farebbe regredire lo sviluppo. Le politiche sull'identità che separano le persone e i gruppi stanno creando confini anomali tra «noi» e «loro». La diffidenza e l'odio crescenti minacciano la pace, lo sviluppo e le libertà umane. Proprio durante lo scorso anno la violenza etnica ha distrutto centinaia di case e moschee in Kosovo e in Serbia. Le bombe messe dal terrorismo su un treno in Spagna hanno provocato la morte di circa 200 persone. La violenza settaria ha ucciso migliaia di musulmani e altre centinaia hanno dovuto abbandonare le loro case nel Gujarat e in altre parti dell'India, un paese che ha sempre difeso l'accettazione culturale. Un'ondata di crimini dettati dall'odio contro gli immigrati ha sconvolto la convinzione dei norvegesi, che credevano nel loro fermo impegno nella tolleranza.

Le lotte per l'identità possono portare anche a politiche repressive e xenofobe che rallentano lo sviluppo umano. Esse possono incoraggiare il passaggio al conservatorismo e il rifiuto del cambiamento, che bloccano l'afflusso delle idee e delle persone, ambasciatrici di valori cosmopoliti, della conoscenza e delle competenze che promuovono lo sviluppo.

La gestione della diversità e il rispetto delle identità culturali non rappresentano delle sfide soltanto per pochi «stati multietnici». Quasi nessun paese è interamente omogeneo. I circa 200 paesi del mondo hanno al loro interno qualcosa come 5.000 gruppi etnici. Due terzi di essi hanno almeno una minoranza importante - un gruppo etnico o religioso che costituisce almeno il 10% della popolazione.

Nello stesso tempo c'è stata un'accelerazione del ritmo della migrazione internazionale, con effetti impressionanti su alcuni paesi e città. Quasi metà della popolazione di Toronto è nata al di fuori del Canada. E rispetto agli immigrati del secolo scorso, sono molte di più adesso le persone nate all'estero che mantengono stretti legami con i loro paesi di origine. Oggigiorno, in un modo o nell'altro, ogni paese rappresenta una società multiculturale contenente gruppi etnici, religiosi o linguistici che hanno legami comuni con la loro eredità, cultura, valori e modo di vivere.

La diversità culturale durerà a lungo - e finirà per aumentare. Gli stati devono trovare i modi per dare vita all'unità nazionale in mezzo a questa diversità. Il mondo, sempre più interdipendente dal punto di vista economico, può andare avanti soltanto se le persone rispettano la diversità e creano l'unità attraverso i legami comuni dell'umanità. In quest'epoca di globalizzazione, gli stati o la comunità internazionale non possono continuare a ignorare le richieste di riconoscimento culturale. È probabile che le discussioni sulla cultura e sull'identità aumentino - dal momento che la facilità delle comunicazioni e degli spostamenti hanno ristretto il mondo e modificato il panorama della diversità culturale, e la diffusione della democrazia, dei diritti umani e delle nuove reti globali ha fornito alle persone mezzi più efficaci per mobilitarsi per una causa, per insistere nell'avere una risposta e per ottenerla.


Cinque miti sgonfiati. Le politiche che riconoscono le identità culturali e che incoraggiano l'evoluzione della diversità non si concludono con la frammentazione, il conflitto, lo sviluppo inconsistente o il governo autoritario. Queste politiche sono entrambe essenziali, e necessarie, poiché spesso è proprio la soppressione dei gruppi identificati dal punto di vista culturale che porta a stati di tensione.

Questo Rapporto dimostra che esistono buoni motivi per rispettare la diversità e per creare società più inclusive attraverso l'adozione di politiche che riconoscano esplicitamente le differenze culturali - ossia le politiche multiculturali. Ma perché molte identità culturali sono state soppresse o ignorate per così tanto tempo? Una ragione risiede nel fatto che molte persone credono che permettere l'evoluzione della diversità possa rivelarsi conveniente in teoria, ma che poi in pratica possa indebolire lo stato, portare al conflitto e rallentare lo sviluppo. Da questo punto di vista il miglior approccio alla diversità è l'assimilazione di un unico standard nazionale, il che può portare alla soppressione delle identità culturali. Tuttavia, questo Rapporto dimostra che queste non sono supposizioni - ma miti. Infatti, esso chiarisce che una prospettiva politica multiculturale non solo è conveniente, ma anche essenziale e necessaria. Senza una prospettiva di questo tipo, i presunti problemi della diversità possono diventare profezie che si realizzano.


Mito 1. Le identità etniche delle persone competono con il loro attaccamento allo stato, e c'è così una contraddizione tra il riconoscimento della diversità e l'unificazione dello stato.

Non è vero. Gli individui possono e devono avere identità molteplici e complementari - l'etnicità, la lingua, la religione e la razza così come la cittadinanza. L'identità non è neanche un gioco a somma zero. Non c'è assolutamente bisogno di scegliere tra l'unità statale e il riconoscimento delle differenze culturali.

Per gli individui è importante il senso di identità e di appartenenza a un gruppo che abbia valori condivisi e altri legami culturali. Ma ogni individuo può identificarsi con molti gruppi differenti. Gli individui hanno l'identità di cittadinanza (per esempio, essere francese), di genere (essere una donna), di razza (essere originario dell'Africa occidentale), di lingua (saper parlare thai, cinese e inglese), politica (avere idee di sinistra) e religiosa (essere buddista).

L'identità ha in sé anche un elemento di scelta: all'interno di queste appartenenze gli individui possono scegliere quale priorità dare a un'appartenenza rispetto ad un'altra nei diversi contesti. Gli americani di origine messicana possono tifare per la squadra di calcio messicana ma essere arruolati nell'esercito degli Stati Uniti. Molti sudafricani bianchi hanno scelto di battersi contro l'apartheid proprio come i sudafricani neri. I sociologi ci informano che le persone hanno limiti di identità che separano «noi» da «loro», ma che questi limiti cambiano e si mescolano per includere gruppi più ampi di persone.

Uno degli obiettivi dominanti del XX secolo è stata la «creazione di una nazione», e lo scopo di molti stati era quello di creare stati omogenei dal punto di vista culturale con all'interno identità singole. A volte lo scopo è stato raggiunto, ma a costo della repressione e della persecuzione. Se non altro la storia del XX secolo ci ha insegnato che il tentativo di sterminare gruppi culturali o di far finta che non esistano provoca in essi una tenace capacità di ripresa. Al contrario, il riconoscimento delle identità culturali ha risolto tensioni interminabili. Quindi, sia per ragioni pratiche che morali, è molto meglio accettare i gruppi culturali piuttosto che tentare di eliminarli o fingere che essi non esistano.

I paesi non devono scegliere tra l'unità nazionale e la diversità culturale. Alcune indagini mostrano che le due opzioni possono coesistere e spesso coesistono. In Belgio i cittadini hanno risposto in modo massiccio che si sentivano sia belgi sia fiamminghi o valloni e in Spagna che si sentivano spagnoli e al tempo stesso catalani o baschi.

Questi e altri paesi hanno lavorato duramente per accettare le diverse culture. Essi hanno lavorato duramente anche per creare l'unità, attraverso la promozione del rispetto per le identità e della fiducia nelle istituzioni statali. Gli stati si sono mantenuti uniti. Gli immigrati non devono negare il loro impegno verso le famiglie nei loro paesi di origine nel momento in cui confermano la fedeltà ai loro nuovi paesi. Non sono fondati i timori che paventano una disgregazione del paese da parte degli immigrati che non riescono ad «assimilarsi». L'assimilazione priva di scelta non rappresenta più un modello di integrazione essenziale - o necessario.

Non esiste contraddizione tra diversità e unità statale. Le politiche multiculturali rappresentano un modo per creare stati eterogenei e unificati.


Mito 2. I gruppi etnici sono propensi al conflitto violento gli uni contro gli altri per quanto riguarda gli scontri di valori, perciò esiste una contraddizione tra il rispetto della diversità e il mantenimento della pace.

No. Esiste una scarsa dimostrazione empirica del fatto che le differenze culturali e gli scontri sui valori sono essi stessi una causa del conflitto violento.

È corretto affermare, in particolar modo a partire dalla fine della guerra fredda, che i conflitti violenti sono sorti non tanto tra gli stati quanto all'interno di essi, tra i diversi gruppi etnici. Per quanto riguarda le cause di questi conflitti, gli studiosi sono concordi nell'affermare, nelle loro ultime ricerche, che le sole differenze culturali non rappresentano il fattore decisivo. Alcuni dimostrano persino che la diversità culturale riduce il rischio di conflitto rendendo più difficoltosa la mobilitazione di gruppo.

[...]

Mito 3. La libertà culturale richiede la tutela delle pratiche tradizionali, e perciò potrebbe esserci una contraddizione tra il riconoscimento della diversità culturale e altre priorità dello sviluppo umano, come il progresso nello sviluppo, nella democrazia e nei diritti umani.

No. La libertà culturale riguarda l'ampliamento delle scelte individuali, e non il mantenimento fine a se stesso di valori e pratiche che dimostrano una devozione assoluta verso la tradizione.

La cultura non è una serie fissa di valori e pratiche. Essa viene costantemente ricreata nel momento in cui le persone mettono in dubbio, modificano e ridefiniscono i loro valori e le loro pratiche per cambiare le realtà e gli scambi di idee.

[...]

Mito 4. I paesi che contemplano diversità etniche al loro interno hanno meno possibilità di sviluppo, e c'è così una contraddizione tra il rispetto della diversità e la promozione dello sviluppo.

No. Non esistono prove che indicano un nesso evidente, positivo o negativo, tra la diversità culturale e lo sviluppo.

Alcuni sostengono, comunque, che la diversità sia stata di ostacolo allo sviluppo. Ma nonostante non si possa negare che molte società eterogenee hanno bassi livelli di reddito e di sviluppo umano, non ci sono prove che indicano che questo è collegato con la diversità culturale.

[...]

Mito 5. Alcune culture sono più portate di altre a compiere progressi inerenti allo sviluppo, e alcune culture hanno valori democratici intrinseci che altre non hanno; c'è così una contraddizione tra l'accettazione di certe culture e la promozione dello sviluppo e della democrazia.

La risposta è nuovamente no. Non esistono prove derivanti da analisi statistiche o da studi storici sull'esistenza di un nesso causale tra la cultura e il progresso economico o la democrazia.

Il determinismo culturale - l'idea che la cultura di un gruppo spieghi il rendimento economico e il progresso della democrazia - considerato come un ostacolo o un incentivo rappresenta un'enorme ed evidente attrattiva. Ma non esiste alcuna analisi econometrica o storia che convalidi queste teorie.

Sono state avanzate molte teorie sul determinismo culturale, a partire dalla spiegazione, fornita da Max Weber, dell'etica protestante quale fattore chiave della buona riuscita della crescita nelle economie capitaliste. Queste teorie, sebbene convincenti nella spiegazione del passato, si sono sempre dimostrate errate nella predizione del futuro. Intanto che la teoria di Weber sull'etica protestante si andava affermando, i paesi cattolici (Francia e Italia) si stavano sviluppando più rapidamente rispetto alla Gran Bretagna e alla Germania (entrambe protestanti), e così la teoria dovette essere ampliata per includere i cristiani o gli occidentali. Quando il Giappone, la Repubblica di Corea, la Thailandia e altri paesi dell'Asia orientale raggiunsero tassi record di crescita, si dovette abbandonare la convinzione secondo cui i valori confuciani rallentavano la crescita.

La comprensione delle tradizioni culturali può fornire elementi intuitivi per capire il comportamento umano e la dinamica sociale che influenzano gli esiti dello sviluppo. Ma questi elementi non forniscono una teoria completa sulla cultura e lo sviluppo. Per esempio, nella spiegazione dei tassi di crescita economica vengono considerati fattori assai pertinenti la politica economica, la geografia e il peso delle malattie. Ma la cultura, per esempio, che una società sia indù o musulmana, viene considerata un fattore insignificante.

Lo stesso vale per la democrazia. Una nuova ondata di determinismo culturale sta iniziando a imperversare in alcuni dibattiti pubblici, attribuendo i fallimenti della democratizzazione nel mondo non occidentale a caratteristiche culturali intrinseche di intolleranza e di «valori assolutisti». A livello globale alcuni teorici hanno rivelato che nel XXI secolo si assisterà a uno «scontro di civiltà», che il futuro degli stati occidentali democratici e tolleranti è minacciato da stati non occidentali che hanno valori più assolutisti. A tal proposito ci sono buone ragioni per essere scettici. In primo luogo, la teoria enfatizza le differenze tra le categorie di «civiltà» e ignora le somiglianze esistenti tra di esse. Inoltre, l'Occidente non ha il monopolio sulla democrazia o la tolleranza, e non esiste un'unica linea di divisione storica tra l'Occidente tollerante e democratico e l'Oriente dispotico. Platone e Agostino non erano meno autoritari nel loro pensiero rispetto a Confucio e Kautilya. I difensori della democrazia erano presenti non soltanto in Europa ma anche altrove. Prendiamo, per esempio, Akbar che predicava la tolleranza religiosa nell'India del XVI secolo, o il principe Shotoku che introdusse in Giappone, nel VII secolo, la costituzione (kempo) che sosteneva che «le decisioni relative a questioni importanti non dovrebbero essere prese da una sola persona. Alla loro discussione dovrebbero prendere parte molte persone».

[...]

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La globalizzazione può minacciare le identità nazionali e locali. La soluzione non è quella di chiudersi nel conservatorismo e nel nazionalismo isolazionista ma di creare politiche multiculturali che promuovano la diversità e il pluralismo.

Fino ad ora ci si è occupati solamente del modo in cui gli stati dovrebbero gestire la diversità all'interno dei propri confini. Ma in un'era di globalizzazione gli stati si trovano a dover affrontare anche sfide provenienti dall'esterno dei propri confini, sotto forma di movimenti internazionali di idee, capitali, beni e persone.

L'espansione della libertà culturale in questo periodo di globalizzazione pone nuove sfide e nuove incertezze. Ultimamente si è assistito a una crescita e a uno sviluppo senza precedenti dei contatti tra le persone, i loro valori, le loro idee e i loro modi di vivere. Per molti, questa nuova diversità è un'esperienza emozionante, che favorisce persino l' empowerment. Per altri, si rivela invece inquietante e tendente a contrastare l' empowerment. Molti temono che la globalizzazione comporti una perdita dei propri valori e modi di vivere - una minaccia per l'identità locale e nazionale. Una reazione estrema consiste nell'escludere le influenze straniere, approccio questo che si rivela non solo xenofobo e conservatore ma anche regressivo, tendente a restringere più che ad ampliare le libertà e le scelte.

Questo Rapporto sostiene la tesi di un approccio alternativo, che rispetti e promuova la diversità e al tempo stesso mantenga i paesi aperti ai flussi globali di capitale, beni e persone. Ciò richiede politiche che abbiano come obiettivo la libertà culturale. Le politiche devono riconoscere e rispettare in modo esplicito la differenza culturale. Esse devono anche risolvere gli squilibri presenti nel potere politico ed economico che portano alla perdita delle culture e delle identità.

Tali alternative sono in corso di elaborazione e di discussione in tre aree fortemente contestate:

* Le persone indigene protestano contro gli investimenti nei settori estrattivi - e le appropriazioni indebite del sapere tradizionale che minacciano il loro sostentamento.

* I paesi richiedono che i beni culturali (principalmente prodotti cinematografici e audiovisivi) non vengano considerati alla stregua di altri beni nel commercio internazionale, dal momento che le importazioni dei beni culturali possono indebolire le industrie culturali nazionali.

* I migranti richiedono l'accettazione del loro stile di vita e il rispetto delle molteplici identità che hanno sia all'interno della comunità locale sia nel loro paese di origine. Dal canto loro, le comunità locali richiedono l'assimilazione da parte degli immigrati o, in caso contrario, il loro allontanamento poiché temono la frammentazione delle loro società e l'erosione dei valori e dell'identità nazionale.

In che modo si possono accogliere queste richieste? In che modo si dovrebbe rispettare la diversità e risolvere gli squilibri?


Persone indigene, industrie estrattive e sapere tradizionale

Gli investimenti che non tengono conto del diritto alla proprietà terriera delle persone indigene, del suo significato culturale e della suo valore quale risorsa economica finiranno inevitabilmente per favorire i contrasti. Una cosa simile si verificherà se il sapere tradizionale verrà sottoposto alle stesse condizioni. Tre principi sono fondamentali: riconoscere i diritti delle persone indigene al sapere e alla proprietà terriera, garantire che i gruppi indigeni possano esprimersi (sollecitando precedentemente il loro consenso esplicito) ed elaborare strategie per la condivisione dei profitti.

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Beni culturali

Nel commerccio internazionale si dovrebbero proteggere i beni culturali per favorire la protezione della diversità culturale nel mondo? I prodotti cinematografici e audiovisivi possone essere considerati beni culturali? Due principi sono fondamentali: riconoscere il ruolo dei beni culturali per coltivare la creatività e la diversità, e riconoscere la condizione sfavorevole che vivono le piccole industrie cinematografiche e audiovisive nei mercati globali.

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Immigrazione

Si dovrebbe pretendere l'assimilazione degli immigrati oppure si dovrebbero riconoscere le loro culture? Tre principi sono fondamentali: rispettare la diversità, riconoscere le molteplici identità e creare legami comuni di appartenenza alla comunità locale. Nessun paese ha fatto progressi chiudendo le proprie frontiere. La migrazione internazionale apporta competenze professionali, manodopera e idee che arricchiscono la vita delle persone. Così come non si possono sostenere il tradizionalismo e le pratiche religiose che violano i diritti umani, non si può considerare l'assimilazione forzata una soluzione perseguibile.

Le identità non sono un gioco a somma zero. Prendiamo in considerazione questa dichiarazione fatta da un malese in Norvegia:

«Spesso mi viene chiesto da quanto tempo vivo qui; '20 anni', rispondo. Spesso il commento successivo è 'Oh, sei quasi norvegese!' Ciò che si deduce da quest'affermazione è che sono diventato meno malese perché è normale pensare all'identità come a un gioco a somma zero; se guadagni qualcosa in un'identità perdi qualcosa in un'altra. L'identità viene vista in un certo qual modo come una scatola quadrata dalla dimensione prestabilita.»

Sono due gli approcci all'immigrazione che prevalgono nella maggior parte delle politiche dei paesi: la differenziazione (i migranti mantengono le loro identità ma non si integrano nel resto della società) e l'assimilazione (senza poter scegliere di mantenere la vecchia identità). Sono in fase di adozione anche nuovi approcci al multiculturalismo che riconoscono le molteplici identità. Ciò comporta la promozione della tolleranza e della conoscenza culturale, ma in particolare anche l'accettazione della pratica religiosa, degli abiti e di altri aspetti della vita quotidiana. Questo determina non solo il riconoscimento del fatto che gli immigrati non hanno voce e si sentono incerti di fronte allo sfruttamento, ma anche la fornitura di un sostegno adeguato per l'integrazione, come corsi di lingua e servizi per la ricerca di un lavoro.

I paesi stanno estendendo i diritti alla partecipazione civica anche alle persone che non sono ancora in possesso della cittadinanza - «naturalizzazione dello straniero» (Belgio, Svezia). E più di 30 paesi accettano attualmente la doppia cittadinanza. Al fine di ridurre i fraintendimenti e i pregiudizi il Commissioner's Office of the Berlin Senate for Migration and Integration finanzia le organizzazioni degli immigrati, utilizza campagne informative pubbliche e offre consulenza legale in 12 lingue per favorire l'ottenimento di posti di lavoro e per contrastare la discriminazione.

Queste politiche però vengono contestate. L'istruzione bilingue negli Stati Uniti e la questione del velo in Francia sono problemi che creano divisione. Qualcuno teme che possano mettere in dubbio alcuni dei valori più importanti della società - come l'impegno di accettare la cultura americana o i principi di laicismo e di uguaglianza di genere della Francia.


L'ampliamento delle libertà culturali rappresenta un obiettivo importante dello sviluppo umano - che necessita di attenzione immediata nel XXI secolo. Tutte le persone vogliono sentirsi libere di essere quello che sono. Tutte le persone vogliono essere libere di esprimere la propria identità quali membri di un gruppo con impegni e valori condivisi - che si tratti di nazionalità, di etnicità, di lingua o di religione, che si tratti di famiglia, di professione o di passatempo.

La globalizzazione sta orientando le sempre crescenti interazioni tra la popolazione mondiale. Questo mondo ha bisogno sia di un maggiore rispetto per la diversità sia di un impegno più deciso nell'unità. Gli individui devono liberarsi dalle identità rigide se è loro intenzione diventare parte integrante di società eterogenee, e difendere i valori cosmopoliti della tolleranza e del rispetto dei diritti umani universali. Questo Rapporto offre lo spunto per discutere del modo in cui i paesi possono far sì che questo accada. La breve storia del XXI secolo ci ha insegnato - se non altro - che non c'è possibilità di evitare questo genere di questioni.

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