Autore Chiara Valerio
Titolo La matematica è politica
EdizioneEinaudi, Torino, 2020, Vele 166 , pag. 106, cop.fle., dim. 10,5x18x0,9 cm , Isbn 978-88-06-24487-3
LettoreCorrado Leonardo, 2020
Classe matematica , politica , scuola












 

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Indice


  3  Le matematiche sono quella scienza

  8  Verità e conseguenza

 27  Compiti a casa

 34  L'istruzione è orizzontale, la cultura è verticale

 40  A che cosa serve studiare matematica

 55  Democrazia e matematica

 61  Il primo errore di valutazione siamo noi

 68  Superadditività

 75  L'esercizio della democrazia

 88  Una questione di rappresentazione del tempo
     e una tragedia semantica (Butman)

 99  Categorie e generi. Corollario


103  Avvertenza e ringraziamenti


 

 

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Pagina 3

Le matematiche sono quella scienza


Bisogna dar ragione a Bertrand Russell quando osserva: le matematiche sono quella scienza, in cui non si sa di che cosa si parla e in cui non si sa se ciò che si dice sia vero. Ecco, in tale incertezza, si capisce che per raggiungere un qualche risultato bisogna mettere a punto un metodo. C'è poi un'altra considerazione, ben espressa da Luciano De Crescenzo in un aneddoto attribuito a Renato Caccioppoli e che qui riporto come la ricordo: uno studente, durante un esame di risposte stentate, confessa al professore di essere innamorato della matematica e il professore risponde, in napoletano: - Guaglio', ma nun si' ricambiat'.

La matematica, in effetti, o questa è la versione comoda, non ricambia spesso. È difficile, lontana, confinata nelle altezze irraggiungibili dell'esattezza. Ciò dipende essenzialmente da due motivi.

Il primo è che la matematica ci viene consegnata da Euclide , nei suoi Elementi, come un sistema chiuso, deduttivo, nel quale da certe verità enunciate derivano altre verità, e cosí via in una specie di trenino deduttivo di verità o karma della verità. Successivamente a questo fondamentale, inesauribile e ineludibile modello, quasi tutti i manuali di matematica sono stati pensati e presentati in forma di ipotesi, dimostrazione, tesi. In una sorta di ripetizione che tuttavia, come nella meditazione, nelle religioni orientali o nell'esercizio fisico quotidiano, ha consentito ad alcuni l'accesso a una conoscenza superiore e ha demoralizzato tutti gli altri. Non è la matematica a scoraggiare - la disciplina avventurosa come una giungla psichedelica dove, a dar credito a Russell, non si sa di cosa si parla né se quello che si dice sia vero - ma il modo in cui essa è scritta e presentata.

Il secondo motivo è che a scuola la matematica si studia, nella maggior parte dei casi, fuori dal tempo e dallo spazio, dunque fuori dalla storia. Sí, il teorema di Pitagora viene prima del teorema di Weierstrass, ma perché alla formalizzazione del concetto di limite si giunge molti secoli dopo l'utilizzo del concetto stesso? La matematica si è sempre scritta con le x e con le y? Chi lo sa. La matematica, a scuola, si insegna nel vuoto.

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Pagina 8

Verità e conseguenza


Da bambina trovavo incomprensibile il concetto di verità. Da adolescente mi pareva deresponsabilizzante. Scrivo deresponsabilizzante perché il percorso logico è questo: se una verità è assoluta, allora non può essere contestata e non dipende né da un soggetto né da un insieme di soggetti. Se cosí è, delle ingiustizie, sociali per esempio, discendenti da quella verità, nessuno è responsabile. La verità assoluta si subisce.

[...]

Adesso, che sono una signora di mezza età, ho capito che il relativismo è la realtà perché non lascia nulla fuori di sé e che la verità (possederla, assumere di possederla, far credere che essa sia univoca) è uno dei tanti modi di controllo e oppressione o, a voler essere piú cauti - ma perché? -, è una funzione di quel sistema complesso che è il mondo in cui viviamo. La verità non è l'antitesi al sistema, la verità può essere un'ipotesi, o può essere una tesi. Il relativismo non implica che tutti i punti di vista siano uguali, ma che esistano.

[...]

La matematica è stata il mio apprendistato alla rivoluzione, dove per rivoluzione intendo l'impossibilità di aderire a qualsiasi sistema logico, normativo, culturale e sentimentale in cui esista la verità assoluta, il capo, l'autorità imposta e indiscutibile. Accettare questa definizione di rivoluzione significa ammettere che la rivoluzione non è un evento, ma un processo, che non esistono certezze perenni, ma che le certezze camminano sulle gambe degli uomini e sui loro sistemi giuridici ed economici, e che tuttavia, sopra i sistemi giuridici, legislativi ed economici, esiste un'idea di comunità che include in sé, per restare a ogni passo perfettamente umana, il concetto di tempo, e dunque all'interno della comunità uccidere (impedire il tempo) e opprimere (fermare il tempo) non sono ammessi. Accettare questa idea di rivoluzione vuol dire ripensare la democrazia come forma di rivoluzione da esercitare.

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Pagina 24

La matematica, però, non ammette principi di autorità né da Dio né dagli uomini. Spazia, trova, aggiunge nuove verità alle preesistenti. L'idea che Dio non avesse la nostra forma, spaventava Gauss ? E Newton e Kant ci avevano pensato mentre definivano assoluti lo spazio e il tempo?

In una prospettiva spirituale, il fatto che altre geometrie siano possibili e coerenti ci fa sperare che Dio possa avere la forma di una pianta ed essere già qui a contribuire alla nostra sussistenza e salvezza. Il suo profeta, se cosí fosse, sarebbe il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso.

Quasi contemporaneamente, ma indipendentemente da Farkas e Jànos Bolyai, un matematico russo, Nikolaj Lobačevskij , sfonda la cupola di vetro della geometria euclidea e nel suo Nuovi principi della geometria. Con una teoria completa delle parallele scrive: alcune teorie della geometria elementare lasciano ancora oggi a desiderare, e penso si debba a queste imperfezioni il fatto che la geometria ha progredito tanto poco dopo Euclide, se non si considerano le applicazioni dell'analisi matematica. Tra i punti difettosi della geometria ricordo... l'importante lacuna rappresentata dalla teoria delle parallele. Sia ai due Bolyai che a Lobačevskij si deve una concezione della matematica contemporanea secondo cui essa non è specificata e definita dai numeri o dagli enti geometrici ma dalle relazioni tra essi. De Finetti aggiungerà, circa duecento anni dopo: anche dalle relazioni con noi.

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Pagina 30

Un passo indietro riguardo al tempo. Sedersi a svolgere un esercizio di matematica è un gesto di protesta nei confronti del presente, che sia urgenza percepita o stasi di forza maggiore, perché studiare matematica significa riprendersi il tempo. Chiamo presente l'ossessione della reperibilità, la quasi impossibilità di entrare in luoghi pubblici dove non ci siano musica (ristoranti, sale d'aspetto), annunci commerciali o di altra natura (treni, aerei). Chiamo presente tutto ciò che per controllare gli esseri umani li separa e occupa la loro attenzione. Chiamo presente il Covid-19. Chiamo presente le riunioni di lavoro che hanno sempre un orario di inizio ma quasi mai un orario di fine. Chiamo presente, ogni tanto, lo smartphone che amo.

Non ci sono filosofie e religioni altrettanto efficaci, non ci sono passeggiate nella natura che possano reggere il confronto del tempo e del silenzio che regala lo svolgimento di un esercizio di matematica. Si può ricominciare dalle moltiplicazioni a due cifre, da divisioni o tabelline. Tecnicamente, la matematica, allenando all'identificazione delle relazioni tra gli oggetti, al rapporto tra una causa e un effetto, ad avvicinare per analogia questioni distanti, affinando la velocità di ragionamento, lascia tempo ad altro, anzi lo crea. Pomeriggi al sole, amore, sesso, hobby vari, ragionare pallido e assorto sul fatto che ciò che si sta facendo nella vita non sia ciò che si voleva fare. La matematica genera tempo da perdere, dunque da investire. È chiaro che dalla fine di febbraio 2020 alla fine di aprile 2020, la percezione del tempo in ciascuno di noi è cambiata, ma la matematica, oltre a creare il tempo, lo regola. Non importa che il tempo sia troppo vuoto o troppo pieno, gli eccessi si somigliano tutti, l'importante è che uno riesca a governarlo. Fare un calcolo, anche semplice, è un primo gesto.

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Pagina 36

C'era poi, nelle lezioni di Albino Canfora quel sottotesto, scandito non solo da Anna Karenina, ma pure da Omero e Mao Zedong, e altri racconti, che soave e mannaro come una sirena - il linguaggio formale era la corda che ci teneva stretti alla salvezza - cantava che la matematica è come una grammatica, che le sue verità sono anche sentimentali, che per comprendere il mondo bisognava leggere, leggere, leggere anche i romanzi, perché senza i romanzi non si sarebbe capito il mondo e senza comprenderlo non lo si sarebbe governato.

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Pagina 50

La matematica va a fondo nella definizione della verità. La verità non si possiede mai da soli. O tutti siamo in grado, date le condizioni al contorno e l'insieme di definizione, di giungere al medesimo risultato, o posso gridare forte quanto voglio di possedere la verità, ma griderò invano. La matematica insegna che le verità sono partecipate, per questo è una disciplina che non ammette principi di autorità. Tutti, anche se non siamo Pitagora, possiamo dimostrare il suo teorema. Tutti, ogni volta da capo, sia con i morti che con i vivi. Politicamente, un concetto di verità che sia assoluta, transeunte e collettiva sarebbe rasserenante in un clima politico avvelenato da false notizie, dichiarazioni mai verificate, affermazioni di singoli individui che dovrebbero essere cariche dello Stato. Per questo, studiare matematica aiuta a essere cittadini migliori e a chiarire come la democrazia, con tutti i difetti, sia il miglior sistema di governo possibile e sia pure una forma, ribadisco, di rivoluzione. Ovviamente la democrazia, come tutti i processi di natura deduttiva, è lenta. La democrazia, come tutti i linguaggi formali, presuppone concetti di rappresentazione, grammatica, e regole condivise. Ma mentre in matematica non esistono tiranni, politicamente i tiranni sono esistiti e possono continuare a esistere.

[...]

La matematica è una disciplina che favorisce la diffusione della democrazia. Prima di tutto, un matematico non risponde mai al chi ma sempre al cosa, ragion per cui tra il cattedratico che pone una domanda ovvia e un passante che pone una questione interessante, l'attenzione del matematico si rivolgerà prima al passante. È una disciplina che non ammette principio di autorità giacché nessuno possiede la verità da solo, le verità sono asserzioni verificabili da chiunque, o se non da chiunque (alcune volte è difficile) almeno da un certo numero di persone. Inoltre, la matematica è un linguaggio, una grammatica. Per discutere di matematica bisogna accettarne le regole. Sicché uno studioso, ma anche uno studente di matematica, è abituato a operare in un mondo di regole comuni, per ridiscutere le quali non si può essere in uno, bisogna essere almeno in due. Ovviamente la matematica non procede per voto o alzata di mano, ma per ipotesi e verifiche.

Se i nostri politici avessero studiato matematica, e se studiandola l'avessero capita, si comporterebbero diversamente rispetto alle cariche dello Stato che ricoprono perché non agirebbero come singoli, ma come funzioni di un sistema piú ampio del loro ego, e soprattutto non si preoccuperebbero delle cose ma delle relazioni tra le cose, dunque sarebbero piú cauti nel dare una notizia falsa o non verificata, perché consci di quanto la notizia falsifichi il resto, talvolta il contesto, dunque, per ciò che abbiamo detto rispetto al contesto - la notizia stessa cambia - sarebbero consci di quanto l'abuso di posizione e di occasione indebolisca altre posizioni del medesimo sistema democratico.

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Pagina 56

Tra i protocolli di gestione dell'emergenza e per attuare le misure di contenimento del contagio c'è stata anche la limitazione di alcuni diritti costituzionali. Dunque, un nuovo gioco della democrazia al quale, nonostante il vieto racconto degli italiani che non rispettano alcuna regola, tutti abbiamo partecipato ligi, come interpretassimo il vieto racconto dei tedeschi che rispettano le regole. Abbiamo accettato le limitazioni della libertà personale (art. 13), della libertà di circolazione e soggiorno (art. 16), della libertà di riunione (art. 17) - chiamata sempre assembramento -, della libertà di culto (art. 19) e della libertà di difesa, vista la sospensione delle udienze (art. 24).

Tuttavia. La pubblica amministrazione - che mentalmente, e nonostante mia madre, immagino come una delle dodici fatiche di Asterix - agisce, sia in emergenza che in manutenzione, in base, tra gli altri, ai principi di prevenzione e di precauzione che, in sintesi, sanciscono, il primo, che è necessario e opportuno intervenire con azioni preventive, e, il secondo, che è necessario e opportuno prendere misure di tutela ancora prima di essere certi di un pericolo. Perché la pubblica amministrazione agisca è sufficiente un pericolo probabile. I due principi stabiliscono il necessario per limitare o eliminare il pericolo. Abbiamo assunto, io per prima, la ragionevolezza di queste limitazioni pur sapendo che esse andavano a intaccare libertà e valori essenziali in democrazia. Ragionevolmente, queste misure avranno una durata, tuttavia il confine tra protezione e controllo, anche in me che pensavo di avere strumenti culturali per distinguerli, si è fatto piú incerto. Riesco a utilizzare il verbo «accettare» e non «subire» per le limitazioni ai miei diritti costituzionali fino a quando ne capisco il senso. La differenza che passa tra protezione e controllo è la stessa che discrimina democrazia e dittatura. In democrazia ci sono istituzioni deputate al controllo ed esse stesse sottoposte a controllo, in una dittatura c'è un uomo forte - che potrebbe tuttavia essere, con un salto di immaginazione, uno Stato forte - che controlla i cittadini perché rispettino le leggi. Li controlla anche quando rispettano le leggi. In democrazia non esiste la precrimine, per dirla con Philip Dick: ciascun cittadino conosce bene, per sommi capi, per senso comune, per educazione civica, per intuizione, la differenza tra infrangere una legge e rispettarla. Percepisce la distanza tra accettare e subire. La precauzione, e con essa il principio, si traduce, talvolta inconsciamente, nell'esistenza di paure prive di fondamento. E la democrazia è l'esatto contrario della paura. È difficile agire senza alcuna certezza, ma d'altronde, come ha insegnato De Finetti, non è interessante valutare la probabilità del perché qualcosa accade, ma del perché, uno scienziato, un matematico, un virologo, un ricercatore, pensa che accada. E per quanto talvolta non congruenti tra loro, è a queste probabilità cariche di studio, immaginazione e memoria che ci rivolgiamo, perché sono certamente più accurate della nostra. È difficile rispettare le regole quando si è cresciuti con altre regole, ed è difficile capire quando e se quelle regole, da strumento di protezione si trasformano in strumento di controllo, fuori di noi, ma soprattutto dentro di noi. La scienza non avanza per certezze, ma per ipotesi: è verificabile. Le verità della scienza evolvono. E pensare agli scienziati come ai sacerdoti della soluzione o della guarigione è un modo di delegare la responsabilità politica. Oltre che di istituzionalizzare come scienza qualcosa che è il contrario della scienza: la certezza fideistica.

La democrazia è un sistema lento e costoso, e va manutenuto. Come la comprensione, la democrazia non si sceglie una volta per tutte, va esercitata, rinnovata e verificata, somiglia a una teoria scientifica. La manutenzione della democrazia si fa esercitando i diritti e rispettando i doveri, ed è esattamente come imparare a contare. La democrazia è complessa. La dittatura è più semplice. Uno comanda, tutti gli altri eseguono. La dittatura non è matematica, non si evolve e non si interpreta, cambia colore ma funziona sempre allo stesso modo: uno comanda, tutti gli altri eseguono. Non ha altra conseguenza, altra implicazione che l'obbedienza. Non ha altra ipotesi che il principio di autorità. La democrazia è matematica, si basa su un sistema condiviso di regole continuamente negoziabili e continuamente verificabili. La democrazia, come il linguaggio, e tra i linguaggi la matematica, non è naturale, non è un fiore che sboccia, è una costruzione culturale e dunque, in quanto tale, va continuamente ridiscussa, la democrazia non rinverdisce a primavera come certi alberi, bisogna sceglierla, come si sceglie il linguaggio. Dunque, dal punto di vista costitutivo, la matematica è il contrario della torre d'avorio, del castello, del tabernacolo, la matematica esercita al contesto e quindi a essere cittadini e rappresentanti dei cittadini. E da questo punto di vista, la democrazia, che per poter esistere ha bisogno di tempo e discussioni più lunghe di un tweet, è rivoluzionaria. Non si alimenta di urgenze, le prevede più o meno ragionevolmente secondo emergenze che possono o no diventare catastrofi anche in base al modo in cui vengono affrontate e gestite. La democrazia non istiga alla colpa, ma alla responsabilità, non alla differenza ma all'uguaglianza davanti ai diritti e ai doveri. Non esclude, crea comunità. La democrazia e la matematica non subiscono il principio di autorità dell'urgenza.

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Pagina 66

Studiare matematica significa esercitarsi a intravedere, supporre, immaginare regole che non riguardino un individuo o un oggetto, ma piú individui e piú oggetti e soprattutto le relazioni tra essi.

Studiare matematica significa introiettare l'idea che le regole esistono e che anche quando - giustamente talvolta - si infrangono, vengono sostituite da un altro sistema di regole (non avere regole, per esempio, è ancora una regola). La cosa interessante da chiedersi nel definire le regole è: che mondo disegneranno?

Che mondo disegna la Costituzione italiana? Quando la leggo e mi guardo intorno, non vedo quel mondo pensato, promesso e possibile.

Sono sempre stata insofferente al principio di autorità, mai alla regola. La regola d'altronde, come quasi tutto, non è uno stato, è un processo. Senza regole non si convive, senza regole comuni non si può rompere lo statu quo, senza regole comuni esiste la regola di uno o dell'altro, esiste la dittatura. Le rivoluzioni, dopo aver rotto regole comuni o rovesciato le dittature, tendono a creare regimi di controllo ancora piú autoritari. Cosí, da bambina, mentre mi appassionavo al cartone animato Lady Oscar, chiedevo a mia madre: ma che fanno il giorno dopo la rivoluzione?

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Pagina 70

Il linguaggio non è un virus solo quando si parla di maldicenze, è un virus anche quando si parla di diffusione delle informazioni. Ho imparato nei giorni passati un nuovo termine. Infodemia. Dalla Treccani: «Sostantivo femminile. Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili».

È possibile ammettere, lo ammetto io pure dopo aver parlato di fiducia nelle istituzioni, studi di matematica, modelli epidemici et alia, che la vera infodemia abbia riguardato le modalità della comunicazione della contenzione, del confino, del «lockdown» e portato a un regime di irragionevole paura che ha, credo, rivelato, una volta di più, la cagionevolezza della nostra democrazia. Ci ha soprattutto condotto - di certo ha condotto me - a valutare la vita come mero sostentamento biologico. Il mero sostentamento biologico non funziona, e spero mi seguiate nel gioco dell'oca che ha per caselle Benjamin , Agamben e Rodotà , e in cui è possibile valutare l'intersezione tra rischio sociale e rischio sanitario e reclamare la non sottovalutazione del rischio sociale.

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Pagina 84

Essere cittadino sembra più noioso di essere leader. Però noia, come fatica, è un termine relegato al vocabolario letterario, soprattutto, novecentesco e che viene utilizzato ormai solo come spauracchio per i genitori costretti a intrattenere i figli prima di tutto. Intrattenere prima che formare. Intrattenere. Altrimenti si annoiano. Invece il tempo va occupato tutto, tutto il tempo di tutti, manu militari, se serve. Io non credo all'intrattenimento dei bambini. E nemmeno alla letteratura d'intrattenimento. Io penso che l'unica difesa dalla dittatura dell'intrattenimento sia la lettura. Pensate alle intersezioni metodologiche tra urgenza e intrattenimento. Il lettore, come chi studia matematica e in generale chi studia, è capace di stare da solo. Chi sta da solo è politicamente complesso perché non deve essere intrattenuto. Chi sta da solo si intrattiene da solo, con i propri modi e i propri tempi, sfugge alla dittatura. La dittatura dell'intrattenimento è un'altra forma di negazione del tempo (come prigionia, tortura, persecuzione).

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