Autore Bernardo Valli
Titolo Il mio Novecento
EdizioneArchinto, Milano, 2018, Le mongolfiere , pag. 62, ill., cop.fle., dim. 11x17,8x0,5 cm , Isbn 978-88-7768-736-4
LettoreGiangiacomo Pisa, 2019
Classe media , storia contemporanea












 

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Pagina 10

Il Novecento è un secolo denso, ritmato da tragedie e progressi forse come nessun altro. Tragedie e progressi impregnati di mitologie, di ideologie non tutte nate in quel secolo, ma non poche defunte in quel secolo, e delle quali, benché defunte, subiamo ancora l'influenza, comunque ne possiamo vedere i rigurgiti.

L'economia adesso dominante ha creato un grande cimitero delle ideologie politiche: ne è un esempio la Cina che si dice comunista ma che applica larga parte dei principi dell'economia di mercato alla base del capitalismo. Il comunismo cinese non è morto ma non è più quello radicale di Mao Ze dung che ho conosciuto. A Pechino, nella sede della casa editrice che dal primo Novecento pubblica opere filosofiche occidentali, ho chiesto ai redattori come potessero dichiararsi comunisti e approvare regole economiche in parte capitaliste. Perché non dovremmo adottare pratiche che funzionano? Ciò non toglie che restiamo ideologicamente comunisti e il partito, íl partito comunista, determina la vita politica. Questa è stata la loro risposta.


Dalle tombe delle ideologie politiche emergono i fantasmi, i fuochi fatui, resti del secolo alle nostre spalle. Ci capita di chiamare genericamente populismo la collera in cui si sono raccolti i risentimenti più o meno consci verso le ideologie la cui morte o agonia o decadenza è letta come una diserzione, un tradimento, una delusione, un fallimento o una liberazione.

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Pagina 16

Nei primi anni Novanta, durante la guerra in Bosnia, ho trascorso lunghi periodi a Sarajevo e, quando i cecchini serbi sulle montagne non prendevano noi a valle come bersagli, ero attratto dal lungo fiume, la Milijacka, dove il 28 giugno 1914 fu ucciso l'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando, assassinio che scatenò la Grande guerra. Quelle pistolettate fecero crollare in pochi anni l'impero austroungarico, l'impero ottomano, l'impero russo, l'impero germanico e, tra le conseguenze della guerra che provocarono, vi furono il fascismo in Italia e il nazismo in Germania. Senza contare la rivoluzione comunista scoppiata nel corso della guerra.

Se si considera che la seconda guerra mondiale fu la continuazione della prima, e che quindi il conflitto durò di fatto trentun anni, durante i quali vi furono anche la guerra civile spagnola dalla quale uscì vincitore il franchismo, e la guerra cino-giapponese durante la quale cominciò ad affermarsi il maoismo, per non citare le espansioni e le rivolte coloniali, si arriva alla conclusione che le pallottole sparate a Sarajevo ebbero un effetto senza precedenti nella storia.

In quel punto del lungo fiume cominciò l'epoca tragica del Novecento. Percorrerlo, mentre ancora si sparava nella città in cui ci si imbatteva in sinagoghe, moschee e chiese cristiane, accendeva una forte sensazione. Avevo l'impressione di poter toccare con la mano la Storia.

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Nell'Italia che invece figura tra i vincitori, favoriscono il fascismo l'idea della «vittoria mutilata», le agitazioni politiche e sociali, insieme alla non dignitosa arrendevolezza della monarchia. Poi il fascismo conoscerà un consenso che raggiunge l'apice con la guerra in Etiopia, e la nascita dell'impero proclamato da Mussolini e durato pochi anni. Il paese dí emigranti sull'onda del nazionalismo considera quell'impresa coloniale tardiva una promozione storica. Le leggi razziali che seguono, nel '38, attenueranno la popolarità del regime, che legato al nazismo affonderà con lui nella guerra.

La democrazia ha vinto sui regimi portatori dell'ideologia nazifascista e ha vinto grazie all'alleanza con l'Unione Sovietica. Dopo l'effimero patto Molotov-Ribbentrop, che le ha consentito di appropriarsi di parte della Polonia, paese già occupato dalla Germania, l'Unione Sovietica è aggredita dalla stessa Germania e così diventa un'alleata obbligata delle democrazie occidentali. Al punto di contribuire in modo determinante alla sconfitta del nazismo. L'audacia e la riuscita dello sbarco anglo americano in Normandia, nel 1944, accelera la sconfitta tedesca, ma senza l'Armata Rossa che avanza a Est e che mette sul campo di battaglia molti più soldati e mezzi di quelli che sbarcano in Occidente, la guerra sarebbe stata più lenta e l'avanzata alleata più contrastata. Con una ardita semplificazione, potremmo dire che il comunismo ha salvato in quella guerra mondiale la democrazia, e con la democrazia il capitalismo. Ha salvato i suoi avversari. Comunque ha contribuito in modo determinante alla vittoria sul nazifascismo.

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Credo che nessuno, nella storia, abbia distrutto tanto e costruito tanto. Mi riferisco alla Cina dove ho messo piede per la prima volta nel 1970, quando la rivoluzione culturale non era ancora conclusa, e dove all'occidentale a passeggio per le strade di Shanghai capitava di vedersi seguito da mille e più persone che lo guardavano come un extraterrestre arrivato da chissà quale pianeta. La gente non vedeva stranieri da tempo. Il paese era chiuso. C'era chi pensava che la Cina stesse inventando un «uomo nuovo», liberato dalle convenzioni in vigore nel resto del mondo, sostenitore della legittima indisciplina che permetteva agli studenti di deridere, insultare, picchiare i professori, e ai giovani di fare altrettanto con gli anziani; e chi invece denunciava i milioni di morti fatti dalla rivoluzione culturale, aggiuntisi ai milioni di morti fatti dalle precedenti campagne, come il «balzo in avanti», durante il quale i contadini cercavano di produrre acciaio nei forni montati nelle stalle.

L'«uomo nuovo» formatosi nella indisciplina guidata della rivoluzione culturale non ha creato una società inedita; né il disordine organizzato ha condotto alla disgregazione della Repubblica popolare. AI contrario oggi la Cina comunista che pratica un suo capitalismo, restando comunista politicamente, nella pratica del potere, è la seconda potenza, dopo quella americana. La sua crescita economica e le sue capacità militari hanno cambiato gli equilibri mondiali. Dove sorge una città con milioni di abitanti e centinaia di grattacieli, non lontano da Hong Kong, c'erano delle risaie e ricordo i contadini che quarant'anni fa lavoravano a torso nudo con finti pantaloni dipinti con la pece sulla pelle nuda.

Gli uomini di governo più interessanti che ho incontrato, quelli che mi hanno più colpito per la loro eleganza intellettuale, sono stati Ciù En-lai, il primo ministro cinese, e Jawaharlal Nehru, il primo ministro indiano. A Bandung erano insieme, fianco a fianco, ma poi hanno dovuto persino farsi la guerra. La Cina comunista e l'India democratica non potevano andare d'accordo. La tenzone era inevitabile. Ma chiamati a governare circa un terzo dell'umanità, avevano entrambi l'intelligenza politica per esercitare il potere con una elegante saggezza, in un presente afflitto dal fanatismo e dalla povertà. Hanno agito in quel contesto come se sapessero che il cambiamento sarebbe arrivato. Anche dopo di loro. Sono stati grandi protagonisti del Novecento.

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