Autore Fred Vargas
Titolo Tempi glaciali
EdizioneEinaudi, Torino, 2015, Stile libero Big , pag. 444, cop.fle., dim. 13,8x21,6x2,6 cm , Isbn 978-88-06-22773-9
OriginaleTemps glaciaires [2015]
TraduttoreMargherita Botto
LettoreDavide Allodi, 2015
Classe narrativa francese , noir , gialli












 

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Pagina 3

I.

Solo altri venti metri, venti piccoli metri da percorrere per raggiungere la cassetta postale: era piú difficile del previsto. Ridicolo, pensò lei, non ci sono metri piccoli o metri grandi. Ci sono metri e basta. Strano come alle soglie della morte, e dall'alto di quella posizione, ci ostiniamo a pensare a futili scempiaggini mentre in teoria dovremmo enunciare qualche ponderosa massima destinata a imprimersi a caratteri di fuoco negli annali della saggezza dell'umanità. Massima che poi passerà di bocca in bocca: «Sapete quali furono le ultime parole di Alice Gauthier?»

Se lei non aveva nulla di memorabile da dichiarare, aveva però da recapitare un messaggio decisivo che si sarebbe impresso negli annali ignobili dell'umanità, infinitamente piú corposi di quelli della saggezza. Guardò la lettera che le tremava in mano.

Forza, sedici piccoli metri. Dalla porta dello stabile Noémie la teneva d'occhio, pronta a intervenire se solo avesse barcollato un po'. Noémie aveva fatto l'impossibile per impedire alla paziente di avventurarsi in strada da sola, ma con il suo carattere imperioso Alice Gauthier l'aveva spuntata.

— Cosí potrà leggere l'indirizzo da sopra la mia spalla.

Noémie si era offesa: lei non era mica una persona di quel genere.

— Tutti sono di quel genere, Noémie. Un mio amico, un vecchio filibustiere peraltro, mi diceva sempre: «Se vuoi mantenere un segreto, be', mantienilo». Io ne ho mantenuto uno per tanto tempo, ma mi sarebbe di peso per salire in cielo. Per quanto, anche cosí, arrivare in cielo non sarà una passeggiata. Togliti di mezzo, Noémie, e lasciami andare.


Cammina, Alice, porca miseria, o accorrerà Noémie. Si appoggiò al deambulatore, si spinse avanti per nove metri, o almeno otto grandi metri. Doveva superare la farmacia, poi la lavanderia, poi la banca, e l'avrebbe raggiunta, la cassetta postale gialla. Mentre già cominciava a sorridere per il successo imminente, le si annebbiò la vista e si arrese, crollando ai piedi di una donna vestita di rosso che, con un grido, la sostenne fra le sue braccia. Il contenuto della borsetta si sparse a terra, la lettera le sfuggi di mano.

Accorse la farmacista, domandando, palpando, affaccendandosi, mentre la donna in rosso riponeva nella borsetta gli oggetti sparpagliati e gliela appoggiava accanto. Il suo effimero ruolo si stava già esaurendo, i soccorsi erano in arrivo, li non aveva piú niente da fare, si rialzò in piedi e rimase in disparte. Le sarebbe piaciuto rendersi ancora utile, esistere un po' piú a lungo sulla scena dell'incidente, dare almeno il suo nome ai paramedici che arrivavano in forze, e invece no, aveva preso tutto in mano la farmacista, con l'aiuto di una donna atterrita che diceva di essere l'infermiera: gridava, a tratti piangeva, la signora Gauthier aveva assolutamente rifiutato di farsi accompagnare, abitava a un tiro di schioppo, al 33 bis, lei non aveva commesso alcuna negligenza. Stavano caricandola su una barella. Forza, ragazza mia, non è piú affar tuo.

E invece sí, pensò continuando per la sua strada, sí, aveva davvero fatto qualcosa. Sorreggendo la donna mentre cadeva le aveva evitato di battere la testa sul marciapiede. Forse le aveva salvato la vita, chi poteva affermare il contrario?


Primissimi giorni di aprile. A Parigi il clima diventava piú mite, però sotto sotto l'aria restava fredda. Il sotto dell'aria. Ma se c'era davvero un sotto dell'aria, come si chiamava l'altra parte? Il sopra dell'aria? Marie-France aggrottò le sopracciglia, irritata da quei piccoli interrogativi che le passavano per la testa come moscerini sfaccendati. Proprio quando aveva appena salvato una vita. O invece si diceva la superficie dell'aria? Si sistemò il cappotto rosso e ficcò le mani in tasca. A destra le chiavi, il portamonete, ma a sinistra una busta spessa che non ci aveva infilato lei. La tasca sinistra era riservata alla tessera dei mezzi pubblici e ai quarantotto centesimi per il pane. Si fermò sotto un albero a riflettere. Con in mano la lettera di quella povera donna che era caduta. «Pensaci su sette volte prima di agire»: era la solfa di suo padre, che peraltro non aveva mai agito in vita sua. Probabile che non riuscisse a pensarci su piú di quattro volte. La calligrafia sulla busta era tremolante, e il nome sul retro, Alice Gauthier, spiccava a grandi caratteri incerti. Era proprio la sua lettera. Marie-France aveva rimesso tutto dentro la borsa, e nella fretta di raccattare documenti, portafoglio, medicine e fazzoletti prima che li afferrasse il vento, aveva intascato la lettera. La busta era caduta dalla parte opposta rispetto alla borsetta, evidentemente la donna la teneva nella mano sinistra. Ecco cosa stava andando a fare tutta sola, pensò Marie-France: a imbucare una lettera.

Restituirgliela? Ma dove? L'avevano portata al pronto soccorso di chissà quale ospedale. Affidarla all'infermiera, al 33 bis? Attenta, Marie-France, bambina mia, attenta. Pensaci su sette volte. Se la Gauthier aveva sfidato la sorte per andare a imbucare la lettera da sola, era perché non voleva a nessun costo che finisse in mano a qualcun altro. Pensaci su sette volte; ma non dieci, non venti - aggiungeva suo padre - altrimenti il pensiero si consuma e non ne cavi piú nulla. Ce n'è di gente che è rimasta lí a ruminare a vuoto, che tristezza, guarda tuo zio.


No, l'infermiera no. Mica per niente la signora Gauthier si era avventurata fuori senza di lei. Marie-France si guardò intorno per individuare una cassetta postale. Laggiú, il piccolo parallelepipedo giallo, al di là della piazza. Stirò per bene la busta appoggiandola a una gamba. Aveva una missione, aveva salvato la donna e avrebbe salvato la lettera. Era fatta per essere imbucata, no? Quindi lei non faceva niente di male, anzi.

Introdusse la busta nella feritoia «Area metropolitana» dopo aver controllato e ricontrollato che si trattava proprio del dipartimento 78, le Yvelines. Sette volte, Marie-France, non venti, altrimenti la posta non parte piú. Poi infilò le dita nello sportellino per accertarsi che la busta fosse davvero caduta dentro. Fatto. Ultima levata alle diciotto. Era venerdí, il destinatario l'avrebbe ricevuta lunedí mattina presto.

Buona giornata, ragazza mia, ottima giornata.

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Pagina 71

Adamsberg si diresse con la sua andatura ondeggiante - solo un pochino - verso la padrona della locanda, affaccendata dietro il bancone del bar. Dopo qualche istante lei venne a sedersi al loro tavolo.

— Non è mica il primo, - disse divertita, - e non sarà l'ultimo, anche se è un commissario. Sono venuti persino i grandi ristoranti, cercando di sapere. Ma no, - aggiunse scuotendo lo strofinaccio, - è nostra e qui rimane. Figurarsi!

Adamsberg le versò un bicchiere di vino.

— Oh, può tentare con questo! - continuò la donna bevendo un sorso. - Lo dirò solo sull'orlo della tomba, e solo a mia figlia!

— Confessione sul letto di morte, - borbottò Danglard. - Via, signora, non lo diremo a nessuno, parola d'onore.

— Non c'è parola d'onore che tenga, né per questo, né per qualcos'altro. Ho conosciuto una che faceva le crépe, nel Finistère, be', l'hanno torturata perché rivelasse il suo segreto. Alla fine ha detto che metteva un po' di birra nell'impasto e l'hanno lasciata in pace. Ma non era birra.

— Di cosa stiamo parlando? - domandò Bourlin con una voce un po' torpida, mentre Danglard, invece, diventava piú vivace mano a mano che beveva. Da credere che l'alcol gli facesse bene.

— Della ricetta delle frittelle di patate, - rispose Danglard.

— Ma anche del suo cliente solitario, là in fondo, vicino alla porta, - disse Adamsberg. - Tre parole su di lui e la lascio libera.

— Be', non lo conosco. E non ho il diritto di parlare dei miei clienti. E poi, noi e la polizia siamo come cani e gatti. Vero, Victor?

— Vero, Mélanie.

— Concordo, - approvò Adamsberg sorridendo, con la testa un po' inclinata.

Danglard osservò il commissario all'opera, mentre trasformava inconsapevolmente il suo volto ossuto, dai lineamenti raffazzonati, in una trappola affascinante quanto repentina.

— Non lo conosce, ma non vuole parlare di lui. Quindi significa che qualcosina la sa, - disse.

— Tre parole, allora, - concesse Mélanie fingendo di mettere il muso.

— Cinque, - negoziò Adamsberg.

— E che mi è sembrato un tipo strano, tutto qui.

— Perché?

— Perché mi ha chiesto se conoscevo il calzolaio.

— Scusi?

— Il calzolaio di Sombrevert. Non ho capito. Ho detto di sí, che qui tutti si conoscono, e allora? Non mi piacciono questi modi. A quel punto lui ha tirato fuori il suo biglietto da visita e ho letto «ispettore del fisco». Cosí ho detto: «Be'? Cosa crede che nasconda, il calzolaio? Pezzi di stringhe?»

— Bella risposta, - commentò Victor.

— Mi fanno venire i nervi, quei tizi, sempre a frugare nella merda, oh, mi scusi, commissario.

— Prego.

— Be', a far sudare la povera gente mentre i soldi veri sono da un'altra parte. Ho pensato che voleva solo mostrarmi il suo biglietto da visita. Per impressionarmi, insomma. E ci riescono, è questo il peggio, anche quando uno non ha niente da rimproverarsi. In cucina stiamo bene attenti al punto di cottura della sua bistecca. Θ tutto dire. Prima leverà le tende e meglio sarà per noi.

— Mélanie, - intervenne Victor, - la saletta privata, ti dispiacerebbe aprircela? Θ che con questi signori vorremmo starcene in pace, capisci?

— Capisco, ma non è riscaldata. Accenderò il caminetto. Θ per la morte di quel povero signor Henri?

— Certo, Mélanie.

La padrona annui lentamente.

— Un benefattore, - disse. - Victor, dov'è che si fa la cerimonia, domani? A Malvoisine o a Sombrevert?

— Nessuno dei due. Si fa la messa qui al Creux. Nella cappelletta. Be', lo sai che lui non ci credeva. Θ per non offendere nessuno.

— Qui al Creux, non so se è una buona idea, - disse Mélanie scuotendo la testa. - Insomma, al Creux ci stiamo bene. Finché si gira al largo dalla torre.

Danglard si trattenne, non era il momento di dissertare sulle superstizioni del «Creux». Mélanie aveva acceso il caminetto nella sala attigua, e gli uomini si strinsero su un banco di scuola dipinto di azzurro, avvicinandosi al fuoco. Tranne Adamsberg, che camminava alle loro spalle.

— Lo sogno spesso, sapete, - disse Victor. - Stranamente, non le coltellate, e nemmeno lei. Sogno il modo in cui siamo riusciti ad accendere un falò, grazie al legionario, lo chiamavamo cosí, il tizio con la testa rasata. Il primo giorno ce ne stavamo tutti sulla spiaggia come istupiditi ad aspettare che la nebbia si alzasse. Lui ha impartito degli ordini: procurare legna da ardere, costruire due muri di neve antivento, cercare animaletti da mangiare. Ci comandava come un sergente e abbiamo obbedito come soldati. «Dove la troviamo, la legna? — ha chiesto il dirigente d'azienda. — Su questa isola non cresce niente». «Lassù, tonto! — ha urlato il legionario. — Nessuno di voi ha visto niente? Sul pianoro ci sono delle baracche lunghe trenta metri, vecchi essiccatoi per i pesci. Smontatemeli, tavola per tavola! Voialtri, raccogliete la neve, pressatela bene, fate dei blocchi. Andateci in tre, tenendovi per mano! E datevi una mossa prima che scenda la notte!» Un grumo di energia, il legionario. Da credere che la sosta sulla pietra tiepida gli avesse fatto effetto.

Victor tese le mani verso il camino.

— Il fuoco, porca miseria, se non l'avessimo avuto. Ed era grazie a quel rompicollo. Un bruto, ma un bruto efficiente. Alla sera c'era un bel falò, avevamo costruito i muri di neve a distanza dalle fiamme e bloccato con gli zaini l'unica piccola uscita.

Bourlin aspirò una boccata della sigaretta, catturato dai ghiacci dell'Islanda, scaldandosi al fuoco. Era una saletta privata e Mélanie aveva portato dei posacenere e distribuito le tazze da caffè, più un bicchiere da digestivo per il signor Danglard.

— Era la nostra baracca, — continuò Victor. — Dentro c'erano zero gradi, ma fuori meno sei o sette, con il vento. Ci si pietrificava comunque e il legionario ci costringeva ad alzarci in piedi ogni ora, giorno e notte, a schiaffoni se necessario, per muoverci e parlare, recitare l'alfabeto a voce alta, in modo da non congelarci gli arti o la faccia. Niente da mangiare, abbiamo sonnecchiato da seduti. Testa rasata non voleva che ci sdraiassimo sulla neve. Che tormento, quel tizio, ma ci ha salvato la vita. Finché il fetente con la barba a collare non ce l'ha portato via. Non sopportava gli ordini del legionario. E scoppiata una lite, non mangiavamo da tre giorni, e di punto in bianco il fetente si è arrabbiato. Ha tirato fuori un coltello da barbaro e con un solo colpo, addio legionario. Il sangue sprizzava sulla neve, era una cosa immonda. Ha detto soltanto: «Ci rompeva le palle». E stato il suo unico epitaffio.

Victor alzò gli occhi verso Adamsberg.

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Una dozzina di istantanee fece il giro del tavolo. In una vastissima sala, illuminata da alti lampadari muniti di finte candele, tre o quattrocento persone, tutte in abiti della fine del Settecento, si affollavano intorno a un podio, alcune al centro, le altre su gradinate, sedute, in piedi, o ritte, con le mani alzate, le braccia tese, come se apostrofassero o applaudissero l'oratore sul suo palco. Sopra di loro, in tribune laterali, un centinaio di uomini e donne in abiti normali ma poco appariscenti, che si mimetizzavano nell'ombra, molti chini sopra la balaustra. Qua e là sventolavano bandiere tricolori. Le inquadrature erano troppo ampie per distinguere un viso. Ma si poteva quasi sentire il sonoro di quella sala, il suo rumore di fondo, la voce dell'oratore, mormorii, grida, invettive.

— Sorprendente, - disse Danglard.

— Le piace? - domandò Chβteau con un autentico sorriso e un certo orgoglio.

— Θ una rappresentazione? - s'informò Adamsberg. - Uno spettacolo?

— No, - spiegò Danglard passando da una foto all'altra. - Θ una fedelissima ricostruzione delle sedute dell'Assemblea nazionale durante la Rivoluzione. Mi sbaglio?

— No, - rispose Chβteau, il cui sorriso si faceva piú ampio.

— Immagino che i discorsi declamati dagli oratori e dai deputati riproducano i testi storici.

— Ovvio. Ogni membro riceve, prima della data dell'assemblea, il testo completo di quella serata, compresi i propri interventi, a seconda del ruolo che ha. Lo facciamo tramite un sito Internet di cui ognuno ha il login.

— Il ruolo che ha? - domandò Adamsberg.

A che scopo «recitare» la Rivoluzione?

— Necessariamente, - rispose Chβteau. - Un membro impersonerà Danton, un altro incarnerà Brissot, o Billaud-Varenne, Robespierre, Hébert, Couthon, Saint Just, Fouché, Barère, e cosí via. Deve conoscere in anticipo il discorso che dovrà pronunciare. Funzioniamo a cicli, su due anni: dalle sedute dell'Assemblea costituente fino a quelle della Convenzione. Non le riproduciamo tutte! Altrimenti i cicli durerebbero cinque anni, nevvero. Scegliamo le giornate piú rappresentative, o memorabili. In breve, facciamo rivivere la Storia, scrupolosamente. Il risultato è piuttosto impressionante.

— E le sedute che definite «straordinarie»? - domandò Adamsberg. - Come stasera?

— Sono quelle in cui compare Robespierre. Attirano un pubblico molto piú vasto. Θ presente solo due volte al mese perché il suo ruolo è lungo e faticoso. E lui, non lo si può sostituire. In questo momento, però, è in scena tutte le settimane, abbiamo accumulato un certo ritardo.

Chβteau assunse di nuovo un'espressione preoccupata.

— Questo successo comporta un «ma», - disse.

— La passione, - suggerí Danglard.

— Ed è un fenomeno che non avevamo affatto previsto, - assenti Chβteau. - Una deriva, nevvero. Rimane ancora un po' di vino, comandante? All'inizio avevamo distribuito le parti a seconda della fisionomia e del carattere dei nostri membri. Disponevamo di un formidabile Danton, bruttissimo, con una voce stentorea. Grandi talenti anche per il paralitico Couthon, l'arcangelo Saint-Just, il rozzo Hébert. Ma in capo a un anno ogni deputato, persino il piú modesto, si era completamente identificato con il proprio personaggio e con la causa del proprio gruppo, che fossero centristi della Palude, moderati della Gironda, radicali della Montagna, dantonisti, robespierristi, Arrabbiati, Esagerati, era una baraonda spaventosa. I membri non seguivano piú il testo, si apostrofavano o si insultavano spontaneamente in piena seduta: «Chi sei tu, cittadino, che osi svilire la Repubblica con i tuoi ipocriti discorsi?» Θ stato necessario porvi fine.

Chβteau scosse tristemente la testa, con le guance tonde rosee per il vino.

— In che modo? - domandò Danglard.

— Ogni quattro mesi costringiamo i membri a cambiare schieramento politico: uno dalla Palude torna alla Montagna, un Arrabbiato diventa un moderato, capite il principio. E credetemi, queste conversioni forzate non avvengono sempre senza resistenze.

— Interessante, - disse Veyrenc.

— Cosí interessante, perdiana, che abbiamo avviato una ricerca innovativa. Indagare il fenomeno che nessuno storico è mai riuscito a spiegare: come ha potuto il livido e gelido Robespierre, privo di carisma e di empatia, con la sua voce un po' stridula e il suo corpo senza vita, suscitare una simile adorazione? Con la sua faccia lugubre e i suoi occhi vuoti che battevano le palpebre dietro gli occhiali? Ebbene, questo noi lo osserviamo, lo registriamo.

— Da quanto tempo portate avanti questa ricerca? - domandò Danglard, che adesso sembrava piú avvinto da quell'associazione fuori del comune che dall'indagine in corso.

— Circa sei anni.

— Ottenete dei risultati?

— Certo, sí. Abbiamo già raccolto migliaia di pagine, appunti, osservazioni e sintesi. Θ il nostro segretario a coordinare il progetto. Le donne, per esempio, quelle migliaia di donne cosí appassionate di Robespierre, cosí piene di desiderio, e che lui tuttavia disdegnava. Be', le abbiamo, comandante, nelle nostre tribune. Si innamorano di lui da non credere.

— Vorrei muovermi, - disse Adamsberg. - Potremmo fare due passi sul lungosenna?

— Senz'altro, signori, sono già rimasto qui troppo a lungo.


I quattro si ritrovarono, per una sorta di contrasto, presso la statua equestre del re Enrico IV, allo square du Vert-Galant, e sedettero su una panchina al sole.

— Di quelle foto, - disse Adamsberg, - ne ha qualcuna piú ravvicinata?

— Il nostro statuto non lo permette, - rispose Chβteau, che aveva ricominciato a togliersi la terra da sotto le unghie. - I nostri membri si iscrivono anonimamente e le fotografie sono vietate. Per le ragioni di privacy a cui ho accennato. E tutti devono lasciare il cellulare all'ingresso, spento.

— Perciò lei non può darci il nome del quarto uomo la cui assenza la preoccupa, né fornirci una sua foto.

— Proprio cosí. Inoltre lui è travestito, e partecipa. All'inizio no. Ma dopo un po' di tempo si è fatto contagiare, come tanti altri, nevvero. Ecco perché la sua assenza mi preoccupa. Doveva esserci due settimane fa, aveva un ruolo da recitare. Non sarebbe mancato, gli piaceva troppo. Ma fra tutte quelle maschere esaltate non sarei in grado di indicarle un sospettato. Dirò tuttavia che quelli che reagiscono piú forsennatamente non appena compare Robespierre sono una cinquantina. Però l'assassino, nevvero, può benissimo essere un uomo dell'ombra, discreto come un furetto, uno che non lascia trasparire il suo odio.

Ora Chβteau si stava dedicando alle unghie degli anulari, meticolosamente.

— E questo? - domandò brusco Adamsberg mostrandogli il segno. - L'ha già visto? Θ sulla scena dei tre omicidi.

— Mai, - rispose Chβteau scuotendo la testa. - Che cosa dovrebbe rappresentare?

— Ce lo chiediamo. Secondo lei? Nel contesto?

— Nel contesto? - ripeté Chβteau strofinandosi la testa calva.

— Sí. Nel vostro contesto.

— La ghigliottina? - propose Chβteau, un po' come uno studente che esita durante un'interrogazione. - Ma quale? Quella di prima? O quella di dopo? Ghigliottine mescolate? Non avrebbe senso.

— Θ vero, - ammise Adamsberg.

E sprofondò le mani nelle tasche. Nemmeno lui sapeva come rintracciare un uomo fra circa settecento membri anonimi e mascherati. Al suo orizzonte si stava formando una nuova massa di alghe, ancora piú tentacolare di quella che lo ossessionava il giorno prima, ma che si agglomerava con la precedente, e vi si amalgamava in modo disgustoso.

— Lei dice che è possibile assistere alle vostre sedute come «membri occasionali».

— Sí, tre volte l'anno.

— Stasera, per esempio.

— Chi? Voi tre? - domandò Chβteau sorpreso, lasciando cadere l'accessorio per le unghie.

— Perché no?

— Ma che cosa spera di ricavarne?

— Un'impressione, - rispose Adamsberg alzando le spalle.

— Θ una seduta importante, quella di stasera. Si tratta del discorso fiume del 5 febbraio 1794, il 17 piovoso, anno II. Che sarà abbreviato, rassicuratevi.

— Mi piacerebbe assistere, - disse Danglard.

— Come credete. Presentatevi alle diciannove all'ingresso posteriore dell'edificio, al numero 17. Vi farò avere costumi e parrucche. Se non vi secca. Vestiti normalmente, perdiana, sareste relegati indietro o sulle tribune, e non vedreste niente.

— Il vostro Robespierre, - domandò Adamsberg, - perché non potete rimpiazzarlo?

Chβteau tacque, assorto e contrariato.

— Signori, capirete stasera, - rispose.

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Pagina 219

— Danton era amico di Robespierre fin dal principio, un autentico patriota con una voce da gigante, che divorava il mondo e la vita, uomo di cuore, uomo di fede, ma al tempo stesso uomo di sangue, di donne, di desideri e piaceri, che doveva pur pagare, confondendo il proprio denaro con quello dello Stato, negoziando sotto sotto con la Corte. Finché possiamo godercela, godiamocela. Leale e corrotto. Ha scritto a Robespierre sconcertanti lettere d'amore. L'Incorruttibile l'ha mandato al patibolo nell'aprile 1794. Robespierre non era in grado di percepire l'amicizia, né i suoi pregi né i suoi difetti. Verso la fine accettava solo l'adulazione, come quella di suo fratello o del giovane Saint-Just. Probabilmente la strabordante vitalità del grosso Danton ha finito per disgustarlo a un livello indicibile. Quell'uomo possente dominava l'Assemblea senza forzare la voce, mentre lo striminzito Robespierre doveva spolmonarsi. In quattro anni l'iniziale atteggiamento indulgente di Robespierre era molto cambiato. L'esecuzione del patriota Danton e dei suoi amici, dopo un processo farsa, fu il primo trauma per il popolo e per una vasta parte dell'Assemblea. La carretta che portava Danton alla ghigliottina percorse rue Saint-Honoré, dove abitava Robespierre. Passando davanti a casa sua Danton ha gridato: «Tu mi segui, Robespierre!» Ed è ben nota la frase che disse al boia prima di sdraiarsi sulla piattaforma della ghigliottina.

— No, - disse pazientemente Adamsberg. - Non è ben nota.

— «Mostra la mia testa al popolo! Ne vale la pena!»

Adamsberg, per quanto poco sensibile, o meglio, incline a evitare i ruvidi scogli della sensibilità, come un uccello prudente che sfiora i muri, decise di mangiare quella salsiccia alsaziana con le mani invece di tagliarla, di sezionarla pezzo per pezzo, testa per testa, con il coltello affilato. Peraltro era molto piú buona cosí. Danglard gli lanciò un'occhiata di disapprovazione.

— Adesso mangia con le mani? Voglio dire: in piena Brasserie Meyer?

— Certo, - rispose Adamsberg. - Audacia, ancora audacia, e sempre audacia.

— Questo per quanto riguarda Danton. Fu un'esecuzione terribile. Anche se Danton era tutt'altro che «virtuoso».

— E Dumoulins?

— Desmoulins. Peggio ancora, ammesso che sia possibile fare una graduatoria. Era compagno di liceo di Robespierre. Fervente repubblicano, Camille Desmoulins lo adulava. Lo invitava a casa sua, lo considerava amico suo e della sua giovane e bella moglie. Robespierre giocava con il loro figlioletto, o perlomeno lo teneva sulle ginocchia. Ma l'amico Camille lasciò capire quanto fosse stanco del Terrore e quanto temesse le sue ripercussioni. Fu ghigliottinato il 5 aprile, insieme a Danton. E la morte della sua giovane moglie fu decisa da Robespierre già l'indomani. Lasciando orfano il bambino che aveva tenuto in braccio. Quel giorno tutti capirono che, per quanto antichi, per quanto stretti fossero stati i legami con Robespierre, non c'era pietà. Perché Robespierre non aveva alcun legame, e meno che mai stretto. Quella decapitazione fu abominevole, e al tempo stesso fu una rivelazione.

Adamsberg aveva finito le salsicce alsaziane. Gli restavano i crauti, che gli evocavano, in forma meno grave, meno aggrovigliata, l'enorme matassa di alghe. Insomma, una cena molto particolare.

— E l'altro? - domandò. - Quel Sanson? Fu ghigliottinato anche lui quello stesso giorno? Insieme agli amici di Danton?

Danglard sorrise e si pulí le labbra lentamente assaporando in anticipo un piccolo effetto sorpresa.

— Quello stesso giorno Sanson li ghigliottinò.

— Prego?

— Cosí come ghigliottinò Luigi XVI, la regina Maria Antonietta e poi tutti gli altri durante il Terrore. In tre anni, implacabilmente, Sanson e suo figlio fecero cadere la lama della terribile macchina migliaia di volte.

— Chi era, Danglard?

— Ma il famoso boia di Parigi, commissario. L'«esecutore di giustizia»: questo era il suo titolo. Charles-Henri Sanson ha avuto una vita di merda, si può ben dirlo. Preciso «Charles-Henri» perché non lo si confonda con gli altri Sanson.

— Per quanto mi riguarda non c'è pericolo, Danglard.

— Infatti i Sanson, - continuò Danglard ignorando l'interruzione, - furono boia di padre in figlio da Luigi XIV fino al XIX secolo, finché un Sanson giocatore, indebitato e omosessuale non interruppe la discendenza. Sei generazioni di boia. Ma Charles-Henri ebbe una vita di merda perché dovette operare sotto il Terrore. Piú di duemilanovecento teste da tagliare. Tutti i boia di allora si lamentavano di quell'insopportabile mole di «lavoro», non per ragioni morali, ma perché erano proprietari della loro macchina e dovevano badare a tutto: pulitura e affilatura della lama, asportazione dei corpi e delle teste, lavaggio del patibolo, cura dei cavalli e manutenzione delle carrette, sostituzione della paglia per assorbire il sangue eccetera. Nel 1793, di certo sfinito, Charles-Henri Sanson passò la mano a suo figlio Henri. Dramma collaterale dell'ecatombe: l'altro suo figlio mori cadendo dal patibolo mentre voleva mostrare una testa al popolo.

— E perché un discendente di Sanson ce l'avrebbe con l'associazione Robespierre?

— I boia, come immaginerà, non avevano mai avuto buona stampa, anche molto prima del Terrore. Non si stringeva loro la mano, non li si toccava, li si pagava deponendo a terra il denaro, senza sfiorarli. Potevano sposarsi solo tra figli di famiglie di boia. Nessuno voleva averci a che fare. Ma di quelle famiglie di reprobi, di ogni provincia di Francia, un solo nome è rimasto nella memoria di tutti: Sanson. Perché tagliò la testa al re. E alla regina. E a tutti coloro che il Terrore gli consegnò. Robespierre ha reso questo nome spaventosamente celebre, l'ha trasformato in simbolo di abietta crudeltà.

— E per uno dei suoi discendenti sarebbe intollerabile?

— Non è un peso da poco da portare.

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