Copertina
Autore Gianni Vattimo
Titolo Opere complete - I. Ermeneutica - tomo 2
EdizioneMeltemi, Roma, 2008 , pag. 304, cop.fle., dim. 14,5x21x2,6 cm , Isbn 978-88-8353-647-2
CuratoreMario Cedrini, Alberto Martinengo, Santiago Zabala
LettoreFlo Bertelli, 2009
Classe filosofia , teoria dell'arte
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Indice

  9 Presentazione
    Mario Cedrini, Alberto Martinengo, Santiago Zabala

 15 Nota redazionale

 16 Fonti


    Poesia e ontologia


 21 Prefazione alla seconda edizione (1985)

    Parte prima


 25 Capitolo primo
    Verso un'estetica ontologica

 25 1. Arte, estetica, ontologia
 28 2. Le estetiche e la mentalità metafisica della fondazione:
       l'ideale dell'esplicitazione
 32 3. Le estetiche e la mentalità metafisica della fondazione:
       neo-kantismo e fenomenologia
 36 4. Senso positivo dell'epocalità dell'essere
 39 5. Due caratteri di un'estetica ontologica

 47 Capitolo secondo
    Vocazione ontologica delle poetiche del Novecento

 47 1. Il Novecento come secolo delle poetiche
 49 2. Diversi modi di approccio al fenomeno delle poetiche
 53 3. "Linguaggi" delle arti e linguaggio-parola
 57 4. L'estetica post-hegeliana come estetica del gioco
 62 5. La rivendicazione della portata ontologica dell'arte
       nelle poetiche dell'avanguardia
 75 6. La fruizione estetica come dialogo

 83 Capitolo terzo
    Dalla fenomenologia estetica all'ontologia dell'arte

 83 1. Il problema di una fondazione ontologica dell'arte
 88 2. Novità e legalità dell'opera d'arte come basi per la
       fondazione ontologica
 92 3. Esteticità e originarietà
 99 4. Conclusione: estetica ontologica e concreta esperienza
       dell'arte

103 Capitolo quarto
    Metodi critici ed ermeneutica filosofica

103 1. La "morte dell'arte" nella critica
104 2. Demitizzazione e mentalità razionalistica
108 3. Il problema di un'ermeneutica non demitizzante
112 4. L'appartenenza del lettore all'opera
114 5. La storia come esegesi dell'opera

119 Capitolo quinto
    L'opera d'arte come messa in opera della verità e
    il concetto di fruizione estetica

119 1. Opera, verità, mondo
120 2. Contenutismo e formalismo nel concetto di fruizione estetica
124 3. Forma e contenuto nella messa-in-opera della verità
126 4. Problematicità della fruizione "estetica"


    Parte seconda


133 Capitolo sesto
    Il bello e l'essere nell'estetica antica

133 1. Il problema della "modernità" dell'estetica antica
136 2. La dissoluzione dell'ontologia del bello in Aristotele
141 3. Ontologia del bello come fondazione esistenziale

145 Capitolo settimo
    Arte, sentimento, originarietà nell'estetica di Heidegger

145 1. Il linguaggio poetico in Sein und Zeit
147 2. L'affettività nell'analitica esistenziale
150 3. Affettività ed essere-nel-mondo
153 4. L'affettività come fatto ontologico
157 5. L'opera come messa-in-opera della verità: Stoss e angoscia
161 6. Il sentimento e l'esperienza dell'arte

165 Capitolo ottavo
    Estetica ed ermeneutica in Hans-Georg Gadamer

165 1. Il problema della verità dell'arte
167 2. Crisi della "coscienza estetica"
169 3. Ontologia dell'opera d'arte: Spiel, imitazione, Darstellung
173 4. Esperienza estetica e situazione ermeneutica
175 5. Il linguaggio come orizzonte di una ontologia ermeneutica

181 Capitolo nono
    Estetica ed ermeneutica


197 Indice dei nomi

    Saggi

201 Imitazione e catarsi in alcuni recenti studi aristotelici
211 Opera d'arte e organismo in Aristotele
235 Per una storia dell'estetica
243 Il problema estetico (con Luigi Pareyson)

    Recensioni

275 Recensione a Edward G. Ballard,
    Art and Analysis. An Essay Toward a Theory in Aesthetics
283 Recensione a William K. Wimsatt Jr., Cleanth Brooks,
    Literary Criticism. A Short History
285 Recensione a Susanne K. Langer,
    Reflections on Art. A Source Book of Writings by Artists,
    Critics and Philosophers
289 Recensione a Morris Weitz,
    Problems in Aesthetics. An Introductory Book of Readings
293 Recensione a Guido Morpurgo-Tagliabue,
    L'esthétique contemporaine. Une enquéte
301 Recensione a Bertha Fanning Taylor,
    Form and Feeling in Painting

 

 

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Pagina 21

Prefazione alla seconda edizione (1985)

Gianni Vattimo


La seconda edizione di questo libro (uscito per la prima volta nel 1967) si pubblica oggi, senza alcuna modifica (se si eccettua l'aggiunta di un capitolo, il nono), in una situazione che è certo molto mutata dal punto di vista del dibattito dell'estetica, della critica e delle poetiche militanti. Non credo però che abbia perso d'attualità l'assunto centrale del lavoro: la rivendicazione della portata ontologica dell'arte e della poesia, lo sforzo di riconoscere l'esperienza estetica come il luogo di una esperienza della verità, contro la tendenza a riservarle un dominio separato e, in definitiva, inessenziale: quello della pura contemplazione, del gioco, delle emozioni, o del museo.

Le posizioni da cui in origine il libro prendeva polemicamente le distanze erano quelle del sociologismo di impronta (paleo)marxista e del formalismo legato a molte applicazioni dello strutturalismo – che erano i modi in cui l'estetismo si presentava con particolare forza negli anni Sessanta. E uno dei sensi dell'approccio ermeneutico ai problemi dell'arte era proprio, allora, quello di svelare tali posizioni come viziate di estetismo, cioè come fondate su una visione dell'arte che, da punti di vista diversi, non la prendeva sul serio nel suo significato di esperienza storicamente densa, esperienza di verità in quanto "vera" esperienza.

Quegli obiettivi polemici hanno certo perso, oggi, molta della loro rilevanza; e questo anche perché, se non le specifiche posizioni del libro, certo lo sfondo teorico in cui esso si inseriva – l'ontologia ermeneutica che, ispirandosi a Heidegger, avevano sviluppato, in sensi diversi, pensatori come Hans-Georg Gadamer e Luigi Pareyson, al cui insegnamento più direttamente il lavoro si rifaceva – è venuto acquistando, negli anni recenti, un sempre maggior peso sia nell'estetica filosofica, sia nella critica letteraria e artistica. È certo che una rivendicazione dell'arte come esperienza di verità incontra oggi meno resistenze di quante non ne incontrasse alla fine degli armi Sessanta, proprio perché la proposta filosofica dell'ermeneutica è largamente accettata, al punto da costituire, per una vasta zona della cultura contemporanea, una sorta di koiné, di punto di riferimento comune (non senza rischi di fraintendimento, com'è ovvio). Il significato filosofico del rapporto tra poesia e ontologia, però, non mi pare con questo acquisito ed esaurito. Al di là della polemica contro l'estetismo implicito in molta estetica filosofica novecentesca, esso comporta infatti un altro aspetto, che parallelamente a quella polemica il libro già sviluppava (e che costituisce il nucleo del capitolo nono, che proprio per questo mi è parso opportuno aggiungere): l'idea cioè che non solo si dovesse guardare all'arte come esperienza di verità, ma che un tale riconoscimento implicasse anche profondi riflessi sul modo filosofico di concepire la verità – ciò che del resto è uno dei sensi della "estetica ontologica" heideggeriana, nella quale (penso a L'origine dell'opera d'arte) la verità che può esser "messa-in-opera" non si lascia certo pensare con i tratti di evidenza, stabilità, certezza, che le riconosceva la metafisica. Se l'arte può essere esperienza di verità, è perché la verità viene riconosciuta, fuori da ogni prospettiva metafisica, nei suoi tratti eventuali, di sfondo, in definitiva "deboli", con tutto ciò che questo comporta anche per il modo di pensare il soggetto e l'essere stesso. Non solo la poesia va letta con intenti ontologici, ma l'ontologia – nel suo sforzo di oltrepassare la metafisica verso una forma di pensiero "rammemorante" del tipo di quello che Heidegger ha in mente – può forse dispiegarsi solo in una forma poetica.

È sotto questo aspetto che, credo, il tema proposto dal libro può ancora indicare una via degna di essere percorsa.

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Pagina 25

Capitolo primo

Verso un'estetica ontologica


1. Arte, estetica, ontologia

Benché i saggi che seguono si sforzino di rappresentare un approccio ontologico al problema dell'arte sotto diversi aspetti, o almeno di metterne in luce l'esigenza, mi pare necessario, in via preliminare — e anche conclusiva, nella misura in cui ogni introduzione è sempre anche una ripresa generale del senso di un discorso — chiarire in che senso, nelle ricerche che compongono questo libro, viene perseguito il nesso tra poesia (o più in generale arte) e ontologia, e in che rapporto tale indagine si pone nei confronti dell'estetica contemporanea.

In linea generale, dunque, che cosa significa porre ontologicamente il problema dell'arte, far valere in estetica delle esigenze ontologiche? La domanda implica subito un salto dall'ambito limitato dell'estetica (ma, come si vedrà, è dubbio che un tale ambito esista) alla filosofia generale. Su questo piano, una prima approssimazione alla risposta consiste nel dire che porre ontologicamente il problema dell'arte e qualunque altro problema filosofico significa sviluppare un discorso che non dimentichi quella che Heidegger ha chiamato la "differenza ontologica", ma anzi assuma tale differenza a proprio tema centrale.

Differenza ontologica è il rapporto che lega, e anche separa, l'essere e gli enti. Per illustrare il senso di tale differenza, si può ricorrere a un'altra nozione heideggeriana, quella di epoché, che ha lo stesso significato. Il senso di tale termine non va anzitutto confuso con quello che esso assume nella fenomenologia husserliana, anche se non sarebbe difficile indicare una relazione per la quale, almeno in una certa misura, l' epoché heideggeriana si rivela come l'autentica fondazione, nella struttura dell'essere, della necessità dell' epoché come atteggiamento soggettivo di cui parlano i fenomenologi.

L' epoché heideggeriana è quel carattere dell'essere per cui l'essere si dà e si cela contemporaneamente nell'apparire degli enti (cioè delle cose e delle stesse persone che popolano íl mondo). L'essere, infatti, si dà in quanto è la luce dentro cui gli enti appaiono; e d'altra parte, proprio perché gli enti possano apparire, sussistere in qualche modo entro l'orizzonte che esso istituisce, l'essere stesso come tale si sottrae. Esso fa apparire gli enti e li lascia apparire: fa loro posto, potremmo dire, dando all'espressione tutto il significato ambiguo di cui è suscettibile. L'essere fa posto agli enti perché fornisce l'orizzonte entro cui essi vengono all'essere, cioè sono; e fa loro posto nel senso che lo lascia libero, si ritrae, non richiamando l'attenzione su di sé.

Un tal modo di esprimersi resta tuttavia sempre inadeguato perché immagina che si dia un "posto" che l'essere potrebbe occupare in luogo degli enti e viceversa, sicché l'essere, pensato così, è ancora sempre una specie di ente, sia pure l'ente supremo. Invece, quello che è essenziale, nella teoria heideggeriana dell' epoché, è l'accentuazione della differenza: il riconoscimento che l'essere, ciò per cui gli enti sono, non va mai confuso con gli enti stessi, non può mai esser pensato come un ente, sia pure il massimo fra essi. Ciò si vede, del resto, se si pensa che quando domandiamo che cos'è l'essere degli enti non domandiamo mai la sua causa o origine; che gli enti derivino da, vengano da, ecc., non risolve minimamente il problema dell'essere; se ciò che è indicato come causa e origine è anch'esso un ente, il problema dell'essere si ripropone integralmente anche a proposito di esso. È caratteristico, secondo Heidegger, della storia della metafisica occidentale aver scambiato la domanda sull'essere con la domanda sul perché e sull'origine, col risultato di aver messo il pensiero fuori strada identificando l'essere con l'ente, dimenticando ciò che esso ha di peculiare e caratteristico, la sua irriducibilità all'ente, appunto la differenza ontologica.

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