Copertina
Autore Manuel Vázquez Montalbán
Titolo Ho ammazzato J.F. Kennedy
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2001, SuperUE , pag. 164, dim. 135x205x9 mm , Isbn 978-88-07-84006-7
OriginaleYo maté a Kennedy [1972]
TraduttoreHado Lyria
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe narrativa spagnola , gialli
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

La complicità europeista di Jacqueline mi lusingava.

"Il nostro Palazzo delle Sette Galassie non è paragonabile manco al Petit Trianon."

Il rumore dei tuffi e delle pesanti risate di monsignor Cushing arrivava fino alla Prima Galassia. Di tanto in tanto l'ombra di un bambino nudo passava veloce dietro la gelosia. Jacqueline sfogliava un libro di Avedon e Baldwin. In due alti bicchieri la bibita blu fremeva e le foglie di menta cominciavano a macerarsi. Chiusi gli occhi per sentire il contatto sessuale del pizzicore in gola. Le bollicine mi solleticarono fino a farmi quasi male. Cominciai a sudare.

Jacqueline non sudava sotto la plastificazione meravigliosa della sua pelle truccata. Distrassi lo sguardo lungo la parete continua della stanza circolare, ricordai una sbronza sin allora dimenticata.

"Ce l'ha, un dollaro? Mi presta un dollaro?"

Portai troppo in fretta la mano al portafogli. La risata di Jacqueline mi paralizzò il gesto.

"Magnifico. Non mi ha deluso. Lei è un cavaliere spagnolo."

Continuò a contemplare il libro, rilassata. D'un tratto, me lo aprì sotto gli occhi.

"Atroce, no?"

Io assentii, lei fu soddisfatta.

Non volevo levarmi la giacca per non farle vedere la pistola sotto l'ascella. Non per via della pistola, né per le immagini di rozza violenza che avrebbe evocato, ma per la brutta bretella che reggeva la fondina, come un tetro corsetto da invalido. Però avevo caldo. È addirittura probabile che facesse caldo. Mi alzai per avvicinarmi con voglia dissimulata alla gelosia. La famiglia Kennedy mangiava tramezzini sull'erba. Scendeva la sera. Le acque della piscina ritrovavano una falsa tranquillità sotto le ombre grigie. Un inserviente nero pescava le foglie morteche galleggiavano in supefficie. Robert Kennedy faceva la verticale e i due figli maggiori lo imitavano. Guardai, esitai, guardai di nuovo. John Fitzgerald Kennedy fumava una lunghissima pipa della pace dall'alto di un ippocastano. L'ombra di una nuvola accelerò il crepuscolo. Si oscurò la pelle dei corpi, la pelle del mondo. La dentatura collettiva dei Kennedy splendette di brusco biancore. La voce di Jacqueline mi raggiunse come una compagnia di cui cominciavo ad avere bisogno.

"Lei crede che il nostro sistema di vigilanza non sia sufficiente a intercettare Carvalho?"

"Lei non conosce i gaglieghi."

"Oh, sì. Ne conosco uno, forse due. Un magazziniere di Detroit e un cuoco di Adlai. Non ci ho mai trovato niente di speciale. Per il momento non sono ancora invisibili."

"Sono pericolosi e ostinati, come gli ebrei."

Jacqueline, con un dito, si sigillò le labbra per sigillare le mie, guardando con diffidenza i quattro angoli inesistenti della stanza circolare.

"Taccia, per favore."

Arrivava il solito mormorio del violoncello. Infallibile: sei e trenta della sera, ora di Washington. Jacqueline si mise in movimento, la seguii. Premette un tasto che spostò la scanalatura. Aprii la porta dell'ascensore e quasi senza lasso temporale mi trovai accanto a Jacqueline nella Settima Galassia. Un chilometro quadrato di salone, interamente rivestito di una tonalità incolore. Vi galleggiava un podio laccato di nero, e su di esso: Pau Casals. Suonava la sardana delle sei e trenta, ora di Washington. La sardana di Sant Martí del Canigó. Alcune dame nude si alternavano agli angoli del podio, simili a doccioni pensosi sul vuoto incolore. Approfittando delle pause, quasi cercasse un punto di ispirazione, il maestro le toccava con l'archetto, ora sulla spalla, ora sull'esplosione cerea delle strette natiche. Poi proseguiva con l'esecuzione piena di dolci miagolii. La stanza sembrava galleggiare e il cuscino lanciatomi da Jacqueline tardò tantissimo a raggiungermi.

Mi sedetti a mezz'aria sul cuscino. Spalancai la bocca per ingoiare le raffiche di gas della felicità, brevetto Westinghouse. Il gas filtrava attraverso certi orifizi romboidali, anch'essi appesi a un presumibile infinito. Sapeva leggermente di ginger ale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 25

Alla corte dei Kennedy convivono eunuchi dalmati - castrati sulle sabbie di Long Island -, calessieri di Nanterre, cuochi svizzeri (eccellenti), un ambasciatore sovietico, ragazze pom-pom della California, vedove di cinque guerre mondiali, due obiettori di coscienza australiani, un campione mondiale di ping-pong che si è portato dietro il suo tavolo preferito, tre camiciai froci che dormono in stanze separate, un gaucho impagliato mediocremente da Ted (precoce tassidermista da quando Rose gli regalò un kit completo per la prima comunione), un giocatore basco di pelota dall'espressione accigliata, mezza dozzina di cantanti dolci come un frullato alla vaniglia, due vecchi marinai innamorati di due grassissime sirene di Siracusa, dieci difensori dei diritti civili con i loro difesi, uno sceriffo cattivo, due sceriffi buoni, un batterista di jazz tisico che si masturba nei cessi di tutta Boston, un agricoltore oceanico specializzato in innesti d'alga Rosalind, un castratore di tarme, un poeta concreto che scricchiola quando cammina, una vergine samoieda smarritasi al Polo Nord, una dottoressa spagnola specializzata in zone erogene, due cantanti di jazz con cancro alla gola, un mediano del Manchester United e un interno sinistro del Manchester City, un filosofo tedesco specializzato in se stesso (sua moglie lo precede lungo i corridoi chiedendo silenzio a chi viene loro incontro), due presidenti di comitati di quartiere di Ankara, un cugino di Hitler che gli somiglia molto nel modo di camminare e di pronunciare la parola spatola, un meteorologo, un domatore di galline, un dentista fiorentino, principi nani abbandonati nei secchi della spazzatura, un campione di partite di scacchi in simultanea, il traduttore di Oscar Wilde in ucraino, e la vera principessa Anastasia, definitivo asso nella manica che l'Occidente tiene in serbo per reclamare il trono dell'Urss un secondo prima di dare inizio all'aggressione nucleare.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 47

EPISTOLA URBI ET ORBI



Letta dal presidente Kennedy il giorno del Ringraziamento del 1963, sulla spianata centrale del Palazzo delle Sette Galassie, in presenza del 60 per cento del potere esecutivo della nazione e della totalità del corpo diplomatico.


Signore e signori,

è in giorni come questo che sembra più logico mettersi in ginocchio, alzare lo sguardo fiducioso verso la pace del cielo e dire: grazie. Grazie non tanto per i beni ricevuti quanto per le evidenze percepite. La percezione delle evidenze è il maggior bene che un popolo possa ricevere. L'evidenza più palese che noi, il popolo americano, possiamo percepire è quella del nostro destino privilegiato in testa alla marcia storica dell'umanità. Per coloro che concepiscono la marcia della Storia soltanto come un'evoluzione materiale sprovvista di ogni trascendenza al di fuori della positività dei risultati, del resto sempre più positivi, dico oggi la mia preghiera, perché noi, il popolo americano, sappiamo che non c'è destino umano senza la provvidenza e che senza la provvidenza non ci sono grandi comportamenti storici. Dio condusse il suo popolo al di là del Nilo e gli diede una guida: Mosè. Da questo fatto nacque la storia dell'Occidente, sotto il dito protettore della provvidenza.

In quest'ora difficile in cui il destino dell'uomo cristiano è impegnato nella più dura lotta per la sopravvivenza, dico ancora: grazie. Grazie in nome del mio popolo, che mi ha scelto come capo e guida e mi ha conferito questa alta missione con la sola prerogativa delle sue stesse esitazioni e speranze. Io, in quanto americano, sono uno di voi, ho le vostre stesse aspirazioni e i vostri stessi timori. Le mie forze sono le vostre e, come voi, confido in quelle forze straordinarie che Dio concede a chi si allinea dalla Sua parte. È con questo aiuto che dobbiamo vincere. In un giorno come questo dobbiamo proclamare lo strumento della nostra vittoria. Uno strumento che non è un'arma terrificante la cui capacità di distruzione paralizza i muscoli del valore, no. La nostra arma non è letale, e non è segreta. È l'arma dell'evidenza dell'esempio vittorioso. Che i nostri nemici aprano gli occhi e vedano nella salute del nostro popolo l'evidenza del nostro ottimo destino e nella salute delle nostre opere l'efficacia di un metodo di comportamento che procede di pari passo con la volontà divina.

Siamo la nazione più ricca della Terra. Ma saremmo ben poco senza la ricchezza spirituale. Se qualcuno mi domanda perché, convinti della nostra superiorità spirituale, non trascuriamo la fabbricazione di proiettili teleguidati, gli rispondo che le vie del Signore sono insondabili e imprevedibili, e nessuno sa quale sia il suo strumento, nessuno sa e nessuno conosce il linguaggio dell'aldilà. Nella dissuasione mediante la forza non bisogna vedere un proclama di scetticismo, bensì un atto di umiltà davanti a spiegazioni più grandi di noi.

Sant'Agostino, una volta, passeggiava lungo una spiaggia.

Viveva uno dei suoi momenti di maggior esitazione, pieno di dubbi e domande sul mistero della vita e della morte. Spirito liberale e democratico, sant'Agostino si interrogava su tutto, perché questo dev'essere l'atteggiamento di onestà intellettuale. Passeggiava, ripeto, lungo una spiaggia, quando si imbatté in un bambino che riempiva d'acqua una buca nella sabbia. Continuava a fare avanti e indietro con un secchiello di plastica. Una e più volte. Una e più volte.

"Che cosa fai, piccolino?" domandò il santo.

"Voglio mettere tutto il mare in questa buca."

"Ma," disse il santo, sorridendo davanti a tanta meravigliosa purezza e ingenuità, "questo è impossibile."

Il bambino diventò serio e gli rispose:

"Ancor più impossibile svelare i disegni di Dio".

Svelare, svelare; nella radice di questa parola giace la stessa saggezza. Sollevare il velo che ci separa dalla verità è la strada per raggiungere la saggezza. Ma ogni uomo lucido sa dell'esistenza di un velo posto troppo lontano e sa che bisogna conservare un aldilà di mistero il quale impedisce di sollevare l'ultimo velo. Questa è l'umiltà che ha reso grande il nostro popolo. L'umiltà di lasciare a Dio la spiegazione ultima del nostro agire e di non cadere nel peccato di desiderare la consapevolezza del Grande Veggente dell'Eternità.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 54

Khan è meno ottimista di Sylvester. Il vecchio ex funzionario crede che la Storia e la Geografia dipendano fondamentalmente dalla Statistica e dalla Topografìa. Il suo motto preferito è: "L:umanità sarà perfetta il giorno in cui farà definitivamente a meno del principio idealista che vuole l'uomo misura di tutte le cose". Khan, sostanzialmente d'accordo, sostiene che per arrivare alla piena accettazione di questa filosofia deve trascorrere un periodo storico pericolosissimo, nel quale verranno liquidate le verità morali, ideologiche ed emotive. Ma i due mostri avevano accolto con entusiasmo la comparsa di Kennedy. "Kennedy," dichiarò Sylvester al redattore di "Christian Science Monitor', "accelererà in modo considerevole questo periodo di liquidazione, e allo stesso tempo disarmerà la destra americana e la sinistra universale."

Sylvester e Khan sono profondamente divisi sulla faccenda di Bacterioon. Sylvester ritiene che si tratti di un potere reazionario e che di conseguenza si può manifestare sia sotto forme rivoluzionarie sia sotto quelle dell'estrema destra. Khan vede in Bacterioon uno dei tanti stratagemmi dell'Internazionale comunista e dei suoi centri propulsori: Cina, Cuba, Vietnam del Nord, Corea del Nord, La Sorbona, Berkeley, il quartiere madrileno di Argüelles e le comunità catalane di benedettini e cappuccini di Montserrat e Sarriá. Sylvester cerca il pelo nell'uovo: "Bacterioon è la sostanza della relatività e del dubbio dello stesso dubbio, ma questa sostanza è manipolata da un cervello fanatico e antistorico. Per il momento, di fronte alla strategia kennedysta, si maschera da scetticismo, ma ben presto tirerà fuori la pistola". Sylvester ammette che è difficile conservare la capacità di entusiasmarsi, una volta castrati gli organi emotivi e razionali dell'individuo. A tale scopo esistono più di quattro marche di pastiglie non allucinogene, che a partire dal 1964 verranno distribuite gratuitamente in tutte le scuole pubbliche di un paese marginale (Austria) a titolo sperimentale. Se non presentano controindicazioni, tutti i bambini americani avranno le stesse pastiglie insieme alla loro razione giornaliera di latte federale in polvere.

Khan, sempre al corrente di tutto, è in fondo un oppositore entusiasta di Sylvester, e ha convinto i suoi computer a programmare un piano nazionale di Pastiglie Per l'Integrazione (PPI). Per il momento, sono in fase sperimentale fra le giovani scimmie le pastiglie contro il marxismo-leninismo e contro l'opinione, molto diffusa, secondo cui in certe razze gli uomini hanno il pene più lungo che in altre.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 60

Quando all'ufficio di reclutamento per agenti segreti mi chiesero i motivi della mia decisione, chiesi a mia volta se a loro interessassero i motivi epici, ideologici, sentimentali o criminali. Il supervisore, che conosceva benissimo i lirici greci arcaici, rimase meravigliato dalla sottigliezza della mia finta domanda, e mi accettò senza chiedere altro. A dire il vero, non so perché ho cercato di fare questo mestiere, un mestiere che ideologicamente, allora, mi ripugnava. Fu un pomeriggio di settembre. Pioveva e, a sottolineare la mia tristezza, indossavo un impermeabile bluastro. Con le mani schiacciavo i rivoli d'acqua sul tessuto e il contatto umido mi faceva venire voglia di piangere. Era uno di quei pomeriggi funesti in cui si è predisposti all'autocommiserazione e si eccita l'emotività con ricordi falsati. Davanti a un caffè nero e forte, davanti a giovani studenti che uscivano dal vicino Ospedale Generale, in un tanfo di aceto e pesce infarinato e fritto, riflettei sulla mia condizione sociale. Ripassai, attonito, la lista delle cose che avrei dovuto pagare nei quindici giorni successivi. Cercai un colpevole senza trovarlo. Era una meccanica vitale. La redazione di duecento voci di dizionario illustrato equivalevano a tre rate del televisore, un mese di affitto, sei mutande di plastica per la bambina, tre bistecche da centoventi grammi ciascuna, due chili di patate, due di arance, una confezione di noce moscata in polvere, una rivista illustrata, qualche bigliettone alla portinaia perché ci svuotasse tutti i giorni il secchio della spazzatura, due film al cinema per due persone, una fiaschetta di whisky. E no, non bastava a pagare la rata della libreria, forse appena a dare due lire al venditore di libri a domicilio. Ricordai con orrore la quantità di libri comprati e mai letti. Puzzavano di morto. Li adoperavo per fare costruzioni architettoniche. Libri solidi come base: le opere scelte di Marx ed Engels edite dall'Accademia delle Scienze dell'Urss. Gli editori mi avevano giocato un brutto tiro: i libri non erano di identico spessore. Allora dovevo equilibrare alla base uno dei due libri servendomi del saggio di Ráfols sulla pittura del Rinascimento. Il testo di Ráfols aveva il pregio di essere cartonato.

Una volta fissata la base, i muri devono essere fatti con libri tarchiatelli e cicciotti, per esempio: Cime tempestose, Guerra e pace, un volume delle opere complete di Pérez Galdós. La prima tettoia deve essere sottile ma dura (sottolineo quanto siano poco adatte le edizioni moderne per questo gioco architettonico). Un bel tetto consisteva in una vecchia edizione del Robinson Crusoe, e non andava malaccio nemmeno un'edizione altrettanto vecchia del Robinson svizzero. È importante che i muri maestri siano fatti con libri dalla copertina dura, invece per i tramezzi vanno bene anche le edizioni economiche. I miei migliori tramezzi erano costituiti da Stato e rivoluzione del buon Vladimir; Gli occhi dell'eterno fratello di Zweig; Le notti bianche, un manuale del catechismo per la terza media, il primo manoscritto, e simili. I parterre, muretti, cancelli, monti, boschetti, li ottenevo mediante i racconti cecoslovacchi per bambini che Muriel si era procurata per farli leggere in futuro a nostra figlia.

Un altro divertimento consisteva nel giocare alla carta più alta servendosi di libri. Si svuotano gli scaffali e si erige un mucchio di libri in mezzo alla stanza. I giocatori devono estrarre i libri dal mucchio. Un arbitro valuta il libro e decide chi è il vincitore. Per esempio, io prendevo Il canguro di Lawrence, e Muriel Americanismo e Fordismo di Gramsci. Se il giudice era una persona normale faceva vincere Lawrence. Ma se era uno schifoso progressista, allora vinceva Gramsci. C'erano sfide spettacolari, decisioni difficili, rotture irreparabili. Il giorno in cui Muriel e io ci prendemmo a coltellate fu perché io avevo estratto Candide e lei Emile. Ho sempre pensato che Rousseau fosse un perfetto idiota con l'immensa fortuna di vivere in un'epoca che dettava le idee. Voltaire, invece, era un tipo serio. Di Rousseau mi secca l'arrapatura da patta irresponsabile; quei bambini affidati al brefotrofio. Inoltre, l'arrapatura di Rousseau è quella dell'amanuense dal culo grosso che si mena i genitali e li elettrizza per l'intera giornata. Voltaire, invece, era un signore.

Ebbene, faceva da arbitro quel grissino di un biologo, con occhialini, punti neri e varici, voce in falsetto e seborrea capillare. Dalle sue labbra imperfette scaturì la sentenza:

"Emile, di Rousseau".

Io. "Perché?"

Muriel. "Perché? Perché l'ha detto l'arbitro."

Arbitro (sorridente). "Mi attengo al giudizio critico fornito dall'enciclopedia sovietica. Leggete, e potrete vedere chi è stato più importante per la storia del movimento operaio, Voltaire o Rousseau."

Lo sbirro del Cremlino mi guardava con gli occhi pieni di diottrie e di caccole, con un leggero tremolio di contrazione allo sfintere.

Io. "Rousseau era un figlio di puttana, uno svergognato e un burocrate, un topo di biblioteca, e per di più era svizzero!"

Muriel. "Eccolo che ritorna con i suoi preconcetti geografici!"

Arbitro. "Il popolo svizzero, prima o poi, entrerà a far parte della lotta pacifica a favore di una democrazia nazionale e sociale. Guglielmo Tell e Rousseau sono esempi del genio di una razza."

Io. "È un popolo di eschimesi, di tedeschi travestiti da svizzeri!"

Arbitro (grave e con espressione afflitta). "Devo ricordarti la lunga lista di martiri del popolo tedesco caduti in difesa del socialismo."

Muriel. "Comunque ho vinto io e questo è quanto."

Io. "Per ogni martire tedesco caduto in difesa del socialismo ci sono cinquecentomila socialisti martiri dei tedeschi!"

Muriel. "Ecco che spunta il suo massimalismo piccolo-borghese, c'era da aspettarselo!"

Arbitro. "Racconterò tutto, tutto!"

Io. "Tu taci, burocrate!"

Arbitro. "Sei un alleato oggettivo dei nemici della classe operaia!"

Io. "Testa di rapa! Grandissimo figlio di puttana!"

Muriel (mi graffia).

Io (le mollo un pugno sul naso).

Arbitro. "Fascista! Fascista!"

Io (quasi faccio fuori l'arbitro con un destro).

| << |  <  |