Copertina
Autore Enrique Vila-Matas
Titolo Storia abbreviata della letteratura portatile
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2010, UE 2187 , pag. 110, cop.fle., dim. 12,5x19,5x0,9 cm , Isbn 978-88-07-72187-8
OriginaleHistoria abreviada de la literatura portátil [1985]
TraduttoreLucrezia Panunzio Cipriani
LettoreRenato di Stefano, 2011
Classe narrativa spagnola , storia letteraria , citta': Praga
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Indice


  9 Prologo
 14 Oscurità e magia
 23 Suicidi di albergo
 32 La festa a Vienna
 45 Labirinto di odradek
 55 Nuove impressioni di Praga
 65 Cartolina di Crowley
 73 Tutto il giorno sulle sdraio
 83 Bahnhof Zoo
 93 L'arte dell'insolenza
 99 Uno shandy disegna la mappa della sua vita

105 Bibliografia essenziale
107 Note

 

 

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Pagina 9

Prologo



Verso la fine dell'inverno 1924, sulla vetta dove Nietzsche aveva avuto l'intuizione dell'eterno ritorno, lo scrittore russo Andrej Belyj fu colto da una crisi nervosa nel constatare l'inarrestabile avanzata della lava del supercosciente. Quello stesso giorno e alla stessa ora, a non molta distanza da lì, il musicista Edgar Varèse cadeva improvvisamente da cavallo mentre, per scimmiottare Apollinaire, fingeva di accingersi ad andare in guerra.

A me sembra che quelle due scene siano state i pilastri sui quali fu edificata la storia della letteratura portatile. Una storia europea, alle origini, e leggera quanto la valigia-scrittoio con la quale Paul Morand percorreva su treni di lusso la luminosa Europa notturna: scrittoio mobile che ispirò a Marcel Duchamp la sua boîte-en-valise, senza dubbio il tentativo più geniale di esaltare il portatile in arte. La cassetta-valigia di Duchamp, che conteneva riproduzioni in miniatura di tutte le sue opere, si trasformò rapidamente nell'emblema della letteratura portatile e nel simbolo in cui si riconobbero i primi shandy.

Alcuni mesi dopo e con una lieve modifica (sulla boîte-en-valise, un pettine a guisa di fermaglio) quell'emblema di Duchamp sarebbe stato ritoccato da Jacques Rigaut per rappresentare, come disse egli stesso, "l'apoteosi dei pesi leggeri nella storia della letteratura". Il disegno fu molto apprezzato, forse per il suo marcato carattere eterodosso, e provocò una straordinaria valanga di nuove e ardite profanazioni dell'emblema duchampiano, prova questa ben chiara della volontà di costante trasgressione che caratterizzò i primi scrittori che si associarono alla società segreta shandy.

Negli stessi giorni, poiché esisteva tra quei primi shandy una diffusa paura che la cassetta-valigia potesse cadere in mano a un qualsiasi falsario, Walter Benjamin disegnò con notevole successo quella divertente macchina per pesare libri che porta il suo nome, e che ancor oggi ci permette di rilevare con assoluta precisione quali siano le opere letterarie assolutamente insopportabili e pertanto, sebbene cerchino di non darlo a vedere, intrasportabili.

Non è casuale che gran parte dell'originalità dei testi dell'inventore della macchina Benjamin si debba proprio al suo sguardo microscopico, unito al suo infaticabile dominio delle prospettive teoriche. "Erano le cose piccole quelle che più lo attraevano," scrisse di lui il suo intimo amico Gershom Scholem. A Walter Benjamin piacevano i vecchi giocattoli, i francobolli, le foto delle cartoline postali e certe imitazioni della realtà come quei paesaggi invernali racchiusi in una palla di vetro in cui nevica quando la si agita. La stessa scrittura di Walter Benjamin era quasi microscopica e la sua mai raggiunta ambizione era quella di far entrare cento righe in un solo foglio di carta. Racconta Scholem che durante la sua prima visita a Benjamin a Parigi, questi lo trascinò al museo Cluny per mostrargli, in una vetrina di oggetti rituali ebraici, due chicchi di grano sui quali un'anima gemella aveva trascritto per intero lo Shema Israel.

Walter Benjamin era anche anima gemella di Marcel Duchamp: ambedue vagabondi, sempre in viaggio, esiliati dal mondo dell'arte e al tempo stesso collezionisti arrabbiati di cose o, per meglio dire, di passioni. Ambedue sapevano che miniaturizzare significa rendere portatile, e che questo è il modo ideale di possedere cose per un vagabondo o un esiliato.

Però miniaturizzare significa anche occultare. Duchamp, per esempio, si sentì sempre attratto dalle cose estremamente piccole, vale a dire da tutto ciò che doveva essere decifrato: emblemi, manoscritti, anagrammi. Per lui miniaturizzare significava anche rendere inservibile: "Ciò che viene ridotto diviene in un certo modo libero di significato. La sua piccolezza è allo stesso tempo un tutto e un frammento. L'amore per il minuscolo è un'emozione infantile". Infantile come lo sguardo di Kafka che, com'è noto, ingaggiò una lotta mortale per entrare nella società paterna, ma ci sarebbe riuscito solo a condizione di continuare a essere il bambino irresponsabile che era.

Da bambini irresponsabili si comportarono sempre gli scrittori portatili, e fin dal primo momento stabilirono, come requisito indispensabile per entrare nella società segreta shandy, di restare celibi o perlomeno di comportarsi come se lo si fosse, funzionare cioè come una macchina celibe, nel senso che volle darle Marcel Duchamp poco dopo essersi accorto, proprio attraverso Edgar Varèse, della crisi nervosa di Andrej Belyj: "In quell'istante, non so per quale ragione, cessai di ascoltare Varèse e mi misi a pensare che non bisognava attaccarsi alla vita con troppo peso, con troppe cose da fare, con ciò che si chiama moglie, bambini, una casa in campagna, una macchina ecc. E per mia fortuna lo compresi prestissimo. Ciò mi ha permesso di vivere a lungo da celibe, e quindi più facilmente che se avessi dovuto affrontare tutte le normali difficoltà della vita. In fin dei conti, è la cosa essenziale". Che Duchamp comprendesse tutto questo proprio nel momento in cui Varèse gli riferiva della crisi nervosa di Belyj sulla vetta dell'eterno ritorno, è perlomeno curioso. È inevitabile chiedersi che rapporto potesse esserci tra l'attacco di nervi di Belyj e la decisione duchampiana di rimanere scapolo a tutti i costi, sognando a occhi aperti come tutti i bambini irresponsabili. È difficile, praticamente impossibile saperlo. La cosa più probabile è che non ci sia stato alcun rapporto e che semplicemente a Duchamp si fosse presentata di colpo, senza alcun ricordo o associazione cosciente che permettesse una spiegazione immediata, l'immagine di un uomo celibe, impossibile, libero e delirante, ovvero un artista portatile, oppure, il che è lo stesso, qualcuno che si potesse portare tranquillamente da qualsiasi parte.

Infine, comunque sia, l'unica cosa chiara è che il capitombolo di Varèse, la crisi nervosa di Belyj e l'inattesa apparizione di un artista celibe, libero e delirante nel campo visivo di Duchamp, furono le basi sulle quali fu costruita la società segreta shandy.

Oltre a esigere un alto grado di pazzia, furono fissati gli altri due requisiti indispensabili per appartenere a quella società: stabilito innanzitutto che l'opera di ciascuno dovesse essere leggera ed entrare facilmente in una valigetta, l'altra condizione indispensabile era quella di funzionare come una macchina celibe.

Sebbene non fosse indispensabile, si raccomandava pure di possedere certe caratteristiche considerate tipicamente shandy: spirito innovatore, massima sensualità, mancanza di grandi propositi, nomadismo instancabile, forte convivenza con la figura del proprio doppio, simpatia per la negritudine, esercizio dell'arte dell'insolenza. C'è nell'insolenza un'orgogliosa spontaneità che, rompendo con i vecchi canoni, trionfa per la sua prontezza su un nemico possente ma lento. Già dal primo momento gli shandy videro che nulla era più piacevole del fatto che la congiura portatile si convertisse nell'esaltazione spettacolare di quanto sorge e scompare con l'arrogante velocità del lampo dell'insolenza. Ne consegue che l'esistenza della congiura shandy, la cui principale caratteristica era quella di cospirare tanto per cospirare, fu di breve durata. Tre anni dopo la caduta di Varèse e la crisi nervosa di Belyj, esattamente a Siviglia nel giorno dell'omaggio a Góngora, anno 1927, il satanista Aleister Crowley, accompagnandosi con un gesto deliberatamente istrionico, sciolse la società dei portatili.

Ora, molti anni dopo che Crowley aveva messo in libertà l'aquila degli shandy, io sono in grado di affermare che la società portatile visse molto al di là dei lontani orizzonti della fantasia dei suoi membri. Fu il punto d'unione di quanti formarono una società segreta senza precedenti nella storia dell'arte.

Si parlerà in queste pagine di coloro che rischiarono parecchio, se non la vita perlomeno la follia, per realizzare opere nelle quali fu sempre presente il corno, la minaccia del toro, sotto l'una o l'altra forma. Conosceremo coloro che si adoperarono perché oggi si possano smascherare molto più facilmente tutti quelli che, come disse Hermann Broch, "non che siano cattivi scrittori, ma soltanto delinquenti".

Conosceremo coloro che resero possibile il romanzo della società segreta più allegra, più volubile e più svitata che poté mai esistere: scrittori turchi per il tanto tabacco e caffè che consumarono, liberi e deliranti eroi di quella battaglia perduta che è la vita, amanti della scrittura quand'essa si trasforma nella più divertente e radicale delle esperienze.

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Pagina 33

George Antheil viveva nell'appartamento di due stanze sovrastante la libreria ed era solito rientrare in casa attraverso la finestra scalando shandyanamente la facciata dell'edificio. Secondo quanto racconta Sylvia Beach nel suo mediocre libro di memorie, ogni venerdì i portatili si davano appuntamento nella libreria, e ogni tanto qualche nuovo membro entrava a far parte della società. Antheil era il maestro di cerimonia. E a quanto pare fu anche l'inventore del metodo per raccattare artisti portatili per le strade di Parigi. Per un anno intero Antheil si aggirò per le terrazze dei caffè di Montparnasse e di Saint-Germain, distribuendo in religioso silenzio e con gesti da cospiratore l'alfabeto manuale dei sordi. Con l'alfabeto erano accluse alcune istruzioni a prima vista incomprensibili: dodici frasi che avevano un significato soltanto per chi si fosse accorto che, leggendo in senso verticale la prima lettera di ciascuna delle dodici frasi, appariva questo indirizzo: SEPT RUE ODEON.

Inoltre la prima delle frasi, scritta in spagnolo, assumeva un certo interesse se qualcuno si prendeva la briga di leggere la parola che le maiuscole componevano: Si Hablas Alto Nunca Digas Yo.5

Vale a dire, SHANDY.

Bisogna tener presente che la parola shandy, più che un riferimento al libro di Laurence Sterne, era legata a un significato alcolico. A Londra lo shandy è una bevanda abituale consistente in una birra amara mescolata con limonata o con birra di zenzero. D'estate, bere una pinta di shandy con ghiaccio calma la sete.

Insomma, l'indirizzo di una casa in rue de l'Odéon e la parola shandy. Quelli che lo scoprivano, comprendevano che per misteriosi canali erano invitati a bere shandy in una casa. E così si affrettavano a curiosare nei dintorni del numero 7 di rye de l'Odéon. Una volta lì, Blaise Cendrars rivolgeva loro questa semplice domanda: "Lei è sordo?". "Sì," gli rispondevano generalmente. Allora Blaise Cendrars indicava la libreria di Sylvia Beach e con inconfondibile passo da cospiratore si allontanava lentamente sussurrando: "Come può vedere, non è al numero 7 ma al 12... Venerdì, alle otto, l'aspettiamo".

Tra gli shandy arruolati per la strada da Antheil e Cendrars si distinse, fin dal primo momento, Valery Larbaud, che fu il grande animatore delle prime giornate mondiali di sordi che ebbero luogo nella Shakespeare and Company.

Valery Larbaud era l'artista portatile per antonomasia. Infatti la sua sessualità era estrema e rifiutava radicalmente qualsiasi idea di suicidio. C'è poi da aggiungere che in lui c'era una forte convivenza con il suo doppio, la simpatia per la negritudine, un perfetto funzionamento di macchina celibe, la mancanza di grandi propositi, il coltivare l'arte dell'insolenza e la propensione a viaggiare con una valigetta contenente la sua non ponderosa opera.

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Pagina 45

Labirinto di odradek



È di tale intensità che rievoco sempre al presente quel ricordo. Seduto sulla terrazza di un caffè di Port Bou, mentre guarda il calar del sole dell'ultimo giorno dell'estate 1966, Marcel Duchamp mi parla della festa di Vienna, degli spari del negro Virgilio e della società shandy, di cui finora ignoravo completamente l'esistenza. La terrazza del caffè si trova vicinissima alla pensione dove, 27 anni fa, Walter Benjamin si vide costretto a togliersi la vita.

Bevendo pastis, Marcel Duchamp mi parla con commozione del forzato suicida, e mi spiega che la storia dei portatili avrebbe preso una strada ben diversa se non ci fosse stato il decisivo e provvidenziale intervento di Walter Benjamin in quel mattino nebbioso in cui gli shandy, fuggendo completamente disorientati dalla casa di Littbarski, si dispersero in una Vienna fantasmale nella quale l'improvvisa caduta di intonaco da un muro assumeva l'aspetto di un uomo in fuga, e le figure che il gelo componeva prendevano sembianze di volti irrigiditi.

In quei momenti di panico e di sbandamento, vedendo che gli shandy fuggivano in tutte le direzioni, e che questo poteva rendere enormemente difficoltoso il ritrovarsi, Walter Benjamin riuscì a dare un ordine di adunata generale a Praga; gridò loro di prendere alloggio in pensioni del quartiere di Gustav Meyrink e di cercare, attraverso fortuiti incontri stradali, di mettersi di nuovo in contatto fra loro.

Nessuno degli shandy dimenticò quell'ordine lanciato al volo in piena fuga disperata, e ciò permise la prosecuzione del viaggio shandy; un viaggio che chiaramente era uno spostarsi inutile, poiché non perseguiva nessun fine o un obiettivo determinato. Erano come pellegrini medievali per i quali l'essenziale era il viaggio in sé e per sé, e poco importava se fossero arrivati a Canterbury, a Gerusalemme oppure a Compostela. Il loro scopo era solo quello di viaggiare raccontandosi storie.

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Pagina 57

Così nacque la celebre Antologia negra, pubblicata due anni più tardi a Parigi e presentata come "un'opera di ricerca, arricchita da una breve, seppur intensa bibliografia (27 schede), che permette all'autore di riprodurre, per la prima volta in Europa, una serie di racconti che missionari ed esploratori sono andati trasmettendo oralmente tra di noi".

Al momento della sua apparizione (Au Sans Pareil, Paris 1927) tutta la critica francese cadde nella trappola e salutò l'opera come "la prima opportunità per il grande pubblico di conoscere la letteratura popolare africana", quando in realtà quel che il grande pubblico conobbe fu la letteratura africana inventata da Cendrars con l'aiuto della sua abilità a ripescare parole dalle storie che i suoi amici portatili raccontavano. Ma l'imbroglio passò completamente inosservato e l'inganno era così perfetto che ci fu persino una traduzione in spagnolo, curata nientemeno che da Manuel Azaña.

Una frode in piena regola. Per esempio, il tanto rinomato racconto Il morto e la luna, leggenda attribuita alla tribù sandè (attentamente studiata negli anni quaranta da Lacan in persona), non è altro che il risultato dell'associazione di immagini provocate dalle parole luna e morte, afferrate al volo da Cendrars su quanto gli aveva detto quella sera Rita Malú rivedendolo a Praga.

Rita Malú osservò che c'era luna piena e poco dopo gli confessò che negli ultimi giorni si era sentita vagamente folle, poiché, malgrado l'alta temperatura, lei continuava a sentire un freddo tremendo, come se fosse caduta su Praga una gelata di morte.

Luna e morte. Cendrars recepì solo queste due parole, e quando Rita Malú ebbe finito di parlare, la mise al corrente di ciò che lei, senza saperlo, aveva appena finito di creare. Tanto Rita Malú quanto il negro Virgilio e Meyrink, che in quel momento si era tuffato in una conversazione contro il romanzo e a favore dei racconti brevi, dei frammenti, dei prologhi, delle appendici e delle note a piè di pagina, tacquero affinché Cendrars narrasse loro la leggenda che si sarebbe tramutata nel primo racconto dell' Antologia negra.

"Un vecchio vede un morto sul quale cade il chiarore della luna. Riunisce un gran numero di animali e dice:

"- Chi di voi, o valorosi, è disposto a trasportare il morto o la luna all'altra riva del fiume?

"Due tartarughe si presentano: la prima, che ha le zampe lunghe, si carica della luna e arriva sana e salva alla riva opposta; l'altra, che ha le zampe corte, si carica del morto e affoga.

"Per questo la luna morta riappare tutti i giorni e l'uomo che muore non torna mai più."


Questa leggenda fu accompagnata dagli spari del cannone che annunciavano la rottura del manto di ghiaccio del fiume Moldava. Affascinato, Meyrink aveva chiuso gli occhi per ascoltare meglio la storia che Cendrars narrava. Ma al termine del racconto gli riuscì difficile riaprirli. Volti umani passavano in lunghe file dinanzi a lui, vedeva maschere di morti immobili, i suoi stessi antenati: uomini dai capelli lisci e corti, con scriminatura e con ricci, con lunghe parrucche e tupè arrotolati; maschere che, attraverso i secoli, giungevano fino a lui; lineamenti che gli apparvero sempre più familiari e che finirono per riunirsi tutti in un unico volto: quello del golem, con il quale si ruppe la catena degli antenati. L'oscurità si trasformò in uno spazio infinito e vuoto, al centro del quale stava la madre del genere umano.

Quando alla fine Meyrink poté riaprire gli occhi, comunicò ai presenti tutto quello che aveva visto. Cendrars trattenne unicamente le tre ultime parole ("la madre del genere umano") e le trasformò nel titolo e tema del secondo racconto della sua antologia. Un racconto che attribuì alla tribù mossi:


"Tre uomini compaiono davanti a Uendé per esporgli le loro necessità. Il primo dice: - Voglio un cavallo. Il secondo dice: - Voglio dei cani per cacciare nella foresta. Il terzo dice: - Voglio una donna per spassarmela.

"Uendé concede loro tutto: al primo, il cavallo; al secondo, i cani; al terzo, una donna.

"I tre uomini se ne vanno, ma sopraggiungono le piogge che li costringono a rimanere per tre giorni rintanati nella macchia. La donna fa da mangiare per tutti e tre. Gli uomini dicono: - Torniamo da Uendé. Ci vanno. Quindi tutti e tre gli chiedono donne. E Uendé acconsente a cambiare il cavallo in donna, e anche i cani in donne. Gli uomini si allontanano. Ma la donna che era un cavallo è gelosa; le donne che erano cani sono cattive; solo la prima donna, quella che Uendé aveva dato a uno di essi, è buona: è la madre del genere umano".

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"Qui, lontani dalla persecuzione del traditore e dei suoi accoliti, siamo entrati in una ventata di febbrile e straordinaria creatività. Tutto grazie a questo conato di tradimento. E anche in parte grazie all'ospitalità del padrone e direttore dell'Ospedale, che noi chiamiamo signor Marienbad perché non gradisce che il suo vero nome sia rivelato a nessuno.

"Non credo che ti piacerebbe conoscere Marienbad. Si tratta di un uomo sempre vestito a nuovo. Pessimo conversatore, ma chiacchierone instancabile. Porta una enorme barba scrupolosamente curata, che lo fa sembrare ancora più corpulento. Si nutre esclusivamente di latte cagliato, di riso al forno e di rotelline di banane con panna. Molto incline verso le donne, i suoi modi melliflui nascondono un temperamento brutale che però i suoi piedi piatti tradiscono, così come le sue unghie a spatola, il suo sguardo fisso e il suo perenne sorriso.

"Scienziato, uomo di mondo e ginnasta, frequenta i congressi internazionali scortato da certi suoi infermieri che, sotto la sua direzione personale, solitamente vincono tutti i primi premi nei concorsi di ginnastica. Marienbad è una specie di lavoratore demagogico, che non si stanca di scrivere grossi volumi, non portatili, in cui dice fesserie: però è abituato che non appena pubblica uno dei suoi scartafacci, immediatamente viene tradotto in varie lingue. Innumerevoli articoli sui giornali hanno reso celebre il suo nome e c'è da prevedere che con la nuova attività la Società Anonima Kafka acquisti ancor più fama.

"Inoltre Marienbad ama il denaro. Ho potuto sapere che diversi anni fa rapì sua moglie, una ricca ebrea deforme e gibbosa, cosa che gli valse molti milioni di dote con i quali mise su l'Ospedale internazionale. In ogni modo, anche se la sua sete di denaro è notevole, a noi consente di stare gratis nell'Ospedale. A volte, qualcuno di noi fa uno sforzo e gli racconta qualche storia, o semplicemente gli dà spago perché lui dia fiato alle sue sciocchezze. In questo modo, Marienbad è più che soddisfatto.

"È un perfetto imbecille, però la sua ospitalità ci sta venendo molto utile. Walter Benjamin, per esempio, ne ha approfittato per cominciare a lavorare al disegno di una macchina fantastica che sarà capace di individuare qualsiasi libro noioso e faticoso che non possa entrare, neppure miniaturizzato, in una valigetta.

"È una macchina molto complicata, provvista, a quanto ho potuto sapere, di congegni che francamente mi sono scarsamente familiari: lenti speciali, specchi focali, cerchietti di rame, cilindri ovoidali, borchie e fili metallici, aghi magnetici, viti e giugulari.

"Walter Benjamin è sicuro che in meno di un mese il disegno della macchina sarà completato. A quanto pare, il metodo di pesare testi consisterà nell'introdurre i libri in una trappola a forma cilindrica e lasciare che un'immensa lente rotonda gli dia un'occhiata. I libri che risultino portatili saranno immediatamente messi in libertà da un cilindro nero in apparenza pesante, il quale, sistemato in posizione verticale sul pavimento, sarà aureolato da una grossa lampada sferica di vetro su cui potrà leggersi CONTRO IL GRANDE STILE e dalla quale si diffonderà un chiarore azzurro, visibile in pieno giorno. La sensibile vibrazione macchinale farà sì che la lampada si spenga per qualche frazione di secondo, rivelando inequivocabilmente che il suo vetro non ha alcun colore e che la luce è azzurra di per se stessa. A sua volta, questa luce proietterà sulla sommità della macchina, e se possibile in 27 lingue, la scritta VIVA VERMEER, per salutare così affettuosamente i libri portatili appena liberati.

"D'altra parte, ho potuto sapere che Tristan Tzara ha cominciato a scrivere una storia portatile della letteratura abbreviata: un genere letterario che, secondo lui, è caratterizzato dal fatto di non avere un sistema da proporre, ma solo un'arte di vivere. In un certo senso, più che letteratura è vita. Per Tzara, il suo libro è l'unica costruzione letteraria possibile, l'unica trascrizione di chi non può credere né alla verosimiglianza della Storia né al carattere metaforicamente storico di qualsiasi romanzatura. Il libro offrirà bozzetti dei costumi e della vita degli shandy attraverso un mezzo più originale di quelli abitualmente adottati per il romanzo. Tzara pretende di coltivare il ritratto immaginario, quella forma di fantasia letteraria che nasconde una riflessione nel suo capriccio e uno sforzo nella sua ornamentazione.

"Devi anche sapere che Berta Bocado, spinta da repentina ambizione, sta cercando di costruire un libro assoluto, un libro dei libri che li contenga tutti come un archetipo platonico, un qualcosa che gli anni non sminuiscano. Come al solito la Bocado procede a ruota libera, per cui il suo libro sarà tutto meno che portatile.

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Pagina 100

Finalmente, nella luce chiara di una stanza sivigliana, sta consultando le ultime pagine di un volume che tiene aperto sul tavolo con la mano sinistra, ed è come se guardasse verso il bordo inferiore sinistro della fotografia; sorprendentemente appare molto più giovane di tre anni prima e dà l'impressione di aver raggiunto ormai la sua meta, di essere diventato un competente lettore di mappe stradali immaginarie, lungo le quali può andarsene felicemente alla deriva. È come se il suo sguardo vagasse ormai sperduto tra le ultime pagine di quel volume, dove avrebbe potuto incontrare la mappa della sua vita: un labirinto nel quale ogni rapporto con un congiurato shandy sarebbe stato come un ingresso nei meandri della città invisibile dei portatili. Uno spazio dove perdersi richiederebbe pratica, giacché l'arte del vagabondaggio per le strade dell'immaginazione rivela la vera natura della storia della città moderna e ci conduce alle porte di quell'edificio singolare dove vive l'ultimo shandy.

Si tratta di qualcuno che circonda la propria vita come se fosse uno spazio nel quale si può tracciare una mappa. Ed è quel qualcuno che già a Port Actif, nel fondare la società segreta, si considera un malinconico a cui la solitudine sembra l'unico stato umano appropriato: la solitudine nelle grandi metropoli o l'occupazione del vagabondo ozioso, libero di sognare da sveglio. Si considera un melanconico, perché è venuto al mondo sotto il segno di Saturno, che è la stella della rivoluzione più lenta, il pianeta degli smarrimenti e degli indugi. E sotto questo segno si perde, come buon vagabondo ozioso, nel labirinto di odradek, là dove lentamente si rompe il ghiaccio della Moldava.

Poiché la lentezza è una caratteristica del temperamento melanconico, a Trieste trascorre la sua giornata sulla sdraio, e quella lentezza si rivela per il modo che ha di leggere il mondo. Il melanconico, proprio perché ossessionato dalla morte, è colui che meglio sa leggere il mondo: anche se nel sottomarino la sua visione della morte gli fa percepire che è il mondo ad affidarsi al giudizio del melanconico.

A Siviglia, pensa che tanto più le cose sono senza vita, più potente e ingegnosa può essere la mente che le contempla: inerme davanti al disastro che si avvicina, il suo temperamento melanconico si galvanizza davanti alla passione che gli oggetti privilegiati risvegliano. Diventa collezionista di libri e di passioni, perché sa che la caccia di libri, come la caccia sessuale, arricchisce la geografia del piacere, e in ciò trova un'altra ragione per vagabondare per il mondo. Oltre che prime edizioni e libri di emblematica barocca, colleziona miniature: cartoline postali, bandierine, soldatini di piombo... L'amore per la miniatura sottintende il suo gusto per le espressioni letterarie brevi. La sua biblioteca è piena di libri brevi che evocano ricordi di città in cui ha imparato a conoscersi: Port Actif, Parigi, Palermo, New York, Vienna, Ajaccio, Praga, Trieste, Siviglia...

Praga, nella mappa. In questa città lo shandy apprende a viaggiare intorno alla sua stanza allorché, seduto alla sua scrivania e davanti alla pagina bianca, riceve la visita del suo odradek; chino sulle sue carte e in lotta con l'opera, lo shandy nota che sulla sua spalla si è posato un essere inferiore e oscuro: un odradek che attacca la sua anima, la stringe e la comprime, la ringiovanisce e, a suo modo, la rende di nuovo acerba. Da principio, lo shandy elude la violazione fingendo di non essere stato visitato da nessuno, ma subito comprende che quella violazione che sulla sua persona commette la semioscura inferiorità è la più acuta e creatrice delle violazioni: si arrende quindi al suo odradek, perché sa che si perderà con lui nel caos dal quale nascerà, alla fine, la letteratura portatile.

Palermo, nella mappa. In questa città, la vita dello shandy è il tracciato della morte. Mai andrà a Palermo, manderà qualcuno al suo posto: un emissario suicida che convertirà un hotel siciliano in luogo proibito nella memoria dei suoi giorni.

Parigi, invece, sarà la luce sottomarina dei giorni della sua formazione come portatile. Ponti d'argento sulla Senna, che collegano gli intricati percorsi di un viaggio che, attraverso le giornate parigine dell'apprendistato, lo condurrà verso un convoglio di stelle, e da questo di nuovo sulla terra e all'opaco niente di un insolente commiato a Siviglia.

Siviglia, senza mappa. In questo angolo del Sud l'ultimo shandy, che è un eroe saturnino, con le sue disgrazie, con le sue miniature, con le sue visioni provocatorie e la sua implacabile penombra, pensa che la propria intensità e attenzione di melanconico fissino limiti naturali alla lunghezza con cui può rendere esplicite le sue idee sulla letteratura e la vita, e decide di concludere il libro che sta scrivendo perché termini appena in tempo, prima di autodistruggersi. È la decisione di chi sa che l'autentico volto della Storia passa velocemente e che il passato si può trattenere solo come un'immagine che, come il lampo dell'insolenza, emette nell'istante stesso in cui possiamo vederla uno splendore che mai più tornerà a ripetersi.

Solo perché è morto, siamo capaci di leggere il passato. L'ultimo shandy sa che uno può capire la storia soltanto perché è feticizzata in oggetti fisici. Solo perché è un mondo uno può entrare in un libro. Per l'ultimo shandy, per il quale il suo libro è un altro spazio da percorrere, il vero impulso, quando lo osservano, è quello di abbassare gli occhi, guardare in un angolo, chinare la testa sul suo taccuino o, ancor meglio, nasconderla dietro il muro portatile dei suoi libri.

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