Copertina
Autore Massimo Vincenzi
Titolo Alan Turing e la mela avvelenata
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2012, Parole in scena 3 , pag. 62, bilingue, cop.fle., dim. 11,5x17x0,7 cm , Isbn 978-88-359-9133-5
PrefazioneCarlo Emilio Lerici
LettoreCorrado Leonardo, 2012
Classe teatro italiano
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Indice


Alan Turing e la mela avvelenata             9

Alan Turing and the poisoned apple          33


Una bella storia da raccontare
di Carlo Emilio Lerici                      59


 

 

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Pagina 9

ALAN: (canta nel buio)
    Vorrei vorrei un amore che
    Sia tutto, sia tutto per me per me
    Io sogno io sogno la felicità
    Che un giorno, che un giorno verrà verrà.

IL GIUDICE: La Regina contro Alan Turing. Possiamo procedere all'interrogatorio, fate entrare l'imputato.

ALAN: Mamma?! Mamma, dove sei? Fa freddo qui. È autunno ormai, e il freddo è arrivato all'improvviso. Ieri correvo lungo il fiume in maglietta e pantaloncini, e oggi un vento gelido mi costringe a coprirmi. E sono anche un po' triste. Lo so che ti può sembrare strano che mi metta a scriverti ma, come dicevi tu, alla fine maturano anche le zucche.

LA MADRE: Sì Alan, alla fine maturano anche le zucche... E così adesso ti metti a scrivere, tu che non hai mai letto le mie lettere, che le buttavi...

ALAN: È vero. Ma non lo facevo per disinteresse, o perché non ti volessi bene. Mamma, lo facevo perché avevo fiducia nelle tue capacità e nella tua forza. Le buttavo dicendo: tanto starà bene. Ne sono sempre stato convinto. Lo so, può sembrare orribile. Ma tu hai sempre capito i miei lati non proprio normali. Starai sorridendo ora pensandoci. Pensando ai miei lati non proprio normali, dico. Tipo quando lego la tazzina del tè al termosifone con un lucchetto e una catena robusta perché ho paura che qualcuno me la rubi quando io non ci sono. Ma guarda che non c'è niente di strano. Sapessi quante cose rubano nelle università e nei college. In America ancora più che da noi. E te le rubano così, con quel modo di fare che hanno loro. Passa uno e dice: ehi tu, prestami la tazzina che mi faccio un goccio. Prestami la tazzina? Un goccio? Mi vengono i brividi anche solo a pensarci. Altro che chiusa con un lucchetto, l'avrei messa in cassaforte se avessi potuto, la mia tazzina da tè. Lo so, lo so. Sorridi pure, mamma, sorridi...

LA MADRE: Come quella volta che mi hai chiesto di imbucarti la lettera per Babbo Natale. Te lo ricordi? Avevi 22 anni. Eri appena tornato da Cambridge, da noi c'era la zia. Ricordi la faccia che fece? La smorfia bianca di cipria. Rossa di vergogna.

ALAN: E la voce? Ma che fa, gioca il nostro professorino? Gioca? Io non gioco affatto, o forse gioco sempre. E poi non sono un professorino. Per questo non so dire se Babbo Natale esiste o no. E tu, zia, puoi dimostrare, in base ad espressioni algebriche perfette, che Dio veglia su di te ed è fatto a tua immagine e somiglianza? Tu hai idee così chiare sul tuo Dio da essere sicura che adesso, proprio adesso, il tuo Dio tra me e te sceglierebbe di portare in salvo te con lui in Paradiso?... Ma non dissi niente di tutto questo. Stavo imparando a tacere in quel periodo.

LA MADRE: Ma a me hai continuato a parlare di Babbo Natale. Mi hai detto che quell'anno per Natale avresti voluto un bell'orso di peluche.

ALAN: Ma non di quelli duri, con il muso duro, il pelo ruvido con le articolazioni rigide e lo sguardo fisso in un vuoto che sa di mummia. No mamma, quell'anno a Natale volevo un orso morbido, di quelli che di solito indossano un bavagliolo bianco con una scritta gialla: sono il re delle macchie. E hanno un muso che non puoi non parlarci. Stanno lì, ti ascoltano, giocano con te, ti consigliano. Insomma, come si fa a non capire quanto fosse importante per me e con quanta forza io desiderassi un orso di peluche.

LA MADRE: E infatti quell'anno Babbo Natale te ne portò uno bellissimo: lo avevi chiamato John.

ALAN: John... è stato con me quasi tutta la vita. L'ho perso in queste ultime settimane. Non so come sia stato possibile. Non so tante cose di queste ultime settimane. Mamma, non lo so quante, non lo so davvero... Scusami, ma mi devo coricare... solo qualche minuto. A presto.

IL GIUDICE: Alan Turing si alzi, metta la mano destra su questa Bibbia e giuri di dire la verità, tutta la verità; nient'altro che la verità. Dica: lo giuro.

ALAN: (canta nel buio) Metti il frutto nel veleno fino a quando ne sia pieno. Fatti bella per stregarla e per sempre addormentarla.

Siamo esseri malvagi che vagano disperati e affamati su questa Terra senza speranza. Il meglio a cui possiamo aspirare è navigare poco sotto la linea della cattiveria. No, mamma, non è la frase di una tragedia greca. È quello che ci dicevamo io e gli altri chiusi nelle nostre baracche durante la Guerra. Era bellissimo, anche se può sembrare da pazzi dirlo ora. Ma era bellissimo davvero: sembrava un film. E lo era per noi. Eravamo soldati, ma non correvamo nessun rischio.

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