Copertina
Autore David Foster Wallace
Titolo Infinite Jest
EdizioneFandango, Roma, 2000, Mine vaganti , pag. 1434, dim. 150x210x68 mm , Isbn 978-88-87517-10-1
OriginaleInfinite Jest
EdizioneLittle Brown and Co., USA, 1996
TraduttoreEdoardo Nesi, Annalisa Villoresi, Grazia Giua
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe narrativa statunitense
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Pagina 9

ANNO DI GLAD


Siedo in un ufficio, circondato da teste e corpi. La mia postura segue consciamente la forma della sedia. Sono in una stanza fredda nel reparto Amministrazione dell'Università, dei Remington sono appesi alle pareti rivestite di legno, i doppi vetri ci proteggono dal caldo novembrino e ci isolano dai rumori Amministrativi che vengono dall'area reception, dove poco fa siamo stati accolti io, lo zio Charles e il Sig. deLint.

Sono qui dentro.

All'altro lato di un grande tavolo in legno di pino che splende della luce del mezzogiorno dell'Arizona tre facce sono materializzate sopra giubbotti sportivi leggeri e Windsor a mezze maniche. Sono tre Decani - Ammissione, Affari Accademici e Affari Atletici. Non so attribuire le facce.

Credo di sembrare un tipo normale, forse perfino simpatico, anche se mi hanno consigliato di apparire il più normale possibile, e di non provare nemmeno a fare quella che a me parrebbe un'espressione simpatica o un sorriso.

Ho deciso di incrociare le gambe come si deve, con attenzione, caviglia sul ginocchio e mani riunite in grembo. Tengo le dita intrecciate e mi sembrano diventare una serie di X vista allo specchio. Il resto delle persone presenti nella sala include: il Direttore di Composizione dell'Università, l'allenatore di tennis, e il prorettore dell'Accademia, il Sig. A. deLint. C.T. è accanto a me; gli altri sono rispettivamente seduto, in piedi, in piedi, alla periferia del mio campo visivo. L'allenatore di tennis giochicchia con degli spiccioli. C'è qualcosa di vagamente digestivo nell'odore della stanza. La suola ad alta trazione della mia Nike regalatami dalla Nike è parallela al mocassino fremente del fratellastro di mia madre, qui nel suo ruolo di Preside, seduto anche lui davanti ai Decani a quella che spero sia la mia destra.

Il Decano sulla sinistra, un uomo magro e giallognolo il cui sorriso fisso ha la precarietà delle cose impresse su materiale non-cooperativo, fa parte di un tipo di personalità che di recente ho imparato ad apprezzare; è il tipo che, raccontando per me, a me, la mia versione dei fatti, allontana la necessità di una qualunque risposta da parte mia. Ha davanti a sé una pila di fogli scritti al computer appena passatigli da un Decano spelacchiato al centro, sta praticamente parlando a quelle pagine e sorride.

"Lei è Harold Incandenza. diciott'anni, conseguirà la maturità di scuola superiore approssimativamente entro un mese da oggi, attualmente frequenta l'Enfield Tennis Academy di Enfield, nel Massachusetts, il collegio presso cui risiede." Ha degli occhiali da lettura rettangolari, a forma di campo da tennis, con le righe in cima e in fondo. "Lei è, secondo l'Allenatore White e il Decano [incomprensibile], un giocatore di tennis juniores classificato a livello regionale, nazionale e continentale; un potenziale atleta di livello O.N.A.N.C.A.A., una grande promessa. È stato contattato dall'Allenatore White attraverso uno scambio di corrispondenza con il qui presente Dott. Tavis a partire dal... febbraio di quest'anno." Una volta letta, la pagina in cima alla pila viene metodicamente messa in fondo al mazzo. "Lei vive alla Enfield Tennis Academy dall'età di sette anni."

Sto cercando di capire se posso correre il rischio di grattarmi il lato destro della mascella, dove ho una cisti sebacea.

"L'Allenatore White fa presente ai nostri uffici di tenere in alta considerazione i programmi e i risultati conseguiti dall'Enfield Tennis Academy, dice che la squadra di tennis dell'Università dell'Arizona ha tratto beneficio dall'aver immatricolato in passato numerosi ex studenti E.T.A., uno dei quali è un certo signor Aubrey F. deLint, che sembra essere qui con lei, oggi. L'Allenatore White e il suo staff ci hanno convinto-"

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Non per niente Orin diceva che quaggiù la gente non fa altro che muoversi in branco da un posto con l'aria condizionata all'altro. Il sole è un martello. Sento che un lato della mia faccia sta cominciando a cuocere. Il cielo blu è lucido e gonfio di caldo, pochi cirrì sottili sfumano in ciocche vaporose. Il traffico non ha niente a che vedere con quello di Boston. La barella è del tipo speciale, con le cinghie. Lo stesso Aubrey deLint, che per anni avevo considerato una specie di mediocre soldataccio, si è inginocchiato accanto alla barella a tenermi la mano legata e mi ha detto "Sta' lì tranquillo, campione", prima di tornare nella mischia con gli amministrativi agli sportelli dell'ambulanza. È un'ambulanza speciale, e preferisco non sapere da dove sia stata mandata. A bordo, oltre ai paramedici, c'è anche una qualche specie di psichiatra. Gli assistenti mi sollevano con gentilezza e si vede che hanno familiarità con le cinghie. Il Dottore, la schiena appoggiata alla fiancata dell'ambulanza, gesticola pacatamente cercando di mediare tra i Decani e C.T., che continua a dare pugnalate verso il cielo con l'antenna del cellulare, ed è oltraggiato dal fatto che, senza alcuna ragione, io venga portato in ambulanza in qualche Pronto Soccorso, contro la mia volontà e i miei interessi. Viene dibattuta su due piedi la questione se le persone con danni cerebrali ce le abbiano o no una volontà e degli interessi, mentre una specie di caccia supersonico troppo in alto per esser udito affetta il cielo da sud a nord. Il Dottore alza le mani con calma e fa segno a tutti di calmarsi. Ha una grande mascella blu. All'unico altro pronto soccorso nel quale sono stato portato, quasi esattamente un anno fa, la lettiga psichiatrica era stata parcheggiata accanto alle sedie della sala d'attesa. Queste sedie erano di plastica arancione; tre erano occupate da persone che tenevano in mano dei flaconi di medicinali vuoti e sudavano abbondantemente. E già questo non era molto incoraggiante, ma seduta sull'ultima sedia in fondo, proprio accanto alla mia testa assicurata con le cinghie alla lettiga, c'era una donna in maglietta con la pelle legnosa e un berretto da camionista che aveva cominciato a raccontare, a me steso e legato e immobile, che durante la notte si era ritrovata con un repentino e anomalo gigantismo al seno destro, che chiamava tettina; aveva un accento del Québec quasi parodistico e prima che mi portassero via, mi aveva descritto per venti minuti buoni l'anamnesi e le possibili diagnosi della "tettina". Il movimento e la scia del jet ricordano un'incisione, come se dietro al blu del cielo ci fosse una carne bianca e continuasse ad allargarsi nel solco della lama. Una volta ho visto la parola KNIFE scritta col dito sullo specchio appannato di un bagno non pubblico. Sono diventato un infantofilo. Sono costretto a ruotare in alto o di lato gli occhi chiusi per evitare che la cavità rossa si infiammi per via della luce del sole. Il traffico in costante movimento sulla strada sembra dire "Silenzio, silenzio, silenzio". Quando il sole mi colpisce gli occhi vedo le macchie blu e rosse di quando si guarda una lampadina. "Perché no? Perché no? Perché non no, allora, se tutto ciò che riesce a dire è perché no?" È la voce di C.T. che viene meno per l'indignazione. Ora riesco solo a vedere le magistrali stilettate della sua antenna, al limite destro del mio campo visivo. Mi porteranno in una stanza di un Pronto Soccorso e mi ci terranno finché non risponderò alle domande e poi, quando avrò risposto alle domande, verrò sedato; quindi sarà il contrario del viaggio standard ambulanza-Pronto Soccorso: stavolta prima farò il viaggio e poi perderò conoscenza. Penso brevemente al defunto Cosgrove Watt. Penso al Terapeuta del Dolore ipofalangiale. Penso alla Mami che mette in ordine alfabetico le minestre in scatola nell'armadietto sopra al microonde. All'ombrello di Lui in Persona, appeso per il manico al bordo della scrivania nell'ingresso della Casa del Preside. La caviglia malandata non mi ha fatto male neanche una volta quest'anno. Rivedo John N.R. Wayne - che avrebbe vinto il WhataBurger di quest'anno - fare il palo, mascherato, mentre Donald Gately e io dissotterriamo la testa di mio padre. Non c'è dubbio che Wayne avrebbe vinto. E Venus Williams ha un ranch nella Green Valley, potrebbe benissimo venire a vedere le finali Under 18 Maschili e Femminili. Ne uscirò fuori in tempo per le semi di domani; ho fiducia nello Zio Charles. Il vincitore di stasera sarà quasi certamente Dymphna, che ha già sedici anni ma li compie due settimane prima della data limite del 15 aprile; e Dymphna sarà ancora stanco domani alle 0830h, mentre io, sedato, avrò dormito come un sasso. È la prima volta che affronto Dymphna in torneo, e non ho mai giocato con le palle sonore per i ciechi, ma mi è bastato guardarlo lottare negli ottavi con Petropolis Kahn, e so che è mio.

Comincerà nel Pronto Soccorso, al banco accettazioni se C.T. è in ritardo nel seguire l'ambulanza, o nella stanza con le mattonelle verdi che viene dopo quella con le macchine digitali invasive; oppure, visto che a bordo di quest'ambulanza c'è uno psichiatra, potrebbe perfino cominciare qui, durante il viaggio: il Dottore dalla mascella blu, pulito fino a raggiungere uno splendore antisettico, con il nome ricamato in corsivo sul taschino del camice bianco e una bella penna stilo, comincerà a fare domande al paziente in barella secondo il metodo Socratico, con tanto di eziologia e diagnosi, con ordine e punto per punto. Secondo l'O.E.D. VI, esistono diciannove sinonimi non arcaici di insensibile, nove dei quali di origine Latina e quattro Sassone. La finale di domenica la giocherò contro Stice oppure Polep. Forse di fronte a Venus Williams. Però alla fine, inevitabilmente, sarà qualche addetto non specializzato - un aiuto infermiere con le unghie rosicchiate, una guardia della Sicurezza ospedaliera, un precario Cubano stanco - che, mentre si affanna in qualche tipo di lavoro, guarderà in quello che gli parrà essere il mio occhio e mi chiederà: Allora, ragazzo, che ti è successo?

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Sto cominciando a capire che la sensazione degli incubi peggiori, una sensazione che si può avere sia nel sonno sia da svegli, è identica alla forma stessa di quegli incubi: l'improvvisa realizzazione intrasogno che l'essenza stessa, il nucleo degli incubi è sempre stato con te, accanto a te, anche da sveglio solo che... ti è sfuggito; poi quell'intervallo orribile tra il momento in cui capisci cosa ti è sfuggito e quello in cui volgi lo sguardo indietro e vedi che cosa è sempre stato lì, accanto a te, per tutto il tempo... Il tuo primo incubo lontano da casa e dalla famiglia, la tua prima notte all'Accademiia, avvenne così: Il sogno è che ti svegli da un sonno profondo, ti svegli e sei fradicio di sudore e terrorizzato e sopraffatto dalla sensazione innprovvisa che insieme a te in questa strana stanza buia di subdormitorio ci sia un distillato di puro male, e quell'essenza, quel nucleo di male, è proprio qui, ora, in questa stanza. Ed è lì solo per te. Nessuno degli altri ragazzini è sveglio; il letto sopra al tuo s'infossa immobile, morto; nessuno si muove; nessun altro nella stanza sente la presenza di qualcosa di radicalmente maligno; nessuno si rigira o si mette a sedere sul letto, fradicio di sudore; nessuno urla; qualsiasi cosa sia, non è il loro male. La luce della torcia elettrica, quella su cui tua madre ha scritto il tuo nome su un pezzetto di nastro coprente e ti ha sistemato in valigia con cura, gira per la stanza: il soffitto spiovente, i materassi a strisce grigie e il reticolato panciuto di molle nel letto di sopra, gli altri due letti a castello di un grigio diverso e opaco, i mucchi di libri e compact disk e cassette e attrezzatura da tennis; il tuo disco di luce bianca tremula come la luna sull'acqua passa sopra agli scrittoi identici, le nicchie dell'armadio a muro e della porta d'ingresso, le fessure nello stipite; illumina e perlustra gli infissi, il guazzabuglio gibboso delle ombre dei ragazzi addormentati sul muro bianco-sporco, i due scendiletto ovali sul pavimento di legno massiccio, le righe nere delle greche sul battiscopa, le crepe nelle veneziane che lasciano passare la non-luce violetta di una notte con la neve e appena un'unghia di luna; la luce della torcia con il tuo nome scritto in un corsivo materno si posa su ogni centimetro delle pareti, i reostati, il Cd, il poster InterLace di Tawni Kondo, la consolle telefonica, i TP sulle scrivanie, la faccia sul pavimento, i poster dei tennisti professionisti, il giallo semitraspareente dei paralumi sulle scrivanie, il motivo a piccoli fori dei pannelli sul soffitto, il reticolato di molle del letto soprastante, nicchie di armadio a muro e di porta, i ragazzi avvolti nelle coperte, la leggera crepa simile al corso di un torrente ora visibile nel soffitto sul lato est, il bordo con motivo a foglie d'acero alla giuntura fra il soffitto e le pareti nord e sud nessun pavimento ha una faccia la tua torcia l'ha mostrata ma non hai assolutamente visto le pupille dei suoi occhi messe di traverso e affusolate come quelle di un gatto l'inclinazione a \ / delle sopracciglia l'orrido sorriso pieno di denti che ha guardato di traverso proprio verso la tua luce per tutto il tempo in cui hai scandagliato la stanza oh mamma una faccia sul pavimento mamma oh e il fascio di luce della tua torcia si muove a scatti per ritrovare la faccia che ti era sfuggita la manca torna indietro e infine si ferma su ciò che avevi sentito ma avevi visto senza vedere, un momento fa, proprio mentre facevi scorrere la luce tanto attentamente e guardavi, una faccia sul pavimento là per tutto il tempo, non sentita da tutti gli altri né vista da te fino a che non hai capito che c'era e non doveva stare lì ed era il male: il Male.

E poi la sua bocca si apre nella tua luce.

E poi ti svegli in quello stato e tremi come la pelle di un tamburo percosso, disteso, sveglio e tremante, e chiami a raccolta coraggio e saliva e ti giri sul fianco destro proprio come nel sogno per prendere la torcia col tuo nome che sta sul pavimento accanto al letto perché non si sa mai, e rimani disteso sul fianco e mandi la luce dappertutto, proprio come nel sogno. Rimani disteso a far girare la luce, a guardare, tutto costole e gomiti e occhi dilatati. Nella realtà il pavimento è pieno di magliette e pantaloncini sporchi e altra roba da tennis, è di legno chiaro, ci sono due scendiletto, il nudo legno incerato splende nella luce nevosa delle finestre ed è neutro, senza faccia, non vedi nessuna faccia sul pavimento mentre sei sveglio, disteso, senza faccia, svuotato, dilatato, e punti ancora e ancora punti il raggio di luce sul pavimento, non sei sicuro per tutta la notte per sempre non sarai sicuro che non ti sarà sfuggito qualcosa che è proprio li: rimani lì disteso, sveglio e quasi dodicenne, e credi con tutto te stesso.

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Pagina 112

Mario è un fan sfegatato di Gerhardt Schtitt, ma la maggior parte degli altri ragazzi dell'E.T.A. lo considera probabilmente fuori di testa, e rincitrullente per via della sua logorroicità, e se mostrano al vecchio saccentone un rispetto di facciata lo fanno solo perché Schtitt continua a sovrintendere personalmente all'attribuzione quotidiana degli allenamenti e, se viene indispettito, può far sì che Thode e deLint mettano i ragazzi in grandi difficoltà durante gli allenamenti mattutini.

Una delle ragioni per cui il defunto James Incandenza era stato così deciso nel voler portare Schtitt all'E.T.A. era che Schtitt, come lo stesso fondatore (approdato al tennis e più tardi al cinema da un background di studi di matematica pura applicata alla scienza ottica), era che Schtitt affrontava il tennis agonistico più da matematico puro che da tecnico del gioco. Gran parte degli allenatori di tennis juniores sono sostanzialmente dei tecnici, degli sbrigativi praticoni che pensano di poter risolvere ogni problema con le statistiche, con un po' di psicologia da quattro soldi e un mucchio di chiacchiere motivazionali. Riguardo al non credere granché nelle statistiche, fu Schtitt che, nel lontano 1989 a.S. durante una convention della U.S.T.A. sull'adozione del Giudice di Linea Fotoelettrico, aveva spiegato a Incandenza che lui, Schtitt, sapeva che il vero tennis non era fatto da quella mistura di ordine statistico e potenziale espansivo che veneravano i tecnici del gioco, ma ne era anzi l'opposto - non- ordine, limite, i punti in cui le cose andavano in pezzi e si frammentavano nella bellezza pura. Che il vero tennis non era più riducibile a fattori delimitati o a curve di probabilità di quanto lo fossero gli scacchi o la boxe, i due giochi di cui è un ibrido. In breve, Schtitt e il pennellone dell'ottica A.E.C. (cioè Incandenza), a cui il suo fiero approccio servizio-volée aveva fatto fare di corsa e ben pagato tutto il M.I.T. e il cui rapporto di consulenza sul controllo fotoelettrico ad alta velocità era stato trovato incomprensibile dai capoccioni dell'U.S.T.A., si trovarono perfettamente d'accordo sull'esentare il tennis dalla regressione a puro elenco di dati statistici. Fosse ancora tra i viventi, il Dott. Incandenza descriverebbe ora il tennis nei termini paradossali di ciò che viene adesso chiamata "Dinamica Extra-Lineare". E Schtitt, le cui nozioni di matematica formale sono probabilmente equivalenti a quelle di un puericultore Taiwanese, sembra tuttavia sapere ciò che Hopman e van der Meer e Bollettieri sembrano ignorare: e cioè che individuare la bellezza e l'arte e la magia e il miglioramento e le chiavi dell'eccellenza e della vittoria nel complesso flusso di una partita di torneo non è una questione frattale di mera riduzione del caos a forma. Sembrava sentire intuitivamente che non era una questione di riduzione ma - perversamente - di espansione, il fremito aleatorio della crescita incontrollata e metastatica - ogni palla ben colpita ammette n possibili risposte, 2^n ossibili risposte a queste risposte, e così via fin dentro a quello che Incandenza avrebbe definito per chi condividesse entrambe le sue aree di sapere un continuo Cantoriano di infinità di possibili colpi e risposte, Cantoriano e bello perché capace di crescere eppure contenuto, un'infinità di infinità di scelte ed esecuzioni, matematicamente incontrollata ma umanamente contenuta, delimitata dal talento e dall'immaginazione di se stessi e dell'avversario, ripiegata su se stessa, dalle frontiere date dall'abilità e dall'immaginazione che infine fanno soccombere uno dei giocatori, che impediscono a entrambi di vincere, che finiscono col fare di tutto questo un gioco, queste frontiere del sé.

"Cioè le linee di delimitazione del campo sono frontiere?" prova a chiedere Mario.

"Lieber Gott nein," con un suono plosivo di disgusto. Schtitt preferisce fare figure di fumo piuttosto che i classici anelli, e non è che sia bravo, così crea delle specie di tremolanti hot dog color lavanda che Mario trova deliziosi.

Ecco cosa c'è da dire di Schtitt: come la maggior parte degli Europei della sua generazione, ancorato com'è sin dall'infanzia a certi valori permanenti che - sì, OK, d'accordo - possono, ammettiamolo, avere un pizzico di potenziale protofascista, ma che comunque (i valori) ancorano mirabilmente un'anima e il corso di una vita - roba patriarcale del Vecchio Mondo come onore e disciplina e fedeltà a una qualche entità più grande - Gerhardt Schtitt non tanto disapprova i moderni Stati Uniti d'A. O.N.A.N.iti, quanto invece li considera esilaranti e spaventevoli allo stesso tempo. Forse più che altro semplicemente alieni. Questa cosa non andrebbe esposta in questo modo, ma Mario Incandenza ha una gamma estremamente limitata di ricordi verbatim. Schtitt si è formato ai Gymnasium pre-Unificazione secondo l'idea piuttosto Kanto-Hegeliana che l'atletica juniores fosse poco più che un addestramento ad essere cittadini, che l'atletica juniores fosse imparare a sacrificare i ristretti e impetuosi imperativi del Sé - i bisogni, i desideri, le paure, gli aneliti multiformi della volontà appetitiva individuale - ai più importanti imperativi di una squadra (OK, lo Stato) e a un insieme di regole precise (OK, la Legge). Tutto questo sembra quasi spaventosamente semplicistico, ma non per Mario che ascolta dall'altra parte del tavolo di legno da picnic. Apprendendo, in palestra, le virtù che danno i loro frutti nei giochi di competizione, il ragazzo ben disciplinato comincia ad assemblare le qualità che più lo allontanano dalla gratificazione, le più astratte e necessarie per essere un "giocatore di squadra" in un'arena più vasta: il caos morale ancora più sottilmente diffratto dell'essere cittadino a pieno diritto di uno Stato. Solo che Schtitt dice Ach, ma come si fa a credere che questo addestramento possa assolvere il proprio scopo in una nazione experialista, che esporta i suoi rifiuti, che sta dimenticando la privazione e la durezza e la disciplina che la durezza insegna a ritenere necessaria? Gli Stati Uniti di una moderna America dove lo Stato non è una squadra o un codice ma una specie di intersezione abborracciata di desideri e paure, dove l'unica forma di consenso pubblico a cui il ragazzo ben disciplinato deve arrendersi è la supremazia riconosciuta della ricerca diretta di quest'idea miope e piatta della felicità personale:

"Il piacere felice della persona sola, sì?"

"Ma allora perché lasci che deLint leghi le scarpe di Pemulis e di Shaw alle linee, se le linee non sono frontiere?"

"Senza le linee c'è qualcosa di più grande. Niente che contenga o dia significato. Solitario. Verstiegenheit."

"Salute."

"Qualunque qualcosa. Il cosa: questo è più ininfluente del fatto che ci sia un qualcosa."

[...]

E poi, anche, ancora, di nuovo, cosa sono quelle frontiere se non le linee di fondocampo, che contengono e dirigono verso l'interno l'infinita espansione del gioco, che rendono il tennis simile agli scacchi in movimento, un gioco bello e infinitamente denso?

La grande intuizione di Schtitt, sua grande attrattiva agli occhi del defunto padre di Mario: Il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C'è sempre e solo l'io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall'altro lato della rete: lui non è il nemico: è più il partner nella danza. Lui è il pretesto o l' occasione per incontrare l'io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l'io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco: fai breccia nei tuoi limiti: trascendi: migliora: vinci. Ecco la ragione per cui il tennis è l'impresa essenzialmente tragica del migliorare e crescere come juniores serio mantenendo le proprie ambizioni. Si cerca di sconfiggere e trascendere quell'io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. È tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all'infinito.

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Troeltsch tiene salotto nella stanza sua, di Pemulis e di Schacht nel Subdormitorio C, in posizione supina ma sollevata da tutti e due i suoi guanciali più uno di quelli di Schacht, mentre il vaporizzatore scoppietta e uno dei suoi ragazzi gli tiene i Kleenex a portata di mano.

"Ragazzi, la cosa più importante è la ripetizione. Dall'inizio alla fine, sempre. È ascoltare le stesse storie motivazionali all'infinito finché il loro puro peso ripetitivo le fa sprofondare nelle budella. È fare sempre le stesse aperture e le stesse chiusure e gli stessi colpi, alla vostra età conta solo la ripetizione, i risultati vanno lasciati in secondo piano perché non cacciano mai nessuno sotto i quattordici anni per scarsi risultati; dovete ripetere gesti e movimenti finché il peso accrescitivo delle ripetizioni fa sprofondare in basso i movimenti stessi, oltre la coscienza fino nelle regioni più interne, e attraverso la ripetizione sprofondano e imbevono l'hardware, la C.P.U. Vanno a far parte del linguaggio-macchina, della parte autonoma che vi fa respirare e sudare. Non è per caso se si dice che qui Mangiate, Dormite, Respirate tennis. Sono cose autonome. Per accrescitivo intendo l'accumulare attraverso gesti ripetuti senza intervento della mente. Il linguaggio-macchina dei muscoli. Fino a che riuscite a giocare senza pensarci. A circa quattordici anni, anno più anno meno. Fatelo e basta. Non state a pensare se c'è un senso. Certo che non c'è un senso. Il senso della ripetizione è che non c'è senso. Aspettate fino a quando imbeve il vostro hardware e poi vedrete come vi si libera la testa. Una volta che avrete assorbito la meccanica, si libererà un sacco di posto nella vostra testa. La meccanica del gioco farà parte di voi, sarà connessa all'hardware. Questo libera la testa nel modo più sorprendente. Aspettate che accada. E mentre giocate comincerete a pensare in modo del tutto diverso. È come se ce l'aveste dentro, il campo da tennis. La palla smette di essere una palla. La palla comincia ad essere una cosa che voi sapete dove dovrebbe essere in aria, a ruotare. E lì cominceranno a starvi addosso con la concentrazione. In questo momento dovete concentrarvi per forza, non c'è scelta, non fa ancora parte del vostro linguaggio-macchina, dovete pensarci ogni volta che lo fate. Ma aspettate fino ai quattordici o quindici anni. Allora sarete arrivati a uno dei cosiddetti plateaus cruciali. Quindici anni, al massimo. Poi comincia la storia della concentrazione e del carattere, e allora ti stanno davvero col fiato sul collo. Questo è il plateau cruciale dove comincia a contare il carattere. Focalizzazione, autocoscienza, il chiacchiericcio nella testa, le voci schiamazzanti, la sindrome da soffocamento, la paura di tutto ciò che non è paura, l'immagine di sé, i dubbi, la riluttanza, gli omettini stronzi con le labbra serrate dentro la vostra mente a ridacchiare della vostra paura e dei vostri ùubbi, le crepe nell'armatura mentale. Adesso queste cose cominciano a importare. Possono cominciare già a tredici anni. Lo staff si concentra sulla fascia dai tredici ai quindici anni. Che in molte culture è poi l'età dei riti di virilità. Pensateci. Fino ad allora, ripetizione. Fino ad allora potreste benissimo essere macchine, qui, per come la vedono. State solo attraversando i gesti. Pensate alla frase: Attraversare I Gesti. Li state connettendo alla motherboard. Per adesso non sapete quanto buona è la vostra motherboard."

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Figliolo, tu hai dieci anni, una notizia dura da digerire per chi ha dieci anni, anche se sei quasi 1 metro e 60, una possibile anomalia ipofisaria. Figlio, sei un corpo, figlio. Quella tua piccola mente svelta e prodigiosamente scientifica di cui lei va così fiera e della quale non smette mai di cicalare: figlio, sono solo contrazioni di nervi, quei pensieri nella tua mente sono solo i suoni della testa che funziona, e comunque la testa non è altro che corpo, Jim. Fissa questo nella memoria. La testa è corpo. Jim, tienti forte alle mie spalle e preparati a questa notizia tremenda, a dieci anni: sei una macchina un corpo un oggetto, Jim, non meno di questa rutilante Montclair, di quel tubo per l'acqua o quel rastrello per rastrellare la ghiaia o, buon Gesù, questo schifoso ragno grasso che si flette nella sua ragnatela vicino al manico del rastrello, lo vedi? Lo vedi? Latrodectus mactans, Jim. Vedova. Afferra questa racchetta e vai là con tutta la grazia e il sentimento e uccidimi quella vedova, signorino Jim. Avanti. Falle dire "crac". Non farti fregare. Bravo ragazzo. Eccoci in una sezione senza ragni del garage comune. Ah. Corpi corpi corpi dappertutto. Una palla da tennis è il corpo estremo, ragazzo. Siamo arrivati al punto cruciale di quel che devo provare a insegnarti prima di uscire e cominciare a mettere in atto quel tuo spaventoso potenziale. Jim, una palla da tennis è il corpo estremo. Perfettamente rotonda. Equa distribuzione della massa. Ma è vuota dentro, completamente, un vuoto pneumatico. Suscettibile alla fantasia, all'effetto, alla forza - a seconda che sia usata bene o male. Riflette il tuo carattere. Di per sé non ne ha. Puro potenziale. Dai un'occhiata a una palla, Jimmy. Prendine una dal secchio di plastica verde pieno di vecchie palle usate che tengo laggiù, accanto alle torce a gas propano, quelle che uso per esercitarmi al servizio ogni tanto. Bravo, ragazzo. Adesso guarda la palla. Sollevala. Sentine il peso. Dammi qui, adesso apro... la palla... in due. Ecco fatto. Vedi? Niente dentro, tranne l'aria evacuata che sembra venire direttamente da un inferno di gomma, da quanto puzza. Vuoti. Puro potenziale. Hai notato che l'ho spaccata lungo la giuntura. È un corpo. Imparerai a trattarla con considerazione, ragazzo, qualcuno potrebbe dire con una specie d'amore, e lei si aprirà per te, eseguirà i tuoi ordini, starà sempre ai voleri come una dolce amante. La marcia in più dei giocatori davvero grandi, quelli con i corpi in perfetta forma che offuscano tutti gli altri, sta in un rapporto particolare con la palla che viene definito - tieni a mente la saracinesca del garage e la graticola - tocco. Tocca la palla. Sì, quello è... è il tocco di un giocatore quello che vedo. E come con la palla così dev'essere con quel grosso corpo goffo, troppo magro e troppo alto, Sig. Jimmy. Lo preannuncio qui su due piedi. Intuisco come applicherai le lezioni di oggi a te stesso in quanto come corpo fisico. La farai finita con la testa portata a livello del petto, con le spalle ingobbite e tonde. Basta inciampare. Hai chiuso con le prese mancate, i piatti in frantumi, i paralumi urtati, le spalle ingobbite e il petto incavato, gli oggetti più normali che sembrano muovertisi in quelle mani grandi, quelle dita sottili. Immagina come ci si sente ad essere questa palla, Jim. Fisicità totale. Niente testa che frulla. Completa presenza. Assoluto potenziale immobile e potenzialmente assoluto nella tua grossa mano pallida, sottile ed effeminata, tanto giovane che il pollice non fa ancora le pieghe sull'articolazione. Il mio pollice fa le pieghe sull'articolazione, Jim, lo si potrebbe definire nodoso. Dà un'occhiata a questo pollice. Eppure lo tratto ancora come mio. Gli do quel che gli è dovuto. Vuoi un goccio di questo, figliolo? Penso che tu sia pronto per un goccio. No? Nein? Oggi Lezione Uno là fuori, e tu, nella buona e nella cattiva sorte, diventi un uomo, Jim. Un giocatore. Un corpo in contatto con i corpi. Un timoniere alla guida del tuo stesso vascello. Una macchina che esce dallo spirito, per citare una frase. Ah. Dieci anni, abnormemente alto, farfallino al collo, lenti spesse, un cittadino del... bevo questo, a volte, quando non lavoro, perché mi aiuta ad accettare quelle verità dolorose che ormai è tempo ti racconti, figliolo. Jim. Sei pronto? Te ne parlo adesso perché devi sapere quanto sto per dirti se devi diventare il giocatore di tennis più che quasi-grande che so finirai per diventare molto presto. Tienti forte. Figlio, preparati. È glo... gloriosamente doloroso. Magari per adesso solo un assaggio. Questa fiaschetta è d'argento. Trattala con la dovuta cura. Sentine la forma. La sensazione semi-morbida dell'argento caldo e la guaina di vitello che copre solo metà della sua argentea lunghezza, piatta e smussata. Un oggetto che ripaga un tocco rispettoso. Senti il calore scivoloso? Quello è il sudore delle mie dita. Il mio sudore, Jim, dal mio corpo. Non la mia mano, figliolo, senti la fiaschetta. Sollevala. Arriva a conoscerla. È un oggetto. Un recipiente. Una fiaschetta da un litro piena di liquido ambrato. Per la verità più mezza piena che piena, sembra. Così sembra. Questa fiaschetta è stata trattata con la cura dovuta. Non è mai stata fatta cadere né urtata né riempita eccessivamente. Mai una goccia fuori posto, non una sola goccia versata. La tratto come se potesse sentire. Le do quanto le è dovuto, come corpo. Svita il tappo. Tieni la guaina di vitello nella mano destra e usa la mano sinistra per sentire la forma del tappo, lasciala vagare lungo la filettatura. Figliolo... figliolo, dovrai mettere giù quel... che cos'è quello quel Guida Columbia agli Indici Rifrattivi Seconda Edizione, figliolo. Comunque sembra pesante. Ti stirerà i tendini. Ti fotterà i pronatori quadrati e i circostanti tendini prima ancora che cominci. Dovrai mettere giù quel libro, per una volta, signorino Jimmy, non si prova mai a maneggiare due oggetti allo stesso tempo senza eoni di pratica e cura, è segno di scarsa, Brandesca consi... e no non devi lasciar cadere il libro, figliolo, non è che tu... non devi lasciar cadere la vecchia Guida agli Indici sul pavimento polveroso del garage sennò quella fa scoppiare un'eruzione quadrata di polvere che ci sporcherà di grigio i nostri bei calzini bianchi ancor prima di mettere piede in campo, ragazzo, Gesù, ho passato gli ultimi cinque minuti a spiegarti come la chiave per essere un potenziale giocatore stia nel trattare le cose con la stessa identica... via dammi qua... i libri non vanno lasciati cadere con un tonfo come bottiglie in un cesto della spazzatura, vanno appoggiati, guidati, con i sensi a mille, sentendone i bordi, la pressione sui polpastrelli di entrambe le mani mentre ti pieghi sulle ginocchia reggendo il libro, il lieve urto gassoso quando l'aria sul pavimento polveroso... quando l'aria del pavimento si dispone in un morbido quadrato che non solleva un granello di polvere. Coooosì. Non così. Chiaro? Mi capisci? Be, adesso non fare così. Figliolo, non fare così adesso. Non essere così ipersensibile con me, figliolo, sto solo cercando di aiutarti. Figliolo, Jim, non sopporto quando fai così. Il tuo mento scompare letteralmente nel farfallino quando il tuo grosso labbro inferiore trema in quel modo. Sembri senza mento, figliolo, e coi labbroni. E quella candela di moccico che ti sta colando sul labbro superiore, il modo in cui luccica, smettila per favore, smettila, è disgustoso, figliolo, non sta bene disgustare la gente, devi imparare a controllare questa specie di ipersensibilità alle verità difficili, questa specie di cosa, prendi ed esercita un po' di maledetto controllo questo è il punto, è per questo che mi sto prendendo l'intera mattina libera dalle prove con non una ma ben due audizioni di importanza vitale che mi pendono sul collo, così ti posso far vedere, ho in mente di lasciarti spostare il sedile e toccare il cambio e magari perfino... magari perfino guidare la Montclair, e Dio solo sa se ci arrivi con i piedi, eh Jimmy? Jim, ehi, che ne dici di guidare la Montclair? Perché non ci porti a fare un giro, a cominciare da oggi, e accosti di fronte ai campi da tennis dove oggi tu - ecco, guarda, vedi come lo svito? il tappo? con la punta più estrema e morbida delle mie dita nodose che vorrei fossero un po' più ferme però sto esercitando il controllo per controllare la rabbia per quel mento e il labbro e il promontorio di moccio e per quegli occhi che s'inclinano e stralunano come quelli di un bambino mongoloide quando minacci di metterti a piangere, ma proprio solo la punta delle dita, qui, sulla parte più sensibile, le sento celebrare i nervi e il sangue, lascio che si distendano... dalla cima estrema del tappo sulla fiaschetta di argento tiepido verso il basso, seguendo la dilatazione del cono, fin dove incontro, celati, i filetti che circondano la piccola bocca in rilievo; nel frattempo con l'altra calda mano celebrante stringo gentilmente il rivestimento di pelle così da sentire la sensazione dell'intera fiaschetta mentre guido... guido il tappo in cerchio sulla sua filettatura d'argento, lo senti? smettila e ascolta, riesci a sentirlo? il suono dei filetti che si muovono lungo le scanalature perfettamente compatibili, con grande cura, un fluido movimento elicoideo come quello di un'insegna da barbiere, la mia intera mano che copre le impronte lasciate dalla punta dei polpastrelli, non tanto... non tanto svitando, qui, quanto guidando, persuadendo, ricordando al corpo del tappo d'argento ciò per cui è stato costruito, il suo scopo, il tappo d'argento lo sa, Jim, io lo so, tu lo sai, ci siamo già passati, lascia stare il libro, ragazzo, non va da nessuna parte, allora, il tappo d'argento lascia le calde labbra scanalate sulla bocca della fiaschetta con un piccolo schiocco, lo senti? quel debolissimo schiocco? non un suono penetrante o stridulo o aspro, non un aspro stridore Brandesco di tentato brutale dominio, ma uno schiocco una... sfumatura, ecco, ah, oh, come il poc per sempre inconfondibile, quando lo si è sentito una volta, di una palla colpita come si deve, Jim, d'accordo, tiralo su allora se hai paura di un po' di polvere, Jim, tira su quel libro se ti deve lasciare senza mento e con gli occhi stralunati, onestamente, Gesù, perché ci sto provando, ci provo e ci riprovo, volevo solo iniziarti al segreto della porta del garage e lasciarti guidare, magari, e sentire il corpo della Montclair, usare il mio tempo per farti accostare davanti ai campi da tennis, la Montclair che plana in folle e gli otto cilindri che tamburellano e schioccano come un cuore sano e le ruote perfettamente a filo del marciapiede e portar fuori la mia buona vecchia fidata cesta... la cesta del bucato piena di palle e racchette e asciugamani e la fiaschetta e mio figlio, la carne della mia carne, la bianca carne accasciata della mia carne che voleva imbarcarsi in quella che fin d'ora preannuncio sarà una carriera tennistica che spedirà in un angolino il suo vecchio Papà fallito e distrutto che magari per una volta voleva essere un ragazzo come si deve e imparare a giocare divertendosi e sentendosi felice a giocare nel sole senza scampo per il quale questa città è così fottutamente famosa, e godersela finché può perché te l'ha detto tua madre che questa primavera traslochiamo? Che alla fine torniamo in California questa primavera? Ce ne andiamo, figliolo, sto provando a dare ascolto per l'ultima volta a quel canto della sirena di celluloide, le sto concedendo l'ultima chance assoluta che ogni uomo deve al proprio talento che svanisce, Jim, ci aspettano nuovamente tempi eroici, alla fine, per la prima volta da quando lei ha annunciato che era incinta di te, Jim, lanciati sulla strada sospinti dalla celluloide, perciò di' adios a quella scuola e a quella falena svolazzante della tua insegnante di fisica, e a quei maniaci del regolo calcolatore goffi e senza mento dei tuoi amici buoni a... no aspetta un momento, non volevo dire così, volevo dire, volevamo dirtelo subito, in anticipo, tua madre e io, per darti un bel preavviso così che potessi adattarti perché, certo, hai reso così inequivocabilmente chiaro quanto ti dispiaceva il nostro ultimo trasloco in questo parcheggio per roulotte, in questa casa mobile con il gabinetto chimico avvitato al pavimento e le ragnatele di vedova da tutte le parti e la sabbia che si posa dappertutto come polvere, e, certo, preferivi gli appartamenti riservati allo staff del Club dai quali ho fatto in modo che si andasse via, e quella casa che, indiscutibilmente per mia colpa, non ci potevamo più permettere. È stata colpa mia. Voglio dire, di chi altro poteva essere? Ho ragione? Abbiamo spostato il tuo grosso corpo morbido senza sufficiente preavviso, a quanto pare, e quella scuola tanto per bene per la quale hai pianto e quella bibliotecaria esperta di ricerche sui Negri con i capelli lunghi fin qua che... quella signora che se ne stava sempre a naso in aria e in punta di piedi devo dirtelo sembrava una Tucsoniana proprio precisa, molto conscia di sé ma per niente di questa sabbia e ci incitava a virgolette alimentare il tuo talento per la fisica ottica, con quel naso ritto che ci si poteva vedere dentro e sempre in punta di piedi come se un pescatore l'avesse agganciata all'amo fra quelle grosse narici larghe da pesciolino e ora la stesse tirando verso il cielo su nell'etere poco a poco scommetto che quelle scarpine senza tacco ormai sono del tutto sollevate da terra figliolo che ne dici figliolo che cosa ne pensi... no, avanti, piangi, non ti inibire, non dirò una parola, tranne che ci faccio sempre meno caso quando lo fai, voglio solo avvertirti, penso che tu stia abusando delle lacrime e il... e comincia a diventare meno effi... efficace con me ogni volta che le usi anche se sappiamo lo sappiamo tutti e due che con tua madre funzionerà sempre, non è vero, infallibile, ogni volta lei si fa avanti e si porta la tua grossa testa sulla spalla, una visione oscena se solo potessi vederla, giù a darti colpetti sulla schiena come se stesse sollecitando un ruttino da una specie di bebè accasciato e sproporzionato con quell'osceno farfallino, con quel libro che ti affatica i pronatori quadrati, e piangi; farai così quando sarai grande? Ci saranno altri episodi come questo quando sarai un uomo al timone di te stesso? Un cittadino di un mondo che non ti abbraccerà di certo? E la tua faccia si accartoccerà così quando sarai alto 1,98 grotteschi metri, 2 metri e più come tuo nonno che possa marcire nel vuoto gommoso dell'inferno quando finalmente si deciderà a prendere l'ultima buca e metterai quella tua faccia piatta e senza mento proprio come lui sulla spalla sofferente, bagnata, moccolosa e fragile di quella povera scema paziente di una donna, ti ho detto quello che ha fatto? Ti ho detto quello che ha fatto? Avevo la tua età Jim ecco prendi la fiaschetta no dammela qui, oh. Oh. Avevo tredici anni e avevo iniziato a giocare bene, seriamente, avevo dodici o tredici anni e giocavo già da anni e lui non era mai venuto a vedermi, neppure una volta era venuto dove giocavo, per vedermi, e addirittura non aveva mai modificato quella sua espressione spenta quando portavo a casa un trofeo vincevo trofei io o magari un annuncio sul giornale RAGAZZO DI TUCSON SI QUALIFICA PER CAMPIONATO JUNIORES NAZIONALE lui non dava mai segno [...]

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Se in virtù di carità o disperazione doveste mai trovarvi a passare del tempo in una struttura statale di recupero da Sostanze come la Ennet House di Enfield MA, verrete a sapere molte cose nuove e curiose. Scoprirete che se il Dipartimento dei Servizi Sociali del Massachusetts ha portato via i figli a una madre per un qualunque periodo di tempo, questo dà loro il diritto di rifarlo di nuovo praticamente a loro piacimento, d'ufficio, autorizzati da un semplice foglio con firma prestampata. In altre parole, una volta dichiarata Interdetta - non importa perché o quando, o che cosa sia intervenuto nel frattempo - non c'è nulla che una madre possa fare.

O, per esempio, che le persone dipendenti da una Sostanza che smettono all'improvviso di assumere quella Sostanza soffrono spesso di una forma perversa di acne papulosa che può durare mesi in attesa che gli accumuli di Sostanza abbandonino lentamente il corpo. Lo Staff vi farà sapere che questo accade perché la pelle è effettivamente il più grosso organo escretivo del corpo. O che il cuore degli alcolisti cronici - per ragioni che nessun medico sa spiegare - si dilata fino a due volte le dimensioni del cuore di un non alcolista, e non c'è verso che recuperi dimensioni normali. Che esiste una categoria di persone che porta la foto del proprio medico nel portafoglio. Che (un sollievo ma allo stesso tempo una delusione) i peni dei neri tendono ad avere misure nel complesso uguali a quelle dei peni bianchi. Che non tutti i maschi U.S. sono circoncisi.

Che si riesce ad avvertire una specie di microsballo anfetaminico se si consumano in rapida successione tre Millennial Fizzy e una confezione di biscotti Oreo a stomaco vuoto. (Per avere il microsballo bisogna però riuscire a trattenerli nello stomaco, cosa che i vecchi residenti spesso non dicono ai nuovi.)

Che l'inquietante termine Ispanico per ogni malessere interiore che fa ricadere il tossicomane nella schiavitù della Sostanza è tecato gusano, che sembra essere una specie di verme interiore psichico impossibile da saziare o uccidere.

Che i neri e gli Ispanici possono essere razzisti quanto e più dei bianchi, e che possono diventare ancora più ostili e sgradevoli quando vi mostrate stupiti da questa cosa.

Che alcuni riescono nel sonno a estrarre una sigaretta dal pacchetto sul comodino, accenderla, fumarla fino alla fine e poi spegnerla nel posacenere accanto al letto - il tutto senza mai svegliarsi, e senza dar fuoco a nulla. Sarete informati che questa abilità si acquisisce normalmente negli istituti penali, il che ridurrà la vostra inclinazione a lamentarvi della pratica. O che neppure i tappi per orecchie in polistirolo espanso Flents modello industriale possono risolvere il problema di un compagno di stanza che russa se il compagno in questione è così gigantesco e adenoideo che le sue russate creano vibrazioni subsoniche che arpeggiano lungo tutto il vostro corpo e la vostra branda tremola come quei vecchi letti di motel che vibravano a metterci dentro una moneta da un quarto di dollaro.

Che riguardo alle funzioni sessuali ed escretive le persone di sesso femminile sanno essere volgari quanto quelle di sesso maschile. Che più del 60% di tutti gli arrestati per crimini connessi a droga e alcol dichiarano di essere stati oggetto di abusi sessuali da bambini, mentre i due terzi del restante 40% affermano di non riuscire a ricordare la propria infanzia con sufficiente precisione per dire qualcosa riguardo a eventuali abusi. Che se lo prevede la vostra Corvé anche voi potete mugugnare armonie ipnotiche tipo Madame Psychosis mentre passate l'aspirapolvere. Che alcune persone sembrano davvero dei roditori. Che certe prostitute tossicodipendenti hanno più difficoltà a smettere con la prostituzione che con la droga, fornendo poi una spiegazione che riguarda l'opposta direzione del flusso di denaro nelle due attività. Che esistono per l'organo sessuale femminile tante forme idiomatiche quante per quello maschile.

Che un paradosso poco menzionato della dipendenza da una Sostanza è il seguente: una volta che siete così schiavi di una Sostanza da doverla abbandonare per salvarvi la vita, la Sostanza schiavizzante è diventata per voi così profondamente importante che uscirete di senno quando ve la porteranno via. Oppure che a volte, dopo che la vostra Sostanza vi è stata portata via per salvarvi la vita, mentre siete inginocchiati per le preghiere obbligatorie della mattina o della sera, vi troverete a pregare perché vi sia consentito di perdere letteralmente il senno, di avvolgere la vostra mente in un vecchio giornale e lasciarla in un vicolo a cavarsela da sola senza di voi.

Che nell'area metropolitana di Boston l'espressione idiomatica preferita per designare l'organo maschile è: Unità, il che spiega come mai i residenti della Ennet House siano così maliziosamente divertiti dai nomi degli edifici dell'Enfield Marine.

Che ci sono persone alle quali semplicemente non piacete, qualsiasi cosa facciate. E che la maggior parte dei civili non tossicodipendenti adulti ha già assimilato e accettato questo fatto, spesso in giovane età.

Che nonostante pensiate di essere furbi, non lo siete molto.

Che il "Dio" degli AA e dei NA e dei CA apparentemente non vi chiede di credere in Lui/Lei/Esso prima che Lui/Lei/Esso vi aiuti. Che, con buona pace delle stronzate maschiliste, il pianto maschile in pubblico non soltanto è molto mascolino ma può anche farvi sentire bene (riferito da terzi). Che condividere significa parlare, e fare l'inventario di qualcuno significa criticare quella persona, cui vanno aggiunti numerosi altri articoli di Gergo Recuperiale. Che un importante elemento nella prevenzione dell'HIV nelle case di recupero sta nel non lasciare rasoio e spazzolino da denti nei bagni comuni. Che, a quanto sembra, una prostituta esperta è in grado di inserire un preservativo sull'Unità di un cliente con tale destrezza che il cliente non se ne accorge nemmeno fino a quando non è acqua passata, per dirla così (riferito da terzi).

Che un contenitore portatile d'acciaio ultraresistente a doppio strato dotato di serratura a triplo cilindro per il rasoio e lo spazzolino da denti si può comprare per meno di 35$ U.S./38,50$ O.N.A.N. alla Home-Net Hardware, e se fate abbastanza casino Pat M. o il Direttore della Casa vi faranno usare il vecchio TIP dell'ufficio sul retro per ordinarne uno.

Che oltre il 50% delle persone con una dipendenza da Sostanza è contemporaneamente affetto da qualche altra forma di disturbo psichiatrico. Che alcuni prostituti maschi sviluppano una tale assuefazione ai clisteri da risultare incapaci di movimenti intestinali autonomi. Che una grossa fetta dei residenti della Ennet House ha almeno un tatuaggio. Che la rilevanza di questo dato è impossibile da analizzare. Che l'espressione di strada per non avere denaro a Boston città è: sfoggiare le garze. Che quello che da altre parti si dice Informare o Cantare o Spifferare o Vuotare il Sacco, sulle strade di Boston si dice "Mangiare il Formaggio" presumibilmente deriva dal nesso associativo con ratto.

Che gli orecchini da naso, lingua, labbro e sopracciglio richiedono di rado un piercing veramente penetrativo. Questo grazie alla grande varietà disponibile di orecchini a clip. Che gli orecchini da capezzolo richiedono il piercing, e che degli orecchini da clitoride e da glande è meglio non conoscere certi dettagli. Che il sonno può essere una forma di fuga emozionale e che, seppure con un certo sforzo, si può abusarne. Che le donne dei chicanos non sono chiamate chicanas. Che costa 225$ U.S. ottenere una patente di guida del Massachusetts con la tua foto e il nome di qualcun altro. Che la privazione intenzionale del sonno può essere anch'essa una fuga dalla realtà di cui si può abusare. Che anche il gioco d'azzardo può essere una fuga abusabile, e così il lavoro, lo shopping, rubare nei negozi, e il sesso, e l'astinenza, e la masturbazione, e il cibo, e l'esercizio fisico, e la preghiera/meditazione, e lo stare seduti così vicini al vecchio cartuccia-visore D.E.C. del TP della Ennet House da avere il campo visivo interamente invaso dallo schermo e l'elettricità statica che ti pizzica il naso.

Che non occorre amare qualcuno per imparare da lui/lei/esso. Che la solitudine non è una funzione dell'isolamento. Che è possibile arrabbiarsi al punto da vedere davvero tutto rosso. Che cos'è un "Catetere Texano". Che alcune persone rubano davvero - rubano cose che sono vostre. Che un mucchio di adulti U.S. non sanno proprio leggere, neppure un ipertesto fonico su ROM con funzioni di AIUTO per ogni parola. Che le alleanze tra pochi e l'esclusione degli altri e i pettegolezzi possono essere forme di fuga. Che la validità logica di un ragionamento non ne garantisce la verità. Che le persone cattive non credono mai di essere cattive, ma piuttosto che lo siano tutti gli altri. Che è possibile imparare cose preziose da una persona stupida. Che costa fatica dedicare più di pochi secondi di attenzione a un qualsiasi stimolo. Che improvvisamente puoi volerti fare della tua Sostanza così intensamente da essere sicuro di morire se non lo fai, ma che puoi anche rimanere seduto a torcerti le mani con la faccia fradicia di sudore da quanta voglia hai, che puoi volerti fare e restare seduto, volere ma non farlo, se vuoi, e che se riesci a resistere e a non farti quando ne hai una voglia pazzesca, questa voglia se ne andrà - almeno per un po'. Che è statisticamente più facile liberarsi di una dipendenza per le persone con un basso QI che per quelle con un QI più alto. Che il termine di strada a Boston per chiedere l'elemosina è: tamponare, e che tale attività è ritenuta da qualcuno un'arte o un'abilità; e che gli artisti del tamponamento professionale ogni tanto hanno come dei consulti, piccole convention, ai giardini o nei punti nevralgici dei trasporti pubblici, di notte, dove si riuniscono e formano gruppi di consulenza e si scambiano impressioni su tendenze e tecniche e pubbliche relazioni e così via. Che è possibile abusare fino all'assuefazione di antinfluenzali e antistaminici da banco. Che il NyQuil ha più di 50°. Che le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse. Che se un numero sufficiente di persone beve caffè in una stanza silenziosa, è possibile sentire il rumore del vapore che si leva dalle tazze. Che a volte agli esseri umani basta restare seduti in un posto per provare dolore. Che la vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi. Che esiste una cosa come la cruda, incontaminata, immotivata gentilezza. Che è possibile addormentarsi di botto durante un attacco d'ansia.

Che concentrarsi intensamente su qualcosa è un lavoro duro.

Che la dipendenza è un disagio o una malattia mentale o una condizione spirituale (quando si dice "poveri di spirito") o una forma di Disturbo Ossessivo-Compulsivo o un disturbo affettivo e del carattere, e che più del 75% dei veterani AA di Boston, quando vuole convincervi che si tratta di un disagio, vi fa sedere a guardarli mentre scrivono DISAGIO su un pezzo di carta e poi dividono la parola con un trattino così da farla diventare DIS-AGIO, poi vi fissano come se si aspettassero di vedervi colpiti da un'accecante consapevolezza epifanica quando in realtà (come G. Day non si stanca di far notare ai suoi operatori) trasformare DISAGIO in DIS-AGIO non fa che ridurre una definizione e una spiegazione alla semplice descrizione di una sensazione, e per giunta una descrizione penosamente insipida.

Che la maggioranza delle persone con una dipendenza da Sostanza è anche dipendente dal pensare, nel senso che ha un rapporto compulsivo e insano con il proprio pensiero. Che fra gli AA di Boston il simpatico termine per l'assuefazione da pensiero è Analisi-Paralisi. Che il latte provoca ai gatti dei violenti attacchi di diarrea, contrariamente all'immagine popolare sui gatti e il latte. Che è semplicemente più piacevole essere felici che incazzati. Che il 99% dei pensieri di chi soffre di pensiero compulsivo è rivolto a se stessi; che il 99% di questo pensiero consiste nell'immaginare e poi prepararsi a qualcosa che sta per accadere loro; e che, stranamente, il 100% delle cose per le quali usano il 99% del loro tempo a prepararsi ad affrontarle in ogni possibile risvolto non sono mai positive. E che questo si connette in modo interessante con l'impulso nella prima fase di sobrietà a pregare per poter perdere il senno. In breve, che il 99% dell'attività del pensiero consiste nel cercare di terrorizzarsi a morte. Che è possibile preparare delle ottime uova in camicia in un forno a microonde. Che il termine di strada metropolitano per dire assolutamente meraviglioso è: tremendo. Che il rumore dello starnuto è diverso per ognuno. Che certe mamme non hanno mai insegnato ai loro figli a mettersi la mano davanti alla bocca o a voltarsi quando starnutiscono. Che chiunque sia stato in prigione non ritorna più quello di una volta. Che non è necessario fare sesso con qualcuno per prendersi le piattole. Che in una stanza pulita ci si sente meglio che in una sporca. Che le persone di cui avere più paura sono quelle che hanno più paura. Che ci vuole un grande coraggio per mostrarsi deboli. Che non è necessario picchiare qualcuno anche se lo si desidera tantissimo. Che nessun singolo momento individuale è in sé per sé insopportabile.

Che nessuno che sia stato così schiavo di una Sostanza da aver dovuto smettere di prenderla e ci sia riuscito e ne sia stato senza per un po' ma che poi per una qualsiasi ragione sia tornato sui suoi passi e abbia ripreso la Sostanza, ha mai detto di esser stato contento di averlo fatto, cioè di aver ripreso di nuovo la Sostanza ridiventandone schiavo; mai. Che pezzetto è un termine di strada di Boston per definire la condanna al carcere, come nella frase "Don G. è stato a Billerica per un pezzetto di sei mesi". Che è impossibile uccidere le pulci a mani nude. Che è possibile fumare così tante sigarette da farsi delle piccole ulcerazioni bianche sulla lingua. Che gli effetti di troppe tazze di caffè non sono per niente piacevoli né intossicanti.

Che praticamente tutti si masturbano.

E tanto, a quanto sembra.

Che il cliché "Non so chi sono" sfortunatamente si rivela più di un cliché. Che costa 330$ U.S. ottenere un passaporto con un nome falso. Che gli altri, anche se sono stupidi, riescono spesso a vedere cose di voi che voi non riuscite a vedere. Che è possibile ottenere per 1.500$ U.S. una carta di credito di un istituto primario con un nome falso, ma nessuno vi saprà dire se questo prezzo include un rapporto bancario e una disponibilità di denaro verificabili per quando la cassiera passa la carta falsa nel piccolo modem del registratore di cassa e voi siete accerchiati da guardie di ogni tipo e misura. Che il possesso di molto denaro non immunizza la gente dalla sofferenza e dalla paura. Che provare a ballare da sobri è tutto un altro paio di maniche. Che il termine vig è il gergo di strada per la commissione di un allibratore sulle scommesse illegali, normalmente del 10%, che viene sottratta alle vostre vincite o aggiunta al vostro debito. Che alcuni soggetti sinceramente devoti e spiritualmente maturi credono che il Dio nel quale credono li aiuti a trovare parcheggio e suggerisca loro i numeri giusti del Lotto.

Che, entro un certo limite, si può vivere insieme agli scarafaggi.

Che "accettazione" è in genere una questione di fatica, più che altro.

Che persone differenti hanno un'idea radicalmente differente dell'igiene personale di base.

Che per qualche perversa ragione, è spesso più divertente desiderare qualcosa che averlo.

Che se fate una buona azione in segreto, anonimamente, senza far sapere alla persona per la quale l'avete fatta che siete stati voi, né che chiunque altro sappia qual era la buona azione e insomma non cercate in nessun modo di averne merito, la buona azione diventa quasi una forma autonoma di intossicazione.

Che anche della generosità anonima si può abusare.

Che fare sesso con qualcuno per cui non provate nulla lascia una sensazione di solitudine maggiore che non farlo affatto, dopo.

Che è consentito volere.

Che tutti sono identici nella segreta tacita convinzione di essere, in fondo, diversi da tutti gli altri. Che questo non è necessariamente perverso.

Che è possibile che gli angeli non esistano, però ci sono persone che potrebbero essere angeli.

Che Dio - a meno che non siate Charlton Heston, o fuori di testa, o entrambe le cose - parla e agisce interamente tramite degli esseri umani, ammesso poi che ci sia un Dio.

Che Dio potrebbe inserire la questione se crediate nell'esistenza di un Dio o meno piuttosto in basso nella lista delle cose sul vostro conto che a lui/lei/esso interessano.

Che l'odore del Piede d'Atleta è di un dolce nauseabondo mentre l'odore della Dermatomicosi Podiatrica è di un agro nauseabondo.

Che una persona - una con il Disagio/-Agio - compie, sotto l'influsso della Sostanza, gesti che non commetterebbe mai da sobria, e che alcune conseguenze di questi gesti non si possono mai più cancellare o rimediare. I delitti sono un esempio.

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