Autore David Foster Wallace
Titolo Tutto e di più
SottotitoloStoria compatta dell'∞
EdizioneCodice, Torino, 2017 [2005], , pag. 262, ill., cop.fle., dim. 14x21,3x2,2 cm , Isbn 978-88-7578-698-4
OriginaleEverything and More. A Compact History of ∞
EdizioneNorton, New York, 2003
TraduttoreGiuseppe Strazzeri, Fabio Paracchini
LettoreCorrado Leonardo, 2017
Classe matematica , logica , storia della scienza , epistemologia












 

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Pagina VII

Nota introduttiva

di Luca Rastello


Poco prima di prendere le armi contro un mare di guai e contrastarli fino a metter loro fine, David Foster Wallace sentì probabilmente un'urgenza. Volle chiudere i conti con due giganti che dovevano aver avuto nella sua vita un ruolo maestoso, mettendo mano a un'opera destinata a restare incompiuta, l'ultimo libro che volle ostinatamente pubblicato nonostante la mancata limatura.

Ci vuole fegato per affrontare l'uragano fingendo che il mare sia in bonaccia, o incoscienza. DFW (lui adorava gli acronimi) si lancia in Tutto, e di più all'assalto dell'infinito, quello vero, ostico, misterioso, labirintico dell'analisi matematica e della teoria degli insiemi.

La lotta con l'angelo, il cimento delle grandi opere-mondo, questa volta risolto in poco più di duecento pagine, il racconto di una delle più sconvolgenti avventure del pensiero, all'inseguimento del grande matematico che la rese possibile, Georg Cantor, e del docente che a DFW la fece scoprire nell'età più avventurosa, il mitico "professor Goris" a cui ogni pagina di questa saga degli insiemi transfiniti rende omaggio. Ecco il suo libro più appassionato, quasi inaccessibile, bello come un trattato di matematica pura, rigoroso come un romanzo postmoderno riuscito.

Un viaggio nel bisogno di infinito e di precisione, nell'utopia dell'esattezza e dell'anima, un viaggio a suo modo disperato in cui, è evidente, l'autore che ha scelto di scommettere tutto è destinato a perdersi. È una grande avventura seguirlo pagina per pagina, sentirne il passo farsi incerto, avere il privilegio di assistere alla sua ostinata ed elegante battaglia per rendere conto del dono ricevuto da Goris e Cantor.

Al suo sforzo epico e paradossalmente riuscito si può applicare il monito che un altro gigante la cui ombra è sottesa nel libro, Kurt Gödel, rivolgeva a sua madre che rifiutava di leggere i suoi saggi matematici: possibile che non li si possa affrontare come un romanzo, accantonando la pretesa di comprendere ogni passaggio e assaporandone prima di tutto la bellezza?

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Pagina 3

Breve ma necessaria premessa


Purtroppo questa è una Premessa che dovrete leggere per davvero (e prima di tutto il resto) per comprendere alcune idiosincrasie strutturali e quelli che potrebbero sembrare dei frammenti di codice sparsi per il testo. Il più frequente di questi ultimi è un "NCVI" in neretto. Vorrei rassicurarvi: non si tratta né di un tic né di un refuso, ma dell'acronimo di Nel Caso Vi Interessi: nelle prime bozze quest'espressione veniva usata con tale frequenza che alla fine si è trasformata da una frase vera e propria per introdurre una digressione a un segno astratto extratestuale (NCVI, appunto) che ora serve a classificare dei frammenti di testo in modo specifico. Spiegheremo immediatamente quale sia questo modo.

Come gli altri libri della collana "Le grandi scoperte", Tutto, e di più è un classico esempio di scrittura tecnica popolare. Il suo argomento è una serie di scoperte matematiche estremamente astratte e tecniche, ma anche estremamente profonde e interessanti. E belle. L'obiettivo è parlare di queste scoperte in modo da farle risultare vivide e comprensibili per un lettore privo di una formazione tecnica e di una cultura scientifica specialistica. Rendere bella la matematica, o quantomeno portare il lettore a capire come qualcuno possa trovarla bella. Il che naturalmente suona molto bene, a parte un piccolo problema: quanto può diventare tecnica l'esposizione senza perdere il lettore e senza seppellirlo in infinite definizioni minuziose e digressioni esplicative? E poi, se si pensa (come sembrerebbe plausibile) che alcuni lettori avranno una formazione tecnica più solida di altri, come si può calibrare la discussione in modo che sia accessibile per un neofita senza risultare sciatta o seccante per chi ha studiato un sacco di matematica all'università?

In questo testo la sigla NCVI indica dei materiali che, a scelta del lettore, possono essere letti con attenzione, sogguardati o saltati a piè pari senza grave danno. Più della metà delle note a piè di pagina del libro è probabilmente costituita da NCVI, come anche diversi ¶ le anche un paio di sottosezioni del testo principale. Alcuni brani facoltativi sono digressioni o elementi di carattere storico; [[ NI Ecco un buon esempio di elemento NCVI. Il vostro autore è un tizio con un interesse amatoriale di livello medio-alto per la matematica e i sistemi formali. Ha sempre detestato (con gli scarsi risultati che ne conseguono) qualsiasi corso di matematica seguito nella sua vita, con una sola eccezione, peraltro estranea al suo curriculum universitario: un corso tenuto da uno di quei rari specialisti che sanno dare vita e necessità ai concetti astratti, che quando tengono una lezione parlano veramente con te e di cui tutto quanto vi è di buono in questo libro è una pallida e benintenzionata imitazione. ]] altri sono definizioni e spiegazioni con le quali non è necessario che il lettore con una buona conoscenza matematica perda tempo. La maggior parte dei NCVI sono però pensati per lettori con una solida formazione tecnica, un inusuale interesse per la vera matematica, una pazienza sovrannaturale o tutte e tre le cose insieme; questi brani offrono una visione più particolareggiata di elementi che la discussione principale si limita a sfiorare.

Vi sono anche altre abbreviazioni in questo libro. Alcune servono solo a risparmiare spazio. Altre sono una conseguenza di uno strano problema stilistico della scrittura tecnica, ovvero il fatto che le stesse parole vengono ripetute continuamente in un modo che risulterebbe insopportabilmente farraginoso nella normale prosa. Il fatto è che alcuni termini tecnici hanno denotazioni estremamente specifiche che nessun sinonimo è in grado di esprimere. Il che significa che, soprattutto per quanto riguarda alcuni sostantivi high-tech, le abbreviazioni sono l'unico modo per ottenere una qualche variazione. Ma questo non è un problema vostro. Tutte le abbreviazioni del libro sono contestualizzate in modo che dovrebbe risultare assolutamente chiaro a cosa si riferiscano. Nel caso però l'autore abbia incasinato troppo le cose, ecco un elenco delle abbreviazioni principali a cui fare riferimento qualora fosse necessario:

"C. e N.I." = "Continuità e numeri irrazionali" di Dedekind
A.I.P.      = Assioma dell'insieme potenza
A.S.        = Assioma della scelta
C1-1        = Corrispondenza uno a uno
CV          = Circolo vizioso
D.C.P.      = Divina Confraternita di Pitagora
D.D.        = Dimostrazione diagonale

[...]

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Pagina 7

§1a. Gli storici della matematica esistono. Ecco una bella citazione d'apertura tratta da uno di questi storici e risalente agli anni Trenta:

Una conclusione appare ineluttabile: senza una teoria coerente dell'infinito matematico non esiste una teoria degli irrazionali; senza una teoria degli irrazionali non esiste analisi matematica in una qualsiasi forma anche lontanamente rassomigliante a quella che abbiamo oggi; e infine senza analisi la maggior parte della matematica come la conosciamo oggi (comprese la geometria e buona parte della matematica applicata) smetterebbe di esistere. Il compito più importante che aspetta i matematici sembrerebbe quindi essere la costruzione di una teoria soddisfacente dell'infinito. Cantor ci ha provato, vedremo in seguito con quale successo.

Per il momento lasciamo stare i termini matematici più esoterici. Il Cantor di cui si parla alla fine di questa citazione è il professor Georg F. L. P. Cantor, nato nel 1845, tedesco naturalizzato appartenente alla classe mercantile e padre riconosciuto della teoria astratta degli insiemi e della matematica transfinita. Alcuni storici hanno dibattuto in lungo e in largo per decidere se fosse ebreo o no. "Cantor" è semplicemente la parola latina per "cantante".

G. F. L. P. Cantor è il matematico più importante del XIX secolo e una figura di grande complessità e pathos. Ha fatto dentro e fuori da cliniche psichiatriche per buona parte della sua maturità ed è morto in una casa di cura a Halle nel 1918. Anche K. Gödel, il più importante matematico del XX secolo, morì in seguito a una malattia mentale. L. Boltzmann, il più importante fisico matematico del XIX secolo, si suicidò. E così via. Gli storici e gli studiosi pop tendono a dedicare molto tempo ai problemi psichiatrici di Cantor e a come questi potessero essere connessi al suo lavoro sulla matematica dell'oc. Nel 1900, nel corso del Il Congresso Internazionale di Matema- tica, il professor D. Hilbert, che all'epoca era il numero uno della matematica mondiale, descrisse i numeri transfiniti di Georg Cantor come "il prodotto più elegante del genio matematico" e come "una delle più eleganti realizzazioni dell'attività umana nell'ambito dell'∞.

Nel 1900, nel corso del II Congresso Internazionale di Matematica, il professor D. Hilbert, che all'epoca era il numero uno della matematica mondiale, descrisse i numeri transfiniti di Georg Cantor come "il prodotto più elegante del genio matematico" e come "una delle più eleganti realizzazioni dell'attività umana nell'ambito del puramente intelligibile".

Ecco una citazione da G.K. Chesterton: "I poeti non impazziscono, ma i giocatori di scacchi sì. Impazziscono i matematici, e anche i cassieri; ma agli artisti creativi accade assai di rado. Non voglio, come si vedrà, attaccare in alcun senso la logica; dico soltanto che questo pericolo è insito nella logica, e non nell'immaginazione". Ed ecco un paragrafo tratto dalla quarta di copertina di una recente biografia pop di Cantor: "Alla fine dell'Ottocento uno straordinario matematico languiva in manicomio. [...] Più si avvicinava alle risposte che stava cercando, più queste sembravano allontanarsi. Alla fine tutto ciò lo fece impazzire, come era successo ad altri matematici prima di lui".

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Pagina 22

P/q/r [[ per quanto riguarda ]] "sapere" in contrapposizione a sapere veramente, la seconda opzione è quella che Cartesio definiva come "comprensione chiara e distinta" e che in aziendalese si connota con "gestire". Di qui ancora lo stato epistoschizoide della mente del moderno uomo comune: sentiamo di "sapere" delle cose, ma l'apparato concettuale della nostra mente non le gestisce. Si tratta spesso di oggetti e concetti ai limiti estremi dell'astrazione, cose che non possiamo letteralmente immaginare: n > 3 dimensioni, la coreografia quantistica, gli insiemi frattali, la materia oscura, le radici quadrate dei numeri negativi, le Bottiglie di Klein, le Figure di Freemish e le Scale di Penrose. E l'∞. Spesso di questo genere di cose si dice che esistono solo "intellettualmente" o "matematicamente". Non è però affatto chiaro cosa ciò significhi, benché sia un gioco da bambini usare i termini in sé.

Attenzione: questa capacità dell'uomo comune di compartimentare la propria consapevolezza e di "sapere" delle cose che non siamo in grado di gestire è caratteristica della modernità. Gli antichi greci per esempio non sapevano farlo. O non volevano. Le cose per loro dovevano essere chiare, e pensavano che non potevi sapere qualcosa che non capivi. Non è un caso che la loro matematica non comprendesse né lo 0 né l'∞. La parola che usavano per indicare l'infinito era "caos".

Lo spirito greco ha informato sin dall'inizio la filosofia e la pratica della matematica. Le verità matematiche sono stabilite tramite dimostrazione logica e sono estremamente chiare e precise. È solo questo che esenta la matematica dai problemi labirintici come quello di giustificare esattamente il Principio di Induzione: le relazioni e le dimostrazioni matematiche non sono induttive ma deduttive, formali. La matematica, in altre parole, è un sistema formale, dove "formale" significa pura forma, astratto al 100%. L'idea fondamentale è che le verità matematiche sono certe e universali proprio perché non hanno nulla a che fare con il mondo. Se vi sembra un po' oscuro, eccovi un brano da Apologia di un matematico di G. H. Hardy, il testo in lingua inglese più chiaro mai scritto sulla matematica:

"La certezza della matematica — scrive Whitehead — è dovuta alla sua perfetta generalità astratta". Quando affermiamo che 2 + 3 = 5, affermiamo una relazione fra tre gruppi di "cose", che non sono né mele né monete, né oggetti particolari di un tipo o di un altro, ma solo cose, "care vecchie cose". Il senso dell'enunciato è assolutamente indipendente dal carattere individuale degli elementi di questi gruppi. Tutti gli "oggetti" matematici, le "entità", le "relazioni" conce "2","3 ", "5", "+" o "=", tutte le proposizioni matematiche in cui appaiono, sono assolutamente generali nel senso che sono assolutamente astratti. In effetti, uno dei termini di Whitehead è di troppo, poiché la generalità, in questo senso, è proprio l'astrazione stessa.


Vi prego di notare che in questa citazione "generalità" si riferisce non solo all'astrazione dei singoli termini e referenti ma alla completa universalità astratta delle verità affermate. È la differenza tra una mera curiosità matematica e un teorema matematico. Un esempio famoso (quantomeno per gli studenti del professor Goris) di questa differenza: (1) "La somma (1 + 3 + 5 + 7 + 9) = 52 è una curiosità, mentre "Per ogni x, la somma dei primi x interi dispari = x^2" è un teorema, è vera matematica.

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Pagina 26

Vi prego di notare che la primalità non ha nulla a che fare con il mondo; riguarda solo delle relazioni tra numeri. I greci furono i veri inventori di quella che noi chiamiamo matematica, perché - ancora - furono i primi a trattare i numeri e le loro relazioni come astrazioni anziché come proprietà di collezioni di cose reali. È importante capire quale grande balzo questo sia stato. Riguardando al passato, è facile vedere come la matematica sia nata dal concreto più immediato. Considerate il fatto che i numeri in inglese si chiamano anche digit (= "cifra", ma anche "dito") e che la maggior parte dei sistemi di conteggio (non solo il nostro a base 10 ma anche i sistemi dell'Europa preistorica a base 5 e a base 20) sono evidentemente progettati per le dita delle mani e dei piedi. Oppure che noi parliamo ancora di "gamba" di un triangolo (in inglese) o di "faccia" di un poliedro, o che la parola "calcolo" viene dal termine greco per "sassolino" eccetera. Tutti quanti sanno che vi sono state delle civiltà pre-greche (per esempio quella babilonese ed egizia) con un discreto livello di sofisticazione matematica; ma la loro era una matematica intrinsecamente pratica, usata per la topografia, i commerci, la finanza, la navigazione eccetera. Ai babilonesi e agli egizi, in altre parole, interessavano più le cinque arance che il 5. Furono i greci a trasformare la matematica in un sistema astratto, un linguaggio simbolico speciale che consente alle persone non solo di descrivere il mondo concreto ma anche di dare conto dei suoi schemi e delle sue leggi più profonde. Dobbiamo tutto a loro. Più in particolare è impossibile apprezzare i risultati ottenuti da K. Weierstrass, G. Cantor e R. Dedekind nella moderna teoria degli insiemi e dei numeri se non si comprende il balzo iperdimensionale dalla matematica come astrazione pratica di proprietà del mondo reale alla matematica come sistema saussuriano "di simboli [...] indipendenti dagli oggetti designati". Ma non si possono nemmeno tralasciare i conseguenti "spostamenti, che sono incalcolabili [...]"; perché la matematica astratta che ha bandito la superstizione e l'ignoranza e l'irrazionalità e ha dato vita al mondo moderno è anche la matematica astratta infarcita a sua volta di irrazionalità e paradossi ed enigmi che ha cercato di legarsi da sola le stringhe delle scarpe sin da quando ha assunto lo status di vero e proprio linguaggio. A.p.: non dimenticate che un linguaggio è sia una mappa del mondo sia un mondo in sé, con le proprie zone d'ombra e i propri orridi, luoghi dove persino le affermazioni che sembrano obbedire a tutte le regole del linguaggio sono impossibili da gestire.

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Pagina 39

§2a. Ok, adesso si comincia sul serio. Ci sono due modi per delineare il contesto della teoria degli insiemi cantoriana. Il primo è parlare della danza astratta intrecciata di infinito e limite nel corso dell'evoluzione della matematica. Il secondo è esaminare la storica lotta della matematica con la rappresentazione della continuità, ovvero il flusso continuo e/o gli aspetti densamente successivi del movimento e dei processi del mondo reale. Chiunque conservi anche il più vago ricordo della matematica studiata all'università non avrà dimenticato che la continuità e l'∞/limite sono praticamente i fondamenti del calcolo differenziale, e forse ricorderà anche che la loro origine generale è legata alla metafisica degli antichi greci e la loro matrice specifica a Zenone di Elea (c. 490-435 a.C., morto con i denti ancora piantati nelle orecchie del dispotico sovrano di Elea, Nearco I [lunga storia]), i cui paradossi eponimi hanno dato inizio a tutta questa faccenda.

Qualche fatto attico tanto per iniziare. Innanzitutto la matematica greca era effettivamente astratta, ma affondava in profondità le proprie radici nella prassi babilonese-egizia. Per i greci non c'è una reale differenza tra entità aritmetiche e figure geometriche, per esempio tra il numero 5 e una linea lunga cinque unità. In secondo luogo non esistono per i greci distinzioni chiare tra matematica, metafisica e religione: per molti versi erano tutte e tre la stessa cosa. In terzo luogo l'avversione per i limiti tipica della nostra epoca e della nostra cultura (esempi: "un uomo limitato", "SE IL TUO VOCABOLARIO È LIMITATO, LO SARANNO ANCHE LE TUE POSSIBILITÀ DI SUCCESSO" eccetera) sarebbe risultata incomprensibile per gli antichi greci. Basti dire che a loro piacevano molto i limiti e conseguenza diretta di ciò è la loro avversione/diffidenza nei confronti dell'∞. Il termine ellenico to apeiron non significa solo infinitamente lungo/grande, ma anche indefinibile, complesso al di là di ogni ragionevolezza, ciò-che-non-può-essere-gestito.

To apeiron, nella sua accezione più nota, fa riferimento anche al caos illimitato e privo di natura che precedeva la creazione. Anassimandro (610-545 a.C.), il primo dei presocratici a usare il termine nella sua metafisica, lo definisce fondamentalmente come "il sostrato illimitato da cui è derivato il mondo". E "illimitato" qui non significa solo senza fine e inesauribile, ma anche informe, privo di qualsiasi confine e distinzione e qualità specifica. Una specie di Vuoto, solo che ciò di cui è privo è soprattutto la forma. E questo per i greci non era bene. Ecco una citazione definitiva di Aristotele, la massima fonte di citazioni definitive: "L'essenza dell'infinito è la privazione, non la perfezione ma l'assenza di limite". Il punto è che nell'eliminare per astrazione tutti i limiti per ottenere l'∞ si butta il bambino insieme all'acqua: nessun limite significa nessuna forma, e nessuna forma significa caos, bruttezza, un casino. Si noti quindi il fatto attico n. 4: l'onnipresente ed essenziale estetismo dell'intelletto greco. La confusione e la bruttezza erano il male definitivo in sé, il segno certo che in un concetto c'era qualcosa di sbagliato, proprio come la sproporzione o la confusione erano considerate inaccettabili nell'arte greca.

Pitagora di Samo (570-500 a.C.) è fondamentale per la storia dell'∞, comunque la si guardi. (In realtà sarebbe più preciso dire "la Divina Confraternita di Pitagora" o quantomeno "i Pitagorici", perché per quanto riguarda l'∞ l'uomo fu meno importante della setta.) Fu la metafisica pitagorica a combinare esplicitamente to apeiron di Anassimandro con il principio di limite (in greco = peras) che impone struttura e ordine (la possibilità della forma) al Vuoto primordiale. La Divina Confraternita di P., che come è noto fondò un'intera religione basata sui numeri, postulò che questo limite fosse matematico, geometrico. Sono le operazioni del peras su to apeiron a produrre le dimensioni geometriche del mondo concreto; to apeiron limitato una volta produce il punto geometrico, limitato due volte produce la linea, tre volte il piano e così via. Per quanto questo possa sembrare bizzarro e primitivo, fu estremamente importante, e così anche i Pitagorici. La loro cosmologia basata sul peras implicava che la genesi dei numeri era la genesi del mondo. La D.C.P. era in effetti di un'eccentricità leggendaria (esempi: le loro regole sessuali stagionali o l'odio patologico di Pitagora per i legumi). Ma furono anche i primi a considerare (e venerare) i numeri come astrazioni. La centralità del numero 10 nella loro religione, per esempio, non era basata sul "fattore dita", ma sullo status del 10 come somma perfetta di 1 + 2 + 3 + 4.

I seguaci della D.C.P. furono inoltre i primi filosofi ad affrontare esplicitamente il rapporto metafisico tra realtà matematiche astratte e realtà empiriche concrete. Secondo la loro posizione fondamentale, la realtà matematica e il mondo concreto erano la stessa cosa, o meglio la realtà empirica era una sorta di ombra o proiezione della matematica astratta.

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Pagina 52

[...] "5" è solo una sorta di stenografia concettuale di tutti i quintupli reali del mondo? È abbastanza evidente che così non è, o quantomeno che "5" non è solo questo, dato che vi sono molte cose nel 5 (per esempio il fatto che 5 è un numero primo, che la radice quadrata di 5 è 2,236...) che non hanno nulla a che fare con i quintupli del mondo reale ma con un certo tipo di entità chiamata numero e con le sue qualità e relazioni. L'esistenza reale (per quanto strana) dei numeri è ulteriormente supportata dal modo in cui molte di queste qualità e relazioni (come per esempio il fatto che la √5 non possa essere espressa né come decimale finito né come una frazione di numeri interi) sembra indicare che esse siano in realtà scoperte e non create o proposte e poi definite. La maggior parte di noi tenderebbe a dire che √5 è un numero irrazionale anche in assenza di dimostrazioni (o quantomeno affermare qualcosa di diverso significa impelagarsi in una teoria estremamente complessa e bizzarra su cosa siano i numeri). Certo, il problema qui è incredibilmente cavilloso (motivo per cui ne parliamo solo in questo breve paragrafo contestuale): non solo la questione è astratta, ma lo è anche tutto ciò che la riguarda (l'esistenza, la realtà, i numeri...). Considerate però per un momento quanti livelli di astrazione sono in gioco nella matematica stessa. In aritmetica abbiamo l'astrazione del numero; poi c'è l'algebra, dove una variabile è un simbolo ancora più astratto di un qualche numero e una funzione è una relazione precisa ma astratta tra domini di variabili; poi naturalmente ci sono le derivate e gli integrali di funzioni della matematica universitaria, e poi le equazioni integrali che riguardano funzioni incognite e le famiglie di funzioni delle equazioni differenziali e le funzioni complesse (che sono funzioni di funzioni) e gli integrali definiti calcolati come la differenza tra due integrali, e così via passando per la topologia e l'analisi tensoriale e i numeri complessi e il piano complesso e i coniugati complessi di matrici eccetera eccetera, per cui tutta la faccenda diventa una gargantuesca baklava di astrazioni e astrazioni di astrazioni al punto che dobbiamo praticamente fare finta che tutto ciò che stiamo manipolando sia una cosa reale e tangibile se non vogliamo astrarci fino a non riuscire nemmeno più a fare la punta alla nostra matita (e tantomeno a fare matematica).

I punti più rilevanti in tutta questa storia sono che la questione della realtà ultima delle entità matematiche non è solo dibattuta ma addirittura controversa e che sono state proprio le teorie dell'∞ di G. F. L. P. Cantor a portare all'apice questa controversia nella matematica moderna. E anche che in questa controversia i matematici che tendono a considerare metafisicamente reali le quantità e le relazioni matematiche sono chiamati platonici, e almeno ora abbiamo chiaro il perché e più avanti potremo usare tranquillamente questo termine.




§2b. Il primo grande non-platonico fu Aristotele.

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Pagina 78

§3a. A questo punto è il caso di mettere da parte qualsiasi pretesa di continuità narrativa e schizzare schematicamente attraverso diversi secoli in una sorta di cronologia che va dal 476 d.C. circa (la caduta di Roma) agli anni Sessanta del XVII secolo (i preliminari del calcolo differenziale). Gli elementi salienti della cronologia saranno ovviamente faccende legate all'∞ e/o alla situazione generale della matematica quando entreranno in gioco Dedekind e Cantor. Gli svantaggi dell'astrazione e dello schematismo saranno in qualche modo bilanciati dai vantaggi della compressione, perché a questo punto almeno uno di noi sta iniziando a capire che lo spazio potrà diventare un vero e proprio problema. Il progetto del §3 è quindi quello di riassumere alcuni sviluppi che contribuirono a dare luogo alle condizioni necessarie/sufficienti per la matematica transfinita.

500 circa - 1200 circa d.C. Nella matematica occidentale non succede un granché grazie a Roma, ad Aristotele, al Neoplatonismo, alla Chiesa eccetera. Le cose che contano succedono in Asia e nel mondo islamico. Al più tardi intorno al 900 d.C. la matematica indiana ha introdotto lo zero come la "decima cifra" e il familiare uovo d'oca come suo simbolo, ha sviluppato un sistema decimale di notazione posizionale che è fondamentalmente il nostro sistema a base 10 e ha codificato le basi del funzionamento aritmetico dello 0 (0 + x = x, 0 / x = 0, illiceità della divisione per 0 ecc.). I matematici indiani e arabi, immuni dalla geomefilia greca, possono lavorare con i numeri in quanto tali e ottenere risultati significativi con gli interi negativi, il succitato O, le radici irrazionali e l'uso di variabili in sostituzione di numeri arbitrari che consentono di affermare delle proprietà generali. La maggior parte delle innovazioni indo-arabe arriverà più tardi in Europa grazie soprattutto alle conquiste islamiche (per esempio dell'India - la cui matematica venne assimilata dagli arabi - nel VII secolo, della Spagna - per quanto riguarda l'estremo occidente - nel 711 eccetera).

[...]


1425-35 circa L'architetto fiorentino F. Brunelleschi inventa la tecnica della prospettiva lineare in pittura; Della pittura di L. B. Alberti è il primo testo in cui si spieghi come funziona il sistema. Probabilmente sappiamo tutti come i dipinti prerinascimentali appaiano piatti, morti e bizzarramente sproporzionati. Brunelleschi applica la geometria allo spazio pittorico trovando un modo per rappresentare un "piano base" 3D orizzontale in un "piano pittura" 2D verticale. La tecnica è evidente soprattutto nella rappresentazione di quadrati orizzontali (per esempio le piastrelle del Battistero di Firenze) come parallelogrammi (in numerosi dipinti del medesimo) che diventano più piatti e angolati mano a mano che il pavimento si allontana verso lo sfondo del dipinto. Brunelleschi/Alberti pensano al dipinto come a una finestra trasparente posta tra una scena e un osservatore, e osservano che tutte le linee "ortogonali" (o parallele) che recedono nello spazio a 90° rispetto a quella finestra appariranno convergenti verso un punto di fuga al livello degli occhi dello spettatore. Questo punto di fuga è concepito geometricamente come un punto infinitamente distante dall'osservatore. Sappiamo tutti cosa furono in grado di fare Masaccio, Dürer e Leonardo da Vinci con questa scoperta.

Da un punto di vista matematico il concetto di "punto all'∞" fu usato più tardi da G. Keplero nel Principio di Continuità che definì per le sezioni coniche e poi utilizzò per la sua Legge del Moto Planetario (vedi poco oltre); fu centrale anche per l'invenzione della geometria proiettiva compiuta negli anni Quaranta del XVII secolo da G. Desargues, e in seguito per la topologia, per la geometria riemanniana, per l'analisi tensoriale (senza la quale non sarebbe a sua volta esistita la Relatività Generale) eccetera eccetera.

[...]


1636-38 Galileo Galilei, che l'Inquisizione ha messo agli arresti domiciliari a Firenze, produce Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, un dialogo in stile platonico sulla meccanica e la dinamica. In questo libro c'è un mare di roba nuova sull'∞. Un esempio: il modo in cui Galileo applica le tecniche grafiche latitudinali di Oresme al moto di un proiettile e dimostra che la curva descritta dal percorso del proiettile è una parabola. Dopo 2000 anni di studi delle sezioni coniche, l'ellisse orbitale di Keplero e la parabola del proiettile di G.G. sono le prime applicazioni reali delle coniche nella scienza fisica. Il meno famoso Ad Vitellionem paralipomena di Keplero aveva già dimostrato che le ellissi, le iperboli, le parabole e i cerchi sono tutti prodotti di una bizzarra danza armonica tra due fuochi; la parabola è spiegata come ciò che accade a un'iperbole quando la posizione di un fuoco in relazione all'altro raggiunge l'∞. Non è assolutamente un caso se la teoria kepleriana delle interrelazioni tra le coniche è nota nel suo insieme come Principio di Continuità.

Le due nuove scienze di Galileo era per certi aspetti un'unica lunga pernacchia all'Inquisizione, che trattò G.G. in modo ignobile. Una parte del programma di Galileo consisteva nel far agire il personaggio più convenzionale come un portavoce della metafisica aristotelica e delle credenze della Chiesa, mentre il conversatore più illuminato lo avrebbe sbaragliato intellettualmente. Uno degli obiettivi principali è la divisione ontologica aristotelica dell'∞ in attuale e potenziale, che la Chiesa aveva fondamentalmente trasformato nella dottrina secondo la quale solo Dio è Attualmente Infinito e nient'altro nel mondo da Lui creato può esserlo. Esempio: Galileo mette in ridicolo l'idea che il numero di parti in cui si può dividere qualsiasi segmento sia solo "potenzialmente" (ovvero non-attualmente) infinito dimostrando che se si piega il segmento in un cerchio (che, secondo Nicola Cusano, si definisce come un poligono regolare con un numero ∞ di dati) "non potrò io con pari licenza dire d'aver ridotto all'atto quelle parti infinite, che voi prima, mentre era retta, dicevi esser in lei contenute in potenza?".

[...]


Fatto noto: il XVII secolo, con la sua Contro-Controriforma e la Rivoluzione Scientifica, vide la prima vera esplosione di progresso filosofico-matematico dai tempi della classicità ellenica. È il secolo in cui Cartesio inventa la geometria delle coordinate (oltre al Dubbio Radicale), Desargues inventa la geometria proiettiva, Locke l'empirismo, Newton e Leibniz la matematica universitaria. Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza un allentamento della presa aristotelica sul pensiero occidentale. DNS di Galileo condivide il podio d'onore con il Discorso sul metodo di Cartesio e il Novum Organum di Bacone per quanto riguarda la rottura di quella presa e non è affatto un caso che tanta parte del volume sia dedicata all'∞. Sono numerosissime le citazioni adatte a questo momento. Ve ne proponiamo una del professor T. Danzig: "Quando, dopo un torpore di mille anni, il pensiero europeo si riscosse dagli effetti dei sonniferi somministrati con tanta sottigliezza dai Padri della Cristianità, il problema dell'infinito fu uno dei primi a tornare alla vita".

Le due nuove scienze è importante anche per un altro motivo: l'uso continuato e originale della funzione.

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[...] Morale: è nel XVII secolo che la matematica diventa in primo luogo un sistema di astrazioni di altre astrazioni anziché del mondo.

E questo fa apparire paradossale il secondo grande cambiamento: si scopre che la nuova iper-astrazione della matematica funziona alla perfezione nelle applicazioni del mondo reale. Nella scienza, nell'ingegneria, nella fisica eccetera. Prendete, per fare un esempio ovvio, il calcolo differenziale: è esponenzialmente più astratto di ogni altro tipo di matematica "pratica" mai esistita in precedenza (del tipo: da quale osservazione del mondo reale si potrebbe partire per sognarsi l'idea che la velocità di un oggetto e l'area sottesa a una curva hanno qualcosa a che fare l'una con l'altra?), eppure è migliore di qualsiasi sistema precedente per rappresentare/spiegare il movimento e l'accelerazione, la gravità, i movimenti planetari, il calore, qualsiasi cosa insomma la scienza ci dica di reale a proposito del mondo reale. Non per nulla D. Berlinski chiama il calcolo differenziale "la prima storia che questo mondo si raccontò quando si trasformò nel mondo moderno". Perché il mondo moderno è scienza.

Ed è nel XVII secolo che viene consumato il matrimonio tra matematica e scienza; la Rivoluzione Scientifica è al tempo stesso causa ed effetto dell'Esplosione Matematica, perché la scienza (sempre più libera dalle sue fissazioni aristoteliche con le opposizioni sostanza/materia e potenzialità/attualità) diviene ora un'impresa sostanzialmente matematica in cui forza, moto, massa e legge-espressa-come-formula compongono il nuovo modello per la comprensione del funzionamento della realtà. Verso la fine del Seicento la matematica (nella sua espressione più seria) fa parte dell'astronomia, della meccanica, della geografia, dell'ingegneria civile, dell'urbanistica, del taglio delle pietre, della carpenteria, della metallurgia, della chimica, dell'idraulica, dell'idrostatica, dell'ottica, della molatura delle lenti, della strategia militare, della progettazione di armi da fuoco e cannoni, della vinificazione, dell'architettura, della musica, della progettazione nautica, della cronometria, dell'estensione di calendari. Di tutto.

E l'influenza pratica è una strada a doppio senso. Ecco una citazione definitiva di M. Kline: "Mentre la scienza iniziava ad affidarsi sempre più alla matematica per produrre le proprie conclusioni fisiche, la matematica iniziava ad affidarsi sempre più ai risultati scientifici per giustificare le proprie procedure."

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§4a. Gli studiosi sono concordi sul fatto che vi sono stati tre grandi periodi di crisi nella fondazione della matematica occidentale. Il primo fu quello degli incommensurabili pitagorici. Il terzo è l'era (in cui presumibilmente, ci troviamo ancora oggi) successiva alle dimostrazioni dell'Incompletezza di Gödel e all'esplosione della teoria cantoriana degli insiemi. La seconda grande crisi si è avuta nel periodo in cui è stato sviluppato il calcolo differenziale.

L'idea in questo § sarà quella di capire come la matematica transfinita si evolva progressivamente a partire da tecniche e problemi associati con il calcolo/analisi. In altre parole si tratta di costruire una specie di ponteggio concettuale per osservare e comprendere i risultati di G. Cantor. Come abbiamo già detto, questo significa tornare diacronicamente al punto in cui abbiamo abbandonato la nostra cronologia originale alla fine del §3a.

Così ora ci troviamo verso la fine del XVII secolo, l'epoca della Restaurazione Inglese e dell'Assedio di Vienna, delle parrucche torreggianti e dei fazzoletti profumati eccetera. Senza dubbio sapete già che il calcolo differenziale fu la scoperta matematica più importante dai tempi di Euclide. Una scoperta matematica seminale per rappresentare la continuità e il cambiamento e i processi del mondo reale. In parte ne abbiamo già parlato. Probabilmente sapete anche che I. Newton e/o G. W. Leibniz sono generalmente accreditati come i responsabili di questa scoperta. Potreste sapere anche (o quantomeno avere intuito da quanto detto nel §3a) che l'idea di un merito esclusivo (o anche duplice) è assurda, come anche l'idea che quello che oggi è chiamato calcolo differenziale comprenda una qualche invenzione. Anche volendo semplificare le cose, i diritti d'autore andrebbero suddivisi tra una buona dozzina di matematici inglesi, francesi, italiani e tedeschi, tutti quanti impegnati a ramificare il lavoro di Keplero e Galileo sulle funzioni, sulle serie infinite e sulle proprietà delle curve, motivati (i matematici, voglio dire, come peraltro abbiamo già accennato) da alcuni pressanti problemi scientifici che erano al contempo problemi matematici o in ogni caso trattabili come tali.

Ecco alcuni dei problemi/motivazioni più urgenti: calcolare la velocità istantanea e l'accelerazione (fisica, dinamica); trovare la tangente a una curva (ottica, astronomia); trovare la lunghezza di una curva, l'area delimitata da una curva, il volume delimitato da una superficie (astronomia, ingegneria); trovare il valore massimo/minimo di una funzione (scienza militare, in particolare artiglieria). Probabilmente ce n'erano anche altri. Oggi sappiamo che questi problemi sono strettamente correlati: sono tutti aspetti del calcolo differenziale. Ma i matematici che lavoravano a queste cose nel Seicento non lo sapevano, e a Newton e Leibniz va riconosciuto l'enorme merito di avere identificato e concettualizzato i rapporti tra, per esempio, la velocità istantanea di un punto e l'area delimitata dalla curva del suo movimento, o tra la velocità del cambiamento di una funzione e l'area data da una funzione la cui velocità di cambiamento ci è nota. Furono N.&L. a vedere per primi la foresta (nel senso del Teorema Fondamentale secondo cui differenziazione e integrazione sono reciprocamente inverse) e riuscirono a derivare un metodo generale che funzionasse per tutti i tipi di problemi che abbiamo citato, per affrontare il mistero della continuità, anche se non senza dover saltellare attorno a qualche pericoloso orrido in questa foresta e certamente non senza ogni genere di risultato e scoperta preliminare da parte di altre persone. Eccone alcune, oltre a quelle già citate nella cronologia: 1629, il metodo di P. de Fermat per trovare i valori massimi e minimi di una curva polinomiale; 1635 circa, G. P. de Roberval scopre che la tangente di una curva può essere espressa come una funzione della velocità di un punto in movimento il cui percorso descrive la curva stessa; 1635, il Metodo degli Indivisibili di B. Cavalieri per calcolare le aree sotto le curve; 1664, il Metodo geometrico delle Tangenti di I. Barrow.

Inoltre, intorno al 1668, vi è un grande ¶ presciente nella prefazione a Geometriae Pars Universalis di J. Gregory in cui si dice che la suddivisione veramente importante in matematica non è quella tra geometrico e aritmetico ma quella tra universale e particolare. Perché l'abbiamo definito presciente? Vari matematici, da Eudosso a Fermat, avevano inventato e utilizzato dei metodi vicini al calcolo differenziale, ma sempre in modo geometrico e sempre in relazione a problemi specifici. Sono Newton e Leibniz a combinare i vari metodi di Latitudine e degli Indivisibili eccetera in un'unica tecnica aritmetica la cui ampiezza e generalità (ovvero astrazione) ne costituiscono la grande forza. La formazione e l'approccio dei due sono però differenti. Newton arriva al calcolo tramite il Metodo delle Tangenti di Barrow, il Teorema Binomiale e il lavoro di Wallis sulle serie infinite; il percorso di Leibniz comprende le funzioni, gli schemi di numeri chiamati "sequenza-somma" e "sequenza-differenza" e una metafisica personale dove una curva poteva essere trattata come una sequenza ordinata di punti separati da una distanza letteralmente infinitesima. (In breve: le curve per Leibniz sono generate da equazioni, mentre le quantità varianti lungo una curva sono date da funzioni - mi sembra di avere già detto che il © su "funzione" è suo.)

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§6d. Naturalmente la teoria di Dedekind presuppone anche l'esistenza di insiemi attualmente infiniti. Anzi, non si limita a presupporla: tramite il metodo dello Schnitt la definizione formale di un numero reale diviene "una determinata coppia di insiemi infiniti con determinate caratteristiche specifiche". Vi è una serie di potenziali bizzarrie da notare a questo punto. In primo luogo, data l'antichissima allergia della matematica per l'∞ attuale, si potrebbe anche pensare che la teoria di Dedekind non faccia altro che barattare una quantità di tipo indefinibile per un'altra (ovvero invocare, allo scopo di dare delle fondamenta e una definizione agli irrazionali, l'idea occulta di non uno ma due insiemi inimmaginabilmente vasti eppure precisamente ordinati, ciascuno in qualche modo infinito e tuttavia limitato in modi assai specifici). Il che potrebbe apparirvi ancora una volta un po' troppo zenoniano. Se così fosse, non dimenticatelo.

Seconda bizzarria: nel caso abbiate una soglia d'attenzione insolitamente elevata associata a una notevole capacità di non annoiarvi, potreste avere già notato una considerevole rassomiglianza tra la teoria di Dedekind e la faccenda della commensurabilità geometrica di Eudosso di Cnido di cui abbiamo parlato nel §2d. Rispetto a questa cosa vi prego di ricordare (o rileggere) il §2d e notare che il concetto di Schnitt contribuisce ora a chiarire come funzioni la definizione eudossiana di "rapporto" nel designare i numeri irrazionali: il numero espresso dal rapporto p/q è irrazionale (ovvero p e q sono incommensurabili) esattamente quando per qualsiasi numero razionale a/b la disgiunzione (ap < bq) o (ap > bq) è vera, ovvero quando ap ≠ bq. Non abbiamo alcuna prova qui che Dedekind stesse saccheggiando Eudosso e nemmeno che lo conoscesse. Si veda per esempio la Prefazione a "Natura e significato dei numeri" in cui Dedekind cita l'eudossiana Definizione 5 degli Elementi senza manifestare alcuna consapevolezza evidente di dove Euclide l'avesse presa. Questa citazione mette in evidenza la grande differenza tra Dedekind ed Eudosso, nonché tra la matematica greca e l'analisi moderna:

Se si considera il numero irrazionale come il rapporto di due quantità misurabili, allora questo modo [= quello di Dedekind] di determinarlo è già espresso con la massima chiarezza possibile nella celebre definizione che Euclide dà dell'eguaglianza di due rapporti (Elementi, V, 5).

La differenza sta nella clausola d'apertura ("Se... quantità misurabili"). Eudosso ed Euclide erano (ancora una volta) dei geometri, e per loro il problema degli irrazionali riguardava grandezze geometriche come linee/aree/volumi. Invece il progetto generale di Dedekind (come, ancora, quello di Weierstrass) è quello di sbarazzarsi della geometria e di radicare totalmente l'analisi nell'aritmetica. È per questo che Dedekind ripete più volte che la R.N. e i punti geometrici sono presenti nella sua teoria dello Schnitt a Puro Scopo Illustrativo. La sua succitata Prefazione contiene di fatto una delle dichiarazioni più emozionanti di tutti i tempi sull'estetica dell'Aritmetizzazione: "A maggior ragione mi appare bello il fatto che senza alcuna nozione di quantità misurabili e semplicemente tramite un sistema finito di semplici passaggi di pensiero, l'uomo possa avanzare fino alla creazione del dominio numerico di pura continuità".

D'altra parte sarebbe lecito chiedersi se sia Ok dire che mettere in campo insiemi attualmente infiniti in una definizione matematica coinvolga solo "un sistema finito di passaggi di pensiero", il che ci rimanda alla questione che abbiamo messo sul tavolo due ¶ fa. Nel caso troviate da obiettare sull'uso di insiemi infiniti in una definizione rigorosa perché sentite che questi insiemi di tipo ∞ attuale sono matematicamente irreali/illeciti, allora siete evidentemente degli aristotelici-barra-gaussiani e il vostro portavoce N. 1 sarà il professor L. Kronecker (1823-1891), che come abbiamo già detto fu inizialmente il mentore di G. Cantor per poi diventare la sua arcinemesi nonché la persona che secondo alcuni storici lo portò alla follia. Kronecker fu praticamente il primo intuizionista in campo matematico e pensava che solo gli interi fossero matematicamente reali perché solo questi erano "evidenti all'intuizione", il che significava che i decimali, gli irrazionali e quasi certamente anche gli insiemi infiniti erano tutti degli unicorni matematici. Kronecker viene spesso bignamizzato nelle storie della matematica attraverso la sua frase apoftegmatica "Solo gli interi sono stati creati da Dio; tutto il resto è opera dell'Uomo", un po' come d'Alembert viene ridotto a "Andate avanti, e la fede vi verrà" e Archimede a .cor "Eureka!". Tra qualche § diremo di L. Kronecker e dell'intuizionismo più di quanto probabilmente vorreste sentire; per il momento vi basti sapere che se Weierstrass, Dedekind e altri vogliono eliminare la geometria dall'analisi e basare tutto sul sistema dei numeri reali, Kronecker si spinge ancora oltre e vuole basare l'analisi solo sugli interi e sui razionali espressi come rapporti di interi.

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§6f. Come abbiamo vagamente preannunciato nel §6d, le teorie di Dedekind e Cantor entrano in collisione anche con un'altra dottrina kroneckeriana, spesso chiamata costruttivismo, che diventerà una componente importante dell'intuizionismo e delle controversie sulle fondamenta filosofiche della matematica fatte saltare dalla teoria degli insiemi. È una faccenda molto pesante e complicata, ma è importante. Ecco i principi fondamentali del costruttivismo praticati da Kronecker e codificati da J.H. Poincaré e L.E.J. Brouwer e altre figure di spicco dell'intuizionismo: (1) qualsiasi proposizione matematica o teorema che sia più complicato o astratto della buona vecchia aritmetica degli interi deve essere derivato (ovvero "costruito") esplicitamente dall'aritmetica degli interi tramite un numero finito di passaggi puramente deduttivi. (2) Le sole dimostrazioni valide in matematica sono quelle costruttive (aggettivo che in questo caso significa che la dimostrazione fornisce un metodo per trovare (ovvero "costruire") qualsiasi entità matematica di cui si occupi). Per quanto riguarda la metafisica della matematica, il costruttivismo è quindi direttamente contrapposto al platonismo: a parte forse gli interi, le verità matematiche non esistono se non nella mente umana. Di fatto, per quanto riguarda Kronecker e i suoi successori, dire che una determinata entità matematica "esiste" vuoi dire letteralmente affermare che può essere costruita con carta e penna da esseri umani reali nell'arco della durata della loro vita mortale.

Capirete quindi che i costruttivisti avranno un serio problema con i teoremi e le dimostrazioni che implicano l'∞, gli insiemi infiniti, le successioni infinite eccetera, soprattutto quando queste quantità infinite sono presentate esplicitamente come attuali. Rispetto allo Schnitt di Dedekind, per esempio, i costruttivisti avranno da ridire sin dall'inizio. Non solo gli irrazionali non esistono realmente, e non solo Dedekind usa la reductio per dimostrare che alcuni Schnitt non corrispondono a numeri razionali. C'è anche tutto il problema di definire un numero in termini di insiemi infiniti di altri numeri. Per dirne una, Dedekind non specifica mai le regole matematiche tramite le quali si derivano gli insiemi A e B. Dice soltanto che la Retta Numerica può essere divisa in A e B..., senza fornire alcun metodo o procedura per mezzo della quale si possano costruire realmente questi insiemi (che non possono essere in ogni caso costruiti o verificati nella realtà, dato che sono infiniti). E già che ci siamo, cos'è esattamente un "insieme", in termini tecnici? E qual è la procedura per costruirne uno? E così via.

L'ultima domanda composita dei costruttivisti (alla quale Dedekind ammette di non saper rispondere) offre un primo esempio del genio particolare di G. Cantor Jr. e del perché meriti il titolo di Padre della Teoria degli Insiemi. Richiamate alla memoria quanto abbiamo detto nel §3c su come Cantor prese quella che era stata considerata una caratteristica paradossale e totalmente ingestibile dell'∞ (ovvero il fatto che un insieme/classe/aggregato infinito può essere posto in corrispondenza uno a uno con un proprio sottoinsieme) e la trasformò nella def. tecnica di insieme infinito. Guardate ora come fa la stessa cosa anche qui, trasformando quelle che sembrano delle obiezioni devastanti in criteri rigorosi, definendo un insieme S come qualsiasi aggregato o raccolta di entità discrete che soddisfi due condizioni: (1) S può essere pensato come un aggregato, e (2) vi è una qualche regola o condizione dichiarata tramite la quale si possa determinare per qualsiasi entità x se x sia o non sia un elemento di S. Questa definizione naturalmente non esce dal nulla all'improvviso. È ora il caso di riprendere in considerazione quello che abbiamo detta nel §5d sulla convergenza e sulla rappresentabilità delle serie trigonometriche, sul Teorema di Localizzazione di Riemann eccetera per vedere da dove nasca di fatto il lavoro di Cantor sugli irrazionali.

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* BREVE INTERPOLAZIONE FORESTA/ALBERO
Facciamo un passo indietro e riflettiamo per un secondo su quanto tutto ciò sia stratosfericamente astratto. E sul perché la teoria degli insiemi, che è probabilmente la parte più fondamentale della matematica moderna, sia anche la più allucinogena. La teoria degli insiemi è banale al 100% finché abbiamo a che fare con insiemi finiti, perché tutte le relazioni tra questi insiemi possono essere determinate empiricamente: basta contarne i membri. Nella vera teoria degli insiemi abbiamo a che fare con aggregati astratti di entità astratte tanto numerose che non potranno mai essere contate o completate o anche solo comprese... eppure noi stiamo dimostrando, in modo deduttivo e quindi definitivo, delle verità sulla costituzione e le relazioni di queste cose. Nella foga di tutte queste dimostrazioni e spiegazioni è facile perdere di vista l'assoluta singolarità degli insiemi infiniti, una singolarità che non viene minimamente intaccata dal fatto che Cantor e Dedekind abbiano dimostrato che questi ∞ si trovano alla radice stessa della matematica e sono necessari per gestire una cosa elementare come una linea retta. A proposito di questa singolarità, ecco una bella citazione dei filosofi P. Benacerraf e H. Putnam:

Ecco gli insiemi: belli, imperituri, innumerevoli, collegati in modo intricato. Non s'affaticano e non ruotano. E nemmeno - e questo è l'impiccio - interagiscono con noi in alcun modo. Ma allora come dovremmo accedere epistemologicamente a essi? Rispondere "tramite l'intuizione" è ben poco soddisfacente. Abbiamo bisogno di un qualche resoconto di come possiamo giungere alla conoscenza di queste bestiole.

...e una dell'osso duro dell'intuizionismo H. Poincaré:

Una realtà completamente indipendente dallo spirito che la concepisce, la vede o la percepisce è impossibile. Un mondo a tal punto esterno, se pure esistesse, ci sarebbe eternamente inaccessibile.

...e una deliziosa confutazione del platonico K. Gödel:

Nonostante la loro distanza dall'esperienza, noi abbiamo una sorta di percezione anche degli oggetti della teoria degli insiemi, come si può vedere dal fatto che gli assiomi ci appaiono forzatamente veri. Non vedo alcuna ragione per cui dovremmo avere meno confidenza con questo genere di percezione (per esempio con l'intuizione matematica) che con la percezione sensoriale, che ci induce a costruire teorie fisiche e ad aspettarci che le percezioni sensoriali future si accordino a esse...

FINE DELLA B.I.F./A. E RITORNO AL §7C, AL ¶ DI P. 213
CON L'ASTERISCO ALLA FINE

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Nel caso fosse necessario ribadire che qui stiamo soltanto sfiorando una superficie nebulosa, consideratelo fatto. Misure specifiche antiparadosso come quelle di Russell e Poincaré fanno parte di una crisi più vasta e profonda, preesistente a Cantor ma portata al culmine dalle sue teoria dell'∞. Morale (in senso ampio): i paradossi della teoria degli insiemi, insieme alle preoccupazioni fondamentali iniziate con Abel e Cauchy e giunte all'acme con Frege e Peano, portano direttamente alle grandi controversie formalisti/intuizionisti dei primi del Novecento. Si tratta di controversie di cui possiamo (ancora una volta) tracciare a malapena i contorni. Rispetto agli insiemi infiniti, per esempio, l'intuizionismo è rabbiosamente anticantoriano e il formalismo fermamente cantoriano, anche se l'uno e l'altro sono antiplatonici e Cantor è un platonico duro e puro. Il che — per quanto possa risultarvi algesico — significa che siamo tornati alla metafisica: la rissa moderna sulle procedure della matematica è in ultima analisi una disputa sullo stato ontologico delle entità matematiche.

Abbiamo già introdotto l'intuizionismo nel corso della discussione sul costruttivismo (§6). Il formalismo è un altro paio di maniche. Il modo migliore per arrivarci potrebbe consistere in una riformulazione della morale espressa appena sopra in senso ampio, ovvero: i paradossi della teoria degli insiemi fanno parte del problema più generale della Coerenza della Matematica, che D. Hilbert propose come Grande Problema N. 2 allo stesso Congresso di Parigi in cui l'abbiamo visto andare in estasi per Cantor nel §1a. Il programma di Hilbert per la ricostruzione della matematica in modo tale che i teoremi non generassero paradossi è denominato formalismo, ovvero il tentativo di rendere totale e primaria l'astrazione della matematica. L'idea di base del formalismo è separare totalmente la matematica dal mondo e trasformarla in un gioco. Alla lettera. Questo gioco implica la manipolazione di determinati simboli secondo determinate regole che ci consentono di costruire successioni di simboli da altre successioni di simboli. Formale al 100% (da cui il nome). Cosa significhino i simboli della matematica/gioco (o anche solo se denotino alcunché) non ha alcuna rilevanza, e affermare che un'entità matematica "esiste" significa semplicemente dire che non genera una contraddizione. Quello che importa sono le regole, e tutto il progetto formalista è una teoria delle dimostrazioni: l'obiettivo è costruire un corpus di assiomi e regole di inferenza da cui possa essere derivata tutta la matematica, in modo tale che l'intera faccenda sia totalmente deduttiva e rigorosa e pulita (proprio come un gioco chiuso in se stesso).

Se avete studiato un po' di logica o di filosofia della matematica, avrete notato che quella che abbiamo fornito è una descrizione iperconcentrata del formalismo. (Un esempio: il programma di Hilbert prevede anche la suddivisione della matematica in Livelli di ragionamento (in qualche modo simili ai Tipi di Russell), dove non è consentita alcuna proposizione tra Livelli diversi.) Probabilmente saprete anche che il movimento si trova nelle canne già un bel po' prima che Gödel (come abbiamo già detto) dimostri che un sistema non può essere sia Completo sia Coerente (del tipo: i formalisti non potevano rendere Completa e Coerente nemmeno l'aritmetica di base se vi era compresa la moltiplicazione come operazione legale, il che costituisce evidentemente un problema serio). Per cui non dobbiamo parlare della banalizzazione filosofica o della pura e semplice bizzarria di una matematica/gioco priva di referente, perché il formalismo non riuscì ad avere successo nemmeno stando alle proprie regole.

Le risposte più coerenti e positive ai paradossi del CV vengono dall'interno della stessa teoria degli insiemi (che intorno al 1900 è ormai un ramo fiorente della matematica e della logica, grazie a indovinatevoichi) e sono capeggiate dal seguace e sistematizzatore N.1 di Cantor, il professor E. Zermelo. Un risultato di queste risposte è la divisione della teoria astratta degli insiemi in due sotto-categorie: la Teoria ingenua degli insiemi e la Teoria assiomatica degli insiemi. La T.I.I. è la normale teoria cantoriana degli insiemi senza alcuna esclusione nel bene e nel male, compresa la sua suscettibilità ai paradossi. La teoria assiomatica degli insiemi è un tentativo di derivare una versione della teoria degli insiemi più rigorosa e sicura (per quanto riguarda le fondamenta) in modo da evitare i paradossi più mastodontici. Il programma della T.A.I. ha uno spirito in qualche modo formalista ed euclideo che consiste nel fare della teoria degli insiemi un sistema formale indipendente con un proprio corpus di regole che generi la massima Coerenza e Completezza. Come abbiamo già detto da qualche parte, il più famoso sistema assiomatico è generalmente chiamato ZFS (per Zermelo, A. Fraenkel e T. Skolem); vi sono anche il più restrittivo sistema von Neumann-Bernays (VNB) e altri ancora (con vari fronzoli metateoretici) progettati da eminenze come A. Tarski, W. V. O. Quine, F. P. Ramsey & Co.

Si dà il caso che la teoria assiomatica degli insiemi e la sua logica abbiano avuto fruttuose applicazioni in ogni genere di campo, dalla teoria delle funzioni reali, l'analisi e la topologia (in matematica) alla grammatica generativa e agli studi sintattici (in linguistica) alla teoria decisionale, gli algoritmi, la circuiteria logica, le probabilità di arresto/"studi Ω", l'I.A. e il calcolo parallelo (in informatica). Nonostante i limiti di spazio sempre più angusti, vale quindi la pena di affrontare quantomeno un veloce tour dell'assiomatizzazione fondamentale di cui tutti i principali sistemi sono delle variazioni, con glosse concise e direttamente rilevanti dove necessario (e naturalmente a questo punto è tutta roba che potete saltare o scorrere velocemente a vostra discrezione NCVI), come segue:


Concetto primitivo: il rapporto di appartenenza ∈, dove "s ∈ S" significa che l'oggetto s è un elemento dell'insieme S.

Ass. 1: due insiemi sono uguali se contengono gli stessi elementi. (Notate che non si dice "se e solo se... ", perché anche gli insiemi infiniti e i loro sottoinsiemi propri possono essere uguali.)

[...]

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