Copertina
Autore Jane Wilde
Titolo Fiabe e leggende d'Irlanda
SottotitoloFate, folletti e incantesimi raccontati da Lady Speranza, madre di Oscar Wilde
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2010, Grande Fiabesca , pag. 304, cop.fle., dim. 15x21x2 cm , Isbn 978-88-6222-146-7
OriginaleAncient Legends, Mystic Charms, and Superstitions of Ireland
EdizioneTicknor, Boston, 1887
PrefazioneAntonella De Nicola
TraduttoreAntonella De Nicola, Fabio Giovannini
LettoreElisabetta Cavalli, 2010
Classe classici irlandesi , favole , fiabe , miti , paesi: Irlanda
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Indice


INTRODUZIONE
DI MADRE IN FIGLIO: LA PAROLA ATTRAVERSO LA FIABA
di Antonella De Nicola                                    5

PREFAZIONE di Francesca Speranza Wilde                   15


FIABE E LEGGENDE D'IRLANDA                               31

LE DONNE COL CORNO                                       33
LA LEGGENDA DEL CASTELLO DI BALLYTOWTAS                  37
UNA STORIA DI LUPI                                       45
IL MALOCCHIO                                             49
LA SPOSA RAPITA                                          60
SULLA MUSICA FATATA                                      63
LA DANZA FATATA                                          65
LA GIUSTIZIA FATATA                                      68
L'ANIMA DEL PRETE                                        70
LA RAZZA FATATA                                          77
LA PROVA DEL FUOCO                                       80
LA DAMA STREGA                                           82
ETHNA LA SPOSA                                           85
LA VENDETTA DELLE FATE                                   90
L'AIUTO FATATO                                           93
L'AGRICOLTORE PUNITO                                     96
LA MOGLIE DELL'AGRICOLTORE                              100
LA CAVALCATA DI MEZZANOTTE                              102
IL LEPRICANO                                            106
LE LEGGENDE DELLE ISOLE OCCIDENTALI                     111
IL LAMENTO FUNEBRE DELLA SPOSA                          114
IL SOGNO DEL BAMBINO                                    116
IL BAMBINO FATATO                                       120
LA PREDIZIONE                                           125
LA DISCOLPA                                             128
IL POZZO SACRO E L'ASSASSINO                            130
LEGGENDE DI INNIS-SARK. LA MALEDIZIONE DI UNA DONNA     132
LEGGENDE DEI MORTI NELLE ISOLE OCCIDENTALI              138
IL SEGNO DELLA MORTE                                    140
KATHLEEN                                                142
LA VIGILIA DI NOVEMBRE                                  145
LA DANZA DEI MORTI                                      148
SUPERSTIZIONI RIGUARDANTI I DEFUNTI                     151
L'INCANTESIMO D'AMOR FATALE                             155
I CAVALIERI FENIANI                                     157
L'ISOLA DI RATHLIN                                      160
STRANI OSPITI                                           161
IL SOLDATO MORTO                                        162
I TRE DONI                                              164
LE FATE COME ANGELI CADUTI                              166
IL SOSTITUTO FATATO                                     167
LE ASTUZIE DELLE FATE                                   169
SHAUN-MOR                                               171
LE FATE SOTTERRANEE. I TUATHA-DE-DANANN                 174
LA REGINA EDAIN                                         175
IL DESTRIERO REALE                                      179
MALEFICI INCANTESIMI. CATHAL IL RE                      182
LA MALEDIZIONE DEL POETA                                185
DRIMIAL AGUS THORIAL                                    187
UN SAGGIO IRLANDESE DELLE ISOLE                         188
LA FESTA DI MAGGIO                                      190
SUPERSTIZIONI DEL PRIMO MAGGIO                          198
FESTE. CANDELORA                                        200
LA PENTECOSTE                                           201
LA LEGGENDA DI PENTECOSTE DEI CAVALLI FATATI            202
INCANTESIMI DI NOVEMBRE                                 204
LA VIGILIA DI NOVEMBRE                                  206
UNA TERRIBILE VENDETTA                                  209
MEZZA ESTATE. I FUOCHI E LE DANZE DI BAAL               210
LA DOTTORESSA DELLE FATE                                212
RITI NUZIALI                                            215
I MORTI                                                 218
LE CELEBRAZIONI DELLA VEGLIA                            222
GLI ANTICHI MISTERI                                     228
IL POTERE DELLA PAROLA                                  238
IL BARDO E IL RE                                        240
LA RAZZA SIDHE                                          243
MUSICA                                                  246
L'ISPIRAZIONE POETICA. EODAIN LA POETESSA               247
LA BANSHEE                                              249
LA REGINA MAEVE                                         253
SEGNI DI MORTE                                          255
IL FATO DEGLI HARTPOLE                                  256
SUPERSTIZIONI                                           258
LA FORTEZZA INCANTATA                                   262
LA NATURA DELLE FATE                                    264
LA NATURA DEGLI IRLANDESI                               267

SULLE ANTICHE RAZZE D'IRLANDA
di Sir William Robert Wilde                             271

NOTE                                                    295


 

 

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INTRODUZIONE
DI MADRE IN FIGLIO:
LA PAROLA ATTRAVERSO LA FIABA



Jane Francesca Elgee, nota anche come Lady Wilde (1821-1896), è una figura di straordinario interesse nella cultura e nella storia d'Irlanda. Di famiglia dalle solide tradizioni, di presunte origini italiane, autrice di opere in poesia e prosa diffuse soprattutto con il nome di Speranza, Lady Wilde aderì al movimento nazionalista dell'isola verde e fu una delle figure di primissimo piano tra le donne poi fautrici dell'indipendenza dell'Irlanda. Legata per parentela allo scrittore Charles Maturin (autore di numerose opere di carattere gotico, quali Melmoth l'errante — che ispireranno scrittori come Honoré de Balzac e Charles Baudelaire), scrisse per il Movimento dei Giovani Irlandesi (Young Ireland Movement, 1840) pubblicando poemi su "The Nation", di cui divenne anche direttore nel 1848 con lo pseudonimo di John Fanshaw Ellis.

La sua opera comprende traduzioni dal tedesco e dal francese (in particolare dello scrittore gotico Wilhelm Meinhold, di Alphonse de Lamartine e di Alexandre Dumas), ma Lady Wilde divenne soprattutto celebre per gli scritti a favore della causa d'indipendenza dell'Irlanda, spesso ostili al dominio esercitato dall'Inghilterra, tanto che fu soprannominata "Speranza of the Nation". Quando Speranza pubblicò un invito agli irlandesi affinché prendessero le armi contro gli inglesi, le autorità di sua Maestà convocarono al Castello di Dublino un redattore del libello, Charles Gavan Duffy, per obbligarlo a confessare il vero nome dell'autore: più volte, in occasione del dibattimento pubblico, Lady Wilde intervenne per dichiarare la sua colpevolezza, ma fu ignorata.

Antesignana di un femminismo decisamente ante litteram, si batté strenuamente per i diritti delle donne, soprattutto a favore di una loro istruzione più dignitosa, elogiando la promulgazione della Legge sulla Proprietà per le Donne Coniugate (The Married Women's Property Act, 1883), liberate finalmente dalla schiavitù del matrimonio che non permetteva loro di godere delle proprie fortune. Dopo aver sposato il noto chirurgo oftalmico Sir William Robert Wilde nel 1851, fu madre di William, Oscar e Isola che morì nel 1867, all'età di dieci anni, in seguito a una febbre improvvisa. La sua vita fu travolta da scandali, prima quelli provocati dalla condotta libertina del marito (denunciato anche per molestie sessuali), poi quelli del figlio Oscar, additato come reietto ed espulso dall'Inghilterra puritana di quegli anni. Eppure lei rimase sempre accanto a entrambi, sia dopo l'incendio del 1871 in cui persero la vita le due figlie illegittime di William, sia quando Oscar fu condannato ai lavori forzati per omosessualità. In seguito alla morte del marito, nel 1876, quando scoprì di essere oberata di debiti, decise di lasciare Dublino tre anni dopo e di raggiungere a Londra i figli Willie, giornalista, e Oscar, che all'epoca cominciava a raccogliere consensi nei circoli letterari della capitale. Trascorse gli ultimi otto anni nel quartiere di Chelsie, a Oakley Street, dove creò un salotto culturale che fu polo di attrazione della società mondana dell'epoca. Con Willie visse sostanzialmente in povertà, pubblicando su riviste ciò che il marito aveva raccolto nelle sue ricerche sul folklore irlandese.

Prima di morire di bronchite nel 1896, Lady Wilde chiese di poter rivedere Oscar in prigione, ma il permesso le fu negato e lei si spense il 3 febbraio dello stesso anno.


La traduzione completa in lingua italiana della raccolta che Lady Speranza pubblicò nel 1887 è importante per la sua doppia chiave di lettura e interpretazione: la prima consiste nella divulgazione in toto di un prezioso volume di fiabe e leggende tradizionali irlandesi, dall'indubitabile valore antropologico e storico; la seconda nella presentazione, in filigrana, di un'autrice finora adombrata dalla figura, certamente più celebrata, del figlio, passato alla storia come massimo rappresentante dell'estetismo in lingua inglese. Eppure, come sovente accade, non si può scindere l'analisi della grandezza dell'uno (Oscar Wilde) senza individuare l'alone emanato dalla fascinazione dell'altra, sicuramente fautrice, in maniera più o meno diretta, della formazione e dell'educazione sentimentale del figlio. Una personalità tanto esuberante e prorompente non poteva non influenzare l'identità di Oscar, ribelle scrittore dal solido e possente retroterra culturale, il quale, quando nel 1882 svolse un giro di conferenze negli Stati Uniti, venne annunciato come "Speranza's Son" (Figlio di Speranza). Simili nell'aspetto come nella voce, il rapporto tra i due fu spesso solidale e decisamente fruttuoso: lo testimoniano le fotografie che ritraggono il piccolo Oscar in abiti femminili (come ad accondiscendere al desiderio materno di una figlia femmina), mentre i biografi riportano frasi e citazioni attribuite a Oscar (ad esempio quella di eludere vanitosamente informazioni sulla propria età) che di fatto sono di matrice speranziana, e quel che fu confidato dallo stesso Oscar a seguito del suo successo come drammaturgo: "I must now pose as the Mother of Oscar" (Devo ora recitare il ruolo della Madre di Oscar). Un rapporto fruttuoso in termini di creazione letteraria fu però condiviso anche tra Oscar e la moglie Constance, a sua volta autrice (sconosciuta) di una breve opera di fiabe per bambini.

La fiaba dunque sembra profilarsi come insospettabile trait d'union tra il mondo maschile di Oscar e il mondo femminile di Lady Speranza così come della più docile e mansueta Constance. Ma le storie di Speranza non hanno molto a che fare con la fantasia della moglie di Oscar. Anzi, esse sono il frutto di un'oculata e puntigliosa ricerca nella storia e nelle tradizioni di un Paese, l'Irlanda, all'epoca ancora lontano da un'indipendenza che avverrà soltanto parzialmente nel 1921 con il trattato anglo-irlandese, seguito da una sanguinosa guerra civile che vide cadere i suoi uomini più impavidi, tra cui Michael Collins. Pochi però sono a conoscenza di quanto le donne del periodo abbiano operato per il risveglio delle coscienze di un popolo tanto straordinario, soggiogato dalle alterne vicissitudini politiche e dall'arroganza dell'Impero Britannico. Le donne infatti agirono nel mondo culturale come gli uomini nel mondo politico: a Lady Speranza si deve questa preziosa raccolta di storie e leggende irlandesi dal forte carattere nazionalistico, così come alle figure femminili che la seguirono (la suffragista Millicent Fawcett e la fervida attivista Maud Gonne in testa) si devono iniziative di stampo divulgativo, come serate di letture di poesie e prose dedicate alla storia del Paese, rappresentazioni teatrali che mettevano in scena momenti dell'epica irlandese, e attività di scolarizzazione finalizzate al recupero dei bambini e dei poveri dell'isola.

Il presente volume è dunque un'opera di indubbio valore storico-nazionalistico: i personaggi che popolano le storie raccontate sono tratti dalla tradizione popolare irlandese, con fate e folletti lontani dalla mitologia classica norrena (come viene chiarito dalla Wilde nell'ampia introduzione), e con figure particolari come i phouka, le banshee, i lepricani che sono tipici dell'oralità isolana.

Non bisogna trascurare la peculiarità geografica dell'Irlanda, isola a ovest di quella britannica e pertanto più ancorata alla presenza di un oceano, vera entità mitemica che la colloca in un estremo occidente europeo. Terra di pionieri, cacciatori, navigatori, pirati, il mare ha giocato sull'Irlanda la stessa fascinazione che il Mediterraneo ha esercitato sulla sensibilità dei popoli ellenici, con i quali ha condiviso le medesime radici antropologiche. Ecco allora la comparsa di sirene, fate del mare, figurazioni medusee che ammaliano viandanti e navigatori, attirandoli nelle loro scie d'incanto e perdizione. Ed ecco ancora principesse, donne bellissime rapite dal potente re delle fate, il quale, pur circondato da donne meravigliose, preferirà sempre la bella mortale che non gli appartiene, la sposa vergine che ancora non ha varcato la soglia iniziatica del matrimonio. Ciò che induce il lettore a immergersi nell'atmosfera remota e fantastica di Eileen, di Edna e di altre ingenue e romantiche fanciulle, è la comprensione della distanza dialettica che ci separa dalla voce della Wilde e che ci catapulta in un pianeta di fantasie lontane tanto nel tempo quanto nello spazio, nonché della straordinaria comunanza di figure, di fabulae, che ci avvicinano al mondo a noi più noto della mitologia greco-romana.

Abbiamo sempre avuto l'ineffabile percezione che l' humus culturale irlandese avesse diversi e imprevisti contatti con il nostro, e Lady Speranza da un lato, così come Sir William dall'altro, hanno avuto modo di spiegarcene il motivo: i celti, i principali abitanti dell'isola, si sono formati miscelando tribù e razze differenti, provenienti dall'Iran (da cui il probabile anagramma di Erin) e dal sud dell'Europa. Da qui la strana (perché estranea) diffusione dei pozzi sacri in Irlanda, anomala per una terra così piena d'acqua, ma retaggio di una cultura in cui l'attingimento da una tale fonte di vita doveva rivelarsi decisivo. Da qui, però, anche la fusione di alberi tipici di un'isola tanto ricca di boschi con piante di una terra dal suolo più arido, e di conseguenza meno assetato d'acqua. Mitologemi dell'una si integrano con quelli dell'altra — due culture che dialogano a distanza, e di cui si rivela l'eco soltanto in tempi relativamente recenti.

Se si possa ancora una volta ricorrere a una cultura indoeuropea, una sorta di Ur-Culture, culla di una civiltà totalizzante e onnicomprensiva di stampo proppiano, o se si debba invece far riferimento a una vasta koiné di archetipi che si ritrovano e vengono a loro volta rielaborati nell'ampio bacino euro-asiatico, come sottendono invece le tesi di Jung e Kereny, non sta a noi stabilirlo. Ciò che invece importa è che la voce della Wilde si diffonda con forza ad affermare la singolarità identitaria di una nazione e del suo popolo, che nel 1800 si stava scoprendo attraverso l'accurata ricostruzione del proprio passato. Un passato fatto della sua gente, dei suoi racconti, a volte onirici, a volte feroci, che nell'uso della lingua (la più volte citata "lingua irlandese") esprime l'attaccamento e il legame con la sua terra. Una terra per la quale gli irlandesi riusciranno a realizzare, pur se solo in parte, il sogno di una soggettività distinta da quella inglese, come attestato dall'accurato racconto di insigni figure dell'epoca, uomini e donne che operarono attivamente per l'indipendenza dell'Irlanda.


Come dunque una tale voce è stata trasmessa da una madre al figlio? Con quali effetti, in particolare se il figlio in questione è Oscar Wilde e ha dato alle stampe testi come The Happy Prince and Other Tales (Il principe felice e altre storie, 1888)? Un indizio può esserci offerto dall'analisi del nome per intero di Oscar (come a dire nomen omen): Oscar Fingal O'Flahertie Fills Wilde – Oscar perché, secondo la mitologia irlandese, era il nome del figlio di Osin nato nella terra dell'eterna giovinezza, quindi un augurio di rimanere sempre giovane; Fingal, dal protagonista dei Canti di Ossian, la celebre raccolta di antichi canti gaelici del 1760; e O' Flahertie, dall'antica parentela della nonna paterna. Un riferimento così esplicito sia alla tradizione culturale irlandese, sia alla genealogia femminile della famiglia (la nonna paterna), fornisce un'impronta imprescindibile per l'interpretazione della figura e delle opere di Oscar, e soprattutto, attraverso di esse, pone in rilievo la personalità della madre, che da protestante si convertì al Cattolicesimo (considerato più genuinamente irlandese e lontano dagli influssi politici della Chiesa Anglicana), e indubbiamente ispirò l'intento pedagogico ed educativo trasfuso nelle fiabe. Se consideriamo inoltre che tale genere di narrativa, dalla forte matrice 'femminile' perché legata all'oralità, all'intrattenimento apparentemente spensierato perché svolto durante le faccende domestiche, spesso "davanti al fuoco", e che soltanto attraverso un sapiente lavoro di indagine e ricerca nella storia e nell'etnografia locale produce sovente uno strumento sovversivo di severa critica politica e sociale della cultura dominante, allora diviene chiaro anche il tipo di consegna intellettuale che da Wilde madre è stato raccolto e rielaborato da Wilde figlio. L'intento di una sottile accusa contro la morale borghese dell'epoca vittoriana è implicito in entrambi gli autori, se pur con una prerogativa eminentemente etnostoriografica da parte di Lady Speranza, e principalmente narrativa da parte di Oscar. Il risultato però non cambia, se si accetta la tesi che le figure fantastiche dell'una, estrapolate dalla tradizione popolare irlandese – spesso arricchita di figure fatate, o stregate dalle fate – si confondono con i personaggi dell'altro, reinventati e rielaborati secondo un gusto del tutto originale. Si consideri per esempio che la prima edizione delle fiabe di Oscar, risalente al 1888, si pregiò delle illustrazioni di Walter Crane (1845-1915), pittore legato alla generazione post-preraffaellita noto per le sue opere a olio e ad acquerello dedicate soprattutto all'infanzia, mentre, nelle edizioni successive, dei disegni di due giovani artisti, Charles De Sousy Ricketts (1866-1931) e Charles Hazlewood Shannon (1863-1937), anch'essi di scuola preraffaellita, pronti ad accondiscendere a qualsiasi suggerimento estetizzante di Oscar. La narrazione di fiabe risponde dunque a un'istanza meramente artistica, al punto che vari recensori ritennero le ultime fiabe pubblicate da Wilde degli esempi di "ultra estetismo", poco adatto a un pubblico infantile, più rivolto invece a un lettore adulto, oculatamente selezionato secondo i principi egli interessi di Oscar. Ma se con Lady Speranza le fiabe riportano, attraverso la loro oralità e la fascinazione esercitata da generazioni di narratori occasionali, la forza evocativa di un popolo, la sua voce mitopoietica, con Oscar esse si rivelano come ulteriore modalità espressiva di far letteratura, un invidiabile strumento performante che, grazie all'uso della parola e delle immagini che la corredano, copre quello scarto dialettico che spesso separa la letteratura dell'infanzia da quella più 'alta', arte tout court. Nel secondo caso, però, non è difficile intravedere lo scrittore ritornare bambino, riappropriarsi di quelle stesse parole e di quelle stesse immagini che gli erano state trasmesse da piccolo, nella sua infanzia, quando la madre lo accompagnava nei meandri del racconto schiudendogli scenari di mirabolanti fantasie, di boschi oscuri e di mari fondi, mentre lui, a sua volta genitore, ripercorreva quelle tracce di ricordi a ritroso: "Era diverso; aveva tanto del bambino nella sua stessa natura [...] Si metteva a quattro gambe sul pavimento della nursery e faceva a turno il leone, il lupo, il cavallo, affatto incurante del suo aspetto, di solito immacolato".

Antonella De Nicola

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PREFAZIONE



Le tre grandi fonti di conoscenza per capire gli aspetti nascosti della storia umana sono la lingua, la mitologia e i monumenti antichi.

Dalla lingua apprendiamo il livello culturale e sociale raggiunto da una nazione in qualsiasi periodo nell'arte, nei costumi e nella civiltà, per quanto riguarda la relazione tra gli uomini e tra l'uomo e il mondo materiale e visibile.

La mitologia di un popolo rivela la sua connessione con il mondo spirituale e invisibile, mentre gli antichi monumenti sono i simboli solenni ed eterni della fede religiosa: rituali di pietra sotto forma di megaliti, pilastri, sacrari e torri, templi e tombe.

La parola scritta, o letteratura, giunge dopo, sublime e suprema espressione dell'intelletto, della cultura e del progresso scientifico di una nazione.

La razza irlandese non è mai stata troppo in debito con la parola scritta. La classe colta, gli ollamhs, protesse e custodì con sacralità la propria sapienza. Il popolo perciò visse interamente delle tradizioni dei padri, unite alle nuove dottrine impartite dal Cristianesimo: così il credo popolare divenne, nel tempo, un amalgama di miti pagani e leggende cristiane, e questi due elementi rimangono indissolubilmente legati fino a oggi. Il mondo, in effetti, è come un libro, o piuttosto un romanzo a puntate, che va avanti da seimila anni, ma del quale i contadini irlandesi non hanno nemmeno girato la prima pagina.

Il presente lavoro si occupa solo di mitologia, o meglio delle credenze fantastiche degli irlandesi a proposito del mondo invisibile: superstizioni strane e mistiche, giunte migliaia di anni fa dalla loro patria ariana, che influenzano ancora, persino oggi, i modi di pensare e di agire nella vita quotidiana della popolazione.

Tra le classi colte di tutte le nazioni la fede nel soprannaturale, che agisce direttamente sulla vita e interferisce costantemente con il corso naturale dell'agire umano, si è presto dissolta e sparisce gradatamente, perché la conoscenza delle leggi naturali risolve molti misteri che un tempo erano inesplicabili. Eppure tanti misteri della relazione mistica tra il mondo materiale e quello spirituale restano insoluti, anche per il filosofo. Mentre per le masse — gli incolti — che non sanno nulla delle leggi eterne e rigorose della natura, ogni fenomeno sembra risultare dall'azione diretta di qualche forza non umana, invisibile eppure presente, capace di dare benefici, ma implacabile se viene offesa, e che perciò necessita di essere propiziata.

La superstizione dei contadini irlandesi, allora, è la fede istintiva nell'esistenza di certe entità invisibili che influenzano tutta la vita umana. E dato che la loro razza ha una grande sensibilità, non ci si stupisce che il popolo viva abitualmente all'ombra e nel timore di poteri invisibili che, nel bene e nel male, sono terribili e misteriosi per menti incolte che vedono solo i risultati prodotti da certe forze, ma non sanno nulla delle possibili cause.

Molte delle leggende, delle superstizioni e degli antichi incantesimi qui raccolti sono stati ottenuti principalmente dalla tradizione orale dei contadini stessi, irlandesi o inglesi-irlandesi che conservano gran parte dell'espressivo idioma della lingua antica.

Queste narrazioni sono state studiate da esperti in entrambe le lingue, e quando possibile nelle parole esatte del narratore. In questo modo si è mantenuta molta della semplicità primitiva nello stile: le leggende, infatti, hanno un valore peculiare e speciale in quanto provengono direttamente dal cuore di una nazione.

Tra pochi anni un'antologia come questa sarebbe impossibile, perché l'antica stirpe si sta rapidamente dislocando in altre terre. Nel vasto e laborioso mondo dell'America, con tutte le nuove influenze del luminoso progresso, le nuove generazioni, per quanto amino ancora la terra dei loro padri, difficilmente troveranno agio di sognare le colline e i laghi abitati dalle fate o le roccaforti dell'antica Irlanda.

Nego, però, di volermi considerare una malinconica Laudatrix temporis acti. Questi studi sul passato irlandese sono semplicemente l'espressione del mio amore per la bellissima isola che mi ha dato la prima ispirazione, i più vivaci impulsi intellettuali e mi ha regalato la migliore e più solida simpatia che una donna possa avere per il genio di un Paese.

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LE DONNE COL CORNO



I racconti e le leggende narrate dai contadini nel vernacolo irlandese sono molto più bizzarri e strani delle comuni fiabe tramandate dal popolo in inglese, e hanno maggiori riferimenti alle atmosfere del mondo antico, come si potrà constatare dalla leggenda che segue, tradotta dall'irlandese, che si dice abbia mille anni.


Una notte, sul tardi, una ricca signora si mise seduta a cardare e preparare la lana, mentre tutta la famiglia e i servi dormivano. Improvvisamente qualcuno bussò alla porta e una voce chiamò: "Aprite! Aprite!".

"Chi è?", chiese la padrona di casa.

"Sono la strega dall'unico corno", fu la risposta.

La signora, pensando che fosse qualche vicino che chiedeva aiuto, aprì la porta. Entrò una donna che teneva in mano un paio di cardatori da lana e sembrava che un corno gli stesse crescendo sulla fronte. Si accomodò in silenzio accanto al focolare e cominciò a cardare la lana di gran fretta. All'improvviso si fermò e disse ad alta voce: "Dove sono le donne? Si stanno attardando troppo".

Poi si sentì di nuovo bussare alla porta e una voce risuonò come prima: "Aprite! Aprite!".

La padrona si sentì obbligata ad alzarsi e a rispondere al richiamo. Immediatamente entrò una seconda strega, con due corni sulla fronte e in mano una ruota per filare la lana.

"Dammi una sedia", disse. "Sono la strega dai due corni", e cominciò a filare la lana veloce come una saetta.

E così continuarono a bussare alla porta, veniva aperto e le streghe entravano, fino a che dodici donne sedettero intorno al fuoco: la prima con un corno, l'ultima con dodici corni. Cardavano la lana, girando le ruote dei filatoi, avvolgevano e tessevano il filo, mentre intonavano tutte insieme un'antica cantilena senza rivolgere nemmeno una parola alla padrona di casa. Strane da udire e spaventose da vedere queste dodici donne, coi loro corni e i loro filatoi. La padrona si sentì quasi morire. Provò ad alzarsi per chiamare aiuto, ma non riusciva a muoversi, tanto meno a emettere una parola o un grido, perché era sotto l'incantesimo delle streghe.

Finché una di loro le si rivolse in irlandese e disse:

"Alzati, donna, e preparaci un dolce".

Allora la signora andò alla ricerca di una brocca per attingere dal pozzo l'acqua con cui poteva miscelare gli ingredienti per fare il dolce, ma non riuscì a trovarne nemmeno una. Allora le dissero:

"Prendi un setaccio e mettici l'acqua dentro".

Ella prese il setaccio e andò al pozzo, ma l'acqua colava giù e non ne rimaneva nemmeno una goccia per fare il dolce. Quindi si sedette ai piedi del pozzo e pianse. In quel momento le giunse il suono di una voce che diceva:

"Prendi dell'argilla gialla e del muschio, amalgamali insieme e ricopri il setaccio in modo che trattenga l'acqua".

Così fece e il setaccio trattenne l'acqua per il dolce. La voce disse nuovamente:

"Ritorna indietro e quando giungerai all'angolo nord della casa grida forte tre volte, dicendo: `La montagna delle donne di Fianna e il cielo sopra di essa sono tutta una fiamma'.

E così fece.

Quando le streghe dall'interno udirono quelle parole, un urlo forte e terribile proruppe dalle loro bocche, si precipitarono fuori con lamenti e strilli selvaggi e fuggirono verso il monte Slievenamon, dov'era la dimora del loro capo. Ma lo Spirito del Pozzo ordinò alla padrona di rientrare e preparare la casa contro gli incantesimi delle streghe se per caso fossero tornate di nuovo.

Innanzitutto per spezzare i loro sortilegi ella cosparse fuori dalla porta, sulla soglia, l'acqua in cui aveva lavato i piedi del suo bambino: l'acqua dei piedi. Poi prese il dolce che le streghe avevano cucinato in sua assenza, fatto di farina mescolata a sangue estratto dai suoi familiari mentre dormivano. Ella ridusse il dolce a pezzetti e ne mise ciascun pezzetto nella bocca di ogni membro della famiglia addormentato, così che questi si rimisero in salute. Poi prese il panno che le streghe avevano tessuto e ne mise metà dentro, metà fuori da uno scrigno chiuso con il lucchetto. Infine, serrò la porta con una trave diagonale fissata nei cardini, in modo che non potessero entrare. E, dopo aver fatto queste cose, attese.

Non molto tempo impiegarono le streghe a far ritorno, furiose e desiderose di vendetta.

"Apri! Apri!", urlavano. "Apri, acqua dei piedi!".

"Non posso," disse l'acqua dei piedi, "sono cosparsa sul pavimento e il mio cammino è giù, verso il Lago".

"Aprite, aprite, legno, albero e trave!", gridarono alla porta.

"Non posso," disse la porta: "poiché la trave è fissata ai cardini e non ho il potere di muoverla".

"Apri, apri, dolce che abbiamo cucinato e mischiato col sangue", gridarono ancora.

"Non posso," disse il dolce, "poiché sono stato rotto e sbriciolato, e il mio sangue è sulle labbra dei bambini che dormono".

Allora le streghe fuggirono nell'aria con grandi urla e tornarono in tutta fretta verso il monte di Slievenamon, pronunciando sinistri malefici contro lo Spirito del Pozzo che aveva auspicato la loro rovina. Ma la donna e la casa furono lasciate in pace, e un mantello caduto a una delle streghe in volo fu tenuto appeso dalla donna in ricordo del terribile trambusto di quella notte. E questo mantello passò nelle mani della stessa famiglia di generazione in generazione, e rimase in loro possesso per altri cinquecento anni.

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UNA STORIA DI LUPI



La trasformazione dei lupi rappresenta uno degli argomenti preferiti delle leggende irlandesi e tra i contadini riuniti attorno al fuoco di torba, nelle notti d'inverno, si raccontano tante storie feroci con strane avventure di lupi. Storie che sono giunte a loro tramandate dagli avi, in epoche remote, tanto tempo fa, poiché non vi sono più lupi adesso in Irlanda.


Un giovane contadino, di nome Connor, una volta perse due mucche pregiate che appartenevano alla sua mandria, e non se ne ebbe più traccia né notizia da nessuna parte. Così pensò di andare a cercarle nelle campagne. Prese un robusto bastone di pruno selvatico e si avviò. Percorse miglia e miglia tutto il giorno, ma non c'era traccia delle bestie. La sera cominciava a farsi scura, e lui era sfinito e affamato, senza nessun luogo vicino in cui riposarsi, poiché si trovava nel mezzo di una brughiera cupa, desolata; non c'era nessuna abitazione in vista, fatta eccezione per un capanno lungo, basso e scabro come la tana di un bandito o di una belva feroce. Ma da uno spiraglio tra i pali di legno trapelava un luccichio: Connor prese coraggio, si avvicinò e bussò alla porta. Fu subito aperta da un vecchio alto, magro, dai capelli grigi e dai taglienti occhi scuri.

"Entrate," disse, "siete il benvenuto. Vi stavamo aspettando. Questa è mia moglie", e lo condusse davanti al focolare, dov'era seduta una vecchia magra dai capelli grigi, con lunghi denti aguzzi e terribili occhi sfavillanti.

"Siete il benvenuto", disse lei. "Vi stavamo aspettando – è ora di cena. Accomodatevi e mangiate con noi".

Orbene, Connor era un tipo coraggioso, ma all'inizio, alla vista di quella strana creatura, rimase piuttosto impressionato. Comunque aveva il suo bastone con sé e pensò che avrebbe potuto difendere la propria vita a qualsiasi costo. Nel frattempo, avrebbe riposato e cenato poiché si sentiva affamato e sfinito, e adesso era notte fonda e non avrebbe mai trovato la strada di casa se pure ci avesse provato. Quindi si sedette accanto al focolare, mentre la vecchia dai capelli grigi rimestava il paiolo sul fuoco. Ma Connor sentì che lo osservava continuamente con i suoi avidi occhi taglienti.

Poi qualcuno bussò alla porta. Il vecchio si alzò e la aprì. Allora entrò un giovane lupo nero e slanciato, che attraversò la stanza dirigendosi immediatamente in una camera interna, da cui uscì qualche momento dopo un bel giovane bruno, slanciato, che prese posto a tavola e, con gli occhi scintillanti, rivolse a Connor uno sguardo duro.

"Siete il benvenuto," disse, "vi aspettavamo". Prima che Connor potesse rispondere, qualcun altro bussò alla porta ed entrò un secondo lupo che passò nella saletta interna come il primo lupo, e subito dopo un altro bel giovane scuro uscì e si sedette a cenare con loro, fissando Connor con i suoi avidi occhi, ma non proferì parola.

Questi sono i nostri figli," disse il vecchio, "dite loro cosa volete, e cosa vi ha portato tra di noi, poiché noi viviamo da soli e non importa se vengono a casa nostra delle spie o degli stranieri".

Allora Connor raccontò la sua storia, come aveva perduto le sue due mucche pregiate e come le aveva cercate tutto il giorno senza trovarne traccia. Non conosceva il posto in cui si trovava e nemmeno il generoso gentiluomo che lo aveva invitato a cena. Ma se gli avessero detto dove trovare le sue mucche, avrebbe ringraziato e avrebbe fatto il possibile per tornare subito a casa.

A quel punto risero tutti, guardandosi l'un l'altro, e la vecchia megera quando mostrò i lunghi denti aguzzi era più spaventosa che mai.

Con ciò, essendo un tipo irascibile, Connor cominciò ad arrabbiarsi. Afferrò strettamente il bastone di pruno selvatico, si alzò e ordinò loro di aprirgli la porta: se ne sarebbe andato per la sua strada, dato che non gli prestavano ascolto e si prendevano solo gioco di lui.

Allora il maggiore dei giovani si alzò in piedi. "Aspettate," disse, "noi siamo crudeli e cattivi, ma non dimentichiamo mai una gentilezza. Vi ricordate quando un giorno, in fondo alla valle, trovaste un povero lupetto che soffriva dolori atroci ed era sul punto di morire perché una spina appuntita gli aveva trafitto il fianco? E voi gentilmente gli estraeste la spina, gli deste da bere e ritornaste sul vostro cammino lasciandolo in pace a riposare?".

"Sì, benissimo me lo ricordo," disse Connor, "e ricordo anche come la povera bestiola mi leccava la mano in segno di gratitudine".

"Ebbene," disse il giovane, "quel lupo sono io, e se posso vi aiuterò, ma restate con noi stanotte e non abbiate paura".

Quindi si sedettero di nuovo per cenare. Mangiarono allegramente, poi caddero tutti in un sonno profondo. Connor non capì più nulla fino a che non si svegliò la mattina e si trovò accanto a un enorme covone di fieno, proprio nel suo campo.

"Beh," pensò, "l'avventura della scorsa notte non è stata di sicuro solo un sogno e certo troverò le mie mucche, una volta a casa, poiché quel giovane lupo, buono e distinto, mi ha promesso il suo aiuto e sono convinto che non mi tradirà".

Ma quando giunse a casa e cercò nel cortile, nella stalla e nel campo, non c'era segno né traccia delle mucche. Così diventò molto triste e sconsolato. Ma proprio allora intravide nel campo lì accanto tre delle più belle e strane mucche su cui avesse mai posato gli occhi.

"Queste" disse, "devono essersi allontanate dal terreno di qualche vicino". Allora prese il suo grosso bastone per dirigerle fuori dal recinto del suo campo. Però, quando ebbe raggiunto il recinto, c'era di guardia un giovane lupo nero. Appena le mucche provarono a oltrepassare il cancello, il lupo le attaccò spingendole indietro. Allora Connor capì che il suo amico lupo aveva mantenuto la parola. Quindi lasciò tornare le mucche tranquillamente nel suo campo e lì rimasero fino a divenire le più pregiate dell'intero paese, e la loro discendenza è arrivata fino ai giorni nostri. Connor diventò ricco e prosperoso, poiché una buona azione non va mai perduta, ma porta sempre fortuna a chi la compie, come dice il vecchio proverbio:

    "Fortune sian date
    Alle buone azioni compiute".

Connor non trovò mai più quella brughiera desolata o quel capanno abbandonato, nonostante li avesse cercati in lungo e in largo per portare i suoi ringraziamenti, come doveva, agli amici lupi, e nemmeno incontrò di nuovo un solo componente di quella famiglia. Però si doleva molto quando portavano in città un lupo ammazzato per ricevere una taglia, temendo che la vittima potesse essere il suo squisito amico. A quel tempo, data la desolazione del Paese costantemente in guerra, i lupi in Irlanda erano aumentati al punto tale che veniva offerta una ricompensa e veniva corrisposta una lauta somma per ogni pelle di lupo portata alla Corte di giustizia. E questa era l'epoca della regina Elisabetta, in cui le truppe inglesi intrapresero guerre incessanti contro il popolo irlandese e in Irlanda c'erano più lupi che uomini. E i morti venivano lasciati insepolti lungo tutte le strade, a centinaia, poiché non v'erano più braccia disponibili per scavare le loro fosse.

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Pagina 204

INCANTESIMI DI NOVEMBRE



Gli antichi irlandesi dividevano l'anno in estate e inverno, Samrath e Gheimrath: la prima cominciava a maggio, il secondo a novembre, detto anche Sam-fuim (fine-estate). In questa stagione, quando il sole muore, i poteri delle tenebre esercitano una profonda influenza negativa su tutte le cose. Le streghe dicono di poter cavalcare di notte nell'aria con Diana di Efeso, Erodiade ed altre complici del demonio: trasformano gli uomini in bestie, cavalcano con i morti e percorrono molte leghe in groppa a veloci cavalli fantasma. Alla vigilia di novembre, con certi incantesimi si possono anche far apparire i morti, che rispondono alle domande. Ma a tale scopo si deve spruzzare del sangue sulla salma del morto quando risorge, poiché si dice che gli spiriti amino il sangue. Il colore li eccita e conferisce loro il potere e la parvenza della vita.

Anche la divinazione col fuoco, la terra e l'acqua è largamente praticata, ma, come ha osservato un antico autore, "tutte queste divinazioni sono maledette, perché sono opera di angeli caduti che forniscono conoscenza soltanto attraverso il sortilegio e portano male al richiedente. Non bisognerebbe considerare tempi e stagioni come fortunati o sfortunati, né il corso della luna, la morte del sole o i cosiddetti giorni egiziani, poiché per un cristiano tutte le cose sono benedette. Questa è la dottrina della Santa Chiesa, che tutti gli uomini dovrebbero avere nel cuore... Tuttavia, una preghiera dedicata a Dio, ben scritta, può esser appesa intorno al collo, perché è un atto compiuto con spirito devoto e non è contrario alle disposizioni della Chiesa".

Lo scapolare cui si allude è un pezzo di stoffa sul quale è scritto da un lato il nome di Maria, dall'altro la sigla I.H.S. Protegge contro gli spiriti maligni, funge da lasciapassare per il Paradiso e mette al sicuro dalle pene dell'Inferno, dato che la Vergine Benedetta prende sotto la sua personale protezione chi lo indossa. Viene messo in una borsetta di seta legata intorno al collo, che viene lasciata sui morti nelle loro bare affinché gli angeli la vedano al momento della resurrezione. Lo scapolare non viene mai dato a chi conduce una vita malvagia, ed è quindi simbolo di vita beata sulla terra e di vita benedetta nell'aldilà.

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Pagina 238

IL POTERE DELLA PAROLA



In tutte le isole greche si crede nell'influenza malefica del malocchio e si prendono le stesse misure preventive che si usano in Irlanda. Una vecchia, purché sia a conoscenza dei misteri e sia ritenuta saggia, viene incaricata di sputare tre volte sulla persona colpita dal malocchio. Anche il sale e il fuoco sono utilizzati come protezione, proprio come li usano i contadini irlandesi per salvaguardare il bestiame e i bambini dall'influenza del male. Non esiste comunque una superstizione più diffusa: sembra coinvolgere il mondo intero e pare istintiva nel genere umano. Le persone istruite ne sono suscettibili come quelle illetterate, e apparentemente non esistono nervi tanto forti da resistere all'impressione provocata da uno sguardo invidioso e maligno, da cui sembra emanare un veleno rovinoso e distruttore. È vano appellarsi alla ragione: non si riesce a vincere la sensazione che la presenza e lo sguardo di una certa persona in una stanza possa gelare tutti i flussi naturali dello spirito, così come la presenza di una persona diversa sembra intensificare tutti i nostri poteri mentali e trasformarci per un attimo in un essere superiore.

Tuttavia una forza maligna, persino più potente dello sguardo del malocchio, veniva esercitata dai bardi di Erin: decidevano chi benedire, ma anche chi maledire. Il malaugurio del poeta era più temuto e più fatale di qualsiasi altra forma di imprecazione, poiché il bardo aveva il potere mistico del profeta: riusciva a prevedere e poteva condannare. Nessuno poteva sfuggire al giudizio pronunciato da un poeta su chi desiderava danneggiare: perché il poeta possedeva la conoscenza di tutti i misteri ed era Maestro dei segreti della vita grazie al potere della Parola. Ecco perché i poeti furono enfaticamente chiamati la tribù dei Duars, ossia gli Uomini della Parola. Con la parola infatti riuscivano a produrre deformità su chi detestavano, rendendoli oggetto di scherno e disgusto agli occhi degli altri.

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Pagina 240

IL BARDO E IL RE



Nuadhé, il celebre poeta, è ricordato nella storia per un memorabile esercizio di potere maligno, e per la punizione che di conseguenza cadde su di lui. Il cielo infatti è giusto, e persino un bardo non può sfuggire alla meritata pena per un peccato.

Egli era nipote di Caer, re del Connaught, che lo allevò con tutto l'amore e la dedizione di un figlio. Ma per una cattiva sorte la moglie di re Caer si innamorò del giovane, e gli donò una mela d'argento come prova del suo amore, promettendogli inoltre il regno e se stessa qualora fosse riuscito a battere Caer e a fare in modo che il popolo detronizzasse il sovrano.

"Come posso fare una cosa simile?" replicò Nuadhé, "il re è sempre stato gentile con me".

"Chiedigli un regalo," disse la regina, "ch'egli rifiuterà, e poi storpialo con una maledizione, così che non possa essere più re", poiché a nessuno storpio sarebbe mai stato concesso di regnare ad Erin.

"Ma lui non mi rifiuta nulla", esclamò Nuadhé.

"Mettilo alla prova", insisté la regina. "Chiedigli il pugnale che ha portato da Alba, dato che ha giurato di non separarsene mai".

Allora Nuadhé si recò da lui e gli chiese il pugnale che aveva ricevuto in regalo ad Alba.

"Povero me!", disse il re. "Questo non posso concedertelo, poiché ho giurato solennemente di non separarmene mai e di non darlo a nessuno".

A quel punto il poeta con il suo potere compose una satira su di lui, ed ecco qual era l'imprecazione:

    "Cattiva morte e breve vita
    Siano su Caer il re!
    Che le lance della battaglia lo feriscano,
    Sotto la terra, sotto i bastioni, sotto le pietre,
    Che la maledizione cada su di lui!".

Quando al mattino Caer si destò, si mise la mano sul viso e scoprì di essere sfigurato da tre vesciche, una bianca, una rossa e una verde. E appena vide questa deformità scappò via pieno di paura che qualcuno potesse vederlo. Trovò rifugio in un forte con uno dei suoi fedeli servitori e nessuno sapeva dove si fosse nascosto.

Quindi Nuadhé prese il regno, lo tenne per un anno ed ebbe in moglie la regina. Ma gli pesava la sorte di Caer e si mise a cercarlo. Si sedette nella carrozza personale del re, con la moglie del re al fianco, e il levriero del re ai suoi piedi, mentre tutti stupivano per la bellezza del cocchiere.

Orbene, Caer era nel forte dove aveva trovato riparo e quando li vide arrivare disse:

"Chi è seduto nella mia carrozza al posto regale e guida i miei destrieri?".

Ma quando vide che si trattava di Nuadhé, fuggì via e si nascose per la vergogna.

Allora Nuadhé entrò nel forte con la carrozza del re, e sciolse i cani per inseguire Caer. Lo trovarono sotto una lastra di pietra, dietro una roccia, dove lo avevano scovato i cani. Nel vedere Nuadhé, Caer cadde a terra morto dalla vergogna, e la roccia dov'era caduto s'infiammò e s'infranse in mille pezzi. Una scheggia volò in aria ad altezza d'uomo e colpì Nuadhé agli occhi, accecandolo per sempre. Questa fu la punizione decretata, e giusta e corretta fu la vendetta di Dio per il peccato del bardo.

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