Copertina
Autore Maryanne Wolf
Titolo Proust e il calamaro
SottotitoloStoria e scienza del cervello che legge
EdizioneVita e Pensiero, Milano, 2009 , pag. 294, ill., cop.ril.sov., dim. 16x22,2x2,2 cm , Isbn 978-88-343-1721-1
OriginaleProust and the Squid. The Story and Science of the Reading Brain [2007]
TraduttoreStefano Galli
LettoreCorrado Leonardo, 2012
Classe scienze cognitive , scrittura-lettura , linguistica , evoluzione , comunicazione , medicina , bambini
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Indice


Indice delle illustrazioni                                   VII
Prefazione                                                     3

      PARTE PRIMA
      Come il cervello ha imparato a leggere

I.    Imparare a leggere da Proust e il calamaro               9
II.   Come il cervello si è adattato alla lettura:
      i primi sistemi di scrittura                            31
III.  La nascita di un alfabeto e le proteste di Socrate      59

      PARTE SECONDA
      Come il cervello impara gradualmente a leggere

IV.   Come si comincia a leggere, oppure no                   91
V.    La 'storia naturale' dello sviluppo della lettura:
      collegare le parti del giovane cervello che legge      121
VI.   La storia infinita dello sviluppo della lettura        149

      PARTE TERZA
      Quando il cervello non riesce a imparare a leggere

VII.  Il rompicapo della dislessia e il progetto cerebrale   181
VIII. Geni, doti e dislessia                                 217
IX.   Conclusioni: dal cervello che legge a 'ciò che verrà'  231

Ringraziamenti                                               249

Note                                                         255


 

 

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Pagina 10

CAPITOLO PRIMO

Imparare a leggere da Proust e il calamaro


                    Credo che leggere, nella sua essenza originaria,
                    [sia] quel fruttuoso miracolo di una comunicazione
                    nel mezzo della solitudine.
                    (Marcel Proust)

                    L'apprendimento implica il nutrimento della natura.
                    (Joseph LeDoux)



Non siamo nati per leggere. Θ passato solo qualche migliaio di anni dall'invenzione della lettura. L'invenzione ha portato con sé una parziale riorganizzazione del nostro cervello, che, a sua volta, ha allargato i confini del nostro modo di pensare mutando l'evoluzione intellettuale della nostra specie. La lettura è una delle invenzioni più straordinarie della storia; la possibilità di documentare i fatti storici è una delle sue conseguenze. Ma questa invenzione dei nostri antenati è stata possibile solo grazie alla straordinaria capacità del cervello umano di stabilire nuovi collegamenti tra le sue strutture preesistenti; un procedimento reso possibile dalla sua capacità di essere modellato dall'esperienza. Questa plasticità che sta al cuore della struttura del cervello è la base di gran parte di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare.

Questo libro racconta la storia del cervello che legge, nel contesto della nostra evoluzione intellettuale. Una storia che cambia, davanti ai nostri occhi e sotto i polpastrelli delle nostre dita. I prossimi decenni vedranno altre trasformazioni della nostra capacità di comunicare, quando attiveremo nuovi collegamenti cerebrali sospingendo la nostra evoluzione intellettuale in una varietà di direzioni nuove. Sapere ciò che la lettura richiede al nostro cervello, e sapere come essa contribuisce alla nostra capacità di pensare, sentire, conoscere e capire gli altri esseri umani è particolarmente importante in questo momento, contraddistinto dalla transizione dal cervello che legge a un cervello sempre più digitale. Giungere alla comprensione di come la lettura si è evoluta storicamente, come viene appresa dal bambino e come ha ristrutturato il proprio supporto nel cervello ci aiuta a proiettare nuova luce sulla nostra fantastica complessità di specie alfabetizzata. Tutto ciò mette in evidenza anche le possibili prossime tappe dell'evoluzione dell'intelligenza umana, e le scelte che forse saremo chiamati a compiere per modellare il futuro.

Questo libro abbraccia tre campi del sapere: la storia trascorsa in cui, dall'epoca dei Sumeri a Socrate, la nostra specie ha imparato a leggere; quella dello sviluppo individuale che ci mette in grado di leggere con sempre maggiore perizia; e la storia e la scienza di ciò che accade quando il cervello non riesce a imparare a leggere. Nel suo insieme, questo sapere cumulativo relativo alla lettura rende omaggio alla profondità delle nostre conquiste in quanto specie che annota, legge e va oltre ciò che ha conosciuto; e al tempo stesso ci fa attenti a ciò che vale la pena di preservare.

Ma questa visione storica ed evolutiva del cervello che legge ha in serbo per noi anche qualcosa di meno ovvio. Ci fornisce un approccio molto antico e molto nuovo al modo in cui insegniamo gli aspetti più essenziali del processo del leggere – a coloro il cui cervello è pronto a imparare e a coloro il cui cervello ha sistemi neuronali che forse sono organizzati diversamente, come nella disabilità di lettura che chiamiamo dislessia. Capire questi peculiari sistemi pre-collegati – cioè programmati, una generazione dopo l'altra, dalle istruzioni dei nostri geni – fa avanzare il nostro sapere in direzioni inattese le cui implicazioni abbiamo appena cominciato a esplorare.

Soggiace alle tre parti del libro una particolare visione di come il cervello apprende una novità. Pochi specchi riflettono meglio della lettura la sbalorditiva capacità del cervello umano di riorganizzarsi per apprendere una nuova funzione intellettiva. All'origine dell'attitudine del cervello a imparare a leggere c'è la sua proteiforme capacità di creare nuovi collegamenti tra strutture e circuiti originariamente preposti ad altri, più basilari processi cerebrali con un più lungo curriculum evolutivo, come la vista e la lingua parlata. Oggi sappiamo che gruppi di neuroni creano tra loro nuovi collegamenti e vie nervose ogni volta che acquisiamo una capacità. Gli studiosi di informatica usano l'espressione 'architettura aperta' per descrivere un sistema sufficientemente versatile per cambiare – o riorganizzarsi – al fine di rispondere a richieste in trasformazione. Entro i limiti della nostra eredità biologica, il nostro cervello è un ottimo esempio di architettura aperta. Grazie a questo tipo di progetto, noi veniamo al mondo programmati per modificare ciò che abbiamo ricevuto dalla natura, e per potere andare oltre. A quanto pare, siamo geneticamente predisposti allo sviluppo.

Il cervello che legge è quindi un aspetto di una dinamica bidirezionale assai efficace. La lettura può essere appresa solo grazie all'innata plasticità del nostro cervello; ma appena una persona impara a leggere, il suo cervello cambia per sempre, sia fisiologicamente che intellettualmente. Per esempio, a livello neuronale, chi impara a leggere il cinese utilizza un particolare gruppo di collegamenti neuronali che in modi significativi differisce da quelli impiegati da chi legge l'inglese. Quando il lettore del cinese fa i primi tentativi di leggere l'inglese, dapprima il suo cervello prova a usare le vie nervose su cui si basa la lettura del cinese. L'apprendimento della lettura in cinese ha letteralmente plasmato il cervello che legge il cinese. In modo analogo, come pensiamo e a cosa pensiamo sono in gran parte il frutto di intuizioni e associazioni connesse con le nostre letture. Come ha osservato lo scrittore Joseph Epstein, «la biografia di ogni personalità letteraria dovrebbe dare ampio spazio a cosa, e quando, ha letto, perché, in un certo senso, siamo quello che leggiamo».

Queste due dimensioni dello sviluppo e dell'evoluzione del cervello che legge – personale-intellettuale e biologica – raramente vengono descritte insieme, ma ci sono lezioni decisive e meravigliose che possiamo ricavare proprio da questo. In questo libro, uso il grande scrittore francese Marcel Proust come metafora e il molto sottovalutato calamaro come analogia per due aspetti molto diversi del leggere. Proust considerava la lettura una specie di «santuario» intellettuale in cui gli uomini hanno accesso a migliaia di differenti realtà che altrimenti non potrebbero mai incontrare né conoscere. Ciascuna di queste nuove realtà ha il potere di trasformare la vita intellettuale dei lettori senza obbligarli ad alzarsi dalle loro comode poltrone.

Negli anni Cinquanta del Novecento, gli scienziati hanno usato il lungo assone centrale del timido ma furbo calamaro per capire come i neuroni si attivano e si trasmettono segnali, e in certi casi per osservare come riparano o compensano un difetto di funzionamento. A un diverso livello della ricerca, oggi i neuroscienziati cognitivi studiano come vari processi cognitivi (o mentali) funzionano nel cervello. In questo ambito di ricerca, il processo della lettura è l'esempio per eccellenza di invenzione culturale acquisita di recente che avanza richieste inedite alle strutture cerebrali preesistenti. Studiare che cosa il cervello deve fare per leggere e le sagaci forme di adattamento a cui ricorre quando qualcosa non va è paragonabile allo studio del calamaro agli albori della neuroscienza.

Il santuario di Proust e il calamaro del neuroscienziato sono modi complementari per capire dimensioni diverse del processo di lettura. Permettetemi di presentarvi più concretamente l'impostazione di questo libro facendovi leggere due frasi, che mettono a dura prova le capacità respiratorie, del saggio Sulla lettura di Proust.

Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza vissuti con altrettanta pienezza di quelli ... passati in compagnia del libro prediletto. Tutto ciò che li riempiva agli occhi degli altri e che noi evitavamo come un ostacolo volgare a un piacere divino: il gioco che un amico veniva a proporci proprio nel punto più interessante, l'ape fastidiosa o il raggio di sole che ci costringevano ad alzare gli occhi dalla pagina o a cambiare posto, la merenda che ci avevano fatto portar dietro e che lasciavamo sul banco lì accanto senza toccarla, mentre il sole sopra di noi diminuiva di intensità nel cielo blu, la cena per la quale si era dovuti rientrare e durante la quale non abbiamo pensato ad altro che a quando saremmo tornati di sopra a finire il capitolo interrotto; tutto questo, di cui la lettura avrebbe dovuto impedirci di percepire altro che l'inopportunità, imprimeva in noi un ricordo talmente dolce (talmente più prezioso, secondo il nostro attuale giudizio, di quello che allora leggevamo con tanto amore) che ancora oggi, se ci capitano tra le mani i libri di un tempo, li sfogliamo come fossero gli unici calendari conservati dei giorni passati e ci aspettiamo di vedere, riflessi sulle loro pagine, le case e gli stagni che non esistono più.

Riflettete innanzitutto su che cosa pensavate leggendo questo brano, e cercate poi di analizzare cosa, precisamente, avete fatto leggendolo, comprese le associazioni di idee che le parole di Proust avevano cominciato a suscitare. Se siete come me, Proust avrà risvegliato lontani ricordi di vostre letture: i luoghi appartati in cui vi rifugiavate per non essere disturbati da fratelli, sorelle e amici; le sensazioni ed emozioni risvegliate da Jane Austen, Charlotte Brontλ e Mark Twain; la luce fioca della torcia elettrica sotto le coperte che speravate non fosse vista dai genitori. Θ questo il proustiano, e nostro, santuario della lettura. Θ dove abbiamo imparato per la prima volta a vagare senza sosta nelle Terre di Mezzo, Lilliput e Narnia. Θ dove per la prima volta abbiamo condiviso le esperienze di chi non avremmo mai incontrato: principi e poveri, draghi e damigelle, guerrieri Kung e una giovane ebrea olandese che con i suoi familiari viveva nascondendosi dai nazisti.

Si dice che talvolta Machiavelli si preparasse alla lettura abbigliandosi secondo la moda dell'epoca dell'autore che intendeva leggere e apparecchiasse per due; un segno di deferenza verso i doni intellettuali che stava per ricevere e, forse, di tacita comprensione del senso dell'incontro descritto da Proust. Leggendo, possiamo uscire dalla nostra coscienza e trasferirci nella coscienza di un altro: un'altra persona, un'altra epoca o un'altra cultura. L'espressione passing over (traslazione) usata dal teologo John Dunne descrive bene il processo col quale la lettura ci permette di sperimentare la prospettiva completamente diversa della coscienza di un'altra persona, di identificarci con lei e calarci temporaneamente nel suo ruolo. Quando ci caliamo nella mentalità di un cavaliere, nelle esperienze dello schiavo, nelle gesta di un'eroina e nell'animo del furfante in preda al rimorso o, al contrario, del tutto indifferente alle proprie malefatte, non ritorniamo mai noi stessi; a volte ci sentiremo ispirati, altre volte rattristati, ma in ogni caso più ricchi. Grazie a questa nostra esposizione, scopriamo il carattere a volte unico a volte comune dei nostri pensieri; scopriamo di essere singoli, ma non soli.

Nel momento in cui questo accade, non siamo più prigionieri dei limiti del nostro pensiero. I nostri precedenti confini, qualsiasi essi fossero, sono sfidati, stimolati e a poco a poco spostati. Una più ampia nozione dell' 'altro' cambia chi siamo e – cosa di particolare importanza per un bambino – cosa immaginiamo di poter essere.

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Pagina 22

[...] La lettura è un gesto tortuoso, in senso neuro-anatomico e intellettuale, arricchito dalle svolte impreviste delle inferenze e associazioni del lettore, come anche dal messaggio diretto dal testo all'occhio.

Questo aspetto unico del leggere inizia a preoccuparmi parecchio quando penso all'universo-Google dei miei figli. Θ possibile che il lato creativo che sta al cuore della lettura cominci a cambiare e atrofizzarsi con l'imporsi dei testi visualizzati dal computer, in cui dosi massicce di informazioni compaiono davanti a noi in un istante? Detto altrimenti: quando informazioni visive apparentemente complete sono fornite simultaneamente, come in molte presentazioni digitali, chi le ottiene ha tempo e motivazioni sufficienti per elaborarle in modo inferenziale, analitico e critico? L'atto del leggere è forse profondamente diverso in simili contesti? I processi visivi e linguistici fondamentali possono essere identici, ma non c'è il rischio che gli aspetti più bisognosi di tempo, profondi, analitici e creativi della lettura siano sacrificati? O è invece possibile che la maggiore ricchezza di informazioni degli ipertesti contribuisca a sviluppare il pensiero del bambino? Possiamo preservare nei nostri figli la dimensione costruttiva della lettura, insieme alla loro crescente capacità di eseguire molteplici attività e assimilare quantità sempre più vaste di informazioni? Θ forse ora che cominciamo a offrire istruzioni esplicite per leggere modalità multiple di presentazione di testi, in modo che i nostri figli imparino molti modi per gestire le informazioni?

Davanti a queste domande mi sento smarrita, ma è spesso così anche quando leggiamo. Lungi dall'essere un male, la dimensione associativa è parte della fecondità che è il cuore della lettura. Centocinquant'anni fa, Charles Darwin ha visto nella creazione un principio analogo, laddove forme «infinite» evolvono da principi finiti: «Da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano a evolversi». Lo stesso succede con la lingua scritta. Biologicamente e intellettualmente, la lettura permette alla specie di «oltrepassare l'informazione data» per produrre pensieri innumerevoli, bellissimi e meravigliosi. Nell'attuale momento storico di transizione verso nuovi modi di procurarsi, elaborare e capire le informazioni, è nostro dovere non rinunciare a questa essenziale qualità.

Certo, la relazione tra lettore e testo differisce a seconda delle culture e del momento storico. Migliaia di vite sono cambiate o sono state annientate a seconda che un testo sacro come la Bibbia fosse letto in modo concreto e letterale o creativo e interpretativo. La decisione di Lutero di tradurre la Bibbia dal latino al tedesco, permettendo alla gente comune di leggerla e interpretarla da sé, ha assai influenzato la storia della religione. Ed effettivamente, come alcuni storici hanno osservato, il mutare, col tempo, del rapporto tra lettore e testo può essere considerato un indicatore della storia del pensiero.

La curiosità che è il motore di questo libro è però più biologica e cognitiva che storico-culturale. In questo contesto, la capacità generativa della lettura è parallela alla plasticità fondamentale dei circuiti neuronali del nostro cervello: entrambi ci permettono di andare oltre i dettagli di ciò che è dato. Le ricche associazioni, inferenze e intuizioni che scaturiscono da questa capacità ci permettono di, e in effetti ci invogliano a, oltrepassare il particolare contenuto di quello che leggiamo, concependo nuovi pensieri. In questo senso, la lettura riflette e reinterpreta la capacità del cervello di progredire in campo cognitivo.

Molto, anche se assai obliquamente, ha detto in proposito Proust, in una potente descrizione della capacità della lettura di sollecitare il nostro pensiero.

Sentiamo molto schiettamente che la nostra sapienza ha inizio dove termina quella dell'autore, e vorremmo averlo a darci risposte mentre tutto ciò che può fare è darci dei desideri. E questi desideri può suscitarli in noi solo facendoci contemplare la suprema bellezza che l'ultimo sforzo della sua arte ci ha permesso di raggiungere. Ma tramite... una legge che forse significa che non possiamo ricevere la verità da nessuno, e dobbiamo crearla da soli, quella che è la fine della loro sapienza non ci appare altrimenti che come l'inizio della nostra.

C'è un paradosso nella comprensione, da parte di Proust, del carattere produttivo del leggere: il fine della lettura è oltrepassare le idee dell'autore, trovandone altre via via più autonome, trasformanti e infine indipendenti dal testo che le ha suscitate. Dai primi, esitanti sforzi del bambino di decodificare i caratteri della scrittura, l'esperienza di leggere non tanto è fine a se stessa quanto il nostro mezzo migliore verso una mente trasformata e un cervello modificato, in senso sia letterale sia figurato.

Alla fine, le trasformazioni biologiche e intellettuali apportate dalla lettura costituiscono un'ottima capsula Petri per esaminare il modo in cui pensiamo. Un simile esame richiede una pluralità di prospettive - linguistica antica e moderna, archeologica, storica, letteraria, pedagogica, psicologica e neuroscientifica. Lo scopo di questo libro è di integrare queste discipline per mostrare nuove prospettive su tre aspetti della lingua scritta: l'evoluzione del cervello che legge (come il cervello umano ha imparato a leggere); il suo sviluppo (come il cervello infantile impara a leggere e come siamo modificati dalla lettura); e le sue varianti (quando il cervello non riesce a imparare a leggere).

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Pagina 28

Perché quanto a conoscenza dei poco studiati talenti che sono connessi allo sviluppo cerebrale di certi dislessici, stiamo ancora muovendo i primi, eccitanti passi. Non può essere più considerata una coincidenza che tanti inventori, artisti, architetti, scienziati del computer, radiologi e finanzieri abbiano una storia infantile di dislessia. Inventori come Thomas Edison e Alexander Graham Bell, imprenditori come Charles Schwab e David Neeleman, artisti come Leonardo e Rodin, e Nobel come lo scienziato Baruj Benacerraf sono altrettante persone di straordinario successo con un passato di dislessia o analoghi deficit di lettura. Che cosa c'è in alcuni cervelli dislessici che sembra legato a un'eccezionale creatività professionale, nonché al disegno, alla rappresentazione dello spazio e al riconoscimento delle configurazioni? Il cervello diversamente organizzato del dislessico è forse particolarmente adatto alle richieste del nostro passato prealfabetico, in cui ingegnosità e intuito spaziale erano più preziosi? I dislessici sono particolarmente adatti a un futuro dominato dalla vista e dalla tecnologia? I più recenti studi di scansione cerebrale e genetica stanno forse cominciando a delineare una assai inconsueta organizzazione cerebrale di una parte dei dislessici, in grado finalmente di spiegare sia i loro ben noti deficit, sia quei loro talenti la cui comprensione da parte nostra è in continuo aumento?

Gli interrogativi sul cervello del dislessico ci hanno spinti a voltarci sia indietro, verso il nostro passato evolutivo, sia in avanti, verso il futuro del nostro sviluppo simbolico. Quali perdite e guadagni riserva il domani ai tantissimi giovani che hanno in larga misura sostituito al libro la cultura di internet con la sua multidimensionale «attenzione parziale continua»? Quali implicazioni ha un'informazione potenzialmente illimitata per l'evoluzione del cervello che legge e per la nostra specie? La rapida, quasi istantanea, presentazione di un contenuto informativo espandibile può pregiudicare il depositarsi di un sapere più profondo, che ha bisogno di tempi più lunghi? Recentemente, Edward Tenner, autore che si occupa di tecnologia, si è chiesto se Google non stia diffondendo una sorta di analfabetismo dell'informazione, e se il corrispondente modo di apprendere non avrà involontarie conseguenze negative: «Sarebbe una vergogna se una brillante trovata tecnologica finisse col mettere a repentaglio l'intelligenza che l'ha prodotta».

Riflettere su simili questioni sottolinea, proprio quando siamo sul punto di rimpiazzarle con altre, il valore di abilità intellettuali che non vogliamo perdere, facilitate dalla lettura e dalla scrittura. La ricetta di questo libro è due parti di scienza, una parte di osservazione personale e tanta verità quanta sono riuscita a trovare a illustrazione dell'impegno tenace che dobbiamo metterci, in quanto società, nel difendere lo sviluppo di particolari aspetti della lettura – per il bene di questa e delle successive generazioni. Sosterrò che diversamente da Platone, con la sua profonda ambivalenza verso l'aspetto parlato e quello scritto della lingua, non dobbiamo sentirci costretti a scegliere tra due modi alternativi di comunicare. Piuttosto, dobbiamo stare attenti a non smarrire la straordinaria fecondità del cervello che legge nel momento in cui arricchiamo il nostro repertorio intellettuale di nuove possibilità.

Come Proust, tuttavia, posso accompagnare il visitatore ai limiti del sapere ricevuto o stabilito, ma solo fino a un certo punto. Nell'ultimo capitolo mi sono avventurata al di là dell'acquisito, in campi in cui non si hanno altre guide che l'intuito e l'estrapolazione. Alla fine di questa esplorazione del cervello che legge, starà al lettore fare tesoro di ciò che sappiamo del profondo miracolo cognitivo che accade ogni volta che un essere umano impara a leggere, e andare oltre.

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Pagina 32

CAPITOLO SECONDO

Come il cervello si è adattato alla lettura: i primi sistemi di scrittura


                    E così passo ambiziosamente dalla mia storia di lettore
                    alla storia dell'atto di leggere. O piuttosto, a una storia
                    della lettura, dato che ogni storia del genere — fatta di
                    particolari istituzioni e circostanze private — dev'essere
                    solo una di tante.
                    (Alberto Manguel)

                    L'invenzione della scrittura, avvenuta indipendentemente in
                    parti distanti del mondo in molti momenti, qualche volta
                    perfino in epoca moderna, va classificata tra le più alte
                    imprese intellettuali dell'umanità. Senza la scrittura, la
                    cultura umana come oggi la conosciamo è inconcepibile.
                    (O. Tzeng - W. Wang)



Piccoli segni su supporti di argilla indurita, cordoncini colorati annodati in modi complessi (Fig. 3), bei disegni graffiati su gusci di tartaruga di mare: le origini della scrittura hanno preso forme meravigliosamente varie negli ultimi 10.000 anni in parti diverse del globo. Tratti incrociati su pietra risalenti a 77.000 anni fa sono stati scoperti recentemente sotto strati di terriccio nella Grotta Bloms in Sudafrica, e potrebbero rivelarsi una traccia ancora più antica dei primi tentativi dell'uomo di 'leggere'.

Dovunque e comunque abbia avuto luogo, la lettura non è mai 'solo avvenuta'. La sua storia è il risultato di una serie di passi avanti cognitivi e linguistici, accompagnati da grandi cambiamenti culturali. La sua storia variegata e discontinua aiuta a svelare che cosa il nostro cervello ha dovuto imparare, un passo dopo l'altro e una scoperta dopo l'altra.

La storia della lettura non è solo la storia di come l'uomo ha imparato a leggere, ma anche di come diversi generi di scrittura hanno richiesto diversi adattamenti delle originarie strutture cerebrali, e nel farlo hanno contribuito a cambiare il nostro modo di pensare. Guardando dalla nostra prospettiva – una prospettiva di cambiamenti in pieno corso del modo di comunicare – la storia della lettura ci fornisce una testimonianza impareggiabile di come ogni nuovo sistema di scrittura ha dato un contributo speciale al progresso intellettuale della nostra specie.

In ogni sistema noto, la scrittura ha esordito con un gruppo di due o più epifanie. La prima a mostrarsi è stata una nuova forma di rappresentazione simbolica, un gradino più su, per astrazione, delle precedenti figure: la scoperta straordinaria che semplici linee su un supporto di argilla, pietra o guscio di tartaruga potevano rappresentare tanto un elemento concreto del mondo naturale (come una pecora) quanto un'entità astratta (come un numero o un oracolo). Il secondo passo avanti è consistito nell'intuizione che un sistema di simboli può servire a comunicare attraverso il tempo e lo spazio, e a dare permanenza alle affermazioni e ai pensieri di singole persone o di tutta una cultura. La terza epifania, che linguisticamente è la più astratta, non si è verificata ovunque: la corrispondenza suono-simbolo è il frutto della geniale intuizione che tutte le parole sono composte da brevi suoni, e che i suoni di ogni parola possono essere rappresentati concretamente per mezzo di simboli. Studiare come diversi popoli nostri antenati hanno compiuto questi progressi al tempo dei primi sistemi di scrittura ci fornisce una specie di lente di ingrandimento con cui esaminare noi stessi. Infatti capire come un nuovo procedimento ha avuto origine può aiutarci a capire «come funziona», per citare il neuroscienziato Terry Deacon. A sua volta, capire il funzionamento ci aiuta a capire cosa abbiamo e cosa abbiamo bisogno di conservare.

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Pagina 97

Quello che ci insegna il linguaggio dei libri


Circa nello stesso momento in cui cominciamo sia a riconoscere i sentimenti che ci legano agli altri, sia a tracciare i confini che ci separano da loro, arriva un'altra intuizione di natura più esplicitamente cognitiva: un libro è pieno di parole più o meno lunghe, che, come le illustrazioni, a ogni lettura mostrano di essere sempre le stesse. Questa constatazione che si consolida a poco a poco rientra in una più vasta, silenziosa scoperta: che i libri possiedono un linguaggio tutto loro.

Quello del linguaggio dei libri è un concetto espresso di rado dai bambini, e, per la verità, poco tenuto presente anche dalla maggior parte di noi. Tuttavia, alcune proprietà piuttosto strane e importanti, sia concettuali sia linguistiche, caratterizzano questo linguaggio contribuendo immensamente allo sviluppo cognitivo. La prima, e la più ovvia, è che i libri hanno un loro lessico, che non ricorre nella lingua parlata. Ripensiamo alle fiabe che tanto apprezzavamo da bambini e che potevano cominciare così:

Once, long ago, in a dark, lonely place where the sunlight was never seen, there lived an elfin creature with hollow cheeks and waxen complexion; for no light ever touched this skin. Across the valley, in a place where the sun played on every flower, lived a maiden with cheeks like rose petals, and hair like golden silk.

[Una volta, molto tempo fa, in un luogo buio e desolato dove mai si era vista la luce del sole, viveva una creatura simile a un elfo dalle guance incavate e il colorito cereo; perché mai la sua pelle era stata sfiorata dalla luce. Dall'altra parte della valle, dove il sole giocava con ogni fiore, abitava una fanciulla con guance come petali di rosa e capelli come seta dorata.]

Nessuno, o almeno nessuno che io conosca, userebbe Once, long ago ed elfin in una normale conversazione, mentre entrambe le espressioni sono parte integrante del linguaggio dei libri e danno al bambino indizi sul tipo di storia narrata e sugli sviluppi che ha motivo di aspettarsi. All'asilo, il lessico dei libri è una delle fonti principali dei circa 10.000 vocaboli che formano il bagaglio linguistico del tipico bambino di cinque anni.

Un'ampia fetta di queste migliaia di parole consiste in varianti morfologiche delle radici di parole già apprese. Un bambino che impara la parola nave è facilitato, grazie alla sua radice, nella comprensione e nell'uso di termini come navi, navigare e navigatore. Tuttavia, l'ampliamento del lessico non è l'unico fatto importante collegato alla lingua dei libri e delle storie. Altrettanto importante è la sintassi, cioè la struttura grammaticale, spesso assente nella lingua parlata quotidiana. Dove mai si era vista la luce del sole, perché mai la sua pelle era stata sfiorata dalla luce: costruzioni simili sono normali solo sulla pagina stampata, e richiedono non poca flessibilità cognitiva e sforzo di deduzione. Pochi bambini al di sotto dei cinque anni usano for come è usato in for no light ever touched this skin, in cui funge da congiunzione – una classe di strumenti grammaticali che esprimono un rapporto di causa ed effetto tra eventi o concetti. Θ dal contesto che i bambini imparano questo uso di for. E quando lo fanno, gli aspetti sintattici, semantici, morfologici e pragmatici dello sviluppo linguistico risultano tutti arricchiti.

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Pagina 112

All'asilo: dove i precursori si incontrano


Verso i cinque-sei anni, i precursori della lettura si danno convegno nel mondo dell'asilo, dove ogni buon insegnante si prodiga perché nessun concetto, lettera e parola sia sprecato. L'apprendimento precedente diventa la materia prima di una più formale introduzione al mondo della scrittura. Anche se già da molto tempo i precursori erano coltivati dagli insegnanti, solo da alcuni anni abbiamo a disposizione strumenti sistematici per facilitare lo sviluppo delle abilità della consapevolezza fonetica. Questi metodi apparentemente semplici aiutano i bambini ad assimilare alcune difficili nozioni linguistiche: 1. l'«intuizione mosaica» (nel senso del racconto di Mann) di un sistema di scrittura basato su una corrispondenza 'uno a uno' tra suoni e simboli. 2. I concetti, più difficili, che ogni lettera ha sia un nome sia un suono o un gruppo di suoni che essa serve a rappresentare; e anche il contrario, cioè che ogni suono è rappresentato da una lettera o qualche volta da una combinazione di lettere. E infine 3. l'intuizione che ogni parola può essere segmentata in sillabe e suoni.

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Pagina 158

Il lettore esperto


                    E così analizzare compiutamente che cosa facciamo quando
                    leggiamo sarebbe quasi il culmine dei risultati di uno
                    psicologo, perché sarebbe come descrivere la maggior parte
                    dei più intricati meccanismi della mente umana, così come
                    sciogliere la storia ingarbugliata della più notevole
                    capacità specifica che la civiltà abbia appreso nella sua
                    intera storia.
                    (Sir Edmund Huey)



Come ho scritto nella prefazione, Sir Edmund Huey, nella sua descrizione, coglie come il lettore esperto, pienamente fluente, incarna tutte le trasformazioni culturali, biologiche e intellettuali dell'evoluzione della lettura, e tutte le trasformazioni cognitive, linguistiche e affettive della «storia naturale» del lettore. L'affermazione di Huey, datata 1908, è forse la descrizione più eloquente della lettura che sia mai stata scritta. La moderna neuroscienza cognitiva conferma ciò che egli sospettava: quanto ampie, complesse e capillari sono le reti nervose cerebrali sottostanti anche solo a mezzo secondo di lettura.

Mezzo secondo è il tempo occorrente al lettore esperto per leggere praticamente qualunque parola. Attingendo al lavoro di Michael Posner e di vari neuroscienziati cognitivi, vorrei ora delineare una cronologia dei processi di cui ogni lettore esperto si serve (Fig. 15). Ogni ricostruzione lineare della lettura (come una cronologia) va qualificata, perché nella lettura i processi sono interattivi. Alcuni si svolgono in parallelo, altri si attivano e riattivano quando ulteriori informazioni concettuali necessitano di un'integrazione. Per esempio, pensiamo che cosa succede quando viene letta la frase The bow on the boat was covered by a huge red bow ( [L'arco/la prua/il fiocco] sulla barca era coperto da un enorme [arco/prua/fiocco] rosso). La maggior parte dei lettori è costretta a tornare a bow per riesaminarne il senso dopo avere assimilato le informazioni contestuali fornite da boat.

La presente cronologia ritrae il momento che aspettavo: la fusione quasi istantanea di processi cognitivi, linguistici e affettivi; la pluralità di regioni cerebrali; i miliardi di neuroni che rappresentano la somma di ciò che avviene durante la lettura. Essendo una descrizione tecnica, tuttavia, non è adatta a chiunque. Chi lo desidera può saltare la parte scritta in corpo minore, e leggere perché tutto conduce a qualcosa di straordinario, in noi stessi e in ogni lettore esperto.


Ogni parola ha 500 millisecondi di gloria

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CAPITOLO OTTAVO

Geni, doti e dislessia


                    «Le lettere fluttuano staccate dalla pagina quando leggi,
                    giusto? Θ perché la tua mente è predisposta al greco
                    antico», spiega una compagna di campeggio, Annabeth dagli
                    occhi grigi. «E l'A.D.H.D. — sei irrequieto, in classe non
                    riesci a star fermo. Sono i tuoi riflessi di combattimento.
                    In un vero scontro ti salverebbero la vita. Quanto ai
                    problemi di attenzione, è perché ci vedi troppo, Percy, non
                    troppo poco. I tuoi sensi sono migliori di quelli di un
                    comune mortale... Guardiamo in faccia la realtà. Sei un
                    sanguemisto».
                    (Rick Riordan)

                    Se solo sapessimo
                    come sa lo scultore...
                    come i difetti del legno
                    hanno guidato la ricerca del bulino
                    al nocciolo.
                    (David Whyte)



Thomas Edison, Leonardo da Vinci e Albert Einstein sono tre delle persone più celebri di cui si dice che fossero dislessiche. Insieme alla sua salute cagionevole, i problemi di lettura di Edison bambino spesso gli resero impossibile frequentare la scuola. Tuttavia, egli arrivò a collezionare il maggior numero di brevetti concessi a una singola persona dall'Ufficio Brevetti degli Stati Uniti, e di inventare dispositivi geniali, uno dei quali, ancora oggi, ha letteralmente acceso tutto il mondo.

Leonardo da Vinci è stato uno degli uomini più creativi della storia: fu inventore, pittore, scultore, musicista, ingegnere e scienziato. Ma sebbene abbia raggiunto i vertici in tutto ciò a cui si dedicava, si è spesso sospettato che fosse dislessico; una conclusione basata in gran parte sui suoi appunti, numerosi quanto singolari. Scritti 'specularmente' da destra a sinistra, pullulano di errori ortografici e sintattici e di strane improprietà di linguaggio. Diversi suoi biografi accennano alle sue difficoltà con la lingua e ai suoi frequenti riferimenti alla propria scarsa abilità di lettore. In una toccante descrizione della vita ideale del pittore, Leonardo scrive che egli dovrebbe sempre avere qualcuno accanto che legga ad alta voce per lui. Il neuropsicologo P.G. Aaron ha sostenuto con argomenti convincenti che i problemi di lettura e scrittura di Leonardo fossero la conseguenza di un «vigoroso meccanismo di compensazione dell'emisfero destro».

Albert Einstein parlò poco fino ai tre anni e fu mediocre in ogni campo che richiedesse memoria verbale, come l'apprendimento delle lingue straniere. Una volta affermò: «Il mio principale punto debole è stato la cattiva memoria, specialmente la cattiva memoria per le parole e i testi». E arrivò a sostenere che le parole gli sembravano non aver «nessun ruolo» nella creazione delle sue teorie, che gli venivano in mente sotto forma di «immagini più o meno chiare». Non sappiamo se Einstein avrebbe soddisfatto i requisiti per una diagnosi di una forma di dislessia, come credettero Norman Geschwind e lui stesso. Ma che sconvolgimento, se il teorico che ha rivoluzionato il nostro modo di concepire spazio e tempo avesse sofferto di un disturbo cerebrale della temporalità! Qualche indizio che ci avvicini alla soluzione del mistero potrebbe nascondersi appunto nel suo cervello. Alcuni neuroscienziati canadesi hanno condotto un affascinante quanto controverso esame autoptico sul cervello di Einstein scoprendo inaspettate simmetrie tra gli emisferi nei suoi ingrossati lobi parietali, invece del più tipico assetto asimmetrico.

La maggior parte dei dislessici non possiede lo spettacolare talento di un Edison o di un Leonardo, ma i dislessici molto dotati sembrano tutt'altro che eccezioni. Tempo fa, ho stilato un elenco di persone affette da dislessia diventate famose nel loro ambito di attività. Poiché diventava sempre più lungo, ho cominciato a introdurre nell'elenco soltanto le varie attività. In campo medico si contano numerosi dislessici tra i radiologi, per i quali il riconoscimento delle configurazioni è cruciale. Ne troviamo inoltre tra gli ingegneri e gli informatici, in particolare coloro che sono dediti alla progettazione e all'identificazione di modelli. Nel mondo degli affari, dislessici come Paul Orfalea e Charles Schwab si dedicano all'alta finanza e all'amministrazione dei capitali, dove è decisivo prevedere le tendenze e ricavare inferenze da ampie raccolte di dati. Mio cognato, che è architetto, una volta mi ha raccontato che nell'ultimo studio in cui ha lavorato non si spediva alcuna lettera dei suoi architetti senza avere controllato due volte l'ortografia. Tra gli artisti affetti da dislessia troviamo scultori come Rodin e pittori come Warhol e Picasso; tra gli attori, interpreti come Danny Glover, Keira Knightley, Whoopi Goldberg, Patrick Dempsey e Johnny Depp.

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CAPITOLO NONO

Conclusioni: dal cervello che legge a 'ciò che verrà'


                        Ogni vago moto del mondo genera qualche diseredato,
                        a cui non appartiene il prima e non ancora il vicino
                        accadere. Perché anche l'imminente è lontano per gli
                        uomini.
                        (Rainer Maria Rilke)

                        Leggere è un atto di interiorità, puro e semplice. Il
                        suo oggetto non è il mero consumo di informazione...
                        Semmai, leggere è l'occasione dell'incontro con il sé...
                        Il libro è la cosa migliore che gli esseri umani abbiano
                        fatto fin qui.
                        (James Carroll)

                        Nello scontro tra le convenzioni del libro e il
                        protocollo dello schermo, lo schermo prevarrà. Su questo
                        schermo, ora visibile a un miliardo di persone sulla
                        terra, la tecnologia della ricerca trasformerà libri
                        isolati nella biblioteca universale del sapere umano.
                        (Kevin Kelly)



Tutte le società si preoccupano riguardo al futuro dei loro giovani e alle sfide che essi affronteranno. E nessuno è più efficace del futurologo e inventore Ray Kurzweil nel descrivere il ritmo sempre più rapido di simili sfide in questa fase della nostra evoluzione. Il suo lavoro lungimirante delinea le incredibili trasformazioni che potrebbero verificarsi quando i cento trilioni di collegamenti neuronali del nostro cervello aumenteranno esponenzialmente, mediante l'invenzione di un'intelligenza tecnologica, non biologica:

Possiamo confidare che disporremo di una raccolta dati e di strumenti computazionali necessari, entro il 2020, per riprodurre e simulare l'intero cervello, il che permetterà di combinare i principi operativi dell'intelligenza umana con le forme di elaborazione intelligente dell'informazione. — Trarremo anche beneficio dalla forza intrinseca delle macchine nel conservare, recuperare e condividere velocemente grandi quantità di informazioni. Saremo allora in grado di realizzare quei potenti sistemi ibridi su piattaforme computazionali che superano ampiamente le possibilità dell'architettura relativamente fissa del cervello umano... Come possiamo noi, che siamo limitati dalla nostra capacità cerebrale attuale di effettuare da 10^16 a 10^19 calcoli al secondo, anche solo cominciare a immaginare quello che la futura civiltà del 2099 — con cervelli capaci di 10^60 calcoli al secondo — sarà in grado di pensare e di fare?

Una cosa che possiamo immaginare è che le nostre possibilità di bene e di distruzione aumenteranno anch'esse in modo esponeniiale. Se vogliamo prepararci a un simile futuro, la nostra capacità di fare scelte profonde dovrà essere completata da un rigore raramente praticato, nelle passate generazioni, da chi impara. Se la specie deve progredire nel senso più pieno, tale preparazione includerà singolari capacità di attenzione e decisione che includano il desiderio del bene comune. In altre parole, prepararci all'imminente richiederà il meglio che abbiamo in assoluto riguardo l'attuale adattamento del cervello che legge; un cervello che è già coinvolto nei cambiamenti della prossima generazione.

Dissento dalla premessa implicita di Kurzweil che un'accelerazione esponenziale dei processi di pensiero sia positiva da ogni punto di vista. In musica, nella poesia e nella vita, il riposo, la pausa, la lentezza sono necessari alla comprensione del tutto. Tanto è vero che ci sono nel nostro cervello neuroni 'rallentanti' la cui sola funzione è posticipare di meri millesimi di secondo la trasmissione neuronale da altre cellule nervose. Istanti preziosi, perché introducono sequenza e ordine nel nostro apprendimento della realtà permettendoci di progettare e sincronizzare, sul campo di calcio come in un'orchestra sinfonica.

L'idea che di più e più in fretta significhino necessariamente meglio va decisamente messa in questione, soprattutto perché condiziona già, sempre di più, ogni aspetto della società americana, compresi l'alimentazione e l'apprendimento, con discutibili vantaggi. Per esempio: i cambiamenti accelerati che i nostri figli stanno già vivendo avranno o no conseguenze profonde sulla qualità di attenzione che può trasformare una parola in un pensiero e un pensiero in un mondo di possibilità inimmaginate? Θ possibile che la capacità della prossima generazione di ricavare intuizioni, gioie, dolori e saggezza dalla lingua parlata e scritta sarà drammaticamente alterata? E che il suo rapporto con il linguaggio sarà fondamentalmente diverso? Θ possibile che la generazione di oggi si abituerà a tal punto a ottenere via monitor le informazioni desiderate da vedere inibito lo sviluppo delle varie abilità attentive, inferenziali e riflessive dell'attuale cervello che legge? E che ne sarà delle prossime generazioni? I timori di Socrate sull'accesso non sorvegliato al sapere sono più giustificati oggi di quanto fossero nell'antica Grecia?

Oppure i requisiti delle nostre nuove tecnologie informatiche — di elaborazione contemporanea, integrazione e ordinamento per priorità di grandi quantità di informazioni — ci aiuteranno a sviluppare nuove capacità altrettanto preziose, se non di più, che accresceranno le nostre capacità intellettuali, miglioreranno la qualità della nostra vita e la saggezza della nostra specie? E l'accelerazione di una simile intelligenza ci concederà più tempo per riflettere e perseguire il bene del genere umano? In questo caso, questo futuro insieme di doti intellettuali produrrà un nuovo e svantaggiato gruppo di bambini con differenti strutture cerebrali, equivalente ai lettori dislessici di oggi? Oppure siamo ormai più preparati a guardare alle differenze di apprendimento dei bambini in termini di differenti schemi di organizzazione cerebrale, con varianti genetiche che generano sia talenti sia debolezze?

La dislessia è la nostra prova migliore, più visibile che il cervello umano non è mai stato predisposto per la lettura. Considero la dislessia un'attestazione evolutiva quotidiana che sono possibili differenti organizzazioni cerebrali. Alcune organizzazioni possono non funzionare bene per la lettura e, tuttavia, prestarsi alla progettazione di edifici, alla realizzazione di opere d'arte e al riconoscimento delle configurazioni — si tratti di eserciti in campo o di immagini diagnostiche. Alcune di queste varianti di organizzazione cerebrale possono corrispondere ai requisiti di modi di comunicazione che scorgiamo all'orizzonte.

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Riflessioni sull'evoluzione della lettura


La mia reazione generale all'evoluzione del cervello che legge è di sorpresa. Come è possibile che, in un tempo relativamente breve, una manciata di piccoli contrassegni sia fiorita fino a trasformarsi in vero e proprio sistema di scrittura? Come ha potuto una singola invenzione culturale, vecchia poco meno di seimila anni, cambiare i collegamenti interni del cervello e le possibilità intellettuali della nostra specie? E poi, la sorpresa più profonda: quanto miracoloso è mai un cervello che può oltrepassare se stesso, ampliando, strada facendo, sia le proprie funzioni sia le nostre capacità intellettuali? La lettura ci aiuta a far luce su come il cervello acquisisce nuove abilità e accresce la propria intelligenza: esso rimaneggia circuiti e collegamenti tra strutture preesistenti; mette a frutto la propria capacità di destinare aree corticali alla specializzazione, in particolare al riconoscimento delle configurazioni; e dimostra come nuovi circuiti possano diventare così automatici, che tempo e spazio corticali possono essere destinati ad altri, più complicati, processi di pensiero. In altre parole, la lettura mostra come i più fondamentali principi costruttivi dell'organizzazione cerebrale sostengono e modellano il nostro sviluppo cognitivo in continua evoluzione.

La struttura del cervello ha reso possibile la lettura, e la struttura del leggere ha modificato il cervello in modi molteplici, cruciali e tuttora in evoluzione. Le dinamiche reciproche si intravedono nella nascita della scrittura a livello di specie, e nell'acquisizione della lettura durante l'infanzia. Imparare a leggere ha liberato la nostra specie dai molti, antichi limiti della memoria. Con la lettura, improvvisamente i nostri antenati hanno potuto accedere a un sapere che non dipendeva più dalla continua ripetizione; un sapere che, di conseguenza, poté ampliarsi enormemente. In un certo senso, lettura e scrittura ci hanno liberati dal dovere reinventare all'infinito la ruota permettendo così le successive innumerevoli, sempre più elaborate invenzioni, fino al dispositivo pensato da Ray Kurzweil per leggere a quelli che non possono farlo.

Nello stesso tempo, la capacità della lettura di consentire esecuzioni ad alta velocità ha liberato il singolo lettore non solo dalle limitazioni della memoria, ma anche da quelle del tempo. Con la sua attitudine ad automatizzarsi, la lettura ha dato al singolo lettore la possibilità di dedicare meno tempo al processo iniziale di decodifica e di allocare più tempo cognitivo e, alla fine, anche più spazio corticale a una più approfondita analisi del pensiero tradotto in segni. Le differenze di sviluppo nei sistemi circuitali tra il cervello del lettore neofita, decodificante, e quello pienamente automatico – del lettore che capisce ciò che legge – coinvolgono i due emisferi in lungo e in largo. Un sistema reso più agile grazie alla specializzazione e all'automatismo ha più tempo per pensare. Θ questo il dono magico del cervello che legge.

Poche invenzioni hanno fatto di più per allenare il cervello e avviare la nostra specie sulla via del progresso. Con il diffondersi della lettura e scrittura tra le culture, l'atto del leggere ha cominciato, a invitare silenziosamente il lettore a oltrepassare il testo; e nel farlo, ha dato ulteriore impulso allo sviluppo intellettuale del singolo lettore e delle culture. Θ questa la generatività del leggere biologicamente e intellettualmente data, che rappresenta l'incommensurabile prodotto del dono del tempo elargito al cervello.