Autore Irvin D. Yalom
CoautoreMarilyn Yalom
Titolo Una questione di morte e di vita
EdizioneNeri Pozza, Vicenza, 2022, I colibrì , pag. 208, ill., cop.fle., dim. 14x21,4x1,7 cm , Isbn 978-88-545-2277-0
OriginaleA Matter of Death and Life [2021]
TraduttoreCaterina Ciccotti
LettoreRenato di Stefano, 2022
Classe biografie , salute , filosofia












 

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Indice


  9     Prefazione

 13  1. La scatoletta salvavita

 23  2. La vita di un invalido

 31  3. Consapevolezza dell'impermanenza

 37  4. Perché non trasferirsi in una residenza sanitaria assistenziale?

 43  5. La pensione: il momento giusto per andarci

 49  6. Battute d'arresto e rinnovate speranze

 55  7. Fissando (ancora una volta) il sole

 65  8. Ma di chi è questa morte?

 69  9. Affrontare i finali

 75 10. Prendere in considerazione il suicidio assistito

 81 11. Un inquieto conto alla rovescia

 87 12. Una totale sorpresa

 91 13. Be', ora lo sai

 97 14. Sentenza di morte

103 15. Addio alla chemioterapia - e alla speranza

105 16. Dalle cure palliative all'hospice

115 17. L'assistenza dell'hospice

119 18. Un'illusione rincuorante

121 19. Libri francesi

125 20. La fine si avvicina

129 21. Arriva la morte

133 22. L'esperienza del post mortem

139     La ricorderemo. Elogi per Marilyn Yalom

149 23. Una vita da adulto indipendente e separato

155 24. Solo in casa

159 25. Sesso e dolore

163 26. Irrealtà

167 27. Intorpidimento

171 28. Un aiuto da Schopenhauer

177 29. Negazione rivelata

181 30. Venirne fuori

187 31. Indecisione

189 32. Sulla lettura della mia opera

193 33. Sette lezioni avanzate sulla terapia del lutto

197 34. La mia educazione continua

201 35. Cara Marilyn


 

 

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Pagina 9

Prefazione


Abbiamo intrapreso la carriera accademica dopo la formazione post-laurea alla Johns Hopkins, dove io avevo seguito un percorso di formazione in psichiatria e Marilyn aveva preso un dottorato in letteratura comparata (francese e tedesca). Siamo sempre stati l'uno il primo lettore e editor dell'altro. Dopo aver scritto il mio primo libro, un manuale sulla terapia di gruppo, mi fu assegnata dalla Fondazione Rockefeller una borsa di studio presso il Centro di scrittura di Bellagio, in Italia, per lavorare a un nuovo libro, Guarire d'amore. Poco dopo il nostro arrivo, Marilyn mi disse che avrebbe voluto raccogliere e raccontare le memorie delle donne protagoniste della Rivoluzione francese, e io mi trovai totalmente d'accordo: aveva sufficiente materiale utile per un libro. A tutti i borsisti della Rockefeller erano stati assegnati un appartamento e uno studio separato per dedicarsi alla scrittura, perciò la esortai a chiedere al direttore se ci fosse uno spazio di lavoro disponibile anche per lei. Il direttore rispose che uno studio per il coniuge di un borsista era una richiesta insolita e, inoltre, tutti quelli nell'edificio principale erano già stati assegnati. Tuttavia, dopo qualche minuto di riflessione, offrì a Marilyn uno studio inutilizzato nella casa nel bosco adiacente, a solo cinque minuti a piedi di distanza. Elettrizzata, Marilyn iniziò a lavorare con entusiasmo al suo primo libro, Compelled to Witness: Women's Memoirs of the French Revolution. Non era mai stata più felice. Da quel momento in poi, fummo compagni di scrittura e, per il resto della sua vita, nonostante quattro figli e gli incarichi amministrativi e d'insegnamento a tempo pieno, mi accompagnò, libro per libro.

Nel 2019 a Marilyn è stato diagnosticato un mieloma multiplo, un tumore delle plasmacellule (i globuli bianchi che si trovano nel midollo osseo e che producono anticorpi). Le è stato somministrato un farmaco per la chemioterapia, il Revlimid, che le ha provocato un ictus: siamo dovuti correre al pronto soccorso e lei è rimasta ricoverata in ospedale quattro giorni. Due settimane dopo il suo ritorno a casa, abbiamo fatto una breve passeggiata nel parco a un isolato da casa nostra, e Marilyn mi ha detto: «Ho in mente un libro che dovremmo scrivere insieme. Voglio documentare i giorni e i mesi difficili che ci aspettano. Forse le nostre difficoltà saranno di qualche utilità per altre coppie in cui uno dei due partner deve lottare contro una malattia mortale».

Marilyn era solita suggerire argomenti per i nostri libri, quindi ho risposto: «È una buona idea, tesoro, ma è qualcosa a cui dovresti dedicarti tu. L'idea di un progetto comune è allettante ma, come sai, ho già iniziato un libro di racconti».

«Oh, no, no, tu non scriverai quel libro. Scriverai questo, con me! Tu scriverai i tuoi capitoli e io scriverò i miei, e si alterneranno. Sarà il nostro libro, un libro diverso da tutti gli altri perché richiede due menti anziché una: le riflessioni di una coppia sposata da sessantacinque anni! Una coppia molto fortunata. Percorreremo insieme il sentiero che infine conduce alla morte. Tu camminerai con il tuo girello a tre ruote e io starò sulle mie gambe, che possono sorreggermi per quindici o venti minuti al massimo».


Nel suo libro del 1980, Psicoterapia esistenziale, Irv ha scritto che è più facile affrontare la morte se si hanno pochi rimpianti per la vita che si è vissuta. Guardando indietro alla nostra lunga vita insieme, rimpiangiamo assai poco. Ma questo non rende più facile sopportare i travagli corporei con cui ora abbiamo a che fare ogni giorno, né addolcisce il pensiero di lasciarci. Come possiamo combattere la disperazione? Come possiamo vivere dando un senso ai nostri giorni fino alla fine?


Scriviamo questo libro a un'età in cui quasi tutti i nostri coetanei sono morti. Viviamo ogni giorno con la consapevolezza che il nostro tempo insieme è limitato ed estremamente prezioso. Scriviamo per dare un senso alla nostra esistenza, anche se questa ci spinge nelle zone più oscure del declino fisico e della morte. Questo libro ha l'obiettivo, innanzitutto, di aiutarci a navigare verso la fine della vita.


Le pagine che seguono sono ovviamente il risultato della nostra esperienza personale, ma rappresentano anche un ulteriore contributo al dibattito sul fine vita. Tutti noi vorremmo ottenere le migliori cure mediche esistenti, trovare sostegno emotivo nella famiglia e negli amici, e morire nel modo più indolore possibile. Tuttavia, pur avendo dei vantaggi dal punto di vista medico e sociale, non siamo immuni dal dolore e dalla paura della morte imminente. Come tutti, vorremmo preservare la qualità della vita che ci rimane, anche sottoponendoci a interventi clinici che a volte ci fanno stare malissimo. Quanto siamo disposti a sopportare per rimanere in vita? Come possiamo finire i nostri giorni nel modo più gradevole possibile? Come possiamo lasciare decorosamente questo mondo e consegnarlo alla prossima generazione?

Entrambi sappiamo che, quasi certamente, Marilyn morirà della sua malattia. Insieme scriveremo questo diario, nella speranza che le nostre esperienze e osservazioni forniscano significato e soccorso non solo a noi, ma anche ai nostri lettori.

Irvin D. Yalom - Marilyn Yalom

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Pagina 13

APRILE

1. La scatoletta salvavita


Io, Irv, mi ritrovo di tanto in tanto a far scorrere le dita sulla parte sinistra del petto. Da circa un mese ho un nuovo oggetto lì dentro: una scatoletta metallica di 5x5 centimetri impiantata da un chirurgo di cui non ricordo più il nome né il volto. Tutto è cominciato durante una seduta con una fisioterapista che avevo contattato perché avevo da tempo problemi di equilibrio. Mentre mi misurava il polso, all'inizio della nostra ora, all'improvviso si è girata verso di me e, con un'espressione allarmata, mi ha detto: «Io e lei andiamo diretti al pronto soccorso! Ha il battito cardiaco a 30».

Ho cercato di tranquillizzarla. «È da mesi che è lento e sono asintomatico».

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Pagina 23

MAGGIO

2. La vita di un invalido


Io, Marilyn, ogni giorno mi sdraio sul divano del soggiorno e guardo, attraverso le finestre che si stagliano dal pavimento fino al soffitto, le querce e i sempreverdi del nostro giardino. Ora è primavera e stanno crescendo le prime foglioline verdi sulla nostra magnifica quercia. Stamattina ho visto un gufo appollaiato sull'abete tra la facciata di casa e lo studio di Irv. Riesco a scorgere un pezzettino dell'orto in cui nostro figlio Reid ha piantato pomodori, fagiolini, cetrioli e zucche. Lui, Reid, vuole che pensi alle verdure che matureranno in estate, quando presumibilmente "starò meglio".

Negli ultimi mesi mi sono sentita alquanto infelice: da quando mi è stato diagnosticato un mieloma multiplo, sono stata sottoposta a pesanti cure mediche e poi ricoverata per un ictus. Alle mie sedute settimanali di chemioterapia seguono inesorabilmente giorni di nausea e altre sofferenze fisiche, ma risparmierò ai miei lettori la loro descrizione. Sono esausta per la maggior parte del tempo, come se avessi il cervello imbottito di cotone, come se un velo di fitta nebbia mi tenesse separata dal resto del mondo.

[...]

Conosco molte donne che hanno affrontato coraggiosamente il percorso verso la morte o la morte dei loro coniugi. Nel febbraio 1954, quando tornai dal Wellesley College a Washington DC per il funerale di mio padre, le prime parole che mia madre mi rivolse furono: «Devi essere molto coraggiosa». Mamma è sempre stata un modello di gentilezza per me, tant'è che, mentre era in lutto per il marito con cui era stata per ventisette anni, la sua preoccupazione maggiore era comunque che noi figlie stessimo bene. Papà aveva solo cinquantaquattro anni, è morto improvvisamente per un infarto mentre faceva pesca d'altura in Florida.

Dopo molti anni, mia madre si risposò. E finì per sposare e seppellire quattro mariti! Ha vissuto abbastanza per conoscere i suoi nipoti e anche alcuni dei suoi pronipoti. Dopo essersi trasferita in California per stare più vicina a noi figlie, è morta serenamente all'età di novantadue anni e mezzo. Ho sempre pensato che sarei morta alla sua età - ma ora so che probabilmente succederà prima che io arrivi a novantadue anni.

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Pagina 31

MAGGIO

3. Consapevolezza dell'impermanenza

[...]

C'è un ricordo del nostro corso di anatomia che mi è rimasto particolarmente impresso. Si tratta di un terribile inconveniente che si verificò il giorno in cui dovevamo iniziare la rimozione e la dissezione di un cervello. Quando sollevammo il telo in plastica nera dal nostro cadavere, un grosso scarafaggio uscì da una delle cavità oculari. Eravamo tutti disgustati - io più degli altri, visto che da sempre ero terrorizzato dagli scarafaggi che erano soliti aggirarsi sul pavimento del negozio di alimentari di mio padre e del nostro appartamento sopra il negozio.

Dopo aver rimesso rapidamente a posto il telo nero, convinsi gli altri a rinunciare alla dissezione per quel giorno e di farci piuttosto un paio di partite a bridge. Già giocavamo spesso a bridge in pausa pranzo ma, per le due settimane che seguirono, ci giocammo ancora più spesso: e cioè ogni volta che avremmo dovuto frequentare il laboratorio di anatomia. E pur essendo diventato bravissimo a bridge, mi vergogno ad ammettere che proprio io, che avrei passato tutta la vita a studiare la mente umana, mi sono perso la lezione sulla dissezione del cervello!

Ciò che è veramente inquietante, comunque, è la consapevolezza che questi ricordi così vividi, tangibili e carichi di emozioni esistono solo nella mia mente. Sì, sì, questo è ovvio. Eppure, nel profondo, in qualche modo, non ho mai veramente compreso che nessuno tranne me può aprire la porta dello spazio che contiene queste immagini. Non c'è nessuna porta, nessuna stanza, nessuna dissezione in corso. Il mio mondo passato esiste solo nel ronzio dei neuroni del mio cervello. Quando morirò anch'io, l'unico dei quattro ancora in vita, tutto evaporerà, i ricordi svaniranno per sempre. Ogni volta che me ne rendo conto, non mi sento più la terra sotto i piedi.

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Pagina 40

Insomma, chi li vorrà tutti questi oggetti? Per noi sono belli, sì, e ci ricordano la nostra vita passata, sì, ma questo non implica che anche i nostri figli li vogliano. Quando moriremo, le storie legate a ciascuno dei nostri beni se ne andranno con noi.

[...]

Ma il problema più grande sarà lo smaltimento dei nostri libri, almeno tre o quattromila. Sono più o meno ordinati in categorie: testi di psichiatria, women's studies, libri in francese e in tedesco, romanzi, poesia, filosofia, classici, libri d'arte, di cucina e traduzioni straniere delle pubblicazioni sia mie sia di Irv. Se poteste entrare ora in una qualsiasi delle stanze di questa casa (tranne la sala da pranzo), sbirciando anche negli armadi, trovereste libri, libri, un sacco di libri. Siamo stati "tipi da libro" per tutta la vita e, anche se oggi Irv legge molto sull'iPad, in realtà continuiamo a preferire la versione cartacea. Ogni due o tre mesi mandiamo scatoloni di libri alla biblioteca pubblica locale o ad altre organizzazioni non profit, il che riesce solo a malapena a creare qualche buco nelle nostre librerie.

[...]

Dopodiché, qualche rivenditore verrà a casa e selezionerà fra i nostri libri quelli che hanno un valore commerciale. Tutti gli altri saranno probabilmente sparsi al vento.

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Pagina 56

Abbiamo passato quasi tutta la vita assieme, ma ora la sua malattia mi costringe a pensare a una vita senza di lei. Per la prima volta, la sua morte sembra non solo reale, ma anche assai vicina. È orribile immaginare un mondo senza Marilyn. Il pensiero di morire insieme a lei mi attraversa la mente. Nelle ultime settimane ne ho parlato con i miei amici più stretti che sono medici. Uno di loro mi ha confessato che anche lui ha preso in considerazione il suicidio nel caso sua moglie dovesse morire. Alcuni dei miei amici lo prenderebbero in considerazione se dovessero ritrovarsi con una grave forma di demenza. Abbiamo persino parlato della modalità con cui ce ne andremmo, con un'enorme dose di morfina, con antidepressivi, con l'elio o altri metodi suggeriti dalla Hemlock Society.

[...]

Senza dubbio, rileggere alcuni dei miei libri è doveroso: non ne ho letto nessuno per molti anni. Quando mi avvicino allo scaffale con le mie opere, la vistosa copertina gialla di Fissando il sole attira la mia attenzione. È un testo relativamente recente, scritto circa quindici anni fa, quando avevo appena compiuto settant'anni. La tesi centrale del libro è che la tanatofobia eserciti nelle vite dei pazienti un ruolo molto più critico di quanto non sia mai stato generalmente riconosciuto. Ora che sono più vicino alla fine della mia vita e che mia moglie sta affrontando una malattia mortale e contempla il suicidio, mi chiedo che effetto mi farà rileggermi. Per moltissimi anni ho fatto di tutto per confortare i miei pazienti che lottavano con l'ansia della morte. Ora è arrivato il mio turno. Fissando il sole può aiutarmi? Posso trovare sollievo nelle mie stesse parole?

Una citazione in particolare, verso l'inizio del libro, attira la mia attenzione: sono parole di Milan Kundera, uno dei miei scrittori preferiti. «Quello che ci terrorizza della morte non è la perdita del futuro, ma la perdita del passato. L'oblio è una forma di morte sempre presente all'interno della vita».

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Pagina 63

La malattia di mia moglie significa che lei, con ogni probabilità, morirà prima di me. Ma il mio turno arriverà poco dopo. Stranamente, non provo alcun timore per la mia morte. Le mie paure derivano piuttosto dal pensiero di una vita senza Marilyn. Sì, so che la ricerca, in buona parte anche grazie al mio stesso lavoro, ci informa che il dolore non è infinito, che una volta che saremo passati attraverso gli eventi di un intero anno - le quattro stagioni, il compleanno e l'anniversario della morte, le vacanze e ognuno dei dodici mesi - il nostro dolore diminuirà. E quando saremo passati attraverso il ciclo annuale due volte, ci ricongiungeremo di nuovo alla vita. Questo è quello che ho scritto, ma dubito che funzionerà anche per me.

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Pagina 70

Ma so che questa non è che una breve tregua dall'oscuro compito di affrontare la mortalità. Il giorno seguente, quindi, continuo a cercare aiuto nelle pagine di Fissando il sole e arrivo alla mia trattazione di Epicuro, che ha offerto ai credenti non religiosi come me tre argomentazioni lucide e potenti per alleviare l'ansia della morte. La prima sostiene che, poiché l'anima è mortale e perisce con il corpo, non avremo coscienza di ciò che accadrà dopo la nostra morte. In base alla seconda, poiché appunto l'anima è mortale e si disperde nel momento della morte, non abbiamo nulla da temere. Infatti, «quando ci siamo noi, non c'è la morte, quando c'è la morte, noi non siamo più». Perché temere qualcosa che non potremo mai percepire?

Entrambe queste considerazioni sembrano ovvie e offrono una buona dose di conforto, ma è la terza ad aver sempre esercitato su di me un'attrazione più forte. Epicuro ipotizza che lo stato di inesistenza e incoscienza che segue la morte sia identico allo stato di inesistenza e incoscienza in cui ci si trovava prima di nascere.

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Pagina 117

La riflessione sul "morire bene" risale ai classici greci e romani Seneca, Epitteto e Marco Aurelio. Ognuno di loro ha cercato di dare un senso a un universo in cui ogni esistenza individuale era vista come una minuscola fessura di luce tra due eternità di oscurità, una prima della vita e una dopo. Consigliando i modi migliori per vivere, tanto a livello sociale quanto a livello razionale, questi filosofi volevano che non temessimo la morte, ma che accettassimo la sua inevitabilità nel grande schema delle cose.

Sebbene le visioni cristiane di un Dio e di una vita ultraterrena abbiano soppiantato i pensieri di questi scrittori "pagani", l'idea di morire bene ha resistito nei secoli e continua a influenzare i titoli di diversi libri recenti, come The Art of Dying Well, di Katy Butler (2019). How We Die: Reflections on Life's Final Chapter (1995), di Sherwin Nuland, presenta un resoconto franco e compassionevole di come la vita si allontana dal corpo.

Naturalmente, come mi ricorda il dottor P., morire è sempre una questione individuale; non c'è una morte che "vada bene" per tutti, perfino per persone che hanno la stessa malattia. Potrei semplicemente indebolirmi progressivamente, oppure uno dei miei organi potrebbe cedere, o - nel caso mi sedassero - potrei morire senza alcun dolore nel sonno. Avendo l'opzione del suicidio assistito, finché sono ancora lucida e in grado di esprimere i miei desideri, posso fissare una data per la mia morte. Oltre al medico e alla infermiera dell'Hospice, chiederò che in quel momento siano presenti mio marito e i miei figli.

Per il momento sono seguita dal personale dell'hospice, che è molto in sintonia con i bisogni dei pazienti terminali. Sembrano anticipare le mie domande ancor prima che io le ponga e, basandosi sul loro lavoro con altri pazienti che sono morti prima di me, mi aiutano a formulare le risposte. Posso chiamare il Mission Hospice a qualsiasi ora del giorno e della notte per avere indicazioni su come prendere le medicine che sono già sul mio comodino e nel mio frigorifero. Manderanno qualcuno a casa in caso di emergenza. Abbiamo già compilato i documenti che rifiutano espressamente le misure estreme per tenermi in vita. Alla fine, comunque vada, dovrei avere un po' di controllo.

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Pagina 120

Sento Marilyn e nostra figlia Eve che ridono e chiacchierano in una delle camere da letto libere. Sono curioso di sapere cosa stanno facendo e le raggiungo. Stanno esaminando i gioielli di Marilyn: anelli, collane e spille, pezzo per pezzo; stanno decidendo a chi andrà ogni pezzo, tra i nostri figli e nipoti, parenti acquisiti e amici intimi. Sembra che si stiano divertendo.

I minuti passano e, pur essendo solo le dieci del mattino, mi sento affaticato e mi sdraio su uno dei letti mentre continuo a guardare Marylin ed Eve. Dopo qualche altro minuto comincio a tremare. Anche se la stanza è ben riscaldata, mi tiro addosso la coperta. L'intera scena mi sembra macabra: non potrei mai immaginarmi così spensierato mentre do via tutti questi oggetti che hanno segnato la mia vita. Marilyn ha una storia per ogni pezzo: dove l'ha preso o chi gliel'ha dato. Mi sento come se tutto stesse svanendo. La morte sta divorando tutta la vita, tutta la memoria.

Alla fine sono talmente sopraffatto dal dolore che devo lasciare la stanza. In pochi minuti sono di nuovo al computer a scrivere queste parole, come se questo potesse impedire al tempo di andare avanti. D'altronde, l'intero progetto del libro non ha forse lo stesso scopo? Sto cercando di congelare il tempo dipingendo la scena presente e, si spera, trasportandola un po' più in là, nel futuro. È tutta un'illusione. Ma un'illusione rincuorante.

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Pagina 123

Ho proposto loro di scrivere insieme un libro intitolato Innocent Witnesses, testimoni innocenti, sui ricordi dei bambini della Seconda guerra mondiale: un testo che avrebbe incluso le nostre storie, così come altre che avrei raccolto dagli amici. Raramente storie dell'infanzia si concentrano solo sui terrori della guerra. I bambini ricordano ciò che hanno - o che non hanno - mangiato, e soprattutto i tormenti della fame. Ricordano la gentilezza di estranei che li hanno accolti nelle loro case e il raro giocattolo dato loro per il compleanno o a Natale. Ricordano i giochi con gli altri bambini, alcuni dei quali sono scomparsi dalla loro vita a causa delle evacuazioni o perché sono morti. Ricordano il suono delle sirene e delle esplosioni, i razzi che illuminavano il cielo di notte. Gli occhi dei bambini percepiscono il funzionamento quotidiano della guerra e, quando si riaprono attraverso la memoria, aiutano gli adulti a testimoniarne le brutali realtà.

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Pagina 131

Mi chino per baciarle la fronte. La sua carne è già fredda: la morte è arrivata.

La mia Marilyn, la mia cara Marilyn, non c'è più.


In meno di un'ora arrivano due uomini delle pompe funebri e aspettiamo tutti al piano di sotto. Un quarto d'ora dopo, la portano giù per le scale avvolta in un telo funebre e, appena prima che escano dalla porta d'ingresso, chiedo di vederla ancora una volta. Aprono la cerniera sulla parte superiore del telo, esponendo il suo viso; io mi abbasso e appoggio le mie labbra sulla sua guancia. La sua pelle è rigida e molto fredda. Questo bacio gelido mi perseguiterà per il resto della vita!

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