Copertina
Autore Ying Chen
Titolo Le lettere cinesi
EdizioneVoland, Roma, 2005, Libri piccoli 12 , pag. 140, cop.fle., dim. 120x165x11 mm , Isbn 978-88-88700-55-7
OriginaleLes lettres chinoises
EdizioneLeméac, Montreal, 1993
TraduttoreCristiano Felice
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe narrativa cinese
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Pagina 7

1


Eccomi all'aeroporto di Vancouver. Adesso, per continuare il viaggio, devo prendere un aereo delle linee canadesi. Sassa, mentre aspetto voglio dirti ancora una volta quanto ho sofferto nel lasciarti. Mentre salivo sull'aereo tu sorridevi. Cattiva; come puoi fare una cosa del genere? In un momento simile non potevi provare almeno a piangere un po'? Certo, vederti triste non sarebbe servito a consolarmi. Però quel sorriso muto, intelligente e beffardo, mi ha turbato. Ce l'ho ancora impresso nella mente e farà nascere dolori che accompagneranno il nuovo percorso della mia vita. Era questo che volevi, eh?

Inutile spiegarti. Puoi comprendere tutto, sopportare tutto, ma non questo. Così trovi normale che io lasci una terra che per circa venti anni mi ha dato da mangiare in povertà, per un altro pezzo di mondo sconosciuto. Hai anche detto di apprezzare questa specie di mio istinto vagabondo. Però non vuoi credere che riesco ad amare di più il mio paese proprio ora che lo lascio. Forse la troverai un po' troppo forte, la parola "amare". Però ti dirò che proprio adesso, più che in altri momenti della mia vita, sento in me un vero bisogno di riconoscere il senso di appartenenza al mio paese. È importante avere un paese, quando si viaggia. Un giorno lo capirai: quando presenti il passaporto a una signora con le labbra serrate, quando ti trovi in mezzo a gente di cui ignori persino la lingua e soprattutto quando ti chiedono in continuazione da dove vieni. Per poter vivere in un mondo civilizzato bisogna avere un'identità, tutto qui.

Yuan da Montréal

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Lo sai come convincere la mamma che qui sto benissimo? Non devo più fare la doccia in un bagno pubblico. Al mattino, a casa, quando salto dentro la vasca e mi immergo nell'acqua calda, mi sento più che mai al sicuro. Non devo più spogliarmi davanti a persone conosciute o sconosciute, e sentirmi così privato della parte più intima di me. Adesso ho un buon odore. Pulito. Sono contento di me. Comincio già ad amare un po' questa vita. E se non basta a consolarti, pensa anche che qui la luna è più bella che da noi. Più grande e luminosa. Sì, è proprio in forma magnifica. La mamma capirà di certo quanto sia importante per me avere sopra la testa una luna in ottima salute: un tempo ero preoccupato per il pallore e la fragilità della nostra luna. Spesso, oscurata dalle nuvole, sembrava sul punto di trasformarsi in acqua, cadere dal cielo e venire a morire ai nostri piedi. A volte, quando ero malato, mi chiedevo se non fosse un po' proprio a causa della luna. Certo, mi sbagliavo. Davvero però non volevo morire con lei. Sento crescere il rimorso per essermi rifiutato di morire con la nostra luna.

Durante il giorno frequento due corsi di informatica e la sera uno di francese. In classe non riesco nemmeno a rispondere al professore, perché spesso non capisco le domande. Da quando sono qui sembra diminuita la mia prontezza di riflessi. Per paura dei miei "scusi?" il professore non osa più farmi domande.

Devo ancora imparare molte cose. In me è rinata quella curiosità che sembrava scomparsa a poco a poco insieme alla giovinezza. Ho l'impressione di essere ringiovanito. Vivo come un neonato. Esiste qualcosa di più interessante della rinascita, per noi mortali? Per questo consiglierei a tutti di emigrare. A te per prima, sicuramente.

Yuan da Montréal

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Senza di te la vita non può essere più la stessa. Il sole sembra meno luminoso e le giornate troppo lunghe. Al mattino non ho quasi più la forza di alzarmi. Ieri la direttrice mi ha avvisato che in questo mese ho già accumulato otto ritardi. Poi ha aggiunto:

"Credi che siamo nel Nord America, dove se n'è andato il tuo ragazzo? Be', ti sbagli! Cara compagna, non dimenticare che sei ancora cinese e lo rimarrai fino alla fine, malgrado tutto."

Lo sguardo severo e un po' astioso mi ha disorientato. Perché la mia mancanza di diligenza l'ha fatta pensare al Nord America? Forse perché lì la gente è libera di arrivare in ritardo? Nulla sarebbe impossibile in un paese in cui la parola "libertà" non ha un senso peggiorativo. Si è liberi anche di mandare a quel paese i superiori?

Da Li sarà a Montréal domenica prossima. Da quando hai lasciato la città la vedo spesso. Mi piace, ha sempre parlato molto bene di te. Dopo tutto ti somiglia un po'. È come una piccola sfera di vetro che rotola con leggerezza. Va avanti, scivola, a volte salta, corre, corre e non si ferma mai. Non ha bisogno di conoscere la strada per arrivare a destinazione. Quando noi tre eravamo al collegio, non apprezzavi l'eterna spensieratezza della mia amica. "È un'allegra stupidella, un'ochetta," dicevi. Ma in fondo le invidiavi quella leggerezza di vita che da sola le permetteva, secondo te, di sostenere l'illusione della felicità. Anche tu sei una sfera, un po' meno liscia a causa della tua natura sensibile, ma rotoli con una certa facilità. E se spesso Da Li ignora la propria strada, stavolta invece ha ben presente l'obbiettivo. "Preferisco morire altrove che vivere qui" dice. E sa che non morirà, anche se laggiù non ha parenti né i mezzi per sostenersi, solo un permesso di studio. Ha trovato il modo di persuadere l'ambasciatore a lasciarla partire. Ne troverà certamente altri per sbrogliarsela anche in questo caso. Come si può impedire a una sfera di seguire la propria inclinazione? Ho paura, però, che questo piccolo allegro tesoro vada a frantumarsi da qualche parte. Le ho dato il tuo indirizzo e sono sicura che l'aiuterai se avrà bisogno.

Montréal avrà quindi una "neonata" in più. Ormai sarai meno solo. Prima di "rinascere" però, io spero di non diventare troppo vecchia per te.

Sassa che ti ama tanto, da Shanghai

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Mio caro padrone, cosa potrei volere di più se non obbedirti? Ieri mattina sono andata all'Ufficio passaporti. La fila arrivava fino a fuori, ansiosa e ronzante. La porta dell'ufficio si schiudeva per lasciar passare solo poche persone. La gente uscendo, mostrava il proprio umore: collera, gioia, tristezza, turbamento, preoccupazione... Impossibile restare soli a covare tutto questo, poiché venivi immediatamente circondato dalla folla che ti piantava uno sguardo folle sul viso e sembrava volerci leggere il proprio destino. Così, ancora prima di varcare la soglia, tutti conoscevano benissimo i funzionari incaricati di distribuire i passaporti: la fisionomia, l'età, il carattere, il modo di parlare, l'orario di lavoro e i dettagli sui loro gusti. Era importante sapere quando avevano la pausa questi funzionari, per decidere quando entrare nell'ufficio. In questo modo si cercava di scegliere colui o colei con cui si voleva parlare. Ad esempio alcune donne graziose, confidando nel proprio potere sugli uomini, non volevano assolutamente cadere nelle grinfie delle loro simili. In virtù di sorrisi e pazienza, quasi sempre ci riuscivano.

Verso le quattro del pomeriggio il mio momento è arrivato e passato senza problemi. Dietro lo sportello una ragazza della mia età ha letto i documenti e, dopo avermi guardato rapidamente, ha messo un timbro sul foglio di carta. Poi, senza alzare lo sguardo, ha detto:

"Avrai il passaporto tra tre o quattro settimane." Sono uscita dall'ufficio con un sentimento di inesplicabile delusione. Si era comportata come se non esistessi, la funzionaria. Non ero quindi più in grado di suscitare gelosia nelle donne. Mi sono specchiata un istante nel vetro della porta d'ingresso. Mi sono vista piuttosto pallida. La gente che attendeva fuori ha evitato di disturbarmi. Ho lasciato quel luogo seguita da sguardi di pietà. Allora per almeno tre settimane sarò tranquilla. Tre settimane senza far niente. La cosa mi rende felice. Se sapessi come mi sento stanca...

Sassa da Shanghai

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Avrai il passaporto! Che bella notizia! Questa sera non ce l'ho fatta a rimanere solo in camera. Ho invitato Da Li al ristorante. Indossava una gonna a fiori e rideva fragorosamente come un tempo. Ha mangiato molto, sembrava assai golosa. Per la prima volta l'ho trovata abbastanza interessante, soprattutto quando si è messa a scherzare in shangaiese. Durante la cena abbiamo parlato solo di te. Non sembri elettrizzata quanto me. Mi pare che questo passaporto per noi valga molto più delle attenzioni e della gelosia di una funzionaria! È strano! In ogni cosa che ti succede trovi un particolare insignificante. Per ingigantirlo usi la tua immaginazione – formidabile, bisogna riconoscerlo — e dimentichi la cosa più importante. Ecco perché a scuola riassumevi male le lezioni; ti aggrappavi sempre alle frasi o alle parole. Con le lezioni non è un problema. Ma con l'amore? Come lo riassumi tu un amore?

Quando avevamo un appuntamento, mettevo sempre una camicia pulita. Il giorno in cui i miei hanno proposto di invitarti a casa, non mi sono attardato a cambiare camicia prima di correre ad annunciarti la notizia. Hai risposto, fissando il collo annerito della mia camicia, che andava bene ed eri contenta di venire a conoscere i miei. Tutto qui. Avrei voluto qualcosa di più. Non sapevo esattamente cosa. Era in ogni caso un evento speciale. Ripensandoci bene, confesso che avevi ragione. Il nostro amore non aveva bisogno dell'assenso dei genitori. Il primo incontro con i miei, infatti, per te era un evento assolutamente banale. E direi che non ti è piaciuto, perché dal tuo punto di vista è da quel momento che ho cominciato a indossare camicie sporche.

Mi piace sempre il "salto" che fai nei tuoi ragionamenti. Però, per una volta, devi restare con i piedi per terra: per favore, concentrati sulla cosa essenziale, la nostra unione. Allontana da te i dettagli sul tuo "esilio". I dettagli fanno male, soprattutto a chi vi presta molta attenzione.

Ti aspetto. Spediscimi qualche altra foto. Voglio che la stanza si riempia della tua presenza.

Yuan da Montréal

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Povero amico mio, all'indomani del giorno in cui hai sognato del tuo passaporto scaduto in un letto comodo e soleggiato a Montréal, qui, dall'Ufficio passaporti, ho avuto la notizia che avevano smarrito i miei documenti.

"Sai, è normale. Riceviamo ogni giorno tante di quelle richieste" ha spiegato l'impiegato con aria serafica, come un commerciante di Stato per cui la mancanza della merce da vendere equivale a meno lavoro.

Poi ha rivolto l'attenzione agli altri che aspettavano il turno. Come al solito, la fila usciva dal palazzo. Era normale, quindi né scuse né suggerimenti. Tutta quella gente voleva raggiungere il vasto mondo passando attraverso un ponte stretto. Migliaia di cinesi camminavano su questo ponte. Ancora di più aspettavano per salirci. Una lunga marcia, simile a quella degli indiani d'America che nella preistoria attraversarono lo stretto di Bering. Certamente qualcuno sarebbe caduto in acqua. Immagino che sarà un bene per i paesi ricchi dove il numero dei falsi cittadini aumenta in maniera spaventosa agli occhi di quelli veri.

Sono uscita dall'ufficio quasi senza rendermene conto. Forse faceva caldo, visto che avevo la camicia bagnata. Senza capire perfettamente quello che mi era successo, ho camminato senza sosta. Il silenzio del pomeriggio mi circondava. I negozi erano deserti. In alto, finestre spalancate si nascondevano dietro tende di bambù. Riuscivo persino a sentire gli uomini addormentati che russavano. Commossa da questa gradevole pigrizia tipica delle giornate calde, ho pensato ai volti pieni di ansia davanti agli sportelli dell'Ufficio passaporti. Ma arrivata a via Si-Nan, il cuore mi si è stretto in modo così forte e improvviso da farmi quasi vacillare. Gli uccellini cantavano sugli alberi. Alcuni studenti mi passavano vicino portando borse di plastica con dentro i costumi da bagno. Si tenevano all'ombra del fogliame per evitare il sole. Le loro grida vibravano nell'aria soffocante.

Il mondo girava come sempre, il giorno in cui mi sono accorta di aver perso qualcosa d'importante. In fondo, non si tratta del passaporto, né della neve di Montréal. È successo molto prima. Si tratta di una perdita di cui ci si rende conto solo quando se ne subisce un'altra, più evidente. È te che ho perduto. Sì, ti ho perduto una domenica pomeriggio all'aeroporto di Shanghai. Avrei dovuto capirlo nell'istante in cui hai preso l'aereo. Quel giorno, salendo lentamente la scaletta dell'aereo, sei uscito da via Si-Nan, ti sei allontanato dai canti degli studenti e sei sparito dalla mia vista. Ti ho perduto nell'azzurro del cielo. E l'impiegato dell'Ufficio passaporti me l'aveva appena confermato.

Continuavo a camminare, la gola serrata certamente per le vampate di calore, come se volessi ritrovarti. Ma sapevo che pure se fossi arrivata in fondo a via Si-Nan, non sarei mai arrivata in rue Saint-Denis. Tuttavia continuavo, sperando di camminare fino all'estremità del tempo e dello spazio, là dove le frontiere si cancellano, dove il mondo diventa un unico grande paese come tutti vorremmo, dove gli innamorati non si separano per una questione di passaporti. Sognavo una passeggiata senza fine.

Sassa da Shanghai

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So quanto sarà difficile per te sopportare questo ridicolo incidente. Però Sassa, cerca di capire; non c'è bisogno che tu vada "fino all'estremità del tempo e dello spazio" per ritrovarmi. Io sono qui, non tanto lontano da te, a sole ventiquattro ore di aereo. Le frontiere non possono separarci. Ci chiedono solo un passaporto, tutto qui. Siamo come ogni cosa che circola su questa terra, per cui si esige un'etichetta. Grazie alle migliaia di anni di evoluzione, oggi siamo divenuti specie civilizzate, raffinate e soprattutto estremamente differenti le une dalle altre. Possediamo quindi etichette sempre più precise, diversificate e numerose, per attestare le frontiere tracciate nelle nostre teste. Per fortuna possiamo fornire le etichette richieste. Secondo l'impiegato dell'Ufficio passaporti, la documentazione che avevi presentato era completa. Se è impossibile da recuperare, faremo una nuova richiesta.

Via Si-Nan non è lontana come pensi da rue Saint-Denis. Infatti le strade di queste due città un po' si somigliano. A Montréal molti luoghi mi fanno pensare a Shanghai: oltre ad alcune vecchie case a due o tre piani, ci sono vetrine eleganti, ristoranti cinesi in ogni parte della città, un padiglione dell'orto botanico costruito da shangaiesi. E qui nelle strade troverai più colori, soprattutto più verde, musica melodiosa o folle e tutti quei dolci occidentali che ti piacciono tanto...

Vedrai comunque che ti sembrerà quasi di essere a casa, in una città per noi così esotica. Montréal è piena di curiosità. Ti capiterà di fare autentiche scoperte in ogni momento. Giuro che qui sarai felice, se cercherai di non prendertela troppo, visto che, a parte i commercianti, i montrealesi sorridono meno dei shangaiesi. Però non sono più cattivi. Non pensare mai che se si mostrano freddi è per colpa tua. Sono così magari a causa del loro capo, degli impiegati, di problemi in famiglia, della paura dell'ignoto, della mancanza di fiducia in se stessi o semplicemente dell'inverno, una stagione che sicuramente sopporterai benissimo, te lo assicuro, visto che a Shanghai sei sopravvissuta per anni nella tua stanza senza riscaldamento. Quando li conoscerai meglio, probabilmente li troverai a volte più interessanti dei tuoi vicini di adesso. Questo perché, fra le altre cose, non passano il tempo a spiare quello che fanno gli altri.

Ti abbraccio forte forte.

Yuan da Montréal

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