Copertina
Autore Palle Yourgrau
Titolo Un mondo senza tempo
SottotitoloL'eredità dimenticata di Gödel e Einstein
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2006, Nuovi saggi Scienza , pag. 224, cop.fle., dim. 140x214x19 mm , Isbn 978-88-428-0903-6
OriginaleA World Without Time. The Forgotten Legacy of Gödel and Einstein [2005]
TraduttoreLibero Sosio
LettoreRenato di Stefano, 2006
Classe fisica , filosofia , storia della scienza , logica
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Indice


1.  Una congiura del silenzio                        9


2.  Una propensione tedesca per la metafisica       18


3.  Vienna: Circoli logici                          29

    La guerra dei titani                            40
    Il significato della relatività                 49

4.  Una spia nella casa della logica                59

    Il leitmotiv del XX secolo                      61
    Tripla fuga: matematica intuitiva,
        matematica formale e metamatematica         68
    Numeri riutilizzabili:
        l'aritmetizzazione della sintassi           70
    Sono indimostrabile                             73
    Il formale e l'intuitivo                        77

5.  Č difficile lasciare Vienna                     85

    Abraham Flexner alla caccia di talenti          85
    La sindrome viennese                            88
    Rose rosse dal dottor Einstein                  92
    Le undici più una                               93

6.  Fra i semidei                                   97

    Di nuovo i sottomarini                         104
    «Einstein ed io»: scienziati e filosofi        109
    Un'offerta che non si può rifiutare            117
    Ontologia ed epistemologia:
        i due assi della filosofia                 119
    Un acceleratore di particelle per la mente     123

7.  Lo scandalo della «T» maiuscola e
        della «t» minuscola                        128

    Quel che i vostri genitori non vi hanno mai
        detto sull'età dell'universo               131
    Che cosa intende Gödel per tempo               134
    La danza dialettica di Gödel col tempo         137
    Nella foresta                                  140
    Non c'è tempo per i viaggi nel tempo           142
    La protezione del tempo contro Gödel           144
    Raramente tante persone hanno capito così poco
        su così tanto                              146
    Chi è Kurt Gödel?                              148

8.  Il crepuscolo degli dèi                        154

    Tutto è qualcosa di diverso da ciò che sembra  155
    Il bisogno di radici                           157
    Il silenzio delle Muse                         159
    Semina senza raccolto                          163
    Sospetti di religiosità                        164
    «Il mondo tende a deteriorarsi»                166

9.  In che senso Gödel (o chiunque altro)
        è un filosofo?                             170

    Chi ha sepolto Kurt Gödel?                     171
    Il filosofo sul treno                          173
    «Precritico»                                   177
    Da Frege a Gödel                               181
    «La risposta corretta a Gödel»                 186
    Gödel come filosofo                            190
    Un brutto corpo in un bel vestito              193

Note                                               195
Opere citate                                       207
    Libri                                          207
    Articoli                                       211
Indice analitico                                   215
Ringraziamenti                                     222

 

 

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Pagina 9

1
Una congiura del silenzio



            Gödel fu [...] l'unico dei nostri colleghi che passeggiasse
            e parlasse su un piano di parità con Einstein.
                                                          FREEMAN DYSON



Nell'estate del 1942, mentre gli U-Boot tedeschi si aggiravano in «branchi di lupi» al largo della costa del Maine, gli abitanti della cittadina litoranea di Blue Hill erano allarmati dalla vista di un individuo solitario che camminava lungo la costa con le mani dietro la schiena, il corpo un po' inclinato in avanti e gli occhi fissi al suolo, in un'interminabile passeggiata di mezzanotte. Chi lo incontrava era colpito dal suo cipiglio corrucciato e dal suo forte accento tedesco. Si era diffuso il sospetto che fosse una spia tedesca e che trasmettesse segnali segreti a navi da guerra nemiche. Quello straniero misterioso non era però una spia tedesca: era Kurt Gödel, il più grande logico di tutti i tempi, un faro nel paesaggio intellettuale degli ultimi mille anni, e la preda a cui ambiva non erano navi americane dirette in Gran Bretagna bensì la cosiddetta «ipotesi del continuo», una congettura fatta dal matematico Georg Cantor sul numero di punti contenuti in una linea. Gödel stava trascorrendo le vacanze estive al Blue Hill Inn con la moglie Adele, anche se gli ospiti del piccolo albergo raramente avevano occasione di vedere l'uno o l'altra. Essi comparivano dal nulla per il pranzo, ma nessuno ebbe mai occasione di osservarli mentre mangiavano. Per la gente del luogo, lo sguardo accigliato di Gödel tradiva una disposizione di spirito tetra, ma l'albergatrice vedeva le cose in modo diverso. Per lei quella era solo l'espressione di un uomo assorto in pensieri profondi. Le ultime parole indirizzate da Gödel alla direttrice del piccolo albergo non potrebbero essere di alcun aiuto nella soluzione dell'enigma. Gödel le scrisse una lettera accusandola di avere rubato la chiave del suo baule.

Il luogo in cui Gödel sarebbe tornato in autunno era piuttosto lontano da Blue Hill: si trattava del prestigioso Institute for Advanced Study a Princeton, nel New Jersey. Qui Gödel non avrebbe più camminato da solo, suscitando i sospetti dei vicini; aveva infatti un compagno per le sue passeggiate: un collega all'istituto che era anche il suo migliore amico. Non c'era alcun rischio che la sua reputazione potesse intimidire il compagno: il suo amico – un altro rifugiato politico di lingua tedesca, anche lui con inclinazioni matematiche – era infatti lo scienziato più famoso di tutti i tempi, Albert Einstein, le cui passeggiate meditative già stuzzicavano la cittadinanza di Princeton.

«Da lontano» scrisse un biografo «[gli abitanti di Princeton] ridacchiavano in modo discreto dell'abitudine [di Einstein] di leccarsi un gelato in Nassau Street mentre tornava a casa da Fine Hall, ed erano sorpresi dalle sue lunghe passeggiate, decisamente non americane, nelle strade di Princeton.» In effetti verso la fine della sua carriera, quando era più o meno in pensione, Einstein commentò che le sue ricerche non avevano più molto significato per lui, e che ormai andava in ufficio «solo per avere il privilegio di tornare a casa insieme a Kurt Gödel». Per una curiosa ironia, non fu l'accigliato Gödel, bensì il suo collega sempre sorridente, ad aiutare una volta indirettamente gli U-Boot tedeschi quando, durante la Prima guerra mondiale, Einstein, pur essendo un pacifista coraggioso e impegnato, aveva contribuito a migliorare i giroscopi usati dalla marina tedesca. Anche la ricerca di Gödel avrebbe avuto infine attinenza con i giroscopi, ma con quelli che ruotano al centro dell'universo, non nelle buie viscere dei sommergibili.

Sbattuti sulle coste dell'America dalla tempesta del nazismo che infuriava in Europa negli anni trenta, i due uomini trovarono ospitalità nello stesso tranquillo rifugio accademico, l'Institute for Advanced Study a Princeton, un circolo intellettuale esclusivo i cui membri avevano un solo compito: quello di meditare. Ma Gödel e Einstein appartenevano già a un club ancora più esclusivo. Insieme a un altro teorico di lingua tedesca, Werner Heisenberg, erano gli autori dei tre risultati scientifici più importanti del secolo. La scoperta di ciascuno di loro, inoltre, poneva una limitazione profonda e disturbante. La teoria della relatività di Einstein fissava un limite – la velocità della luce – allo spostamento di qualsiasi segnale portatore di informazione. E definendo il tempo in termini della sua misurazione per mezzo di orologi, Einstein fissò un limite al tempo stesso, che cessava di essere assoluto per diventare limitato o relativo al sistema di riferimento. Nella meccanica quantistica, il principio di indeterminazione di Heisenberg fissò un limite alla nostra conoscenza simultanea di posizione e quantità di moto delle particelle fondamentali della materia. Non era solo una restrizione imposta a ciò che possiamo conoscere: per Heisenberg il principio fissava un limite alla realtà stessa. Infine, il teorema di incompletezza di Gödel – la «verità matematica più importante del secolo», come sarebbe stata descritta nel 1952 in una cerimonia alla Harvard University – fissò un limite permanente alla nostra conoscenza delle verità basilari della matematica: l'insieme completo delle verità matematiche non sarà mai compreso in alcun elenco finito o ricorsivo di assiomi che sia pienamente formale. Perciò nessun dispositivo meccanico, nessun computer sarà mai in grado di esaurire le verità della matematica. Ne segue immediatamente, come Gödel fu pronto a sottolineare, che se noi fossimo in grado di comprendere in qualche modo la verità completa in questo campo, ciò significherebbe che noi, o la nostra mente, non siamo macchine o computer. (Gli entusiasti dell'intelligenza artificiale non accolsero quest'affermazione di buon grado.)

Einstein, Gödel, Heisenberg: tre uomini i cui risultati scientifici fondamentali dischiusero nuovi orizzonti nel momento stesso in cui, paradossalmente, fissavano limiti al nostro pensiero o alla realtà. Insieme incarnarono lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Misteriosamente, ognuno di loro aveva raggiunto una conclusione ontologica sulla realtà attraverso l'impiego di un principio epistemico concernente la conoscenza. La danza, o la dialettica, di conoscenza e realtà — di limite e assenza di limite — sarebbe diventata un tema dominante del XX secolo. Eppure i rapporti di Gödel e di Einstein col loro secolo furono meno facili di quelli di Heisenberg.

Lo Zeitgeist mise notoriamente radici soprattutto nella meccanica quantistica. Qui Gödel e Einstein si sarebbero trovati isolati nella loro opposizione a Heisenberg, che, pur essendo dalla parte sbagliata nella guerra delle nazioni, scelse la squadra vincente nelle guerre della fisica. Heisenberg fu un campione della scuola positivistica, nota in fisica quantistica come «l'interpretazione di Copenaghen» per deferenza al maestro di Heisenberg, il fisico danese Niels Bohr. Quello che nella relatività ristretta di Einstein era stato un mero principio euristico — la deduzione della natura della realtà da limiti su ciò che si può conoscere — divenne per Heisenberg una sorta di religione, alla quale Gödel e Einstein non avevano alcun desiderio di aderire. Alcuni sostennero tuttavia di vedere nello stesso teorema di Gödel un'eco del principio di indeterminazione di Heisenberg. Di quel gruppo non faceva parte Gödel.

Einstein, che era stato personalmente uno dei grandi pionieri della meccanica quantistica, aveva conosciuto e ispirato Heisenberg in Germania. Nel 1911 a Praga, vari anni prima che entrasse in scena Heisenberg, Einstein aveva indicato una volta al collega Philipp Frank i manicomi nel parco sotto il suo studio, osservando: «Qui sotto vedete la parte dei matti che non si occupa della teoria quantistica». Secondo Einstein, la situazione, già difficile, era ulteriormente peggiorata dopo Heisenberg. In un primo incontro con lui Heisenberg, sulla difensiva nei confronti di una sua filippica contro la teoria quantistica, aveva controbattuto: «Quando obiettai che [nel mio approccio] avevo solo applicato il tipo di filosofia che anche lui aveva posto alla base della sua teoria della relatività ristretta, [Einstein] rispose semplicemente: "Forse in passato ho usato tale filosofia, e ne ho anche scritto, ma essa rimane comunque assurda"».

Le strade dei due fisici si divisero prima della guerra. Einstein emigrò negli Stati Uniti, mentre Heisenberg rimase in Germania mantenendosi leale al suo paese sino alla fine. A Princeton Einstein — pacifista, bohémien, socialista ed ebreo — era un uomo isolato. Č vero che trovò Gödel, ma anche insieme rimasero isolati e solitari, in parte a causa della loro opposizione alla visione positivistica del mondo di Heisenberg, che dominò la scena intellettuale persino quando la sua patria tentava di asservire il mondo. Gödel e Einstein non erano semplici ingegneri intellettuali, come molti loro colleghi ispirati dal positivismo, bensì filosofi-scienziati. Per una curiosa ironia, proprio quando la loro stella aveva cominciato a declinare, la semplice grandezza della fama personale li aveva resi inavvicinabili. Non però l'uno all'altro. «Gödel» scrisse il collega Freeman Dyson «fu [...] l'unico dei nostri colleghi che passeggiasse e parlasse su un piano di parità con Einstein.»

I loro gusti, però, rimasero nettamente distinti. Einstein, che suonava il violino, non riuscì mai a convincere l'amico ad apprezzare Beethoven e Mozart, ma Gödel non ebbe certamente maggior successo nel suo tentativo di fare apprezzare a Einstein il suo film preferito, Biancaneve e i sette nani. La storia non registra, purtroppo, quale dei sette nani fosse il preferito di Gödel, ma sappiamo perché egli apprezzasse tanto le favole. «Soltanto le favole» diceva «presentano il mondo come dovrebbe essere e come se avesse un significato.» (Quel significato, ovviamente, poteva essere oscuro. Non si sa se Alan Turing abbia imparato da Gödel ad apprezzare Biancaneve quando visitò l'Institute for Advanced Study negli anni trenta, ma alcuni hanno visto un'eco di tale storia nella sua decisione di suicidarsi con una mela avvelenata quando, come ricompensa per avere decifrato il codice Enigma della marina tedesca, il governo britannico lo costrinse a farsi fare iniezioni di ormoni per «curare» la sua omosessualità.)

Einstein era già fuggito dalla matematica prima di fuggire dalla Germania. In seguito disse di non essere riuscito a trovare, in tale giardino dai molti sentieri, quello che conduceva a cose fondamentali. Si volse al mondo più concreto della fisica, dove pensava che fosse più chiara la via che conduceva all'essenziale. Il suo disdegno per la matematica gli valse il nomignolo di «cane pigro» dal suo docente Hermann Minkowski (che ben presto avrebbe riformulato proprio la teoria della relatività ristretta del «cane pigro» nella sua caratteristica forma della quadridimensionalità). «Sa» scherzò Einstein «quando cominci a calcolare, ti copri di merda prima di rendertene conto.» Gödel fece invece il percorso inverso. Einstein, dopo aver fatto amicizia con Gödel, disse di essersi convinto che anche in matematica si poteva trovare la via verso qualcosa di fondamentale. A sua volta Gödel, attraverso l'amicizia con Einstein, sentì risvegliarsi il suo giovanile interesse per la fisica. Nelle loro lunghe passeggiate dall'ufficio a casa, Einstein, che era sempre cordiale ed espansivo, tentava di sollevare la disposizione di spirito sempre cupa e pessimistica di Gödel raccontandogli le sue ultime intuizioni sulla relatività generale. Purtroppo, però, il pessimismo di Gödel degenerò infine in una forma di paranoia. L'economista Oskar Morgenstern, facendo un giorno una visita al suo buon amico, rimase costernato nell'accorgersi che il grande Gödel si nascondeva nella cantina dietro l'impianto del riscaldamento.

Da quelle lunghe passeggiate di Einstein e Gödel, dalle loro infinite discussioni, sarebbe nato ben presto qualcosa di bello. La scena era ricca di possibilità. Il tempo, che aveva ossessionato molti grandi pensatori da Platone a sant'Agostino e a Kant, aveva finalmente trovato un degno avversario in Einstein. Mentre gli U-Boot della sua ex patria tendevano agguati alla flotta alleata, il meno tedesco dei tedeschi stava dando la caccia a una preda più elusiva. Vari decenni prima aveva sorpreso il mondo intero quando era riuscito, lui solo, a catturare il concetto stesso del tempo nelle equazioni della relatività. «Ogni ragazzo nelle strade di Göttingen» scrisse il suo connazionale David Hilbert «capisce la geometria quadridimensionale meglio di Einstein. Eppure è stato lui a fare il lavoro, e non i matematici.» La relatività aveva reso docile e maneggevole il tempo, il più sfuggente di tutti gli enti, trasformandolo in una quarta dimensione dello spazio, o, piuttosto, dello spazio-tempo relativistico. Condividendo con Gödel i suoi ultimi pensieri su quell'universo quadridimensionale dello spazio-tempo che lui stesso aveva portato all'essere, Einstein stava gettando i semi della relatività nella mente di un pensatore che sarebbe stato in seguito descritto come una combinazione di Einstein e di Kafka.

Se Einstein era riuscito a trasformare il tempo in spazio, Gödel avrebbe eseguito un numero magico ancora più sensazionale: lo avrebbe fatto sparire. Avendo già scosso il mondo della matematica fin nei suoi fondamenti col suo teorema di incompletezza, ora Gödel si volse verso Einstein e la relatività. Senza perder tempo, annunciò ben presto la scoperta di soluzioni cosmologiche nuove e inattese delle equazioni di campo della relatività generale, soluzioni nelle quali il tempo avrebbe subìto una trasformazione sconcertante. La matematica, la fisica e la filosofia dei risultati di Gödel erano completamente nuove. Nei mondi possibili governati da queste nuove soluzioni cosmologiche, i cosiddetti universi rotanti o universi di Gödel, la struttura dello spazio-tempo risultava così gravemente deformata o incurvata dalla distribuzione della materia da determinare l'esistenza di percorsi di tipo tempo diretti verso il futuro attraverso i quali un'astronave, a condizione di muoversi a una velocità abbastanza elevata – e Gödel calcolò le precise richieste di velocità e di combustibile –, può penetrare in qualsiasi regione del passato, del presente o del futuro.

Gödel — l'individuo che combinava in sé Einstein e Kafka — aveva dimostrato per la prima volta nella storia umana, partendo dalle equazioni della relatività, che il viaggio nel tempo non era una fantasia filosofica bensì una possibilità scientifica. Ancora una volta era riuscito in qualche modo, partendo dal cuore stesso della matematica, a sganciare una bomba nella torre d'avorio dei filosofi. Le conseguenze di questa bomba matematica erano però ancora più pericolose di quelle del teorema di incompletezza. Gödel fu pronto a sottolineare che, se possiamo rivisitare il passato, ciò significa che esso non è mai realmente «passato». Ma un tempo che non passa non è un tempo. Einstein si rese conto immediatamente che, se aveva ragione Gödel, con la sua teoria dello spazio-tempo quadridimensionale, egli non aveva solo addomesticato il tempo, ma lo aveva ucciso. Il tempo, «questa entità misteriosa e apparentemente contraddittoria», come si espresse Gödel, «che sembra tuttavia formare la base della nostra esistenza e di quella del mondo», risultava essere in definitiva la massima illusione del mondo. In una parola, se la relatività di Einstein era reale, il tempo era semplicemente ideale. Il padre della relatività era confuso. Pur elogiando Gödel per il suo grande contributo alla teoria della relatività, si rendeva ben conto che il tempo, quella preda elusiva, era di nuovo scivolato via dalla sua rete.

A seguito di tale scoperta si verificò qualcosa di veramente incredibile: non accadde nulla di nulla. Anche se, subito dopo alcuni fisici si diedero molto da fare per confutarla, e poi, non essendovi riusciti, tentarono di generalizzarne ed esplorarne i risultati, questo breve fermento di interesse si esaurì ben presto. In capo ad alcuni anni le orme profonde lasciate nella storia intellettuale da Gödel e da Einstein nelle loro lunghe passeggiate dall'ufficio a casa erano scomparse, erose dai forti venti della moda e del pregiudizio filosofico. Sull'amicizia di Einstein e Gödel e sulle sue conseguenze scientifiche era scesa una congiura del silenzio.

Un'amicizia non meno notevole di quella fra Michelangelo e Leonardo — ammesso che questa sia davvero esistita — era semplicemente svanita nel nulla. A tutt'oggi non solo l'uomo della strada non è a conoscenza dello stretto rapporto intercorso fra due dei massimi giganti intellettuali del XX secolo, ma anche le biografie intellettuali più esaurienti di Einstein o ignorano del tutto questa amicizia o, nella migliore delle ipotesi, si limitano ad accennarne in una o due frasi. Mentre moltissimi autori si sono occupati diffusamente della ricerca di Liserl, la «figlia dell'amore» del primo matrimonio di Einstein, il figlio dell'immaginazione nato dall'amicizia di Einstein e Gödel è stato dimenticato.

Soltanto in anni recenti questo figlio, l'universo di Gödel, ha ricevuto un barlume di riconoscimento. Questo è venuto dal formidabile Stephen Hawking. Rivisitando l'universo rotante di Gödel, Hawking fu indotto a fargli il più grande dei complimenti. Il fisico teorico inglese giudicò certi risultati di Gödel, come la sua dimostrazione della coerenza dei viaggi nel tempo con le leggi della relatività, così minacciosi da cercare di rimediare proponendo quello che è in pratica un postulato anti-Gödel. La famosa «congettura per la protezione della cronologia» di Hawking, se venisse accettata, negherebbe proprio il contributo di Gödel alla relatività. Hawking considerò conclusioni come quelle di Gödel così inaccettabili fisicamente da proporre quella che ha l'aria di essere una modificazione ad hoc delle leggi della natura per escludere l'universo di Gödel come genuina possibilità fisica.

Il tentativo di Hawking di neutralizzare l'universo di Gödel mostra quanto sia pericoloso rompere la congiura del silenzio che ha avvolto il legame Gödel-Einstein. Questo misterioso silenzio non solo cela al mondo una delle amicizie più toccanti e gravide di conseguenze nella storia della scienza, ma gli impedisce anche di rendersi conto di tutte le implicazioni della rivoluzione di Einstein. Una cosa è rovesciare, come fece Einstein, la secolare concezione di Newton del carattere assoluto e indipendente dello spazio e del tempo, una cosa del tutto diversa è dimostrare che il tempo non è solo relativo ma ideale. Diversamente da Einstein – un classicista che cercava sempre la continuità col passato –, Gödel era nel suo intimo un ironista, un pensatore veramente sovversivo. Col suo teorema di incompletezza aveva scosso le fondamenta della matematica, stimolando il grande matematico David Hilbert a proporre una nuova legge logica proprio per confutare i risultati di Gödel. L'universo di Gödel, correttamente inteso, condivide col teorema di incompletezza una metodologia e un intento sottostanti. Č una bomba, costruita con i materiali prediletti della cosmologia, introdotti nelle fondamenta della fisica.

Nelle passeggiate di Gödel e di Einstein si può quindi udire un'eco dello Zeitgeist, un indizio per la comprensione del segreto di quel secolo grande e terribile che fu il Novecento: un secolo che, come il Seicento, passerà alla storia come un'epoca di geni. Gli abitanti di Blue Hill, preoccupati per la guerra e per il nemico che poteva colpire dal mare, non si erano resi conto della vera grandezza del loro uomo.

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Pagina 18

2.
Una propensione tedesca per la metafisica



                Lo scienziato tedesco era un filosofo.
                                                             J.T. MERZ


                Č un fatto degno di nota [...] che almeno in un
                punto la teoria della relatività abbia fornito una
                conferma davvero sorprendente delle dottrine kantiane.
                                                            KURT GÖDEL


Fisicamente erano opposti. Gödel, così sottile da sembrare emaciato – il corpo spettrale nascosto, anche nel pieno dell'estate, da soprabito e sciarpa –, sempre tormentato e assillato, non poteva non suscitare sospetti, guardando da dietro le sue spesse lenti come un gufo da un'altra dimensione. Giunto fin da piccolo alla conclusione che quanto meno si mangiava tanto meglio era, aveva poi portato avanti questa dubbia idea con spietata coerenza, senza lasciarsi distogliere dal senso comune, una facoltà che non usava nel suo approccio alla vita. Il suo preconcetto, nato da un'ipocondria suscitata dalla sua febbre reumatica infantile e da una forma di paranoia circa le intenzioni dei medici, lasciò il posto a una nevrosi che gli avrebbe infine tolto la vita. In vari periodi di stress estremo Gödel fu ricoverato in cliniche, da una delle quali, secondo certe fonti, sarebbe fuggito con l'aiuto della moglie. Quando morì pesava solo trenta chili.

Di contro Einstein, il cui stato di salute non fu mai in discussione, poteva apprezzare con lo stesso piacere un buon würstel o un buon teorema. Amava i cibi tedeschi dai sapori forti, che mangiava con avidità, e alla fine di un pasto non si faceva mai mancare il piacere che solo la sua pipa onnipresente poteva dargli. Gli amici e le mogli poterono essere lasciati in disparte nel corso della sua vita turbolenta, ma la pipa lo seguiva sempre. Più avanti nel corso degli anni divenne l'orgoglioso proprietario di una rispettabile pancia professorale. «Ho fermamente deciso» scrisse alla moglie Elsa «di mordere la terra, quando verrà la mia ora, col minimo di assistenza medica, e fino ad allora di peccare allegramente [...], fumare come una ciminiera, lavorare come un castoro, mangiare senza pensarci e senza scegliere e camminare solo quando ho una compagnia gradevole: in altri termini, raramente.»

Gödel, che aveva capelli castani e occhi azzurri, era alto appena un metro e sessantotto. Questo numero colse di sorpresa i suoi colleghi: la sua presenza intellettuale era così grande che spesso la sua modesta statura passava inosservata. La sua gracilità, però, era evidente. «Ovviamente non ha figli,» disse l'albergatrice del Blue Hill Inn «non ha la forza di farne.» In giovinezza, però, la forza di corteggiare donne non gli era mancata. «Non c'è dubbio» scrisse una collega e amica, Olga Taussky-Todd, «sul fatto che Gödel aveva un debole per il gentil sesso, e non ne faceva mistero.» Gödel, continuava la Taussky-Todd, non era alieno dal pavoneggiarsi con le donne che gli piacevano. La stessa Taussky-Todd, con suo sgomento, si sentì chiedere una volta di aiutare in matematica una giovane donna che cercava a sua volta di colpire Gödel. Questo interesse del matematico per le donne era limitato alla sua giovinezza? No, se si deve credere a sua moglie, Adele. Stuzzicando il marito, disse scherzando che l'Institute for Advanced Study – che chiamava scherzosamente Altersversorgungsheim, o casa per l'assistenza agli anziani – era pieno di belle studentesse che facevano la fila alla porta degli uffici dei grandi professori. Einstein, che aveva un fisico robusto ed era alto un metro e settantacinque, fece in realtà molti figli, fra legittimi e illegittimi. In età avanzata come in gioventù, i vincoli matrimoniali non lo frenarono molto, così come le sue scoperte in fisica non furono molto vincolate dalle convenzioni della fisica classica. Il modo stesso in cui Albert considerava il matrimonio recava il marchio inconfondibile della sua mancanza di convenzionalità. Pur volendo sposare la cugina Elsa, desiderava ancora di più sposare la figlia di Elsa, la venticinquenne Ilsa. «Albert» scrisse la giovane Ilsa, innervosita, a un amico «si rifiuta di prendere qualsiasi decisione; egli è pronto a sposare la mamma o me.»

Einstein considerava non solo il matrimonio ma anche l'abbigliamento un'affettazione borghese di cui cercava di eludere al massimo le restrizioni, evitando il più possibile i calzini, la cravatta e la cintura. Con i capelli lunghi sempre spettinati, poteva mettere in imbarazzo un'ospite quando, nella totale assenza di biancheria intima, gli si apriva la vestaglia, mostrandosi sorpreso per la costernazione di quest'ultima. Straripante di energie vitali, era un ottimista infaticabile la cui fede nel buon senso e nella natura umana sopravvisse persino all'Olocausto.

Gödel, di contro, era «abbottonato» nel senso più pieno dell'espressione. Vestito di tutto punto persino nei giorni più caldi dell'estate, era il modello stesso dell'austero riserbo: fosco, pessimista, avverso a ogni contatto umano, eccezion fatta per gli amici più stretti e per le più pressanti necessità intellettuali. Nell'Istituto si raccontano ancora storie sul suo metodo infallibile per evitare un appuntamento. Egli fissava con cura una località precisa nel tempo e nello spazio per il progettato incontro. Avendo bene in mente tali coordinate, confidava agli amici che sapeva con certezza dove non doveva trovarsi quando arrivava il tempo fissato. Ma questo metodo aveva i suoi limiti. Quando si trovava intrappolato in un inevitabile tè all'Istituto, notò nelle sue memorie il matematico Halmos, negoziava con la massima attenzione la divisione del territorio fra ospiti, in modo da conseguire l'obiettivo di evitare qualsiasi possibilità di contatto fisico.

Contrariamente a ogni stereotipo del matematico puro — per non parlare di quelli che, come Gödel, avevano studiato e insegnato a Vienna — Gödel era quasi allergico ai grandi maestri della musica classica, preferendo invece classici leggeri e operette, ed era ancora più allergico alle astrazioni dell'arte moderna. Privo di qualsiasi forma di snobismo intellettuale, non faceva mistero del fatto che gli piacevano le favole. La sua passione per i cartoni animati di Walt Disney non era un segreto per i suoi amici. Non gli piacevano invece le commedie.

Einstein aveva al contrario un amore appassionato per i grandi classici della musica austro-tedesca: per Bach, Mozart e Beethoven, ma specialmente per Mozart. Il suo amico e biografo Philipp Frank ci offre qualche sottile osservazione su ciò che rendeva Mozart tanto speciale per lui. Quello che molti consideravano un segno di cinismo di Einstein era piuttosto, per Frank, un'espressione dell'urgenza di «rendere tollerabili nel mondo le cose serie per mezzo di un travestimento giocoso». Ma questo aspetto caratterizza anche gran parte della musica di Mozart, «che potrebbe essere anch'essa definita "cinica". Essa non prende molto sul serio il nostro mondo tragico». Einstein era sempre pronto a eseguire Mozart sul momento col suo amato violino, che suonava molto bene, nonostante quanto spesso si legge in contrario. Era «un esperto lettore a vista», scrisse il violinista di professione Boris Schwartz, «con ritmo costante, una eccellente intonazione, un tono chiaro e puro e un minimo di vibrato». Nella sua vita solo la pipa era per lui altrettanto onnipresente del violino. Violino e pipa: queste saranno per sempre le icone del grande scienziato, insieme ai suoi capelli arruffati.

Gödel, come risulta chiaro dalle fotografie, era sempre meticolosamente sbarbato, i capelli ben pettinati, mentre, come sanno anche i bambini delle scuole elementari, Einstein ha sempre avuto i baffi sulle labbra piene. Alla caratteristica immagine visiva si accompagnava quella acustica: quando qualcosa o qualcuno colpiva il senso umoristico di Einstein, una possente risata saliva dal ventre dello scienziato ed erompeva come un vulcano che gli scuoteva tutto il corpo. Più di una volta quel riso contagioso scosse anche l'oggetto sorpreso di quel riso, che troppo tardi si rendeva conto del significato di quell'esplosione di ilarità. Gödel, di contro, aveva un modo di ridacchiare molto più riservato, con toni alti, che era più una riflessione con se stesso sulle ironie dell'universo che una risata piena. Innalzando il tono della sua voce verso la fine di ogni frase e lasciandolo poi affievolire fino al silenzio, egli lasciava i suoi ascoltatori con la sensazione di una domanda distaccata. (Quando aveva quattro anni gli era stato appioppato il nomignolo di Herr Warum, Signor perché. «Perché il suo naso è così grosso?» domandò un giorno a un ospite imbarazzato.)

Appartenenti per età a due distinte generazioni, Einstein e Gödel condividevano un anniversario con un grado di separazione. L'anno della nascita di Einstein, il 1879, era anche quello della madre di Gödel, Marianne. (Era anche l'anno di pubblicazione del capolavoro di Gottlob Frege, Begriffsschrift, e quindi l'anno di nascita della moderna logica matematica, un campo che Gödel avrebbe innalzato a livelli senza precedenti.) Erano nati in religioni diverse: Einstein era ebreo, mentre Gödel era stato battezzato come luterano. Scettico in gioventù verso la fede dei suoi padri, con l'ascesa del nazismo Einstein riscoprì quelli che chiamò i suoi compagni tribali e divenne un sionista appassionato, anche se spinoso. Non abbracciò però il Dio trascendente del suo popolo, presentandosi piuttosto come un «miscredente profondamente religioso». Il suo eroe non era Mosè, bensì il panteista Spinoza, ed egli manifestò questa predilezione in tutta una carriera scientifica in cui cose apparentemente trascendenti e intangibili come lo spazio, il tempo e la luce si rivelarono del tutto immanenti e soggette alla causalità fisica.

Gödel non era un panteista, ma descrisse se stesso piuttosto come un teista, «seguace di Leibniz» disse «non di Spinoza». Il Dio di Spinoza, dichiarò, «è meno di una persona. Il mio è più che una persona [...]. Può svolgere il ruolo di una persona». Sottolineò il fatto spesso trascurato che i fondatori della scienza moderna non erano atei. Più radicale di Einstein, Gödel apparteneva a un ceppo raro di pensatori: quello dei veri credenti. Mentre «il novanta per cento dei filosofi attuali» diceva «pensa che la filosofia abbia il compito di espellere la religione dalla testa delle persone», egli voleva sfruttare il meccanismo della logica moderna per ricostruire il famoso «argomento ontologico» di Leibniz a favore dell'esistenza di Dio. Pur non essendo ebreo, fu spesso scambiato per una persona appartenente a tale popolo. In una Vienna pullulante di nazisti, una volta sua moglie usò l'ombrello per respingere un gruppo di scalmanati che lo stavano sballottando avendolo preso per un ebreo.

Questo errore non avveniva solo nel mondo governato dai nazisti. All'Institute for Advanced Study a Princeton, Gödel fece parte per qualche tempo di un gruppo di discussione elitario — molto elitario — formato da lui stesso, da Einstein, dal fisico tedesco Wolfgang Pauli e da Bertrand Russell, uno dei fondatori della moderna filosofia «analitica». Russell reagì male alle discussioni, trovandole troppo filosofiche nel «senso antiquato». (I punti deboli di un intero secolo sono cristallizzati in questo fatto.) In una sgradevole uscita Russell espresse la sua frustrazione: «Per quanto fossero israeliti in esilio e, nelle loro intenzioni, dei cosmopoliti, mi resi conto che avevano una propensione, tipicamente tedesca, per la metafisica».

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Chi è Kurt Gödel?

Anche se frainteso e giudicato al di sotto del suo reale valore, il dono di Gödel per il settantesimo compleanno di Einstein attrasse su di sé un'attenzione immediata, se non da parte dei filosofi almeno da parte dei custodi della relatività. Fra le due grandi teorie della fisica moderna, la relatività generale è chiaramente la cugina filosoficamente più interessante, conducendo naturalmente alle congetture sull'origine, la forma e la sorte dell'universo — una preoccupazione altamente teorica, per non dire metafisica, che occupa i filosofi da tempo immemorabile —, mentre la meccanica quantistica ha implicazioni più immediate per la tecnologia e la pratica, dai laser e microchip all'intero armamentario dell'hardware della teoria dell'informazione. Entro i confini della relatività generale stessa, inoltre, la questione del tempo rappresenta una nicchia filosofica particolarmente elusiva. Il trattamento del tempo nella relatività ristretta è facile (se si sa che cosa cercare); ben diversa è la situazione nella relatività generale. Poiché le scoperte di Gödel riguardavano un cantuccio ancora più isolato di una nicchia già remota — ossia speculazioni su cosmologie geometricamente estreme con bizzarre conseguenze cronologiche, per non menzionare le riflessioni filosofiche ancora più arcane di Gödel fondate su questi modelli mostruosi — ci si sarebbe potuti attendere che le deboli increspature sollevate da questi risultati estremamente rarefatti si sarebbero ben presto appiattite fino a svanire.

In questo immobile stagno, un giorno di primavera di vari decenni dopo, mise piede il fisico John Wheeler, collega di Gödel a Princeton. Era accompagnato dagli amici e colleghi Kip Thorne e Charles Misner, con i quali stava completando quello che sarebbe diventato uno dei massimi testi sulla relatività generale, intitolato semplicemente Gravitation. Il sole era invitante e i tre attraversarono il campus fino alle collinette erbose dell'Istituto, per incontrarvi l'amico di Wheeler Kurt Gödel. Nonostante il gradevole tepore dell'aria, il vecchio logico, nel suo ufficio, indossava il cappotto e aveva il riscaldamento elettrico acceso. Wheeler e i suoi amici gli fecero una domanda: poteva illuminarli sulla relazione fra il suo teorema di incompletezza e il principio di indeterminazione di Heisenberg? No. Per Gödel era di cattivo gusto anche solo porre una domanda del genere. Il principio di Heisenberg era il fiore più bello dell'interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, che a sua volta era la figlia prediletta del positivismo. Esso rappresentava il punto più alto toccato dall'indeterminismo in fisica — in effetti un rifiuto del principio di ragion sufficiente di Leibniz così amato da Gödel — e l'acme dell'irrealismo nelle scienze fisiche. In quanto tale era la spina più pungente sulla rosa sia per Einstein sia per Gödel. Come si espresse Gödel: «In fisica [...] si nega la possibilità di conoscere situazioni oggettivabili, e si afferma che dobbiamo accontentarci di predire i risultati di osservazioni. Questo è in effetti il fine di tutta la scienza teorica nel senso usuale». Il teorema di incompletezza, di contro, era una confutazione definitiva del positivismo. I suoi metodi e le sue conclusioni formali, anche se positivisticamente accettabili, erano tutt'uno con la matematica classica. Inoltre la dimostrazione stessa, secondo Gödel, costituiva una prova forte a favore del realismo in matematica. Avere suggerito l'esistenza di una connessione o correlazione fra Heisenberg e Gödel era agli occhi di quest'ultimo un grave errore.

Nonostante l'opposizione di Gödel, però, Wheeler e i suoi amici non erano molto lontani dal vero. Non si può negare che fra l'incompletezza di Gödel e l'indeterminazione di Heisenberg ci siano parallelismi sorprendenti (anche se poteva essere più saggio non farlo notare a Gödel). Da un lato, entrambi i pensatori faticavano a usare metodi che fossero epistemologicamente accettabili ai positivisti più rigorosi: sistemi formali nel caso del teorema di Gödel, osservazioni empiriche dirette nel caso del principio di Heisenberg. Inoltre, ognuno dei due teorici traeva conclusioni ontologiche da premesse epistemologiche, conclusioni che dovevano stabilire i limiti intrinseci dei metodi epistemologicamente accettabili da essi usati. Questa forma di argomentazione è il marchio stesso del positivismo. Essa caratterizza anche la teoria della relatività ristretta di Einstein, cosa che Heisenberg tentò (senza successo) di fare accettare a Einstein. Il fatto che le conclusioni tratte da Gödel puntassero nella direzione del realismo matematico, mentre Heisenberg argomentava a favore dell'irrealismo fisico, non modifica il fatto che entrambi i pensatori tracciarono un sentiero ontologico nel fitto dell'epistemologia, e che ognuno di loro inaugurò in tal modo una rivoluzione intellettuale le cui piene implicazioni non sono state a tutt'oggi compiutamente riconosciute. Non per nulla il collega di Gödel all'Istituto Freeman Dyson osservò che: «Le due grandi rivoluzioni concettuali del XX secolo [sono] il rovesciamento della fisica classica a opera di Heisenberg e quello delle fondazioni della matematica a opera di Gödel».

Ora anche Gödel aveva una domanda da fare. Nel loro nuovo testo, ci sarebbe stata una discussione degli universi rotanti da lui scoperti nella relatività? No. Gödel rimase deluso. Stava ancora cercando di scoprire se il mondo reale fosse o no un universo di Gödel rotante (in espansione). Le prove a sostegno della rotazione universale, qualora questa esistesse, si troverebbero negli assi di rotazione delle galassie circostanti. Wheeler fu colto alla sprovvista dalle preoccupazioni astronomiche pratiche del grande logico. Gödel, notò, «aveva preso il grande atlante fotografico di Hubble delle galassie, aveva applicato un righello all'immagine di ogni galassia nel tentativo di stimarne l'asse di rotazione, e aveva compilato statistiche degli orientamenti». I risultati, però, furono negativi.

Wheeler sapeva già da molti anni che Gödel aveva fatto scoperte su universi rotanti nella relatività generale. Era stato presente nel 1949 quando Gödel aveva tenuto una conferenza sull'argomento alla celebrazione del settantesimo compleanno di Einstein. Anche lui, però, nonostante le sue grandissime credenziali, sembra avere frainteso quel che Gödel stava dicendo. «In un universo con una rotazione complessiva» scrisse Wheeler, tentando di compendiare la conferenza di Gödel, «[...] potrebbero esistere linee d'universo (storie spazio-temporali) chiuse. In un tale universo si potrebbe, in linea di principio, vivere ripetutamente la propria vita.» Purtroppo Wheeler aveva scambiato un cerchio temporale con un ciclo, lasciandosi sfuggire la forza della conclusione di Gödel che la possibilità di curve di tipo tempo chiuse, dirette verso il futuro, ossia la possibilità di viaggi nel tempo, dimostra che lo spazio-tempo è spazio, non tempo nel senso intuitivo. Mentre un cerchio è una figura nello spazio, un ciclo è un viaggio intrapreso lungo un percorso circolare, un percorso che può essere compiuto «ripetutamente», per riprendere l'espressione di Wheeler. Esattamente quante volte, si vorrebbe domandare a Wheeler, quel viaggio dovrebbe essere ripetuto? Č chiaro che non si può rispondere a questa domanda, dal momento che il viaggio del viaggiatore del tempo non è nel tempo, lungo la curva di tipo tempo chiusa, ma è la curva stessa. Come non si può domandare quante volte i punti che costituiscono la circonferenza di un cerchio hanno percorso la circonferenza stessa, non si può ragionevolmente domandare quante volte il viaggiatore del tempo nell'universo di Gödel abbia compiuto il suo percorso.

Wheeler avrebbe dovuto ragionare meglio. Com'egli stesso sottolineò, una «conseguenza sconvolgente della teoria della relatività ristretta del 1905 di Einstein è che il tempo è relativo». E non solo relativo, ma anche «statico», poiché «l'altra cosa che la relatività ristretta fece per il tempo fu di unirlo con lo spazio nell'entità quadridimensionale spazio-tempo [... e] una conseguenza di questa nuova visione dello spazio-tempo è che il moto nel tempo, o il moto del tempo [...], è sostituito dal tempo statico». Come però mostrò Gödel, un tempo che sia relativo o statico non è tempo. Wheeler sembra riluttante a chiamare vanga una vanga. E tuttavia intitola il capitolo «The End of Time» (La fine del tempo), cosicché dopo tutto si potrebbe forse dire che riconosce che questo tempo non è più tempo. Ma non è affatto così. Ciò che egli intende con l'espressione «fine del tempo» non è che esso scompaia nella teoria di Einstein in conseguenza della sua relatività e staticità, ma piuttosto che, secondo la sua concezione, quando dopo il «big bang» verrà il «big crunch», il tempo finirà. «Non c'è stato un "prima" del big bang» scrive «e non ci sarà un "dopo" il big crunch.» Inoltre, «ogni buco nero mette fine al tempo e allo spazio [...] con la stessa certezza con cui il big crunch metterà fine all'universo nel suo insieme». A quanto pare Wheeler non ha visto quel che ha visto Gödel.

Un anno dopo avere presentato Misner e Thorne a Gödel, Wheeler si trovava nell'ufficio di un collega, il cosmologo James Peebles, quando entrò un allievo di quest'ultimo, Dan Hawley, annunciando di avere appena completato la sua tesi sul problema della rotazione preferita fra le galassie. Gödel, commentò Wheeler, ne sarebbe compiaciuto. «Chi è Gödel?» domandò Hawley. «Il massimo logico dal tempo di Aristotele» rispose Wheeler. E molto altro. Wheeler telefonò subito a Gödel per informare il logico delle nuove ricerche che si stavano facendo a Princeton sulla rotazione delle galassie. Le domande di Gödel divennero però ben presto troppo impegnative per il fisico, cosicché Wheeler fece venire al telefono lo studente di cosmologia. Le domande di Gödel esaurirono rapidamente anche Hawley, che passò il telefono a Peebles. Quando la lunga conversazione finalmente si concluse, Peebles, sopraffatto, poté dire solo: «Perbacco, sarebbe stato meglio parlare con lui prima di cominciare questa ricerca».

Anche se il mondo in generale non aveva ancora preso nota dei risultati ottenuti da Gödel nel campo di Einstein, fra i cosmologi c'erano avvisaglie che si stava preparando qualcosa di nuovo. Che cosa fosse, però, questo qualcosa di nuovo sarebbe rimasto nascosto per anni. Il fatto che un famoso cosmologo si fosse dato la pena, ancora negli anni novanta, di fare qualcosa per proteggere la cosmologia dall'universo di Gödel, suggerisce che il mondo non sia ancora pronto per i risultati dello stesso Gödel. Ma al contempo la convinzione di un teorico come Stephen Hawking che fosse necessaria una protezione, combinata col fatto che la sua congettura per la protezione della cronologia non abbia attratto finora un numero significativo di aderenti, suggerisce anche che il mondo potrebbe essere quasi pronto. Lo Zeitgeist, come notò Gödel, ha il proprio tempo e la propria agenda.

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