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| << | < | > | >> |Indice
3 Introduzione
9 1. Concetto e storia della parodia
9 1.1 Impostazione del problema
10 1.2 Prime definizioni
12 1.3 Concetto moderno di parodia
17 1.4 Parodia e storia letteraria europea
25 1.5 Parodia, comicità e riso
33 1.6 Dialettica della parodia
36 1.7 Ironia, satira, parodia
40 2. Una teoria dialogica della parodia
40 2.1 Bachtin e la parodia
41 2.2 Dialogismo della parola
43 2.3 Il paradosso testuale
49 2.4 Varietà e dialogismo della parodia
54 2.5 Parodia e storia dei generi
59 2.6 Pragmatica della comunicazione parodica
64 2.7 Contesto folklorico
68 3. Carnevale, antropologia e semiotica
della cultura
68 3.1 Cultura del Carnevale
71 3.2 Struttura e anti-struttnra
76 3.3 Bachtin e Lotran
3.3.1 Sistema culturale del medioevo
3.3.2 Modello semiotico di cultura
3.3.3 Cultura, non cultura e punto di vista
3.3.4 Il Carnevale e il dinamismo dei
sistemi semiotici
3.3.5 Mediazioni interculturali
93 4. Parodia e cultura medievale
93 4.1 Generalità
95 4.2 Codici in contatto
102 4.3 Parodie mediolatine
709 4.4 Questioni aperte
112 4.5 Teoria e prassi della comicità
119 4.6 Aspetti della parodia romanza
129 5. Il «trickster» e la parodia
129 5.1 «Trubert»
131 5.2 Fra letteratura e Folklore
134 5.3 Modelli letterari
144 5.4 Parodia religiosa e satira del villano
149 5.5 Un archetipo culturale, il «trickster»
159 5.6 Modelli sociali
163 5.7 «Trubert» carnevalesco
165 6. Parodia e scatologia
165 6.1 L’osceno «Audigier»
168 6.2 Il codice epico-cavalleresco
175 6.3 Modelli antropologici
187 Appendice: Discussioni
189 A. Modelli di cultura popolare
200 B. Il denaro, l’ideologia trifunzionale e
la letteratura carnevalizzata
211 Bibliografia
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| << | < | > | >> |Pagina 38La differenza fra satira e parodia corre invece in un certo senso parallela a quella fra realtà e rappresentazione; la satira infatti si rivolge in prima istanza contro comportamenti, tipi sociali, persone reali, idee, luoghi comuni e pregiudizi, che fungono da referente dei suoi attacchi e sono chiaramente identificati dal pubblico come appartenenti al mondo extratestuale. La satira è prima di tutto sociale, e mossa da interessi determinati e unilaterali, che la portano a contrapporsi antagonisticamente al suo bersaglio, nella fiducia di poterlo sconfiggere con l’arma della derisione, della caricatura, della esagerazione grottesca: la partiticità la rende un ottimo strumento politico, ma l’impostazione monologica, la scarsa o nulla capacità di restituire un’immagine dialettica del conflitto di interpretazioni, di punti di vista, di modelli del mondo in concorrenza, ne indica lo scarto rispetto alla parodia. Per riprendere una terminologia già discussa, la satira può giocare solo il ruolo dell’antitesi, non quello della sintesi (ambivalente) come invece fa la parodia.Non è sufficiente riconoscere in entrambe la presenza di una distanza critica e di un giudizio di valore rispetto all’oggetto per assimilarle. La parodia non mira direttamente alla realtà, ma alla sua rappresentazione, quale essa rinviene già codificata e semioticamente modellata, in enunciati di cui può fare un uso metalinguistico e critico. Non è soltanto in gioco dunque una differenza di referenti (Res vs. Signa), ma lo specifico modo di funzionamento, il meccanismo operativo dei due procedimenti, che si ripercuote anche nella rispettiva ricezione. La satira è sempre, in vario grado, lesiva del prestigio e del rango del satireggiato e chiede al destinatario di schierarsi pro o contro; la parodia, interiorizzando e rifunzionalizzando testi e discorsi preesistenti, ne riconosce l’autorevolezza, nel momento stesso in cui li relativizza e distoglie da un’adesione acritica al loro valore. | << | < | > | >> |Pagina 1024.3 Parodie mediolatineProprio da un attenta considerazione dei testi prende le mosse una nuova indagine critica sulla parodia mediolatina, che si propone come «a basic reference work» sull’argomento. Che dal 500 al 1500 sopravvivano a un dipresso solo 70 testi, nel senso preciso di parodie indipendenti della liturgia, della Bibbia, dell’agiografia, potrebbe indicare una scarsa consistenza del genere, ma se si considera l’alto numero di varianti redazionali conservate, testimonianza del continuo lavoro di riscrittura e rielaborazione cui furono sottoposte nel corso della loro trasmissione (che per questo chiamerei attiva), il numero dei manoscritti rimasti delle parodie testualmente più stabili, il basso indice di sopravvivenza di un genere non ufficiale come questo, nonché l’uso del latino, si può tranquillamente affermare che la popolarità della parodia fu molto elevata. La Cena Cypriani, le cui origini restano oscure (IV secolo?), tranne per il fatto che non può essere opera di S. Cipriano, vescovo di Cartagine nel III secolo, è il testo più importante anteriormente al periodo di espansione della letteratura parodica - che anche la Bayless come Lehmann fa cominciare nel XII secolo - ed esemplifica il gioco erudito con i personaggi della Bibbia, convocati a un singolare banchetto nuziale, ad un tempo contraffazione delle nozze di Cana, immagine del Regno di Dio (sposo della Chiesa) e del Paradiso come convivio. Bastino pochi cenni per dare un’idea della voluta corrispondenza fra i personaggi e i loro predicati: Eva siede sulla foglia di fico, Noè sull’arca, Gesù beve vino passito (in ricordo della passione), il gallo disturba il sonno di Pietro, Pilato si lava le mani, Erodiade danza, Giuda distribuisce baci, Davide suona la Cetra, Mosè dona due tavole, ecc. | << | < | > | >> |Pagina 113La vera svolta, se così si può dire, avvenne però con la ricezione della filosofia e della retorica antiche, alle soglie del XII secolo, quando furono tradotti e divulgati in Occidente nuovi testi, che proponevano una diversa visione della corporeità e del riso: sono fatti noti e in questa sede mi preme soltanto sottolineare le ripercussioni sull’estetica cristiana.
Ebbene, nel
Polyraticus
(1159), Giovanni di Salisbury osa trattare forse per la
prima volta da un punto di vista teoretico e cristiano
l’eredità antica e la tradizione dei convivia, valutando
positivamente la funzione dell’arguzia, nell’atmosfera gaia
del banchetto e in una cerchia di uomini dotti e virtuosi.
Finalmente, con S. Tommaso d’Aquino il riconoscimento della
positività della sfera comica approda in una summa teologica
e diviene un elemento dell’etica cristiana: il teologo
riconosce che, oltre al riposo fisico, è necessario all’uomo
anche una distensione spirituale, che i ludi possono
procurare, purché regolati dalla ragione; perciò rifiutare
gli scherzi o disturbare l’allegria altrui è sbagliato,
e anche i giullari sono utili, se fanno divertire
senza abbandonarsi all’immoralità.
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