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| << | < | > | >> |Indice
SEMIOTICA
9 A cosa serve un manuale
11 Funghi in città
15 1. Semiotica del testo, soglie e frontiere
15 1.1. Il testo come segno linguistico
17 1.1.1. Significante e significato
17 1.1.2. Materia, espressione, contenuto, forma e sostanza
20 1.1.3. Solidarietà tra i piani del linguaggio e prova di
commutazione
22 1.1.4. Lessema e fonema
23 1.1.5. La doppia articolazione (o biplanarità)
24 1.1.6. Sistemi monoplanari, conformi o simbolici
25 1.1.7. Semisimbolico
26 1.2. Dal lessema al testo: la svolta testuale
27 1.2.1. Il nome, il titolo, il tema
30 1.2.2. Una prima definizione di testo
33 1.2.3. Orientamento interpretativo e
orientamento generativo
34 1.2.4. Le tre «intenzioni» del testo
35 1.2.5. Autore e Lettore Modello:
conflitto e cooperazione nell'interpretazione
37 1.2.6. Prospettive teoriche diverse comportano percorsi
metodologici diversi
40 Test ed esercitazioni
43 2. I modelli formali
43 2.1. Immanenza e manifestazione
44 2.2. Testo e Percorso Generativo del senso
46 2.3. Analisi e modelli teorici:
operazione e procedimento
47 2.4. Langue e parole
48 2.5. Il valore linguistico in Saussure
50 2.6. Il carattere lineare del significante
51 2.7. Hjelmslev: il testo come processo
52 2.8. Sintagma e paradigma, sistema e processo
54 2.9. Quadrato semiotico
57 2.10. Articolazione e segmentazione
59 Test ed esercitazioni
60 3. Sintassi narrativa
60 3.1. Propp, le fiabe e lo studio delle forme
60 3.1.1. Gli elementi costitutivi della fiaba: le funzioni
63 3.1.2. Le tre prove e il «senso della vita»
65 3.1.3. Personaggi e sfere d'azione
66 3.2. Dalla narratologia alla narratività
66 3.2.1. Fabula e intreccio
68 3.2.2. Narratività
70 3.2.3. Lo Schema Narrativo canonico
71 3.3. Gli attanti
71 3.3.1. Casi grammaticali e attanti
73 3.3.2. Contratto e Conflitto
76 3.3.3. Propositi, desideri e intenzionalità:
l'oggetto di valore
77 3.4. Modalità
79 3.4.1. Manipolazione
81 3.4.2. Competenza e performanza
83 3.4 Sanzione e veridizione
86 3.5. La narrazione come trasformazione di stati
86 3.5.1. Enunciati elementari
91 3.5.2. Programmi Narrativi (PN)
93 3.5.3. La circolazione dell'oggetto di valore
97 Test ed esercitazioni
99 4. Semantica semio-narrativa
99 4.1. «Ammobiliare un mondo»
100 4.2. Lessico e narratività
100 4.2.1. Dal formalismo allo strutturalismo
102 4.2.2. Il lessema come luogo di irradiazione semantica:
dall'Innominato al logo
106 4.3. Prime articolazioni del senso
106 4.3.1. Semi, classemi, lessemi e sememi
108 4.3.2. Semi esterocettivi, interocettivi, propriocettivi
108 4.3.3. Categoria timica: euforia e disforia
110 4.4. I valori
112 4.4.1. Valore differenziale:
dal valore linguistico al valore semiotico
113 4.4.2. Valore fenomenologico
116 4.4.3. Tassonomia, Assiologia, Ideologia
120 Test ed esercitazioni
121 5. Semantica discorsiva
121 5.1. L'installazione del soggetto sensibile
122 5.2. Il concetto d'isotopia e la coerenza narrativa
122 5.2.1. Lettura e coerenza del testo
123 5.2.2. Isotopie del piano dell'espressione
124 5.2.3. Relazioni isotopiche
125 5.3. Tematico e figurativo
127 5.3.1. Le piste del senso.
Analisi della strutturazione isotopica del testo
129 5.4. Dagli attanti agli attori
132 5.4.1. Il ruolo tematico dell'attore
134 5.4.2. Il ruolo patemico dell'attore
139 5.5. Motivi e configurazioni discorsive
140 5.6. Procedure di iconizzazione ed effetti di realtà
143 Test ed esercitazioni
144 6. Sintassi discorsiva
144 6.1. Enunciazione
146 6.1.1. Storia e discorso
148 6.1.2. Mimesis e diégesis
149 6.1.3. Enunciazione linguistica e enunciazione pragmatica
151 6.1.4. Débrayage, embrayage
152 6.2. Débrayage attanziale
153 6.2.1. L'enunciazione nei testi visivi
156 6.2.2. Enunciazione, ergonomia e interfaccia:
la relazione con gli oggetti
157 6.2.3. Il ruolo del narratore: le voci nel testo
158 6.2.4. Il ruolo dell'osservatore: lo sguardo nel testo
159 6.2.5. Focalizzazione e punto di vista
160 6.3. Débrayage temporale
161 6.3.1. Aspettualizzazione
162 6.3.2. Ritmo
163 6.3.3. Tensione
164 6.4. Débrayage spaziale
164 6.4.1. Spazio narrato e spazio narrante
165 6.4.2. I luoghi, i dove, le intenzioni,
le sensazioni e i desideri
169 6.4.3. Spazio e illusione referenziale
171 6.4.4. Lo spazio come metafora cognitiva
173 6.4.5. Localizzazione dei programmi narrativi
175 6.4.6. Spazio e assiologia
179 6.5. Débrayage percettivo, cognitivo e passionale
181 6.6. Effetto passione
189 Test ed esercitazioni
191 Appendici di Alvise Mattozzi
193 Appendice 1. L'analisi dei testi visivi,
oggettuali e architettonici
197 Appendice 2. Analisi di un testo oggettuale
207 Note al testo
217 Bibliografia
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| << | < | > | >> |Pagina 9A cosa serve un manualeUn manuale, per assolvere onestamente al compito di introdurre il lettore a una disciplina a lui ignota, a mio avviso, dovrebbe presentare alcune caratteristiche: a) Innanzitutto dovrebbe delineare, in modo chiaro e semplice, l'architettura della teoria che fa da sfondo e supporto alle nozioni da esporre. Semplicità non significa semplificazione, ma l'accompagnamento per mano del lettore, passo dopo passo, all'interno di un edificio teorico sconosciuto, indicandogli anche i percorsi, le deviazioni o le biforcazioni che, per mancanza di tempo, nella visita in corso, si è costretti a saltare. E quanto ci siamo proposti di fare, iniziando dalle fondazioni storiche di questo edificio per passare a delinearne l'architettura complessiva. Per quanto riguarda i percorsi che per mancanza di tempo non potevamo affrontare, spesso li abbiamo segnalati in nota. b) Riguardo all'edificio teorico da visitare, si è posto subito un problema: quale teoria? La semiotica, infatti, è un campo disciplinare attraversato da più orientamenti. Quali sono i criteri che ci hanno indotto a scegliere un edificio teorico piuttosto che un altro? La risposta è indicata dal sottotitolo del libro: l'analisi del testo. Pur riconoscendo, dunque, il prestigio filosofico e l'interesse scientifico di altre teorie, in particolare quella dell'interpretazione di Umberto Eco, si è scelta la semiotica generativa in quanto più adeguata all'analisi empirica dei testi, sia letterari che visivi e oggettuali. c) L'edificio teorico, che un manuale di semiotica dovrebbe innanzitutto configurare, è di vitale utilità perché i termini del suo lessico (per esempio la nozione stessa di segno) non sono entità autonome che possono essere estrapolate impunemente da una teoria e usate, cosa che troppo spesso accade, come semplici elementi di arredo o di maquillage all'interno di una descrizione scientifica. Le nozioni semiotiche sono tutte legate fra loro da una fitta rete di relazioni reciproche. In altre parole, appartengono a un regime di interdefinizione: se c'è un oggetto significa che c'è un soggetto, e viceversa, se c'è un soggetto questo è tale in rapporto a un oggetto, e così via. d) Oltre l'edificio teorico, in quanto sistema topologico di relazioni fra i concetti, ciascuno di loro ha alle spalle una storia, un'evoluzione, una genealogia la cui conoscenza non è un noioso dato nozionistico, ma rende conto del «perché» e del «come» oggi usiamo in un certo modo quel concetto. Si è cercato dunque di rendere conto anche dei fondamenti storici della semiotica generativa che affonda soprattutto le sue radici nello strutturalismo (linguistico e antropologico), nella narratologia e nella fenomenologia. e) Oltre all'inserimento contestuale all'interno di una data teoria e alla sua genealogia, ogni nozione, in un manuale, deve essere prima definita e poi osservata «in azione». In altre parole, a partire dalla sua definizione, si deve capire a che cosa una nozione serva, come funzioni nell'analisi empirica e in che modo operi come dispositivo euristico nella comprensione dei fenomeni segnici. A questo scopo, si è cercato di dare più esempi possibili. Si è scelto un breve racconto di Italo Calvino, Funghi in città, che ci accompagna, passo dopo passo, nella visita al complesso architettonico della teoria greimasiana. Alla fine di ogni capitolo, ciascuno dei quali rispetta la ripartizione in livelli di questo edificio, abbiamo proposto un test di domande che segue analiticamente l'esposizione dei concetti trattati e una proposta di esercitazione sul testo in base agli strumenti di volta in volta acquisiti. | << | < | > | >> |Pagina 151. Semiotica del testo, soglie e frontiere
1.1. IL TESTO COME SEGNO LINGUISTICO
Riuscire a trasformare le esperienze della propria vita in racconto è una grande gioia, forse l'unica concessa a un essere umano, sosteneva Karen Blixen. Significa trasformare un insieme confuso di azioni ed eventi in una totalità organizzata, suscettibile di essere colta come successione ordinata e, dunque, compresa. Attraverso il racconto si impara a dare un senso alle cose che accadono nel mondo reale. E così che la narrativa — dice Umberto Eco (1994, p. 107) — svolge una vera e propria «funzione terapeutica»; ed è questa la ragione per cui gli uomini, dagli inizi dell'umanità, raccontano storie. Che è poi la funzione dei miti: dar forma al disordine dell'esperienza. La finzione ha la stessa funzione del gioco. [...] Giocando, il bambino apprende a vivere, perché simula situazioni in cui potrebbe trovarsi da adulto. E noi adulti, attraverso la finzione narrativa addestriamo la nostra capacità di dare ordine sia all'esperienza del presente sia a quella del passato. (Ivi, p. 163). L'uomo comunica e dialoga anche con se stesso attraverso lunghe e complesse concatenazioni segniche. Ovvero, attraverso testi. Dal momento che l'uomo parla e scrive per testi, per la semiotica non è stato più il singolo segno, ma solo il testo, nella sua totalità, ad avere un senso compiuto. A partire dagli anni settanta, non si parla più di segno: non è più la singola parola, né la frase isolata da un contesto discorsivo, ma è il testo a costituirsi come il segno linguistico primario. A rileggere la storia della nascita del pensiero semiotico di questo secolo, diciamo dallo strutturalismo ginevrino agli anni Sessanta, sembra che all'inizio la semiotica si profili come pensiero del segno; poi via via il concetto viene posto in crisi, dissolto, e l'interesse si sposta sulla generazione dei testi, sulla loro interpretazione. (Eco 1984, p. xiv). La «svolta testuale» segna l'inizio, all'interno della semiotica, di quella che oggi si chiama semiotica del testo. A partire dagli anni settanta, il testo si costituisce come segno linguistico primario. Analogamente al segno, il testo si compone di una parte «significata» e di una parte «significante». È un insieme segnico prodotto dalla correlazione tra un significante, costituito dall'espressione linguistica adottata, e un significato, costituito invece dalla storia narrata. Un romanzo, ad esempio, è una storia che può essere scritta in italiano, e poi tradotta in francese, inglese e così via. Cambia l'idioma, ma la storia resta la stessa. Questa stessa storia, come il romanzo Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, oltre che essere tradotta in un'altra lingua può essere trasposta anche in un'altra forma di testualità, come l'omonimo film di Luchino Visconti. Cambia il significante, ma non il significato. Analogamente un quadro è costituito da una superficie significante composta da linee, figure, colori e dalla distribuzione di queste linee, figure e colori su alcune zone della tela in relazione o in opposizione ad altre. Tutto ciò che articola questo significante rimanda a un tema, a un motivo, a un'illusione ottica, a un soggetto astratto, a un effetto sinestesico o emotivo nello spettatore, ovvero al significato del dipinto. Il compito dell'analisi semiotica consiste, dunque, nello spiegare perché una certa articolazione del significante rinvii a un determinato significato. La descrizione non si arresta alla superficie del quadro, ma tenta di darne un'interpretazione: si chiede cosa significhi una certa organizzazione dello spazio, la distribuzione di certe figure, la loro relazione, l'impiego di certi colori in contrasto con altri.
Ma vediamo più da vicino come la nozione di segno implichi la
relazione tra significante e significato e come questa nozione si sia
trasformata in quella di funzione segnica assai più adeguata alla comprensione
del testo.
1.1.1. Significante e significato Il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure (1916) è stato il primo, all'inizio del secolo scorso, a porre la problematica del segno linguistico. Per Saussure il segno è prodotto dall'unione di un significante e di un significato, relazione inscindibile come quella che lega due lati di uno stesso foglio di carta. All'inizio, Saussure aveva identificato il significato con un «concetto» e il significante con una «immagine acustica». Quest'ultima era intesa non come un suono materiale, ovvero come qualcosa di puramente fisico, ma come la traccia psichica che questo suono lasciava dentro di noi come la rappresentazione che ci viene dalla testimonianza dei nostri sensi: questa rappresentazione era di tipo sensoriale, mentre il concetto era più astratto. Successivamente, Saussure propose di chiamare significato il concetto veicolato da un'immagine acustica, e quest'ultima, significante.
Da Saussure in poi, il significante è sempre stato considerato come
la parte che permette al segno di manifestarsi percettivamente. In
questo senso, il significante, in rapporto al significato, è considerato il
piano esterno del linguaggio: è dotato di qualità sensibili che
lo rendono manifesto ai nostri sensi. Il significante, infatti, è la
dimensione percepibile del segno grazie al quale possiamo leggerlo
o vederlo o udirlo o anche toccarlo. In base a questo aspetto percettivo del
significante, parleremo di segni visivi, verbali, ma anche
tattili e perfino olfattivi.
1.1.2. Materia, espressione, contenuto, forma e sostanza Partendo dalla nozione saussuriana di segno, e, in particolare, dal rapporto che lega significante e significato come recto/verso di uno stesso foglio, il linguista danese Louis Hjelmslev (1943) ridefinisce questa corrispondenza in termini di piani del linguaggio. Chiama piano dell' espressione il significante e piano del contenuto il significato. Il piano dell'espressione sta in rapporto di presupposizione reciproca con quello del contenuto. La differenza tra i due linguisti non si limita a denominare in modo diverso gli stessi concetti. Consiste nel modo di concepire la forma semiotica. | << | < | > | >> |Pagina 683.2.2. Narratività«Quasi tutti i testi scritti – diceva Italo Calvino – raccontano una storia, anche un saggio filosofico, anche un bilancio di società anonima, anche una ricetta di cucina». Roland Barthes spinge oltre questa ipotesi e, nell'introduzione a L'analisi del racconto (1966, tr. it. p. 7), dichiara: Innumerevoli sono i racconti del mondo. In primo luogo una varietà prodigiosa di generi distribuiti a loro volta secondo differenti sostanze come se per l'uomo ogni materia fosse adatta a ricevere i suoi racconti: al racconto può servire da supporto il linguaggio articolato, orale o scritto, le immagini fisse o immobili, il gesto e anche la commistione ordinata di tutte queste sostanze insieme; il racconto è presente nel mito, nelle leggende, nelle favole, nei racconti, nelle novelle, nell'epopea, nella storia, nella tragedia, nel dramma, nella commedia, nella pantomima, nei quadri, nelle vetrate, nel cinema, nei fumetti, nei fatti di cronaca, nella conversazione. Proseguendo su questa linea, Greimas ha tentato di estendere al massimo il campo di applicazioni dell'analisi narrativa. A partire da Propp, ha tentato di elaborare un modello in grado di rendere conto non solo dei testi verbali, ma anche di altri testi, indipendentemente dalle sostanze espressive in cui questi sono realizzati: Lo schema proppiano può essere considerato, con alcuni necessari aggiustamenti, come modello ipotetico, ma universale, dell'organizzazione dei discorsi narrativi e figurativi. (Greimas 1966, tr. it. p.5). L'obbiettivo di Greimas consiste dunque nel trovare strutture della narratività trasversali ai diversi generi testuali. In questa prospettiva, ha elaborato il concetto di «narratività» e lo ha collocato a livello semio-narrativo, ovvero, a un livello sufficientemente astratto e profondo in modo da garantirne l'universalità. Indifferente, dunque, alle molteplici realizzazioni espressive di superficie (come film, fumetto, romanzo ecc.), Greimas ammette un'organizzazione narrativa soggiacente alla manifestazione, e la considera una sorta di competenza che dota qualsiasi locutore della capacità sia di riconoscere che di produrre testi. È, infatti, a livello immanente della generazione del senso che Greimas ipotizza il concetto di narratività, come una sorta di troncone strutturale comune ad ogni testo, qualunque ne sia la natura. La narratività di qualsiasi evento segnico sarebbe organizzata anteriormente alla sua manifestazione, come una falda strutturale autonoma.
Ma il concetto di narratività è qualcosa di più di un troncone comune
soggiacente alla manifestazione di qualsiasi tipo di testo. In realtà
è un diverso modo di intendere la produzione del senso. Si tratta
di un vero e proprio rovesciamento di paradigma nel pensiero generativista. Come
riconosce lo stesso Greimas, l'economia generale
della teoria di colpo viene sconvolta da cima a fondo: se prima il
progetto linguistico consisteva nell'ipotizzare un meccanismo di
carattere combinatorio che, a partire da un numero limitato di elementi
semplici, fosse in grado di rendere conto della produzione di
un numero illimitato di enunciati (che, a loro volta, attraverso trasformazioni
e combinazioni, istituivano complesse sequenze discorsive), ora, dice Greimas,
si è costretti a fermare l'attenzione sulle istanze
a quo
della generazione del senso, là dove questo, nel suo momento aurorale, si
presenta, fin dalla sua prima istanza generativa, come senso già articolato.
Mentre la prima ipotesi della produzione del senso si può esemplificare
grossolanamente con il gioco che esegue un ragazzino con i tasselli sparsi del
suo lego nel momento in cui si diverte a combinarli in vario modo per produrre
configurazioni diverse, l'ipotesi generativa, invece, si può esemplificare
con un'idea già potenzialmente configurata di ciò che si vuole creare, così come
uno scrittore o un architetto o un designer o un musicista può averla già in
testa, seppure a livello embrionale. Il senso nasce, fin dall'inizio, come senso
orientato, come tensione, come nucleo narrativo organizzato che attende di
essere sviluppato in maniera più compiuta. La
narratività,
per Greimas, è dunque una sorta di grammatica che, a livello immanente del
senso, articola le strutture universali dell'immaginario.
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