Copertina
Autore AA. VV.
Titolo Il libro dell'aceto
SottotitoloTradizione e produzione. Cultura del gusto. Ricette e degustazione
EdizioneDe Agostini, Novara, 2010, , pag. 222, ill., cop.ril., dim. 29,4x24x2,7 cm , Isbn 978-88-511-1529-6
LettoreGiovanna Bacci, 2011
Classe alimentazione
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Indice


Storia, civiltà e leggende sull'aceto              10

L'aceto in Italia e nel mondo                      40

Processi e metodi di produzione                    66

Gli aceti balsamici                                96

La degustazione degli aceti                       112

L'aceto per star bene, l'aceto per la casa        126

Un ricettario minimo                              148

Glossario                                         217

Indice dei nomi                                   220

Indice delle ricette                              222


 

 

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Storia, civiltà e leggende sull'aceto

Una scoperta "leggendaria"

L'adagio comune vuole che i grandi prodotti gastronomici nascano per... errore. È il caso di importanti formaggi come il gorgonzola o il roquefort francese, di manicaretti e dolci comuni sulle nostre tavole, come il panettone milanese, e di numerose altre eccellenze. L'aceto, da nobile prodotto qual è, non poteva sottrarsi a questa tradizione. La leggenda legata alla sua "scoperta" ci tramanda l'immagine di un uomo dell'antichità di fronte a un otre di vino rimasto aperto troppo a lungo e il cui contenuto è inacidito. Ma in questa occasione probabilmente siamo molto più vicini alla realtà rispetto all'artificiosità di altre scoperte leggendarie. È facile immaginare l'uomo antico che cerca di usare l'ingegno per riciclare quel prodotto, il vino appunto, andato a male. Ed è ancora più facile immaginarlo abituarsi a quel sapore agro, duro e accattivante allo stesso tempo.

Pian piano, l'uomo comprende che quel prodotto può trovare molteplici usi nella vita di tutti i giorni: dalla cura di malattie e malanni, al condimento, alla conservazione dei cibi. Inizia quindi a diffonderlo. Prova a riprodurlo, lasciando il vino a contatto con l'aria, facendolo trasformare poco alla volta in quel liquido dal sapore, dall'odore e dagli effetti del tutto diversi rispetto al suo ingrediente iniziale. E infatti è davvero difficile, parlando dei popoli antichi, separare la storia dell'aceto da quella del vino. Plinio il Vecchio (23/24-79 d.C.), nella sua Naturalis Historia, parlava di «vino putrefatto», riprendendo alcune descrizioni precedenti e soprattutto legando l'aceto alla decomposizione del vino. Lo stesso termine italiano "aceto" contiene in sé tale definizione, in quanto deriva dal latino acetum, participio perfetto del verbo acere ("essere acido"). Più trasparente ancora è il termine francese vinaigre: deriva dal latino vinum acre, stessa radice che ha prodotto anche lo spagnolo vinagre e l'inglese vinegar. Vino agro, dunque.

Diverso invece il caso dell'Estremo Oriente, dove l'aceto, ottenuto soprattutto dalla fermentazione della frutta e del riso, era considerato dalle tre grandi figure della tradizione religiosa asiatica, Confucio, Buddha e Lao-Tse, come l'essenza stessa della vita. Sembra inoltre che i Cinesi abbiano scoperto 1300 anni prima di Pasteur il ruolo fondamentale dei microrganismi nella fermentazione acetica. Il minimo comune denominatore con la tradizione europea era però sempre quello: l'impiego come condimento, conservante e tonico corroborante.

Fin dalla notte dei tempi gli uomini furono quindi attratti non solo dai sapori dolci e succosi, ma anche dall'agro e dell'aspro. Un'attrazione gustativa che si è tramandata fino a noi, estendendosi piuttosto che sradicandosi: se antichissima è la ricetta del bortsch (una zuppa russa tradizionale, a base di barbabietola e dal gusto marcato e pungente), da epoche ormai lontane provengono anche la vinaigrette francese e il procedimento di marinatura della nostra cucina. La tendenza all'aspro è andata evolvendosi e affinandosi, toccando ambiti disparati: gastronomici, salutistici, conservieri. Non c'è da stupirsi, dunque, se l'aceto è un prodotto in continua trasformazione. E se le sue origini si perdono nella notte nei tempi, fin nei libri sacri delle più importanti religioni.

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La nascita dell'aceto balsamico

Già in un testo del XII secolo (Vita Mathildis, scritto dall'abate Donizone nel 1116) si citano i pregi dell'aceto prodotto nelle contrade modenesi e reggiane, la cui fama nel 1046 era giunta anche all'orecchio e poi al palato dell'imperatore di Germania, allora in transito per Canossa. Ma non è possibile stabilire se si trattasse dello stesso aceto balsamico presente oggi sulle nostre tavole. Le Corporazioni dei fabbricanti di aceto di Modena e di Reggio Emilia nacquero tra il XII e il XIV secolo e si può ipotizzare che in quei secoli la produzione del balsamico fosse già avviata. È facile immaginare come il segreto della produzione di questo particolare prodotto (la naturale fermentazione e acetificazione di mosto d'uva cotto seguita da lungo invecchiamento) fosse una delle peculiarità di queste corporazioni. D'altronde la sapa, il mosto d'uva cotto, era già conosciuta all'epoca romana e impiegata come dolcificante, insieme al miele, e continuò durante il Medioevo a occupare un posto di prestigio nella cucina modenese. Un cronista del XIX secolo, Antonio Vallisnieri, riferisce di come alla corte estense venissero conservate botti di aceto già intorno alla prima metà del XIII secolo, ai tempi di Obizzo II, signore di Ferrara, Modena e Reggio Emilia.

Una cosa è certa, il Modenese divenne nel Medioevo la Orléans italiana, in quanto qui furono allestite numerose acetaie (cioè luoghi di produzione e di conservazione dell'aceto): alcune di queste sono ancora oggi in attività. Durante il Rinascimento l'aceto balsamico era il condimento favorito dei duchi d'Este e una delle componenti più preziose della dote delle giovani spose appartenenti a famiglie nobili e agiate. Lucrezia Borgia, moglie del duca estense Alfonso I, sembra che avesse una vera passione, oltre che per le alchimie venefiche, anche per l'aceto balsamico. Nel 1598, con il trasferimento della corte ducale estense da Ferrara a Modena (che divenne così la capitale del ducato), la produzione conobbe una significativa impennata. Proprio in quegli anni apparvero le prime descrizioni dei metodi produttivi e delle caratteristiche dell'aceto balsamico quale oggi lo conosciamo.

Ma non era ancora chiamato così: solo nel 1730, quando il duca di Modena fece dono di una bottiglia di aceto a Ludovico Antonio Muratori (grande storico e letterato vignolese) si ebbe la prima apparizione del termine "balsamico". Lo stesso Muratori (1672-1750) mise per iscritto alcuni rimedi a base di aceto balsamico come antidoto contro la peste.

Nel 1796 le truppe napoleoniche, occupata Modena, smantellarono le acetaie ducali. Fu un evento cardine della storia di questo prodotto: se arrecò un danno produttivo notevole (solo dopo una ventina di anni poterono essere in parte ricostruite) dall'altro contribuì enormemente alla diffusione del prodotto, in quanto i Francesi vendettero i barili alle famiglie cittadine più abbienti e il balsamico iniziò a diventare una tradizione nelle cucine modenesi prima e in tutta Italia poi. Grande estimatore del balsamico fu Vittorio Emanuele II, accolto a Modena il 4 maggio 1859, che ordinò il trasferimento dei barili migliori in Piemonte nel regio castello di Moncalieri.

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Il Novecento: la svolta qualitativa

In Italia i primi impianti a carattere industriale utilizzavano come materia prima l'alcol etilico, da un lato per il suo basso costo, dall'altro per le agevolazioni fiscali legate allora a questo prodotto. L'aceto di alcol poteva essere colorato uso vino, per cui nel nostro Paese la produzione dell'aceto di vino nei primi due decenni del XX secolo, mancando una precisa legislazione in merito, rimase in buona parte ancora a livello artigianale (a parte alcune eccezioni, come gli acetifici sorti in provincia di Novara, a Torino, Modena e Napoli. Naturalmente, una quota significativa della produzione riguardava l'aceto di vino, soprattutto nelle aree dove più spiccata era la vocazione vitivinicola (Piemonte, Emilia, Toscana).

A segnare un punto di svolta qualitativo fu un'apposita legge del 1925, che regolamentò la produzione assegnando il termine "aceto" solo ed esclusivamente all'aceto di vino. La stessa norma poneva fine alla vendita di aceto prodotto con acido acetico e alla colorazione uso vino dell'aceto d'alcol, imponendo che quest'ultimo prodotto venisse commercializzato con un nome che non creasse confusione, cioè "aceto di spirito". Pochi anni dopo, nel 1932, la legge italiana bandì definitivamente l'aceto d'alcol per uso commestibile, riservandolo esclusivamente alla conservazione di verdure e pesce. Da quel momento si può far risalire la nascita di una vera industria italiana dell'aceto, che si affermò immediatamente sul mercato, tanto da registrare in pochi anni uno sviluppo ragguardevole. Furono introdotti processi di fermentazione più rapidi, e si passò dalla tecnica della fermentazione in superficie (su trucioli) alla fermentazione sommersa.

Nel corso del XX secolo la diffusione dell'aceto ha conosciuto quell'espansione che ha portato questo prodotto, analogamente all'olio d'oliva, ad essere il re incontrastato dei condimenti sulle tavole di tutto il mondo. Merito anche, negli ultimi decenni, della riscoperta dell'aceto balsamico di Modena, sia nella sua versione IGP sia in quelle tradizionali DOP di Modena e Reggio Emilia. Una riscoperta che è al tempo stesso testimonianza della nascita di una "cultura" più moderna e consapevole di questo prodotto.

Le parole d'ordine del nuovo millennio sono due: innovazione e tradizione. Riguardo alla prima, l'aceto continua a rinnovarsi con nuovi prodotti derivati: gli chef di tutto il mondo prediligono le glasse gastronomiche all'aceto balsamico di Modena IGP, mentre gli aceti aromatizzati incontrano i gusti di una nicchia consolidata di piccoli consumatori che apprezzano le contaminazioni con spezie e aromi. Del resto, sono ora rinvenibili a mercato gli aceti più vari, già presenti in epoca antica ma che non avevano mai conosciuto grande diffusione prima della commercializzazione industriale: dagli aceti di sidro a quello di mele, da quelli di birra a quelli di riso, utilizzati soprattutto nella cucina cinese.

Per contro, l'aceto non dimentica le sue origini, tutelandole: è del giugno 2009 l'assegnazione da parte dell'Unione Europea, della certificazione IGP (Indicazione Geografica Protetta) all'aceto balsamico di Modena, a tutela e a riconoscimento di una tradizione ormai millenaria.

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Aceti di vino classici, speciali, aromatizzati, balsamici e decolorati

In Italia la legislazione riconduce gli aceti di vino in cinque grandi categorie merceologiche: gli aceti comuni, gli aceti di qualità, gli aceti aromatizzati, gli aceti speciali e gli aceti decolorati. Vediamo di seguito le rispettive caratteristiche.

Aceti classici: si ottengono da vini da tavola o provenienti da mosti con gradazione alcolica inferiore a 8 gradi. La fermentazione è veloce e i tempi di riposo per la maturazione sono brevi, in modo da procedere poi rapidamente alla chiarificazione e alla filtrazione. Non si conservano a lungo e sono destinati al grande pubblico.

Aceti speciali: si ottengono invece da vini pregiati, anche invecchiati. I processi di acetificazione e fermentazione sono lenti, per conservare al meglio le caratteristiche del vino di origine. Il riposo avviene in botti di legno, per 6-8 mesi o anche più, cui viene fatto seguire un affinamento in contenitori di acciaio. Di colore rosso o paglierino, a seconda del vino di origine, hanno caratteristiche chimiche e organolettiche superiori rispetto agli aceti comuni.

Rientrano nella categoria degli aceti speciali anche quelli prodotti con vini aromatici quali moscato o malvasia, così come i cosiddetti aceti medicali o medicati (aceto di colchico, aceto senapato, aceto canforato, aceto scillitico), cioè quelli – ormai non più in uso – nei quali vengono infuse sostanze con virtù terapeutiche.

Aceti aromatizzati: vengono prodotti esclusivamente a partire da aceti speciali. Il processo di aromatizzazione consiste nell'infusione di erbe aromatiche o spezie accuratamente selezionate per un periodo di tempo compreso tra 40 e 60 giorni. Tra le diverse erbe aromatiche utilizzate (una sola o in combinazione con altre) segnaliamo origano, timo, aglio, pepe, peperoncino, dragoncello, lavanda. Per quanto riguarda le caratteristiche, sono analoghe a quelle degli aceti di qualità, rinvigorite però da aromi e profumi più spiccati (che si sprigionano soprattutto a contatto con cibi e preparazioni calde). Sono dotati di spiccate proprietà digestive.

Aceti balsamici: sono definiti tali perché ottenuti da materie prime inusuali o da produzioni tipiche e localizzate. È il caso dell'aceto balsamico di Modena IGP, degli aceti balsamici tradizionali di Modena e di Reggio Emilia DOP, che si ottengono non dal vino ma dal mosto di uva cotto.

Aceti decolorati: talvolta chiamati anche aceti bianco-carta o bianco-acqua per la loro caratteristica incolore, sono invece degli aceti comuni privati delle sostanze coloranti e tanniche. Vengono impiegati in modo pressoché esclusivo dalle industrie alimentari, per la preparazione di salse, condimenti e, soprattutto, per la produzione di verdure e ortaggi sottaceto.

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Gorgonzola con radicchio di Treviso e Dolceagro

    Difficoltà: bassa
    Preparazione: 15 minuti
    Cottura: 5 minuti

    Ingredienti per 4 persone

    • 2 ceppi di radicchio di Treviso
    • 100 g di gorgonzola naturale
    • 20 ml di sciroppo di zucchero
    • 20 ml di condimento delicato Dolceagro
    • 30 ml di olio extravergine d'oliva
    • pepe bianco

Preparazione

Mondate il radicchio, lavatelo e asciugatelo.

Tagliate ogni cespo in quattro parti nel senso della lunghezza, poi cuocetelo alla griglia per pochi minuti, senza aggiungere olio.

In una ciotola preparate una vinaigrette con lo sciroppo di zucchero, il condimento delicato Dolceagro, l'olio extravergine di oliva e il pepe bianco.

Tagliate il gorgonzola a pezzetti e disponetelo sui piatti; adagiatevi sopra il radicchio grigliato.

Condite con la vinaigrette e servite.

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