Autore Marco Aime
Titolo L'incontro mancato
SottotitoloTuristi, nativi, immagini
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2010 [2005], Temi 150 , pag. 182, cop.fle., dim. 11,5x19,5x1,3 cm , Isbn 978-88-339-1604-0
LettoreFlo Bertelli, 2011
Classe viaggi












 

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Indice


    L'incontro mancato

  9 Introduzione

 13  1. Aggettivi
        L'insostenibile pesantezza del turista, 13
        Viaggiatori leggeri, 22
        Il «peso» dello zaino, 26

 37  2. Incontri
        Etici e responsabili, 37
        L'incontro interrotto, 47
        Il malinteso, 56

 59  3. Equivoci
        Delusi da Timbuctu, 59
        «Roots travels», 67
        Il dono di Arouna, 72

 81  4. Specchi
        Mediatori turistici, 81
        Il turista, il nativo, le foto, 90
        Musei, 102

111  5. Maschere
        Stereotipi, 111
        Danzare per lo straniero, 114
        L'autenticità perduta, 124

138  6. Bagagli
        Come rabdomanti, 138
        Portarsi con sé, 143
        Lo spazio del turista, 146
        Tempo libero, tempo vuoto, 151
        In gruppo, 158

162  7. Ritorni
        L'incontro narrato, 162
        Immagini, 168
        Tornare stranieri, 170

173     Bibliografia



 

 

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Pagina 9

Introduzione


                        Rimuginiamo sul fatto che ormai gli antropologi non
                        hanno più molto da fare con le popolazioni primitive,
                        ridotte a sbandati straccioni o comparse esotiche.
                        Qualche rara équipe insegue gli ultimi gruppi nelle
                        foreste dell'Amazzonia, ma se li trovano ancora nudi con
                        arco e frecce, subito li contagiano con il raffreddore o
                        l'influenza, malattie per loro letali. Dunque perché non
                        farla finita e scegliersi un oggetto di studio meno
                        deperibile, come appunto sono i turisti? I turisti sono
                        sani, parlano quasi tutti l'inglese, sono un popolo in
                        crescita vertiginosa. Inoltre hanno già elaborato un
                        loro sistema di credenze, una mitologia molto complessa,
                        dei propri modi di vestirsi, mangiare, viaggiare. La
                        cosa importante, dice Jean, è che ormai sono un vero
                        popolo. Ed ecco improvvisamente un amore fraterno per
                        tutti i turisti, perché forse è l'unico popolo a cui si
                        può appartenere ormai, in quanto viaggiatori o sbandati
                        perpetui.


                        G. Celati, Avventure in Africa




Estate 1987, strada Nairobi-Arusha. L'autista del bus è un kikuyu simpatico e chiacchierone. Mentre percorriamo la savana appena a sud della città vedo due masai, vestiti come ci si aspetta che siano vestiti i masai, camminare lungo la strada. «Quelli sono masai!» dico entusiasta girando il capo per seguirli con lo sguardo, mentre sfilano accanto al bus che corre rapido.

L'autista mi guarda contrariato. È quasi arrabbiato: «Voi bianchi io non vi capisco. Siete venuti a civilizzarci, avete portato la modernità, le auto, la città. Poi venite qui e nemmeno guardate i grattacieli di Nairobi! Nairobi è una grande città, moderna, ma voi andate a cercare quelli che vivono nelle capanne. I selvaggi, come quei masai. Guarda come sono vestiti loro e guarda come sono vestito io!»

Allora facevo il turista, non l'antropologo, e come tale cercavo nel viaggio un appagamento alle mie curiosità, al mio desiderio di conoscenza e di esotismo, ma anche di emozioni nuove. Emozioni che non potevano darmi i grattacieli di Nairobi, perché non rientravano nel mio immaginario turistico. Un immaginario peraltro condiviso dalla maggior parte di chi intraprende viaggi in paesi lontani, ma non da quell'autista di bus. Il suo aspirava a una modernità da cui io volevo evadere, a un modello di città che io vivo tutti i giorni e, giustamente, si era arrabbiato con me perché mi entusiasmavo per quelli che lui considerava i residui di una cultura destinata a scomparire proprio sotto la spinta di quella società che noi bianchi avevamo esportato in Kenya. In quel momento lui era più occidentale di me e il nostro sguardo vedeva cose diverse.

Vedere cose diverse, ecco l'equivoco che spesso attraversa l'incontro del turista con un mondo lontano dal suo. Non è mia intenzione occuparmi di certe forme di turismo di massa, su cui spesso si ironizza, ma di quel turismo che si rivolge ai paesi extraeuropei e propone esperienze di carattere culturale o naturalistico ai viaggiatori. Il turista che cerca il villaggio vacanze per il puro piacere del relax, del divertimento e del sentirsi trendy può essere oggetto di molte analisi e critiche. Così come vari altri tipi di turisti più o meno «macdonaldizzati», ingabbiati in programmi preconfezionati che lasciano poco o nessuno spazio all'incontro. Si tratta di evidenti messe in scena dell'esotico, di costruzioni teatrali dove i luoghi visitati finiscono per diventare dei semplici fondali e i loro abitanti, al massimo, delle comparse di seconda fila.

Ci sono però altre forme di turismo, che si pongono in alternativa ai modelli di massa, e che stanno tentando, per voce di associazioni, organizzazioni non governative ed enti vari, di proporre un tipo diverso di incontro con l'altro. Il turismo che si definisce «responsabile, etico, sostenibile» ha dato vita a nuovi immaginari, a «esotismi» diversi, che spostano il turismo dalla sua tradizionale dimensione di svago a quella dell'esperienza. Come scrive Jean Michaud:

Da circa una ventina d'anni la domanda per il cosiddetto turismo d'avventura è costantemente in aumento, soprattutto da quando, come avviene da alcuni anni, si è unito al discorso promozionale un sapiente dosaggio di valori umanitari alla moda [...] Si sono ora aggiunti dei concetti vedette, quali la scoperta delle culture altre (a maggior ragione se in via d'estinzione), la conoscenza dell'umanità, l'esperienza primordiale, emotiva e, paradossalmente, la fuga dai luoghi da quell'altro turismo, quella volgarità che è il turismo di massa.


Il turismo esotico in genere è caratterizzato da tre paradossi: l'impossibile ricerca dell'autenticità; un certo fondo di paura; lo spazio vuoto dell'incontro, la cosiddetta «bolla ambientale». Quest'ultima è il prodotto di tutti gli sforzi messi in atto dai molti mediatori che accompagnano il turista (dal tour operator alla guida locale) per attenuare lo shock dell'incontro: incontrare l'Africa, l'Asia o l'Australia senza mai provarle pienamente. Lo notiamo facilmente nel turismo convenzionale, quello dei gruppi e dei pacchetti vacanze, dove il turista si «arrende» alle proposte dell'organizzatore e del mediatore; tuttavia, nemmeno le forme alternative di turismo messe in atto oggi sono immuni da tale interposizione.

Ho fatto il turista e l'accompagnatore di turisti prima di fare l'antropologo. È stato viaggiando come turista che mi è nata la passione per le culture altre. Non è quindi mia intenzione «sparare sul turista», ma riflettere sul fatto che l'incontro, promesso dagli operatori e desiderato dai viaggiatori, finisce spesso per essere viziato o interrotto da equivoci, incomprensioni, e dalle aspettative precostruite con cui noi di solito viaggiamo. Insieme con gli abiti, le medicine, le guide, il bagaglio del turista contiene anzitutto le sue incertezze, le sue paure, la sua visione del luogo e delle persone che sta per incontrare. Un beneficio indotto dalla pratica del turismo potrebbe essere un maggiore apprezzamento della diversità culturale. Allo stesso tempo, però, la breve e superficiale presentazione del patrimonio culturale di una popolazione, attraverso gli eventi organizzati che sono tipici del turismo, può far nascere malintesi e stereotipi.

La costruzione dell'immaginario turistico, sia esso fondato sull'esotismo o sull'attenzione alle questioni sociali, come nel caso del turismo alternativo, dà sempre vita a chiavi di lettura che ci accompagnano fin dalla partenza e che sovente finiscono per aprire una sola porta d'accesso ai mondi visitati: quella per gli stranieri.

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