Copertina
Autore Giovanni Nino Arbusti
Titolo Cucina del Gargano
EdizioneMuzzio, Roma, 2003, Cucine regionali 16 , pag. 218, dim. 140x210x15 mm , Isbn 978-88-7413-083-2
PrefazioneGuido Pensato
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe alimentazione , storia sociale , regioni: Puglia
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Indice

Prefazione                                7
Premessa                                 12
Antipasti                                19
Pane e minestre                          29
Piatti unici a base di pane              41
La pasta, il riso. l'asciutto            51
Le carni                                 79
    Il lesso                             81
    Carni bovine                         83
    Carni ovine                          85
    Carni suine                          88
    Insaccati e salumi                   91
    Pollame                              93
Cacciagione e selvaggina                 95
Il pesce                                107
I funghi                                127
Fritti, frittate e cose... dimenticate  133
Tramezzi e marinate                     143
Formaggi e latticini                    157
Pizze, focacce, storielle e parolacce   163
Le conserve                             171
Dolci. liquori e bibite                 181
I vini                                  197
Itinerario gastronomico garganico       199

Bibliografia                            207
Glossario                               209
Indice delle ricette                    213

 

 

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Pagina 12

Premessa


Questo libro nasce non come una rassegna di prodotti della cucina garganica o come mezzo di propaganda per stimolare i consumi o per proporre delle novità nell'arte di preparare i cibi nostrani. Sono convinto che se così fosse fallirebbe senz'altro lo scopo, e io, che mi sono prefisso di stenderne il testo, percorrerei certamente una strada sbagliata.

L'idea è stata e rimane quella di determinare interesse verso un tipo, un modello di civiltà e di cultura, quella gastronomica appunto, che nel Gargano, malgrado le apparenze, sin da tempi lontani ha goduto, anche se in maniera semplice e riservata, di buona considerazione, ma sotto un aspetto, direi, non sempre rivelatore di evoluzione e di gusto. Il fatto è certamente attribuibile ab origine alla natura marcatamente arcaica e riservata della gente garganica, che ha subìto una trasformazione lentissima, in generale, forse perché silenziosamente e volutamente legata a una situazione di tradizioni e di storia che le proveniva dalla vicinissima Grecia, dalla quale, come del resto l'intera Puglia, ha ereditato il colore e, nell'arte di preparare il cibo, il sapore grato al gusto, il piacere e la voglia delle cose genuine e senza ricercatezze.

L'uomo del Gargano ha incorruttibilmente amato e impiegato per secoli, nella novizia ricerca degli alimenti, le cose cresciute spontaneamente sotto il suo sole impareggiabile e generoso, e al cospetto del suo mare tinto di un misto insolito di verdi e di turchese. La cucina garganica è, quindi, senza dubbio, storicamente il frutto d'una esperienza nata dall'uso di ingredienti offerti da una terra popolata, inizialmente da pastori solitari, taciturni ma saggi, pratici e prudenti. Il tempo ha addomesticato le rustiche idee e ha suggerito all'uomo sistemi nuovi e maniere diverse di cuocere i cibi; ma gli ha pure consigliato di continuare a concedersi integralmente, con le arricchite esperienze, il godimento delle antiche delizie che già i vecchi pastori dell'Arcadia avevano sapientemente conosciuto e tramandato con l'arte di girare allo spiedo agnelli e capretti intrisi d'olio, d'erbe aromatiche e d'acqua di mare. I pastori del Gargano, ottimi predatori, avevano imparato prestissimo a cibarsi di selvaggina, specialmente di giovani daini dalla tenera carne, di lepri e di caprioli presenti in abbondanza nei boschi e nelle foreste del Promontorio, allora completamente verde da Vieste a Vico, a Umbra, a Monte S. Angelo, a Carpino, a S. Nicandro, a S. Marco in Lamis.

Una cucina schietta, dunque, e pastorale, quasi rude all'inizio come tutte le altre cucine primitive, ma subito proclive alle preziosità degli aromi, della menta e dell'origano, del finocchietto selvatico, della rucola, del rosmarino, così copiosi e di fragranza unica all'interno e lungo la costa, da Rodi a Monte Pucci e da Peschici a Mattinata. Cucina quasi povera, di piatti unici, per consuetudini trasmesse di età in età, consumati la sera, al ritorno dal lavoro. Cucina esaltata nei giorni di festa da vini rossi e corposi, densi di antichi profumi, come quelli delle fertili piane di Vieste, e da bianchi e da rosati di nardobello (uva locale bianca) favoloso, euforico, allora fiorente insieme a moscati e a malvasie sulle colline vichesi riparate dal mare, dal Cotino a Tennicoda, e per le valli del Vasto e di Coppamaria, della Castagnola e di Particchiana.

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Pagina 29

Pane e minestre


Il pane nel Gargano è veramente il principale alimento dell'uomo e, per estensione, significa cibo in genere. Come nei passi della Bibbia, il pane per l'uomo del Promontorio figura nel tempo elemento di promessa collegata intimamente con la ragione della vita. Col pane la gente garganica ha necessariamente e sapientemente saputo realizzare la parte migliore delle sue inventive gastronomiche accoppiandolo a verdure, uova, carni, pesce, legumi, e questi accoppiamenti costituiscono degli ottimi e originali piatti unici.

Storicamente, la vera e propria panificazione nel Gargano si è avuta con i Romani i quali usavano cuocere il pane azzimo e lievitato, inizialmente su piastre di pietra infuocate. Sin dal 200 a.C., però, i Romani avevano anche costruito con perfezionata maestria i forni domestici, tant'è che nella "domus" dell'epoca, com'è noto, si sfornava dell'ottimo pane cotto al fuoco di legna. Sotto Traiano nacquero i forni rionali e i pubblici panettieri formarono persino una specie di corporazione. Anche nel Gargano la casa di campagna aveva il forno, u furnedd, e l'abitudine di preparare e cuocere il pane in casa si è tramandata sino a tutto il 1500. Agli albori del 1600 nacquero i pubblici forni a legna negli agglomerati urbani, pressoché uguali a quelli ancora oggi esistenti, molto rari in verità.

La tecnica della panificazione era semplice e genuina, forse integralmente simile a quella odierna, giacché le famiglie garganiche legate alle vecchie tradizioni continuano a farsi il pane in casa alla maniera antica. Tutto questo, anche se le pretese e il gusto del consumatore moderno, dovuti al miglioramento sociale delle classi meno abbienti, hanno portato a una parziale modificazione della forma, e qualche volta, purtroppo, della sostanza.

La panetta garganica, appena uscita dal forno, densa di profumo indimenticabile come quello che possiede ogni bene schietto della natura generosa, ogni frutto di onesto lavoro dell'uomo, pesava e pesa, in genere, dai tre ai cinque chili. Levata mattutina, pazienza certosina, farina di grano, lievito naturale - luvatedd - lavorato, oleato, messo a riposare e trasformato poi in crescenza, un'aggiunta di sale, di patate lessate e setacciate per dargli morbidezza, acqua e tre ore di ginnastica di braccia e di gomiti; ed ecco il pane pronto per la cottura, dopo il necessario riposo, al caldo, per la lievitazione. Questa credo sia la più legittima descrizione del pane garganico, uno dei pochi che si possano ancora gustare senza companatico, certi di offrire al palato la sorpresa di un sapore antico. Esaminando le varie preparazioni a base di pane tralascio le sue derivazioni, come le pizze, le paposciole, il pane spugnato, nfuso o anfusso, pieno di sapori e condito con pomodori sul tipo della "panzanella toscana" della colomba pasquale con le uova sode, che si usava e che si usa ancora preparare per il Venerdì Santo ecc., che tratterò in seguito, dedicando, per ora e in breve, l'attenzione al caudello o caudedd, in italiano calderello.

Il calderello corrisponde alla bruschetta romana e alla fettunta fiorentina, nelle quali, però, le fette, appena pronte, vengono strofinate di aglio. Un sonetto meriterebbe il caudeddo alla trappitara - alla frantoiana - la cui fetta abbrustolita davanti alla brace di sansa viene subito dopo letteralmente immersa in olio vergine d'oliva messo a raffinare nel vutuno, apposito recipiente di zinco stagnato in cui vengono contenute le regalie di olio per i frantoiani, offerte dai clienti. Olive nere "provenzane", fatte scottare tra la cenere ardente scostata dal fuoco, accompagnano il pane delizioso e tiepido nel suo viaggio verso il più naturale e genuino processo digestivo. Il pane abbrustolito o riposato, come dicevo, usato nelle minestre o nelle zuppe della cucina garganica costituisce un cibo di vecchissima memoria. Le ricette sono moltissime, e mi limiterò a citare le più interessanti e originali che sono veramente diverse da quelle preparate nelle altre contrade della Puglia.

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Pagina 51

La pasta, il riso, l'asciutto


La pasta, come il melodramma e il Chianti, dice Carrier nel suo volume Grandi piatti nel mondo, è un prodotto tipico italiano. La Puglia ha un posto di preminenza nella realizzazione di questo prezioso alimento e i centri dauni del tavoliere, come Foggia, Manfredonia, S. Severo, Lucera, Torremaggiore, vantano una bella tradizione nella produzione artigianale di ogni forma di pasta.

Nel Gargano, se la memoria non mi tradisce, soltanto Vico ha avuto un pastificio, e per breve tempo. Il Tavoliere ha sempre prodotto ottime qualità di grano duro dal quale nasce, o almeno dovrebbe nascere, la pasta. Per questo, forse, i Dauni sono tra i maggiori consumatori in Italia, insieme ai napoletani. Ce n'è per tutti i gusti: economica, relativamente facile da realizzare, specialmente quella casalinga, oggi prodotta con macchine e macchinette, la pasta è un ideale ingrediente per sviluppare la fantasia gastronomica sia in relazione alla forma che al condimento. Sembrerà strano, infatti, ma la sua forma e il suo spessore sono elementi determinanti per il felice incontro col sapore del piatto finito, condizionando sia il tempo di cottura che la qualità del condimento.

Nelle Puglie, in genere, la pasta stabilisce un continuo incontro, un matrimonio indissolubile con la verdura, in special modo la casalinga preparata esclusivamente con semola. Le orecchiette alla barese, le recchietelle o gli strascinati o le chiancarelle alla foggiana, alla brindisina e alla tarantina, sono con le lagane o lanache e i cavatelli o minuicchi il maggior prodotto pugliese in fatto di pasta casereccia.

Nel Gargano la pasta casalinga viene realizzata quasi sempre con semola mista a farina di grano tenero e anche le forme sono differenti; i condimenti non sono tradizionalmente legati alle verdure, quantunque vasto e fantasioso sia l'uso di queste, tanto da non limitarsi alle solite cime di cola, alle rape e a qualche altra verdura. Nei condimenti della cucina garganica è quasi sempre presente l'ottimo ragù o, più propriamente, salsa fatta a base di carne di vitello il cui consumo è di antica tradizione, forse per gli allevamenti bovini che hanno popolato le campagne e i boschi del Promontorio. Sono infinite le varietà di condimenti anche a base di altre carni, come quella di capretto, di agnello, di castrato, di pesci e di legumi. Gli strascinati nel Gargano diventano strascinatelli se piccoli e straculagghiuni se grandi, per i crapuloni. Vengono quasi sempre accoppiati ai fusilli in una unica formulazione, specialmente se conditi con fiori di zucchini o con le rucole amarognole e odorose. Gli introccioli, robusti "capelli di demonio" a forma di losanga, tirati con uno speciale mattarello, sono un tipo di pasta casalinga adatta per divoratori coraggiosi ma amanti dei più segreti gusti dei cibi naturali e schietti. Anche lo gnocco di patate nel Gargano è spesso presente in cucina, come anche il riso, che nelle Puglie è consumato in quantità irrilevanti, quasi sempre nella preparazione delle tielle (sta per teglia e indica un piatto tipicamente pugliese sul tipo della paella spagnola). E che dire della polenta (farnata) di cui i garganici sono con i napoletani, anche se in maniera diversa, gli unici "terroni" consumatori a fare onore ai fratelli "polentoni" del Nord? La polenta viene generalmente preparata con legumi e verdure miste di campo, qualche volta condita con sugo di maiale, solitamente d'inverno, quando "l'ingrasso" dei suini a base di ghiande di leccio e di quercia, oltre che di speciali pastoni misti, si è compiuto. Il sacrificio di queste bestie nel Gargano sino a qualche tempo addietro cessava l'ultimo giorno di Carnevale, così come il consumo delle loro carni.

Unica preparazione asciutta a base di grano, forse di antichissima provenienza orientale, che in qualche modo ricorda il kuskus, è u farrcedd (il farricello), quasi del tutto scomparso dalle mense dei garganici.

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Pagina 209

Glossario


Ace: sedano.

Acciaccate: pestate, schiacciate.

Anfusso o 'nfuso: spugnato, bagnato e strizzato.

Angiuina: angioina.

Annoglia o lannogghia: insaccato di budelline (Vico del Gargano) o di lingua, trippe, intestini (Sannicandro Garganico).

Ascima: azzima.

Bastenache o bbastunache: carote.

bastcavene: vuol dire "come viene"; tocco di carne di manzo contenente varie parti dell'animale tagliate senza suddivisione; si usa per spezzatini, preparazioni in umido e ai ferri.

Brasciola: involtino.

Butirri: burrini.

Calandra: allodola.

Cannarozzi: pasta corta rigata, di forma grande; maccheroni.

Cardarelli: varietà di funghi prataioli, caratteristici dell'Appennino dauno.

Cardunceddi o cardoncelli: varietà di funghi prataioli simili a chiodini.

Carduncidd: cardi selvatici.

Castagnedde: dolci casalinghi pugliesi.

Caudeddo: bruschetta garganica.

Cavateddi o cavatiddi: gnocchi di cruschello.

Cazzarola: casseruola.

Checocce: zucche; termine generico.

Checcuccedde o cucuzzidd: zucchine.

Ciammariche: lumache medie.

Ciammarichedde: lumache piccole.

Cicerchie: legume simile a incrocio tra lenticchie e piselli bianchi. Viene consumato raramente.

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