Copertina
Autore Phil Baker
Titolo Il libro dell'assenzio
EdizioneVoland, Roma, 2008, Finestre 6 , pag. 280, ill., cop.fle., dim. 14,3x16,5x1,8 cm , Isbn 978-88-6243-010-4
OriginaleThe Dedalus Book of Absinthe [2001]
TraduttoreLuca Caddia
LettoreLuca Vita, 2009
Classe alimentazione , salute , storia letteraria , storia dell'arte
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Prologo Risvegliarsi con tre bare                11


Capitolo primo - Cos'è l'assenzio?               13

— Vizio
— Marie Corelli
— il sublime
— Aleister Crowley
— George Saintsbury
— la parte per il tutto

Capitolo secondo - Gli anni Novanta              31

— Enoch Soames al Café Royal
— le notti a Fleet Street
— Arthur Symons
— Oscar Wilde
— la reazione violenta
— Il garofano verde
— Smithers e "The Savoy"

Capitolo terzo - Vita e morte di Ernest Dowson   57

— Straniero in terra straniera
— fedele a modo suo
— "come un protoplasma nell'embrione di un troglodita"
— Dottor Jekyll e Mister Hyde
— una serata nell'East End
— Parigi e la religione
— in pace a Catford
— Yeats si sbaglia

Capitolo quarto - Nel frattempo in Francia       75

— Alfred de Musset
— Baudelaire
— Verlaine
— Rimbaud

Capitolo quinto - Genio incompreso               99

— Come entrare in contatto con altri pianeti
– Strindberg l'alchimista
– Villiers de l'Isle Adam
– Alfred Jarry
– un uomo di lettere

Capitolo sesto - Dall'antichità all'ora verde   121

— La pianta medica
– amarezza
– è nato un tonico
– il Bat d'Af
– costumi borghesi all'epoca del Secondo Impero
– l'ora verde
– bohème
– ispirazione

Capitolo settimo - Prima del divieto            137

— Brutte storie all'Absinthe Hotel
– problemi femminili
– Zola, Manet e Degas
– Orpen
– l'assenzio e la classe operaia
– "ti uccide ma ti fa vivere"
– l'absintismo e lo spettro della degenerazione
– una brutta notizia su Toulouse-Lautrec
– Picasso

Capitolo ottavo - Dopo il divieto               167

– Nostalgia
– morte in America
– Hemingway
– Harry Crosby
— il gotico americano
— gli inglesi si divertono

Capitolo nono - Il revival dell'assenzio        193

— Praga
– The Idler
– Johnny Depp ne ordina una cassa
– un segreto di Pulcinella
– mixologia
– i francesi non si divertono
– la nascita della Fée
– l'Omnibus per Charenton rivisto e corretto
– laissez-faire
– voci di dissenso
– la parola al signor Controllo Sociale

Capitolo decimo - I rituali dell'assenzio       205

– Acqua e fuoco
– louche
– modus operandi
– un piacere in sé
– i professori di assenzio
– il linguaggio dell'assenzio
– altri metodi classici
– Valentin ha un'idea migliore

Capitolo undicesimo - Cosa fa l'assenzio?       219

– Un'esperienza diversa
– placebo e intossicazione erudita
– l'assenzio rivisitato
– il tujone
– lo strano caso di Vincent Van Gogh
– abuso ricreativo dell'assenzio
– mistero risolto
– vino alla cocaina ed effetto speedball
– l'alcol uccide lentamente

Appendice   Alcune marche disponibili           245

Sintetico a posteriori di Luca Caddia           255

Note                                            265

Bibliografia                                    267

Ringraziamenti                                  279


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11

PROLOGO

Risvegliarsi con tre bare


Nell'agosto del 1905 una notizia particolarmente macabra dilagò sui giornali di tutta Europa. Un uomo di trentuno anni di nome Jean Lanfray, contadino svizzero di origine francese, aveva bevuto due bicchieri di assenzio, tirato fuori dall'armadio un vecchio fucile da guerra e sparato in testa alla moglie incinta. Quando la figlia Rose, di quattro anni, era comparsa sulla porta per vedere cosa stesse accadendo, Lanfray aveva sparato anche a lei. Era andato poi nella camera accanto dove l'altra figlia, Blanche, di due anni, dormiva nel suo lettino, e l'aveva fatta fuori. A quel punto aveva goffamente provato a spararsi ma non riuscendoci aveva barcollato per il cortile per poi addormentarsi col cadavere di Blanche stretto al petto.

L'indomani, arrestato dalla polizia, Lanfray fu condotto davanti alle salme di moglie e figlie. Qui entra in gioco un tocco orribilmente pittoresco che sarebbe piaciuto a Dickens: le vittime giacevano infatti in tre bare di dimensioni diverse. Una vista del genere deve averlo fatto tornare in sé.

La reazione dell'opinione pubblica di fronte al caso Lanfray fu incredibile e si concentrò su un unico dettaglio. A nessuno importava che Lanfray fosse un alcolista incallito e che il giorno precedente l'omicidio avesse bevuto non solo quei due bicchieri di assenzio prima del lavoro – ore in anticipo quindi rispetto alla tragedia – ma anche una crème de menthe, un cognac, sei bicchieri di vino per digerire meglio, un altro bicchiere di vino venendo via dal lavoro, una tazza di caffè corretto al brandy, un litro di vino nel tragitto verso casa e infine un altro caffè con grappa. Questo non aveva importanza, come non ne aveva la sua ben nota abitudine di bere fino a cinque litri di vino al giorno. La gente non aveva dubbi. Il colpevole era l'assenzio. Dopo alcune settimane, 82.450 abitanti del luogo firmarono una petizione in cui si chiedeva di bandire l'assenzio dalla Svizzera, e l'anno seguente furono accontentati. Nessuna bevanda, nemmeno il gin della Londra di Hogarth, aveva mai avuto una reputazione tanto cattiva.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

CAPITOLO PRIMO

Cos'è l'assenzio?


Sostieni di essere diventato un absintheur, sai cosa significa? MARIE CORELLI, Wormwood


Cos'è l'assenzio? È una delle più forti bevande alcoliche mai prodotte, con un potenziale psicotropo aggiuntivo dovuto all'assenzio maggiore (artemisia absinthium) in essa contenuto, ma l'idea dell'assenzio ha sviluppato una propria mitologia. Persino la parola ha una strana eco. A sentirla pronunciare non sembra neanche un alcolico, sebbene richiami alla mente sostanze come l'amaranto – un fiore che non appassisce mai e simboleggia l'immortalità – e il nepente, una bevanda antidepressiva, una droga e anche una pianta carnivora.

Come vedremo, la scelleratezza è molto spesso la prima cosa a cui si pensa quando si parla di assenzio, soprattutto nel mondo di lingua inglese. Ma non è esattamente del peccato che ci occupiamo qui, nonostante ci si muova in qualche modo nello stesso ambito. L'assenzio non possiede lo sfarzo serpeggiante del peccato. Innanzitutto è troppo forte. Assenzio – specialmente in Francia – ha spesso significato qualcosa di un po' più brutale e degenerato: non tanto peccato, quindi, quanto vizio.

Diffusosi come tonico in Svizzera al termine del XVIII secolo, l'assenzio iniziò a circolare tra le file dell'esercito coloniale francese in Algeria verso la metà del XIX. Durante l'epoca d'oro del Secondo Impero bere un bicchiere di assenzio era diventato un costume borghese rispettabile e pressoché universale. Ma alla fine dell'Impero darsi a questa bevanda assunse due nuovi, preoccupanti, risvolti: da una parte questa pratica venne associata a poeti, pittori, e bohémien in genere, dall'altra all'alcolismo delle classi lavoratrici (soprattutto dopo gli orrori del 1870-71, quando alla guerra franco-prussiana seguirono l'insurrezione e la soppressione della rivoluzionaria Comune parigina). Le cose peggiorarono intorno al 1880, quando le pessime vendemmie resero l'assenzio più economico del vino. Col tempo queste premesse si incrociarono dove la Boemia incontra Skid Row, preconizzando una generale rovina sia per gli artisti che per i lavoratori. L'assenzio – non più "la fata verde" ma "la strega verde" e "la regina dei veleni" – divenne il bersaglio demonizzato di una situazione di deriva morale. A questo punto cominciò a essere strettamente associato con la pazzia e divenne noto a tutti come "l'Omnibus per Charenton", con chiara allusione al manicomio di Charenton. "Se l'assenzio non sarà vietato," scrisse un proibizionista francese "la nostra nazione si trasformerà presto in un'immensa cella dalle pareti imbottite dove metà dei francesi sarà occupata a mettere camicie di forza all'altra metà."

I francesi bandirono l'assenzio nel 1915, utilizzandolo come capro espiatorio sia per il dramma dell'alcolismo nazionale sia per l'inadeguatezza dimostrata dall'esercito francese durante la Prima guerra mondiale. Esso sopravvisse in Spagna e nell'Europa dell'Est e adesso, a seguito di una nuova fin de siècle, è tornato con tutte le connotazioni che gli sono proprie. Per tre scrittori interessatisi di recente all'argomento, l'assenzio ha un ventaglio di significati: per Regina Nadelson suggerisce una "dolce decadenza" e una "storia ricca di sfumature carnali e narcotiche" mentre come problema sociale rappresenta "la cocaina del XIX secolo". Secondo Barnaby Conrad la sua è una storia di "assassinio, follia e disperazione" e "simboleggiava l'anarchia, una deliberata negazione della vita normale e dei suoi doveri". Per Doris Lanier l'assenzio era "legato all'ispirazione e alla libertà e divenne un simbolo della decadenza francese" – al punto che per lei la parola "assenzio" evoca "pensieri di intrighi narcotici, euforia, erotismo e sensualità decadente".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 28

Marie Corelli è contro l'assenzio, Crowley a favore, mentre Saintsbury rimane elegantemente (persino squisitamente...) equilibrato. Ma per ciascuno di loro, vissuti nell'epoca d'oro dell'assenzio, si trattava in ogni caso di una sostanza mitica.

Per Roland Barthes l'idea stessa di una "bevanda ideale" dovrebbe essere "ricca di metonimie di ogni genere"; in altre parole piena di associazioni che individuino la parte per il tutto o svelino solo la punta dell'iceberg, e di interazioni simboliche che suggeriscano il perché vogliamo quello che vogliamo. Le persone innamorate dell'idea della Scozia possono bere scotch; chi crede nella transustanziazione può bere il sangue di Cristo; invece gli amanti del vino saranno felici di pensare a uva, sole, terreno buono, viti e quant'altro. Quando Keats vuole il vino, nell' Ode a un usignolo, lo vuole "saporoso di Flora e della campagna verde, / dei balli, dei canti provenzali, e d'allegria solare! / Oh, sì, bere una coppa di caldo meridione!" Non si discosta molto da una campagna pubblicitaria.

Qualunque cosa sia l'assenzio, non è una coppa piena di caldo meridione. È un prodotto industriale, sintetico come la pozione del Dottor Jekyll, e qualunque siano le metonimie in gioco non hanno nulla a che vedere con il paesaggio rurale, ma con la cultura urbana. L'estetismo, la decadenza, l'essere bohémien sono in prima fila, insieme all'idea della Parigi ottocentesca e a quella della Londra dell'ultimo decennio dell'Ottocento. Come afferma una pubblicità della marca di assenzio Hill, parafrasando l'Artista-Un-Tempo-Noto-Come-Prince: "STASERA CI DIVERTIAMO COME NEL 1899!"

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 107

Nel Manifesto Surrealista del 1924, Breton elenca alcuni precursori del surrealismo spiegando perché possano ritenersi surrealisti "dentro". Rimbaud, come abbiamo visto, è protosurrealista "nella vita e altrove", Jonathan Swift "nella malizia", il Marchese de Sade "nel sadismo" e Baudelaire "nella morale", seguiti da "Jarry nell'assenzio".

Alfred Jarry (1873-1907) fu un personaggio stravagante. La sua vita fu una creazione, tanto quanto le sue opere teatrali, dalle quali alla fine divenne inscindibile. Piccolo come un nano, con un tono di voce metallico e concitato, e con indosso un mantello e un enorme cappello a cilindro "più alto di lui", Jarry attirò subito l'attenzione della Parigi letteraria. Viveva in una minuscola stanza in fondo a un vicolo cieco dietro boulevard Port-Royal, e la scala a chiocciola che portava a casa sua era decorata con impronte di mani insanguinate. La stanza era drappeggiata di velluto nero, piena di gufi, e adorna di arnesi religiosi come turiboli e crocifissi.

Jarry consumava alcol, assenzio ed etere in quantità spaventose, più che altro con intenzioni magiche o sciamaniche e con risultati disastrosi. Tendenzialmente misogino, era tuttavia amico intimo di Madame Rachilde – anziana romanziera e autrice del Marchese de Sade – che ha lasciato un intenso ritratto dell'alcolismo di Jarry:

Jarry iniziava la giornata con due litri di vino bianco, seguiti da tre assenzi a intervalli regolari tra le dieci e mezzogiorno, poi a pranzo innaffiava il pesce o la bistecca con vino rosso e bianco alternati ad altri assenzi. Nel corso del pomeriggio qualche tazza di caffè corretto con brandy o alcolici di cui ho dimenticato il nome, poi, a cena, dopo — va da sé — altri aperitivi, riusciva a bere almeno due bottiglie di un qualunque vino d'annata, buono o cattivo poco importava. Devo dire di non averlo mai visto veramente ubriaco, a parte quando gli ho puntato contro la sua stessa rivoltella, gesto che gli ha fatto passare la sbornia all'istante.

La bevanda preferita da Jarry era notoriamente l'assenzio, anche se poi – a corto di quattrini – si diede all'etere, che era anche peggio. Gli piaceva chiamare l'assenzio "l'herbe sainte" (giocando col nome di una marca di asvnzio, l'"Herbsaint") e la sua "acqua benedetta". Nutriva una profonda avversione per ogni altro tipo di acqua, e in questo senso non era molto diverso dall'attore comico americano W.C. Fields, che era solito dire: "Come si fa a berla? I pesci ci scopano dentro." "Gli anti-alcolisti" diceva Jarry

sono dei poveretti in balìa dell'acqua, quel terribile veleno solvente e corrosivo che fra tutte le sostanze è stato scelto per lavare e pulire. Una goccia d'acqua, aggiunta a un liquido trasparente come l'assenzio, basta a renderlo torbido.

Jarry non fu mai in balìa dell'acqua, con la quale non riuscì mai ad andare d'accordo. Una volta qualcuno gliene diede un bicchiere, per fargli uno scherzo, e – pensando fosse un alcolico incolore come la grappa – lo bevve d'un fiato. A quel punto fece "una smorfia orribile" e non si sentì bene per il resto della giornata.

Jarry si trovava in quello che Madame Rachilde ricorda come "uno stato di permanente ubriachezza nel quale sembrava fremere invece che vivere normalmente". Da lei aveva preso in prestito le scarpe gialle coi tacchi indossate al funerale di Mallarmé. Per lo più la gente lo amava – Oscar Wilde ne fu subito conquistato e lo descrive come "molto attraente. Ha proprio l'aspetto di un grazioso ragazzo di vita" – ma poteva anche dare sui nervi. Estremamente pallido ma in perfetta salute, Jarry era eccessivo quasi in tutto. Era un appassionato ciclista e rincorreva i treni in sella alla bici (aveva una costosissima bicicletta da corsa, all'avanguardia per l'epoca, una Super Laval 96 comprata a credito nel 1896 che non aveva ancora finito di pagare quando morì nel 1907). Si intendeva anche di armi da fuoco ed era solito girovagare per Parigi di notte, ubriaco e con un paio di rivoltelle e una carabina. Se qualcuno per strada gli chiedeva da accendere, tirava fuori una rivoltella e gliela puntava in faccia (in francese la richiesta può dar luogo a una specie di gioco di parole). Grazie al cielo nessuno rimase mai ferito. Quando era in campagna cacciava le cavallette a colpi di pistola. Una volta, mentre si esercitava al tiro al bersaglio contro il muro di un giardino, una donna si lamentò perché metteva a rischio la vita dei suoi figli e per rassicurarla Jarry le disse che se ne fosse morto qualcuno l'avrebbe aiutata a farne altri.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 112

Non è facile dedurlo dall' Ubu, ma Jarry era un uomo di grande cultura. Versato nei classici greci e latini, si entusiasmava anche per il neoplatonismo, l'araldica e Thomas de Quincey. Aveva in comune con Yeats più di quanto Yeats avesse compreso, considerando che Jarry era stato coinvolto nel revival dell'occulto diffusosi nella Francia del XIX secolo, ed era affascinato dall'arcano. Aveva letto importanti scrittori francesi dell'occulto quali Stanislas de Guaita e Joséphin Péladan, e – in polemica con questo contesto e con il deliberato intento di raggiungere stati allucinatori – Jarry beveva assenzio non per stordirsi ma per porsi fuori da ogni logicità.

Jarry aspirava a vivere un sogno a occhi aperti. Oscar Wilde aveva già scritto in merito al bisogno di fondere arte e vita, ma Jarry lo fece con una intensità tale da andare verso il surrealismo piuttosto che tornare indietro a Wilde. Quando fu trascinato via dopo aver sparato a Manolo, esclamò: "Non è stata forse buona letteratura?" "Possiamo affermare" scrisse Breton "che dopo Jarry, molto più che dopo Wilde, il principio di distinzione tra arte e vita, un tempo considerato necessario, si trovò messo in discussione, ferito e annichilito." Dopo Jarry, continua Breton, la biografia filtra incessantemente nella letteratura: "L'autore si impone ai margini del testo... [e non c'è] modo di sbarazzarsi dell'operaio che si è messo in testa di sventolare una bandiera nera dal tetto della casa appena costruita."

Più che la fusione tra arte e vita, spesso vista come l'obiettivo centrale dell'avanguardismo, Jarry aveva il progetto, potenzialmente più inquietante, di fondere sogno e veglia. Arcano ed esoterico tanto quanto l'avanguardia, Jarry si colloca, come dice Roger Shattuck, nella tradizione di Jean-Paul Richter, Rimbaud e soprattutto Gérard de Nerval, il cui scopo dichiarato era "dirigere i propri sogni". Come avrebbe scritto in seguito Breton: "Credo nella futura riconciliazione di quei due stati, che in apparenza reciprocamente si contraddicono, di sogno e realtà, in una sorta di realtà assoluta, di super-realtà." Jarry tentò di percorrere la scorciatoia liquida.

Le riflessioni di Jarry su questi temi si ritrovano nel suo romanzo I giorni e le notti: la storia di un soldato di leva di nome Sengle, dipendente dall'assenzio, che diserta l'esercito francese. Lo stesso Jarry era stato arruolato, ma fu esonerato "per demenza precoce". La diserzione di Sengle non è solo letterale ma metaforica; egli è profondamente assente nello spirito, è andato 'via' per rifugiarsi in sé stesso.

I giorni e le notti del titolo sono la realtà e il sogno. Sengle, seguendo Leibniz, "pensava che ci sono soltanto allucinazioni, o percezioni, e che non ci sono né giorni né notti (nonostante il titolo di questo libro, ed ecco perché lo si è scelto) e che la vita è continua". È continua allo stesso modo in cui la coscienza – e tutto l'esistente – sono visti come continui nel Libro tibetano deí morti, un testo che a Jarry sarebbe piaciuto, ma che venne tradotto solo dopo la sua morte.

Prima di questo brano (nel capitolo Pataphysics) i pensieri di Sengle hanno assunto sfumature chiaramente magiche o psicotiche. Egli ritiene i propri pensieri in grado di controllare il mondo esterno: "Sengle si era creduto in diritto, per la sua sperimentata influenza sull'habitus dei piccoli oggetti, di indurre l'obbedienza probabile del mondo." Giocatore d'azzardo, ebbro di assenzio e di brandy, scopre di poter controllare i dadi, predicendo il risultato agli avversari e vedendolo con gli occhi della mente prima ancora che accada.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 121

CAPITOLO SESTO

Dall'antichità all'ora verde


Come molte cose che finiscono male, la storia dell'assenzio comincia bene. Nel mondo antico la pianta dell'assenzio — artemisia absinthium, o assenzio maggiore — era largamente diffusa e considerata una delle migliori erbe medicinali. Il Papiro Ebers, un papiro egiziano del 1600 a.C., raccomanda l'assenzio come tonico e stimolante, antisettico, vermifugo, e come rimedio per le febbri e i dolori mestruali. Pitagora pensava che le foglie di assenzio nel vino facilitassero il parto, mentre Ippocrate lo consigliava per i dolori mestruali, l'anemia e i reumatismi. Galeno lo suggeriva per gli svenimenti e per la semplice spossatezza, mentre il naturalista romano Plinio credeva che facesse bene allo stomaco, alla bile e alla digestione in generale, e Dioscoride lo ricorda nel suo De Materia Medica come un buon rimedio contro l'ubriachezza.

Secondo Apuleio la pianta fu inizialmente data al centauro Chirone dalla dea Artemide, da cui il nome. Con i greci prende il più conosciuto nome attuale: da apsinthion, "imbevibile", per via del suo gusto amaro.

Paracelso, alchimista e fisico del Rinascimento, riscoprì la pratica egizia di usare l'assenzio contro le febbri, in particolare la malaria, mentre nel XVII secolo Nicholas Culpeper, nel suo English Physician, propone un assortimento di informazioni inattendibili:

L'assenzio è un'erba di Marte... dal gusto molto forte e secco. L'assenzio è adatto ai luoghi marziali, attorno alle fucine e alle ferriere se ne può trovare a iosa. Aiuta a guarire le malattie veneree e le conseguenze della lascivia dei giovani. Lenisce compassionevolmente i mali che il colera può infliggere al corpo di un uomo. Essendo un'erba di Marte, l'assenzio è un buon rimedio contro i morsi dei topi e dei ratti. I funghi sono sotto il dominio di Saturno, e se qualcuno si è avvelenato mangiandoli, l'assenzio, erba di Marte, lo cura, perché Marte si esalta in Capricorno. Supponiamo che un uomo venga morso o punto da una creatura marziale, ad esempio una vespa, un calabrone o uno scorpione, l'assenzio... fornisce la cura adeguata.

Ancora meglio, l'assenzio, ci dice Culpeper, previene sia l'ubriachezza che la sifilide, libera le vergini "dai pruriti" e cura la malinconia degli anziani, sebbene possa rendere irritabili gli uomini ingordi.

L'assenzio è sempre stato considerato efficace per sbarazzarsi dei vermi intestinali sia negli uomini che negli animali, inoltre teneva lontane le tarme – come la canfora, sua parente – e uccideva gli insetti. Un testo del XV secolo sulla falconeria e la caccia, The Saint Albans Book of Hawking, raccomanda succo di assenzio per eliminare gli acari del falco: "Prendete del succo di assenzio, versatecelo sopra e moriranno." Nell' Husbandrie di Tusser (1850) si trova una rima istruttiva:

        Se la camera è pulita, e l'assenzio strofinato,
        non v'è pulce che rimanga per rischiare l'attentato.

E ancora,

        È un conforto per la testa e per il cuore,
        e dunque berlo previene il dolore.

L'assenzio non è l'unico insetticida utilizzato per fare alcolici. Nell'America di metà Novecento il cocktail Mickey Slim era composto di gin e una minima quantità di DDT. Si pensava che desse "una marcia in più" al drink e avesse un effetto elettrizzante su chi lo beveva, procurando un effetto che alcuni trovavano piacevole. Indagheremo la questione nel capitolo undicesimo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 174

L'autore americano che ha descritto in maniera più efficace ed evocativa i meriti reali dell'assenzio è senza dubbio Ernest Hemingway. Il duraturo rapporto di Hemingway con l'assenzio, molto tempo dopo la messa al bando francese, affondava le radici nella sua esperienza della cultura ispanica in Spagna e a Cuba. L'assenzio in Spagna non fu mai proibito, anzi quando in Francia arrivò il divieto la Pernod trasferì la sua base operativa a Tarragona. Alcuni dei migliori assenzi al momento disponibili sono spagnoli, e lo scrittore inglese Robert Elms ha descritto in modo suggestivo il suo incontro con l'assenzio all'inizio degli anni Novanta nel famoso Barrio Chino di Barcellona.

Hemingway era sempre stato un grande bevitore, e Dardis ricorda come per un lungo periodo sembrò avere un talento particolare per l'alcol, "malgrado sporadici segnali che non tutto andava bene come poteva apparire". Nel 1928 ebbe il primo di una lunga serie di incidenti causati da sé, quando tirò la catena del gabinetto vicino all'ingresso di casa; o meglio, lui tirò una catena, ma gli cadde in testa un lucernario. E si procurò una ferita sulla fronte che gli rimase a vita. Non è chiaro che parte abbia avuto l'alcol in questo e in altri episodi, dice Dardis, ma a quanto pare Hemingway "deve aver provato ogni tipo di bevanda alcolica".

Quando Hemingway viveva in Florida si procurava l'assenzio direttamente da Cuba, dove aveva una casa e andava a pescare. Barnaby Conrad cita una lettera del 1931 in cui Hemingway scrive: "La notte scorsa mi sono attaccato all'assenzio e ho fatto dei giochetti col coltello. Che goduria lanciarlo contro il pianoforte." Quanto ai danni, amava dichiarare "sono stati i tarli", e Conrad nota sottilmente il comico scambio di parole, di cui Hemingway era con ogni probabilità inconsapevole.

Hemingway passò molto tempo in Spagna, dove amava assistere alle corride. Nel suo libro su questo tema, Morte nel pomeriggio, spiega perché a un certo punto smise di prendere parte a questi spettacoli: "Invecchiando diventava sempre più difficile arrivare allegro nell'arena senza aver bevuto almeno tre o quattro assenzi che, per quanto infiammassero il mio coraggio, alteravano leggermente i miei riflessi."

Il grande peana di Hemingway in onore dell'assenzio si trova nel suo romanzo sulla guerra civile spagnola, Per chi suona la campana. Robert Jordan è un americano sostenitore della guerriglia con la missione di far saltare un ponte e una delle sue poche consolazioni è l'assenzio, "la liquida alchimia" che ha il potere di rimpiazzare ogni altra cosa e le cui gocce possono persino evocare, come parte per il tutto, la vita conosciuta a Parigi:

...una tazza bastava a sostituire i giornali della sera, tutte le serate al caffè, tutti i castagni, che in quel mese erano certo in fiore, i grandi, pesanti cavalli dei boulevard esterni, le librerie, i chioschi, le gallerie, il Parc Montsouris, lo Stade Buffalo, le Butte Chaumont, la Guaranty Trust Company, l'Ile de la Cité, il vecchio Hótel Foyot e il poter leggere la sera e scaricarsi i nervi: tutte le cose che gli avevano dato gioia, che aveva dimenticate e che ora tornavano a lui quando gustava quell'amaro opaco filtro, caldo al cervello e allo stomaco, paralizzante per la lingua, liquida alchimia diversiva dei pensieri.

Jordan sta bevendo con Pablo, un inaffidabile membro della sua formazione partigiana che trova l'assenzio troppo amaro. "È l'artemisia" disse Robert Jordan. "La vera absinthe, come questa, contiene l'artemisia. Dicono che faccia marcire il cervello, ma io non lo credo. Fa solo deviare i pensieri. La regola è di versarci dentro lentamente l'acqua, a gocce..." Il giudizio definitivo di Hemingway arriva in seguito: il whisky con l'acqua è "un rimedio caldo e pulito":

"Ma non ti circola per tutto il sangue come l'absinthe" pensò Robert Jordan. Non c'è niente come l'absinthe.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 219

CAPITOLO UNDICESIMO

Cosa fa l'assenzio?


Rituali a parte, perché l'assenzio provocò tanto scalpore? Quali sono i suoi effetti? Nel cuore della leggenda, oltre alla decadenza, la rovina e il mondo bohémien, c'è l'idea che possa procurare un differente tipo di ebbrezza. Con livelli di imprecisione variabili, a volte ci si riferisce all'assenzio come a una droga, un narcotico e persino un allucinogeno. In dosi moderate era associato all'ispirazione, "nuove visioni e sensazioni uniche", e a una forma di intossicazione particolarmente 'chiara', una sorta di "euforia senza ubriachezza" .

I moderni consumatori americani, che spesso bevono assenzio fatto in casa, sembrano confermarlo: raccontano che "al di là dell'ovvio stordimento, si prova un'euforia particolare, diversa dalla confusione e dall'istupidimento tipici degli altri 'narcotici'. Con l'assenzio non si fissano i muri, si guarda oltre il muro"; c'è una "sensazione esaltante... non come con l'alcol e la marijuana. Si ha una lucidità impossibile da mantenere con gli altri due". Ancora più entusiasticamente, "conduce la mente conscia a un punto focale più limpido e conciso mentre, a volerlo, lascia aperta una porticina al subconscio per far entrare pensieri e idee, e dopo i preparativi di rito, al primo sorso... tutto il mondo è poesia".

Questi tre fanatici dell'assenzio — tutte donne, curiosamente — avranno forse uno stile più elegante della "Clinical Toxicology Review" (l'organo del Massachussets Poison Control System), ma i comuni denominatori sono nettamente riconoscibili:

I consumatori notavano il 'duplice assalto' dell'ebbrezza da assenzio: ubriachezza da etanolo ma anche un effetto decisamente diverso (euforia, senso di benessere, leggere allucinazioni visive), attribuibile nello specifico agli oli essenziali. Bere assenzio rallegrava l'umore e acuiva le percezioni, e così si spiega sia l'attrazione che la dipendenza psicologica verso i suoi effetti riscontrata nei consumatori cronici.


L'alterazione è reale, ma si continua a discutere su quanto dipenda semplicemente dall'alcol. Un bevitore di Praga disse a un giornalista che versare zollette di zucchero flambé nell'assenzio ne aumenta il "potere allucinatorio" grazie all'innalzamento della temperatura – dichiarazione piuttosto bizzarra se si considera che la marca a cui ci si riferiva è praticamente priva di assenzio. Aneddoti sulla potenza dell'Hill ("provoca sogni incredibilmente nitidi e immancabilmente osceni" ad esempio) sono interessanti sotto questo aspetto, perché contiene quasi solo alcol, il cui ruolo è talvolta sottovalutato.

L'alterazione da assenzio può provocare una sorta di effetto placebo, o più precisamente uno stato ambivalente simile allo stordimento da cannabis, definita dai farmacologi un'"esperienza erudita", in conformità con le aspettative culturali. L'affascinante resoconto dell'ebbrezza da assenzio fornito da Tom Hodgkinson rientra in questa categoria, e dà un'idea dello spirito che rese l'Hill tanto popolare in Gran Bretagna. Le guance si infiammano, dice Hodgkinson, e "si fa strada un'ubriachezza rilassata e ridanciana". Ma più di questo:

L'altro effetto — non meno interessante forse — è che bevendolo puoi fantasticare di essere un dissoluto poeta bohémien nella Francia del XIX secolo, che scambia battute con Baudelaire prima di buttare giù qualche strofa. Per poi picchiare la tua donna, ridendo come un folle mentre ti lanci sul letto di ottone gridando: "Voglio morire!"

Che roba! 'Restare dentro' è il nuovo 'uscire fuori'. Hodgkinson continua:

E se pensi di iniziare a dire sciocchezze dopo qualche birra, aspetta di sentire le assurdità con cui te ne uscirai dopo un paio di assenzi. Come disse un bevitore, l'assenzio produce una grande quantità di stronzate pseudoartistiche, mentre i drink più leggeri inducono a sparare solo qualche idiozia.


Forse il bere assenzio provoca un particolare tipo di ebbrezza, ma può portare anche a una sindrome specifica e riconoscibile, l'absintismo, noto fin dalla metà del XIX secolo.

| << |  <  |