Autore Alfonso Berardinelli
Titolo Aforismi Anacronismi
Edizionenottetempo, Roma, 2015, sassi nello stagno 6 , pag. 70, cop.fle., dim. 10,5x14,8x0,5 cm , Isbn 978-88-7452-538-6
LettoreCorrado Leonardo, 2015
Classe aforismi












 

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Indice


    Aforismi                               5

    Anacronismi                           35


    Nota bibliografica                    66
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Aforismi


Atomo di pensiero, cellula letteraria, microrganismo dal quale possono svilupparsi i più diversi e articolati generi di scrittura (lirica, saggio, teatro, racconto, sistema filosofico, trattato scientifico, manuale etico e pratico) l'aforisma non ha bisogno di dimostrare la sua ubiquità, versatilità e maneggevolezza. È a sua volta un genere vario quanto a struttura, finalità, collocazione. Può comparire da solo o in una serie concatenata intorno a un tema centrale, o nella definizione di un ambito del sapere. Ci sono le antiche raccolte di aforismi: dalle Upanishad ai sutra buddisti e yoghici, ai libri sapienziali della Bibbia, al Corpus Hippocraticum. Ma ogni epoca, cultura, letteratura nazionale e autore hanno dato al piú breve dei generi un carattere proprio: definizione, detto memorabile, sentenza, precetto, imperativo pratico o regola tecnica (in medicina, in amore, nell'arte della guerra), gioco di parole e paradosso dialettico, illuminazione filosofica, psicologica, mistica. Ci sono infine le moderne raccolte di massime (La Rochefoucauld, Goethe), di pensieri (Pascal, Novalis, Leopardi, Baudelaire), i diari, i quaderni e i taccuini di appunti (Kierkegaard, Valéry, Kafka, Scott Fitzgerald, Brecht, Weil, Camus). La forma saggistica moderna, a partire da Montaigne, usa l'aforisma sia come punto di partenza che come oggetto di commento e punto di arrivo.

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A parte argomenti specifici, i punti cardinali dell'aforisma sembrano essere:

1) come agisce la natura

2) come è fatto il mio io

3) come vivere

4) come funziona la vita sociale.

L'aforisma, insieme al verso, è il piú semplice e potente utensile verbale. È una piccola leva con cui si possono sollevare interi mondi. È fondativo, è mobile e fungibile. Abita come un seme o un parassita in tutti i generi letterari. Ha un'elementare utilità pedagogica, didattica, mnemotecnica. Il suo scopo oscilla tra il far conoscere, il far agire e il far ridere. Sappiamo davvero solo ciò che sappiamo a memoria. Questo è un aforisma personale, del cui con- tenuto sono convinto. Mi vedo costretto perciò a far seguire una sua modesta applicazione e a compiere un piccolo, esemplificativo esercizio di memoria. Quali aforismi o massime o sen- tenze o espressioni proverbiali mi vengono in mente senza sforzo? Qualche esempio: flge quod agis, "Fai quello che stai facendo" (proverbio antico). Festina lente, "Nella fretta sii lento" (Augusto, secondo Svetonio). Respice finem, "Guarda allo scopo" oppure "Considera le conseguenze" (anonimo). Sapere aule, "Osa conoscere" (Kant). 8 9 E infine: Human kind / Cannot bear vere much reality, "Il genere umano / non riesce a sopportare molta realtà" (T.S. Eliot). Ci sono due tipi di scrittore, quelli che lo sono e quelli che non lo sono (Karl Kraus). Se si comincia con Kraus non si finisce piú. Nel Novecento è stato il piú grande poeta dell'aforisma assoluto. Uno psicanalista potreb- be spiegarmi perché ricordo queste cose e non altre. Ma a uno psicanalista risponderei poco gentilmente con un altro aforisma di Kraus: "La psicanalisi è la malattia che pretende di guarire". Si potrebbe dire dell'aforisma quello che Kraus dice della stupidità: che ha valore retro- attivo. La stupidità attuale rende piú stupido anche il passato, mentre l'aforisma come lo con- cepisce Kraus modifica la tradizione aforistica portandola al parossismo. A volte fa pensare a Lichtenberg, a volte a un Goethe che si senta continuamente in allarme e in pericolo, cosa che per la verità non gli succedeva troppo spesso. Ma ci sono massime di Goethe che sembrano davvero annunciare Kraus, se si leggono dopo aver letto Kraus: "Nessuno è piú schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo". Oppure: "Il vero oscurantismo non consiste nell'ostacolare la dif- fusione del vero, del chiaro, dell'utile, ma nel mettere in circolazione il falso". E qui si sente un Goethe piú sociologico che morale, consape- vole delle moderne mitologie: quella della liber- tà (per lo piú falsa o illusoria) e quella del sapere elargito a tutti senza limite e discrezione.

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Ci sono aforismi della solitudine, monologici, rivolti a se stessi. E ci sono aforismi dialettici o dialogici, bellici, polemici, con i quali si fronteggia la società e ci si fa strada in una giungla o in una sterpaglia di frasi fatte, di false verità o vere falsità di cui per abitudine non ci si avvede.

C'è l'aforisma assoluto, esplicito, voluto, consapevole, autoriflesso, praticato come origine e culmine del pensiero. E c'è l'aforisma di contesto, relazionale, occasionale, infiltrato e mescolato nel tessuto di altri generi, che appare come incipit o clausola o pietra angolare. Qualche esempio:


1) Il famoso incipit di Anna Karenina:

Tutte le famiglie felici si assomigliano. Ogni famiglia disgraziata, invece, è disgraziata a modo suo.


2) La clausola del Grande Gatsby:

Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno dopo anno indietreggia davanti a noi. C'è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo piú in fretta, allungheremo di piú le braccia... e una bella mattina...

Cosi continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.


3) Una fra le tante battute di Amleto, molto portato all'aforisma sia monologico ("To be or not to be") che polemico, paradossale e beffardo, ma anche argutamente morale:

Se è adesso, non sarà dopo. Se non sarà dopo, sarà adesso. Se non sarà adesso, sarà dopo: essere pronti è tutto.


4) Nei Quartetti di Eliot, opera poetica che poggia su aforismi e ne è intessuta, si parte dall'incipit del primo:

    Time present and time past
    Are both perhaps present in time future,
    And time future contained in time pass.
    If all time is eternally present
    All time is unredeemable.

    Il tempo presente e il tempo passato
    sono forse entrambi presenti nel tempo futuro,
    e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato.
    Se tutto il tempo è eternamente presente
    tutto il tempo è irredimibile.

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La mia generazione è cresciuta con la prima traduzione del Tractatus di Wittgenstein e di Angelus Novus, una raccolta di scritti di Benjamin curata da Renato Solmi. "Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere", la proposizione conclusiva del Tractatus, anche se poteva avere piú di un significato, ci sembrò una specie di comandamento, un severo e onestissimo invito alla temperanza nel linguaggio filosofico: virtù che spari presto con l'arrivo di Blanchot, Lacan, Derrida, con Nietzsche, Freud e Heidegger mescolati e parafrasati all'infinito dai francesi.

La fortuna di Benjamin è un capitolo a parte, per discuterla ci vorrebbe un libro. Si tratta ormai di una moda che è arrivata a confondersi con il culto idolatrico di uno dei suoi maggiori avversari, il filosofo essenzialista Heidegger.

Il testo di Benjamin più letto negli anni sessanta furono le Tesi di filosofia della storia, saggio aforistico nel grande stile della tradizione tedesca. Ma con Benjamin la dialettica illuminista e materialista, che va da Lichtenberg a Marx e a Brecht, si univa e si alternava con quella romantica e mistica: da Hamann a Herder (per i quali l'universo è un essere vivente, come per i maghi del Rinascimento) fino all'estetica del Simbolismo francese, al Surrealismo e alla Qabbala studiata da Gershom Scholem.

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Anacronismi


                Dite pure di noi
                — se questo vi farà piacere —
                che siamo dei rinunciatari.
                Che non riusciamo a tenere
                il passo con la Storia.

                Le frasi fatte — sappiamo —
                sono la vostra gloria.

                Noi, noi non ve le contestiamo.

                Essere in disarmonia
                con l'epoca (andare
                contro i tempi a favore
                del tempo) è una nostra mania.
                Crediamo nell'anacronismo.
                Nel fulmine. Non nell'avvenirismo.

                                   Giorgio Caproni


                Cerca di non vivere nel tuo tempo.

                       Georg Christoph Lichtenberg





Io sono un anacronismo. Forse lo siete anche voi. Nessuno lo è del tutto. Nessuno ne è immune. Esiste un tempo condiviso, è il tempo degli orologi e dei calendari. Nasce da un accordo, da una convenzione e fa funzionare la vita associata. Poi ci sono i tempi degli individui, di certi lavori, di certe specifiche azioni: muoversi nello spazio, capire qualcosa di nuovo, restare o andare, permanere o cambiare. C'è il tempo stabilito e c'è il tempo necessario, che rispondono a doveri diversi. Il tempo stabilito risponde a un dovere verso gli altri. Il tempo necessario risponde a un dovere verso la cosa che si fa (per farla come merita) e a un dovere verso se stessi (perché il fare migliori e non peggiori chi agisce o lavora).

Quando il tempo collettivamente stabilito e imposto crea doveri troppo invadenti e soverchianti, allora accade che i singoli sentano di piú l'istinto di fare a modo proprio, non secondo tempi pubblicamente stabiliti, ma privatamente piú accettabili, comodi, liberi, piacevoli. Questo perché ogni scopo esige i suoi tempi e si tratta di vedere a quale scopo si sta lavorando e ubbidendo, chi ha inventato, costruito, dettato, imposto certi scopi.

Di anacronismo, di tentazioni o istinti o impulsi momentanei all'anacronismo ce ne sono diversi. C'è l'anacronismo dei giovani, che non hanno ancora accettato le convenzioni, gli accordi e le regole in base a cui funziona la società nella quale dovranno passare la vita. C'è l'anacronismo di chi è stufo di essere stato costretto alle sincronie sociali e comincia a pensare che i tempi socialmente stabiliti lo abbiano spinto o costretto a tradire, a dimenticare se stesso, quello che voleva o avrebbe potuto volere, se soltanto avesse avuto il tempo per pensarci.

C'è l'anacronismo di chi non vuole perdere le proprie abitudini (siamo un tessuto di abitudini: la vita è fatta di abitudini buone o cattive almeno per l'80 per cento). C'è l'anacronismo di chi non vuole perdere le abitudini che si è abituato a considerare preziose perché, fino a quel momento, gli hanno permesso di vivere senza disperarsi. La tendenza all'anacronismo aumenta in chiunque non si adatta o non vuole adattarsi. Può essere un andare contro tempo, sia quello di chi vuole tempi piú lenti, che quello di chi vuole tempi piú veloci, quello di chi apprezza il passato e ci riflette, e quello di chi sogna il futuro, ne ha bisogno, ci crede, ci lavora, ci spera.

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