Copertina
Autore Wiebe E. Bijker
Titolo La bicicletta e altre invenzioni
EdizioneMcGraw-Hill, Milano, 1998, Dynamie , pag. 338, dim. 148x210x25 mm , Isbn 978-88-386-3705-6
OriginaleOn Bicycles, Backlites, and Bulbs
EdizioneMIT Press, Cambridge MA, 1995
TraduttoreMauro Formaggio
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe sociologia , storia sociale , storia della tecnica , design
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Indice

Ringraziamenti                                            IX

Introduzione                                              XI

Da deviazione a strada maestra                           XIV
Paletti segnaletici                                      XVI
Struttura dell'opera                                     XXI
Requisiti per una teoria del cambiamento
    sociotecnologico                                    XXII
Forma espositiva e finalità dell'opera                   XXV

1. Il re della strada: costruzione sociale del biciclo
   e della bicicletta                                      1

Introduzione                                               1
Preistoria del biciclo: dalla "macchina per correre"
    all'Ordinary                                           2
Gruppi sociali e sviluppo dell'Ordinary                   12
Gruppi sociali pertinenti                                 25
Problemi e soluzioni                                      30
Soluzioni al problema della sicurezza dell'Ordinary       32
Flessibilità interpretativa                               52
Lo pneumatico                                             55
Chiusura e stabilizzazione                                61
La bicicletta (safety bicycle)                            65
Conclusione                                               74

2. Il quarto regno: costruzione sociale della bakelite    77

Introduzione                                              77
Preistoria delle plastiche sintetiche                     80
Il prodotto di condensazione fenolo-formaldeide e
    la sua flessibilità interpretativa                    90
Alla ricerca di un surrogato della celluloide             94
Il quadro tecnologico                                     97
Leo Hendrik Baekeland: dalla carta Velox alla cella
    Hooker                                               101
Gradi di inclusione in un quadro tecnologico             114
Ricerca di una plastica fenolo-formaldeidica             116
La costruzione sociale della bakelite                    126
Il quadro tecnologico come concetto teorico              162
Conclusione                                              168

3. La maestà della luce diurna: costruzione sociale
   dell'illuminazione a fluorescenza                     169

Introduzione                                             169
Struttura dell'industria delle lampade elettriche        171
Primordi della lampada a fluorescenza                    177
La lampada a fluorescenza a bassa tensione               187
La costruzione sociale dell'illuminazione a fluorescenza 205
Potere e costruzione di tecnologie                       228
Conclusione                                              234

4. Conclusione: la politica del cambiamento
   sociotecnologico                                      237

Simmetria e sociotecnologia                              237
Verso una politica della sociotecnologia                 246

Note                                                     257
Bibliografia                                             293
Indice dei nomi                                          315
Indice analitico                                         321

 

 

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Pagina XI

INTRODUZIONE



Le storie che raccontiamo sulla tecnologia indicano come la concepiamo collocata nelle nostre vite e nella nostra società. Non solo, ma possono anche influire su questa nostra concezione. Sono storie che esprimono teorie ma possono anche fuorviare, conviene dirlo subito, specialmente quando restano alla superficie degli avvenimenti per offrircene un quadro semplice e chiaro. Questo è un libro di storie e di teoria. Per semplicità, lo apriamo con alcune storie.


Nel 1898 una ciclista percorreva la campagna inglese. Vestiva un paio di knickerbockers che le parevano l'indumento più pratico e comodo per una donna in bicicletta. Dopo un buon tratto vide un'osteria e decise di sostarvi per dissetarsi e riposarsi un poco. Ma con sua sorpresa il proprietario non la lasciò accomodare nella coffee room (il luogo riservato alle signore - N.d.T.), dicendole che se voleva essere servita doveva accontentarsi del public bar. L'oste avanzava obiezioni sull'abbigliamento della ciclista: evidentemente, secondo lui, una donna poteva presentarsi convenientemente in pubblico solamente indossando una gonna lunga. La ciclista protestò, naturalmente, e denunciò l'oste, al quale però il giudice riconobbe il diritto, in quelle circostanze, di rifiutare il servizio al tavolo nella coffee room. La storia non finì con quella sentenza, anzi ebbe una notevole risonanza come episodio della lotta per i diritti delle donne. Perciò mi domando: possiamo concludere che questo artefatto tecnologico, la bicicletta (safety bicycle), che consentiva alla nostra ciclista di viaggiare da sola e di scegliersi un abbigliamento più comodo, abbia avuto una parte nel cambiamento dei ruoli tradizionali dei due sessi e nella costruzione della società moderna?


"Dio disse 'Sia Baekeland', e la plastica fu ovunque". Pochi inventori hanno influito sulla società quanto Leo Baekeland. Questo brillante inventore ha creato il primo materiale veramente sintetico, per rimpiazzare materiali naturali o seminaturali come l'avorio e la celluloide, sviluppando anche molte delle applicazioni che avrebbero poi condotto la società nell'era della plastica.

[...]

Nel 1938 la General Electric, che cercava di lanciare la lampada a fluorescenza come fonte di luce colorata, si trovò subito a lottare contro le aziende elettriche, che temevano la maggiore efficienza di quel nuovo tipo di lampada e il suo effetto negativo sulle vendite di energia elettrica.

[...]

Le tre storie citate illustrano molti dei temi affrontati in questo libro. Per esempio, in quale modo le relazioni fra i sessi possono influire sul progetto di un biciclo? I bicicli, infatti, solo a un certo punto diventarono strumento dell'emancipazione femminile, ma all'inizio rafforzarono le differenze fra i sessi - per esempio, alle donne era lecito usare solamente tricicli, preferibilmente a due posti e con un uomo alla guida. Diventa quindi naturale domandarsi: quale effetto ha avuto sulla società l'evoluzione del biciclo, nei suoi vari tipi fino all'attuale bicicletta? E in quale modo questa evoluzione ha formato le relazioni sociali (vedi Figura 1)? Incontriamo qui l'altro tema di questo libro, nel quale esploreremo sia l'apporto tecnologico all'evoluzione sociale, sia l'apporto sociale all'evoluzione tecnologica.

La formulazione della nostra materia in termini di "società" e di "tecnologia" non deve peraltro farci trascurare il fatto che tanto l'una quanto l'altra sono costrutti umani. Le tecnologie sono create dai tecnici che lavorano da soli o in gruppo, dagli esperti di marketing che fanno conoscere al mondo i nuovi prodotti e processi, e dai consumatori che decidono di acquistare o di non acquistare i nuovi prodotti e che modificano ciò che hanno acquistato, in modi che nessun tecnico aveva immaginato. Le tecnologie vengono quindi plasmate non solamente dalle strutture sociali e dai rapporti di potere, ma anche dalla fantasia e dalla partecipazione emotiva degli individui. Peraltro, le caratteristiche di questi individui dipendono anche dai condizionamenti sociali. Valori, competenze e obiettivi si formano nelle culture locali e ci consentono di arrivare a capire la creatività tecnologica anche attraverso una lettura in chiave storica e sociologica. La seconda classe di temi affrontata dal libro è proprio questa: come possiamo collegare ai processi sociali le interazioni fra singoli soggetti quali sono i tecnici e gli utilizzatori? E come possiamo ricondurre la microanalisi dei singoli casi a una teoria generale dei processi di cambiamento sociale e tecnologico?

Il collegamento delle microstorie con le macrostrutture comporta domande sulla struttura interna delle tecnologie: sulla natura del lavoro degli inventori, sull'interazione fra conoscenza, competenze tecniche e macchine, sull'epistemologia della tecnologia. Ma comporta altresì la considerazione della politica della tecnologia. Il rapido sunto della storia della lampada a fluorescenza ha indicato come questa sia stata condizionata dai rapporti di potere fra la General Electric e le aziende elettriche e come essa abbia a sua volta influito sull'evoluzione di tali rapporti. In quale modo gli artefatti tecnologici diventano strumenti di potere? E in quale maniera i rapporti di potere si materializzano in artefatti tecnologici? Alcuni artefatti sono più ostici, più resistenti di altri al cambiamento. Chi fu in condizione di modificare il progetto della lampada a fluorescenza, così com'era stato proposto nel 1938, e chi invece dovette adeguarsi al "prendere o lasciare"? Lo studio della resistenza delle tecnologie al cambiamento è un modo per comprendere quale parte abbia il potere nell'interazione fra tecnologia e scienza.

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Pagina XXI

Struttura dell'opera



Il nucleo di questo libro è formato da tre case studies: la bicicletta, la bakelite, la lampada a fluorescenza. Nella scelta dei casi mi sono attenuto a due criteri di massima: in primo luogo concentrare l'analisi sull'effettivo processo progettuale della tecnologia e sui dettagli degli artefatti e dei processi, in secondo luogo assicurare una base empirica abbastanza ampia da sostenere la generalizzazione.

Il primo criterio contiene implicitamente la definizione di "tecnologia", per questo mio studio, e comporta la selezione di casi che consentano di studiare gli aspetti "hard" della tecnologia, più che i suoi aspetti sistemici. Ho deciso perciò di concentrarmi sulle "innovazioni elementari" e non sui sistemi tecnologici, scegliendo la bicicletta e non l'automobile, la bakelite e non i materiali sintetici in generale, la lampada a fluorescenza e non l'illuminazione elettrica.

La scelta si è ispirata anche a un'idea intuitiva della "tecnologia" e della "società" come anche dei quesiti che si pongono circa il loro processo di sviluppo. Tuttavia, ciò che inizia come assunto intuitivo sull'oggetto della ricerca di questo studio sarà diventato, prima della fine del libro, un quesito decisivo: che cosa costituisce "artefatto", "progetto", "cambiamento tecnologico", "tecnologia", "società"? Nel corso del libro l'oggetto della ricerca passerà quindi dagli artefatti tecnici elementari agli "insiemi sociotecnologici".

Il secondo criterio si fonda sul desiderio di creare una base empirica relativamente ampia da sostenere le generalizzazioni. Nella valutazione dell'eterogeneità dei casi presi in considerazione ho fatto riferimento a diversi aspetti: il periodo al quale risale l'invenzione, la disciplina tecnica o scientifica di riferimento, il contesto industriale, il mercato per il quale è stata concepita, il suo processo inventivo, il carattere del prodotto. Ho selezionato i casi che, nel loro assieme, abbracciano gran parte del periodo successivo alla seconda rivoluzione industriale: la bicicletta (nella sua prima forma, il biciclo) copre gli anni 1860-1890, la bakelite gli anni 1880-1920, la lampada a fluorescenza gli anni 1930-1945. I casi si differenziano anche nel background tecnologico: meccanico (la bicicletta), chimico (la bakelite), elettrico (la lampada a fluorescenza). Rispetto al contesto industriale, i casi vanno dall'officina del fabbro (la bicicletta) al laboratorio scientifico dei primi tempi (la bakelite), al grande laboratorio industriale (la lampada a fluorescenza). La bicicletta mirava esclusivamente al mercato di consumo, la bakelite (nella sua qualità di materiale per stampaggio) al mercato industriale e la lampada a fluorescenza a entrambi. Nella letteratura brevettuale si distingue spesso fra innovazione di prodotto e innovazione di processo: la bicicletta e la lampada a fluorescenza sono chiaramente innovazioni di prodotto, mentre la bakelite è principalmente un'innovazione di processo.

Volendo offrire una base empirica relativamente ampia, ho scelto di usare, in massima parte, fonti già pubblicate. Posso così presentare un numero di casi superiore a quello (uno o due) che avrei potuto ricavare dai materiali d'archivio non ancora pubblicati. I casi non sono intesi principalmente per rivelare nuovi fatti, benché siano presentati con un dettaglio tale che i lettori ne potranno ottenere, spero, nuove conoscenze sugli eventi descritti. Mi aspetto tuttavia che il beneficio principale deriverà dalle generalizzazioni che ne vengono tratte e dal valore aggiunto del raffronto fra i casi. Ed è ai requisiti per questo apparato teorico che ora rivolgo l'attenzione (vedi Tabella 1).


TABELLA I Requisiti per una teoria del cambiamento sociotecnologico.

1. Cambiamento/continuità L'apparato concettuale deve consentire l'analisi del cambiamento tecnologico ma anche della continuità e della stabilità delle tecnologie.

2. Simmetria L'apparato concettuale deve porre l"'efficacia" di un artefatto come explanandum e non come explanans. L'utilità del funzionamento di una macchina (la sua efficacia - N.d.T.) è il risultato dello sviluppo sociotecnologico e non la sua causa.

3. Attore/struttura L'apparato concettuale deve consentire l'analisi degli aspetti contingenti del cambiamento tecnologico e di quelli che riguardano i suoi attori, oltre che degli aspetti vincolati strutturalmente.

4. Tessuto unico L'apparato concettuale non deve porre distinzioni a priori, per esempio fra aspetti sociali, aspetti tecnici, aspetti scientifici e aspetti politici.

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Pagina XXIV

L'assunto finale del mio progetto teorico è che la società moderna vada analizzata come un tessuto unico. L'analista non deve assumere a priori l'esistenza di fattori scientifici, tecnici, sociali, culturali ed economici nettamente distinti. Le pieghe che eventualmente vi osserviamo sono attribuibili interamente agli attori e agli analisti. Un altro modo di esprimere l'idea è quello di riconoscere che un ingegnere di successo non è solamente un genio della tecnica, bensì anche un talento economico, politico e sociale. Un buon tecnologo è generalmente un "ingegnere eterogeneo" (Law, 1987).

La metafora del tessuto unico ha implicazioni non solamente sul lavoro empirico ma anche sull'apparato teorico. La mia proposta è di rendere i nostri concetti altrettanto eterogenei quanto le attività degli attori. Altrimenti le vecchie distinzioni a priori rientrerebbero, per così dire, dalla finestra della generalizzazione dopo essere state allontanate dalla porta della ricerca empirica. Il quarto requisito per una teoria dello sviluppo tecnologico è quindi quello di non fare nessuna scelta a priori, in merito al carattere sociale, tecnologico o scientifico dei tratti specifici che osserviamo nella sua applicazione.

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Pagina 1

1
IL RE DELLA STRADA:
COSTRUZIONE SOCIALE DEL BICICLO E DELLA BICICLETTA



Introduzione


Prima di diventare il "re della strada", il biciclo era il "principe dei parchi". I giovani aristocratici si pavoneggiavano di fronte alle loro amiche percorrendo Hyde Park in sella ai loro bicicli. Quella curiosa macchina a ruota alta non era intesa tuttavia come normale mezzo di locomozione stradale e neppure come mezzo per consentire alle famiglie di muoversi in campagna. L'impiego per il trasporto e il turismo sarebbe stato raggiunto dalla bicicletta (safety bicycle) - veicolo a ruota bassa con telaio "quadro" (diamond frame) e trasmissione a catena sulla ruota posteriore - negli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo. Questo capitolo si appunta proprio sul processo di sviluppo e di affermazione della bicicletta.

Come mai la biciclettà è comparsa solamente dopo la deviazione evolutiva del biciclo a ruota alta? L'esame della storia del biciclo riscontra l'aumento e la successiva diminuzione del diametro della ruota anteriore, con inizio e fine intorno ai 22 pollici circa e con un massimo di circa 50 pollici. La differenza principale fra il primo e l'ultimo tipo risiede nel mezzo meccanico di propulsione: la spinta degli stivali sul terreno per il primo tipo, la trasmissione a catena sulla ruota posteriore per il secondo. In retrospettiva, sembra che tutti gli elementi tecnici occorrenti a trasformare in bicicletta il primo biciclo (una "macchina per correre") fossero presenti già dall'epoca di Leonardo da Vinci. Come mai, allora, è occorso più di mezzo secolo per la comparsa degli ingranaggi e della trasmissione a catena in un biciclo efficace? Quale strana deviazione si è compiuta, dalla diritta via del progresso tecnologico?

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Pagina 169

3
LA MAESTÀ DELLA LUCE DIURNA:
COSTRUZIONE SOCIALE DELL'ILLUMINAZIONE A FLUORESCENZA



Introduzione


Nel caso del biciclo è stato alquanto evidente il ruolo centrale di certi gruppi sociali pertinenti, come le donne, gli "uomini giovani, ricchi e atletici" e gli avversari del ciclismo. Artefatti tecnologici quali il biciclo Ordinary o lo pneumatico si inseriscono agevolmente nel modello di costruzione sociale. Lo sviluppo della bicicletta è stato, in effetti, un fenomeno "sociale". Ma era lecito domandarsi quale potesse essere l'apporto del modello SCOT nel caso di un'invenzione che nell'opinione generale era invece ascritta a un singolo individuo. Di questo si è occupato principalmente il Capitolo 2, dove ho dimostrato, senza sminuire il ruolo decisivo di Baekeland come ingegnere "eterogeneo", che lo sviluppo della bakelite può essere anch'esso analizzato utilmente alla stregua di un processo di costruzione sociale.

La bicicletta e la bakelite sono artefatti molto diversi l'uno dall'altro, per molti aspetti evidenti anche a prima vista. Anzitutto, essi riguardano due discipline tecnologiche diverse: la meccanica e la chimica, rispettivamente. In secondo luogo, mentre il prototipo di un nuovo biciclo era costruibile nella bottega del fabbro del villaggio con un modesto investimento, lo sviluppo della bakelite richiese cospicui capitali. In terzo luogo, la bicicletta è un tipico esempio di applicazione tecnica realizzata in assenza di un input "scientifico", mentre la bakelite è generalmente considerata un esempio di "engineering scientifico". In quarto luogo, la bicicletta è un tipico bene di consumo (durevole - N.d.T.), mentre la bakelite è stata sviluppata e prodotta come materiale per formatura, rivolto agli utilizzatori industriali. In quinto luogo, la bicicletta è (nel lessico dei procuratori brevettuali) un'invenzione di prodotto, mentre la bakelite è un'invenzione di processo. Infine, i due artefatti appartengono a due diversi periodi: la bicicletta si è sviluppata interamente nel XIX secolo, mentre la costruzione della bakelite è avvenuta agli inizi del XX secolo.

Nondimeno, in un certo senso i case studies del biciclo e della bakelite sono simili, giacché riguardano ambedue la costruzione di artefatti tecnologici nel loro primo stadio di sviluppo - al banco di lavoro dell'inventore. Si potrebbe perciò concludere che l'analisi socio-costruttivista si limiti ai casi di tecnologie ancora in costruzione. Ma questo sembra in contrasto con la mia precedente affermazione che tutti i gruppi sociali pertinenti - e non solamente i tecnici e i produttori - partecipano alla costruzione sociale dell'artefatto. Per affrontare la questione ho scelto il caso della lampada a fluorescenza. Dimostrerò che la lampada a fluorescenza così come oggi la conosciamo è stata costruita nel suo "stadio di diffusione" (come lo si può chiamare secondo il modello classico dello sviluppo tecnologico). I tecnici avevano già finito di progettarla al tavolo da disegno, da mesi o persino da anni, quando ebbe luogo la sua costruzione sociale "finale", nel 1939 - una costruzione sociale realizzata dai manager, al tavolo da riunione.

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Pagina 238

4
CONCLUSIONE:
LA POLITICA DEL CAMBIAMENTO SOCIOTECNOLOGICO



Dopo le storie e le teorie, è giunto il momento di occuparci di politica. Ho presentato questo libro come lo sforzo di trasformare in strada maestra ciò che, almeno per me, era iniziato come una deviazione. Nei tre capitoli precedenti ho narrato tre storie, costruendo un apparato concettuale che ha poi consentito di generalizzarle. All'inizio ho sostenuto che questo progetto poteva condurre a un nuovo modo di concepire le questioni politiche sulla società, la tecnologia e la scienza. La deviazione si sarebbe in tal modo trasformata davvero in strada maestra.

Aprirò questo capitolo riassumendo i tratti essenziali dell'apparato concettuale. Questo porterà a suggerire che, invece di formulare la problematica centrale STS [scienza tecnologia società] in termini di relazioni fra tre domini distinti, conviene orientare l'attività di ricerca e l'azione politica verso una nuova classe di soggetti: gli ensembles sociotecnologici. In seguito userò il concetto di potere appena introdotto (alla fine del capitolo precedente) per indirizzare l'attenzione sull'irriducibilità di tali ensembles sociotecnologici, e su ciò che essa può significare. Infine sosterrò che questa specie di analisi può servire a elaborare strategie di creazione di una cultura tecnologica più democratica.

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Pagina 240

Oltre gli artefatti tecnologici:
dal tessuto unico
agli ensembles sociotecnologici



Nella sua interpretazione più superficiale, la metafora del "tessuto unico" (seamless web) serve solamente a ricordare l'importanza dei fattori non tecnici per la comprensione dello sviluppo delle tecnologie. Essa ci richiama ai metodi contestuali di studio delle tecnologie, invece che alle analisi internaliste. Un'interpretazione più profonda, tuttavia, ci ricorda che la decisione di trattare un problema come problema tecnico o sociale, e di ricercarne le soluzioni nella scienza, nell'economia o in qualche altra disciplina non è mai chiara a priori e non è mai indipendente dal contesto. Questa interpretazione considera che le attività di tecnici e inventori sono descritte più convenientemente come attività eterogenee di relazione (network-building), anziché come semplici attività tecniche e inventive. Nella mia analisi ho compiuto un passo in più, suggerendo che non sono solamente i tecnici (neppure nella loro veste di tessitori di alleanze o di orditori di sistemi) ma tutti i gruppi sociali pertinenti a contribuire alla costruzione sociale delle tecnologie. Nel caso della lampada a fluorescenza ad alta intensità, per esempio, i veri progettisti non furono tecnici ai loro tavoli da disegno, bensì manager al tavolo da riunione.

È giunto il momento di compiere un passo ulteriore e di proporre una terza interpretazione di questo "tessuto unico". La "materia" cui compete l'invenzione della lampada a fluorescenza è l'economia ma anche la politica, è l'energia elettrica ma anche la fluorescenza. Chiamiamola "sociotecnologia". Le relazioni da me analizzate in questo libro sono di natura sociale, ma anche tecnologica. Le relazioni puramente sociali si trovano solamente nelle fantasie dei sociologi, o fra i babbuini, così come le relazioni puramente tecnologiche si trovano solamente nei voli più arditi della fantascienza. Il tecnologico è anche un costrutto sociale, così come il sociale è anche un costrutto tecnologico. Tutti gli ensembles stabili si reggono sul tecnologico e sul sociale. Le classi sociali, i gruppi occupazionali, le aziende, le professioni, le macchine: tutti questi ensembles si reggono su connessioni sociali e tecnologiche.

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Pagina 242

Nella mia concezione, il sociotecnologico non va trattato come una semplice combinazione di fattori sociali e di fattori tecnologici. Esso è invece un costrutto sui generis. Invece dell'artefatto tecnologico, il nostro elemento di analisi è ormai l'"ensemble sociotecnologico". Ogni volta che scriviamo "macchina" o "artefatto" come abbreviazione di "ensemble sociotecnologico", in linea di principio dovremmo essere in grado di delineare il carattere di costrutto (sociale) di quella macchina. Ogni volta che scriviamo "istituzione sociale" come abbreviazione di "ensemble sociotecnologico", in linea di principio dovremmo essere in grado di delineare le relazioni tecnologiche che concorrono alla stabilizzazione di quell'istituzione. La società non è determinata dalla tecnologia, come la tecnologia non è determinata dalla società. Ambedue emergono come le due facce della medesima medaglia sociotecnologica, durante i processi di costruzione degli artefatti, dei fatti e dei gruppi sociali pertinenti.

In quale modo questa estensione del principio di simmetria potrebbe influire sul nostro lavoro? Una possibile reazione è quella di rifuggire dalla complessità di questo nuovo mondo sociotecnologico, astenendosi da spiegazioni teoriche. Resterebbero solamente le narrazioni, solamente le questioni del "come", senza più modelli da formulare e senza più questioni del "come mai". Chiaramente non è questa la strada che raccomando. La complessità, per me, non è altro che uno sprone per sviluppare apparati concettuali più adeguati. La teoria del cambiamento sociotecnologico che sto sviluppando, per esempio, deve riflettere l'eterogeneità di questa "materia" sociotecnologica senza ridursi alla semplice "somma" del sociale e del tecnologico.

Un modo per evitare i due corni del riduzionismo tecnico e del riduzionismo sociale è quello di introdurre altre differenziazioni fra explanandum ed explanans, fra variabili dipendenti e variabili indipendenti, fra vicenda e antefatto (oreground e background) - differenziazioni che non si basino sulla distinzione fra il sociale e il tecnologico. Questo è esattamente ciò per cui è stato proposto il concetto di "quadro tecnologico". La sua eterogeneità dovrebbe consentirci di distinguere primi e secondi piani che non siano il tecnologico e il sociale (o viceversa).

Come prima illustrazione possiamo considerare il modello configurazionale descritto di seguito che ci consentirà di modellare il cambiamento sociotecnologico riferendolo a diverse configurazioni di quadri tecnologici e di gradi di inclusione.

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Pagina 246

Verso una politica della sociotecnologia



La deviazione accademica che ho descritto all'inizio di questo libro può diventare strada maestra in diversi modi. Anzitutto chi la percorre può scordare le motivazioni politiche del suo interesse iniziale per l'STS e proseguire semplicemente lungo la via maestra dell' attività accademica istituzionale. Dovrebbe essere ben chiaro, ormai, che non è questa la strada alla quale pensavo.

Una seconda possibile strada ritorna alle considerazioni politiche, ma per scopi che si collegano agli interessi di un determinato gruppo sociale. È la strada degli studi sulla politica scientifica e tecnologica, stimolati dai recenti successi in ambiente accademico, incoraggiati dalla domanda per strumenti che risolvano problemi di policy e favoriti da una cultura pragmatica che porta gli attivisti degli anni Settanta a diventare consulenti di management negli anni Novanta. Non è improbabile che il sapere raccolto finora con questa deviazione consenta lo sviluppo di strumenti concreti di policy, e che questi risultino utili nel quadro tecnologico dei policymakers. Neanche questa è tuttavia la strada maestra che intendo percorrere.

Mi interessa infatti una terza via che conduce a una politica della tecnologia. Questa politica riguarderà i valori, i potenziali di emancipazione e di oppressione, la democratizzazione e la pervasività della tecnologia nella cultura moderna. In altre parole, riguarderà gli ensembles sociotecnologici, oltre che la semiotica e la micropolitica del potere. Questa strada maestra partirebbe dall'assai citata affermazione di Langdon Winner (1980) che "gli artefatti hanno del politico" e la collegherebbe alle scoperte epistemologiche dei recenti studi di sociologia della conoscenza scientifica e al lavoro teorico ed empirico degli studi costruttivisti sulle tecnologie. La politica della tecnologia, così intesa, non fornirà gli strumenti concreti di policy (politica tecnologica) che invece vengono promessi dalla seconda strada da me citata. Sarà invece emancipazionista e non strumentale, politicizzante e non pacificante, problematizzante e non assolvente.

La mia tesi per una politica della tecnologia si articola in tre parti. Anzitutto sosterrò che per essa è conditio sine qua non un'analisi costruttivista, quale che sia. Tale analisi riguarda la malleabilità delle tecnologie, la possibilità di scelta, il sapere che le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma le tecnologie non sono sempre malleabili; possono anche essere irriducibili e assolutamente fisse. La seconda parte della mia tesi consisterà nell'analizzare questa irriducibilità degli ensembles sociotecnologici, per vedere quali limiti ne derivano per la nostra politica. Infine, con una sorta di poscritto, tratteggerò in generale il ruolo che gli studi STS potranno avere nella politica della tecnologia.

La prospettiva costruttivista fornisce la premessa teorica per una politica della tecnologia ed esemplifica la possibilità di un'analisi sociale delle tecnologie. Attraverso la dimostrazione della flessibilità interpretativa essa chiarisce che la stabilizzazione degli artefatti è un processo sociale che, in quanto tale, è soggetto a scelte, interessi e giudizi di valore - in breve, alla politica. Se non si accetta la flessibilità interpretativa, si finisce quasi certamente nella trappola del pensiero deterministico. Pochi studiosi di tecnologia si riconoscerebbero senz'altro nel determinismo, oggi, ma la questione resta cruciale per qualsiasi discussione circa la politicità degli studi sulle tecnologie.

Il determinismo inibisce lo sviluppo di controlli democratici sulle tecnologie perché fa ritenere irrilevanti tutti gli interventi. Questo vale per la scienza come per le tecnologie (Bijker, 1985; Collins e Pinch, 1993). Se i fatti scientifici sono dettati dalla Natura, e non costruiti dagli uomini, allora ogni controversia scientifica (per esempio quella sul rischio delle radiazioni) potrà essere risolta solamente con la dimostrazione che una parte è nel "giusto" e l'altra è in "errore". Se accettiamo l'idea che il dibattito verte unicamente sulla Natura, allora è ragionevole per i cittadini restarsene in disparte affinché "gli scienziati risolvano la questione fra di loro". E se non illustriamo le tesi costruttiviste dello sviluppo sociotecnologico, sottolineando le possibilità e i limiti del cambiamento e della scelta in materia di tecnologie, una grande parte del pubblico finirà per volgere le spalle alla prospettiva del decision-making partecipativo, con il risultato che le tecnologie sfuggiranno al controllo.

Senza il riconoscimento della flessibilità interpretativa degli ensembles sociotecnologici, l'analisi delle tecnologie e della società è destinata solamente a riprodurre i significati stabilizzati degli artefatti tecnologici e mancherà molte opportunità di intervento. Ma la flessibilità interpretativa va dimostrata in maniera rigorosa, con uno sforzo che vada al di là della semplice osservazione che "le tecnologie sono fatte dagli uomini e perciò sono soggette a molte influenze sociali". La tesi costruttivista è che il nucleo delle tecnologie, ciò che ne determina l'efficacia, è un costrutto sociale. In tal modo si riuscirà, com'è doveroso, a svincolare la politica dagli artefatti e si potrà finalmente superare la tesi corrente, secondo la quale "biasimare la struttura sembra persino più sciocco che biasimare le vittime, quando si giudicano le condizioni della vita pubblica" (Winner, 1986,20).

Sostenere la malleabilità delle tecnologie non significa dimenticare la solidità e l'inerzia, per così dire, degli ensembles sociotecnologici. Aspettative eccessivamente ottimistiche, basate su una falsa sensazione di malleabilità a piacere, possono portare facilmente alla delusione. La politica e la teoria della sociotecnologia devono rispondere a requisiti simili, per questo aspetto: un equilibrio fra malleabilità e irriducibilità sul piano politico, e un equilibrio fra attore e struttura sul piano teorico.

Nella mia discussione sulla semiotica ho sostenuto che la fissazione di significati durante la formazione di un quadro tecnologico è una forma di potere. Ora preciserò ulteriormente la mia tesi, in termini di irriducibilità degli ensembles sociotecnologici. Nei capitoli precedenti gli artefatti sono stati descritti, benché implicitamente, come aggregati di significati (bundles of meanings), come esemplari (exemplars) e come oggetti liminari (boundary objects). Il modello descrittivo ha preso le mosse dai significati che vengono attribuiti dai gruppi sociali pertinenti e che vanno a costituire l'artefatto tecnologico. Questo implica forse che tali "aggregati di significati" abbiano una flessibilità illimitata? I gruppi sociali pertinenti possono attribuire qualsiasi significato, senza nessun vincolo? Naturalmente no. Le attribuzioni di significato sono processi sociali e, come tali, sono soggette a vincoli. Le attribuzioni precedenti di significato limitano la flessibilità delle attribuzioni successive, si formano strutture, si stabilizzano artefatti e gli ensembles diventano più irriducibili. Il concetto di "quadro tecnologico" è servito appunto per spiegare questo tipo di processo. Le interazioni con un artefatto, fra i gruppi sociali pertinenti e all'interno dei singoli gruppi, portano alla creazione di un quadro tecnologico che limita la libertà di attribuzione di significati, da parte dei gruppi sociali pertinenti.

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Poscritto: il paradosso della politica sociotecnologica



Questo libro si è aperto con i singoli artefatti e la loro costruzione sociale, per passare poi ai gruppi sociali pertinenti che vengono limitati e formati dalle tecnologie. Ora si chiude dopo essere giunto al massimo livello di aggregazione - quello della cultura tecnologica. A questo livello la problematica STS di apertura può trovare nuove formulazioni, molte delle quali sono già state presentate: la concezione costruttivista di fatti e artefatti, l'integrazione del tecnologico e del sociale nel medesimo elemento di analisi, la concezione del potere che coniuga attore e struttura, infine l'analisi dell'irriducibilità della tecnologia. Vi è poi un'implicazione generale con la quale mi piace concludere, ma nella forma di poscritto giacché essa è più simile a una proposta che a una conclusione.

Una delle implicazioni principali dell'analisi, finora, è che non vi sono attori o gruppi sociali dallo status speciale. Tutti i gruppi sociali pertinenti contribuiscono alla costruzione sociale delle tecnologie; tutti gli artefatti pertinenti contribuiscono alla costruzione delle relazioni sociali. Essa si riflette anche nella concezione del potere che ho tratteggiato. Tanto l'aspetto semiotico quanto l'aspetto micropolitico di questa concezione sottolineano che il cambiamento sociotecnologico non può essere inteso come il prodotto di un primo attore, sia questi un inventore, un product champion, un'azienda o un'istituzione governativa. Le conseguenze sono alquanto radicali. I metodi di valutazione delle tecnologie ai quali i parlamenti riservano un ruolo preminente e le teorie di management innovative alle quali le aziende riservano un ruolo altrettanto preminente hanno il segno dell'inadeguatezza. E neppure i miei tentativi di descrivere le strategie micropolitiche di cambiamento delle tecnologie e della società porteranno mai a un apparato concettuale o a un insieme di strumenti di policy che guidino con certezza il cambiamento sociotecnologico in una particolare direzione. Non è infatti questione di relativismo postmoderno, ma di riconoscimento dell'esistenza inevitabile di altri attori che contribuiscono alla costruzione della società e delle tecnologie e che sfuggono al controllo.

Una conseguenza di questa osservazione è che noi non possiamo più immaginare che gli studi costruttivisti di STS giovino principalmente a determinati gruppi sociali, per esempio i meno avvantaggiati o i meno potenti. Qualcuno potrebbe forse tentare di affermare che gli studi STS da me considerati, mettendo in evidenza che i fatti, gli artefatti, gli ordinamenti sociali e gli ensembles sociotecnologici sono dei costrutti, consentiranno a quelli che sono tenuti in ostaggio dalle strutture di potere semiotico - i cittadini digiuni di scienza, i consumatori, i pazienti, le donne, i lavoratori, gli abitanti in zone prossime a impianti chimici o nucleari, gli ambientalisti - di spezzare le loro catene e guadagnare la libertà. Non lo si può escludere, ma neanche dare per certo. Anzitutto, la scienza e le tecnologie possono anche essere applicate vantaggiosamente dai meno privilegiati. Gli ambientalisti, per esempio, ricorrono frequentemente a dati scientifici nelle loro lotte, e l'ultima cosa che vorrebbero è vedersi decostruire le loro risultanze e le loro argomentazioni. In secondo luogo non vi è ragione perché i potenti non sfruttino il sapere della comunità STS o non ingaggino addirittura dei costruttivisti per potenziare le loro strategie micropolitiche. La forza relativizzante degli studi costruttivisti di STS non consente quindi a questa scuola di considerarsi politically correct in modo semplice e inequivocabile.

Ma l'STS non deve fermarsi qui. L'osservazione che tutti i cittadini hanno accesso al sapere potrà indurre alcuni a reclamare la decentralizzazione del controllo e delle responsabilità - "democrazia locale", per esempio, in luogo di un sistema normativo nazionale. Tale "normazione di libero mercato" lascerebbe acriticamente al loro posto le grandi strutture di potere semiotico. Ricompare quindi, e con urgenza, il problema di come una politica della tecnologia possa concorrere all'affermazione di modi istituzionali e strutturali per garantire la natura democratica della cultura tecnologica. La sua soluzione, tuttavia, prende necessariamente la forma di un paradosso: riconoscere che non può esistere nessun gruppo sociale preminente - che non vi è nessun Leviatano - ma proporre nel contempo una qualche forma di sistema normativo istituzionale.

Questa proposta aperta, e potenzialmente paradossale, riflette peraltro l'intento di questo libro. Benché abbia argomentato per una politica della tecnologia (e non, per esempio, una politica tecnologica) e abbia cercato di sviluppare una teoria costruttivista del cambiamento sociotecnologico (e non, per esempio, una teoria economica), ho anche voluto narrare le mie tre storie rispettandone la ricchezza intrinseca. Per conseguenza, ho cercato di non rendere questo libro un mondo chiuso, che non lasciasse spazio a interpretazioni alternative delle sue storie. Tirando le somme giungo perciò a questo: un appello a combinare il lavoro empirico con la riflessione teorica in modo da rafforzare i legami fra gli studi accademici di STS e l'azione politicamente pertinente - una strada maestra per gli studi di STS, da quella che era iniziata come una deviazione accademica.

    "È venuto il momento", disse il Tricheco,
    "di parlare di molte cose:
    biciclette, bakeliti e lampadine,
    teorie e re..."

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