Copertina
Autore Roberto Bondì
Titolo Solo l'atomo ci può salvare
SottotitoloL'ambientalismo nuclearista di James Lovelock
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2007, Frontiere , pag. 140, cop.fle., dim. 15x23x1,4 cm , Isbn 978-88-02-07704-8
LettoreCorrado Leonardo, 2007
Classe energia , ecologia
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Indice

VII Premessa
 XI Prologo

  3 1. Lovelock e Gaia

    1.1 Scienziato indipendente e padre dell'ambientalismo, p. 3
    1.2 L'ipotesi di Gaia, p. 5
    1.3 La teoria di Gaia, p. 8
    1.4 Non lotta, ma cooperazione, p. 14
    1.5 La rispettabilità di Gaia, p. 19
    1.6 Teorie scientifiche e visioni del mondo, p. 22
    1.7 Dal meccanicismo all'ecologia, p. 28
    1.8 Alla sbarra, p. 33
    1.9 Dieci domande, p. 35
    1.10 Per chiudere, p. 38

 49 2. Gli amici nemici

    2.1 Perché Lovelock piace agli ambientalisti, p. 49
    2.2 Perché Lovelock non piace agli ambientalisti, p. 52
    2.3 Perché gli ambientalisti piacciono a Lovelock, p. 56
    2.4 Perché gli ambientalisti non piacciono a Lovelock, p. 60
    2.5 Per chiudere, p. 66

 76 3. La Terra ha la febbre...

    3.1 L'Antropocene, p. 76
    3.2 Le analisi e le previsioni dell'Ipcc, p. 77
    3.3 Disinnescare la bomba, p. 82
    3.4 Gli "scettici", p. 85
    3.5 Gaia come Kali, p. 88
    3.6 A qualcuno piace freddo, p. 90
    3.7 Il nocciolo del problema, p. 92
    3.8 Per chiudere, p. 94

101 4. ... E il medico planetario prescrive il nucleare

    4.1 «Litigiosi animali tribali », p. 101
    4.2 L'ambientalista che ha sempre voluto l'atomo, p. 102
    4.3 Una «ritirata sostenibile», p. 105
    4.4 Fonti di energia parte prima, p. 107
    4.5 Fonti di energia parte seconda, p. 109
    4.6 Parentesi su Chernobyl, p. 112
    4.7 Fonti di energia parte terza e ultima, p. 114
    4.8 Guida per i sopravvissuti, p. 115
    4.9 Per chiudere, p. 116

125 Epilogo
127 Bibliografia
137 Indice dei nomi


 

 

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Pagina VII

Premessa


Si può essere allo stesso tempo ambientalisti e nuclearisti? Si può ritenere che le preoccupazioni per l'ambiente siano fondate e allo stesso tempo pensare che il nucleare debba essere preso seriamente in considerazione come fonte di energia sicura, affidabile e rispettosa dell'ambiente? Una risposta affermativa a queste domande viene dallo scienziato inglese James Lovelock, celebre padre della teoria di Gaia e guru dell'ambientalismo.

Contrariamente a quanto alcuni pensano, Lovelock su questo è stato sempre coerente. La sua difesa del nucleare è antica. È nuova l'intensità della sua richiesta di liberarsi di quelli che per lui sono soltanto pregiudizi ideologici e paure infondate. La sua prosa è brillante e i suoi argomenti, che spesso suonano provocatori, fanno discutere. Nonostante qualche maldestro tentativo, che pure è stato fatto, è difficile liquidare le sue posizioni, anche perché gli ambientalisti "ortodossi" non possono fare con lui quello che di solito fanno con i nuclearisti: lanciare l'accusa di essere sul libro paga dell'industria.

Ciò che rende dirompente l'appello di Lovelock in favore del nucleare è proprio il fatto di essere lanciato in nome dell'ambiente. Col passare del tempo sono aumentate le sue preoccupazioni per il riscaldamento globale, che gli appare un problema reale e grave, e si è rafforzata la sua convinzione che non esista un'alternativa al nucleare altrettanto sicura e immediatamente disponibile per la produzione di elettricità su vasta scala. Secondo lo scienziato inglese, il nucleare non è un pericolo per Gaia.

Le idee di Lovelock su questi temi sono oggi raccolte in un libro che è stato pubblicato nel 2006, diventando subito un bestseller internazionale: The revenge of Gaia: why the earth as fighting back – and how we can still save humanity. In Italia non si è tardato a tradurlo. Lo ha fatto la Rizzoli, sempre nel 2006. I risultati purtroppo sono pessimi. La fretta ha giocato un brutto scherzo: la traduzione presenta errori e fraintendimenti, e come se non bastasse interi brani dell'originale inglese risultano non tradotti.

Dell'ultima opera di Lovelock ho dato ampio conto in questo libro. Che inizia con un capitolo non specialistico sulla teoria di Gaia (per approfondimenti sul tema, mi permetto di rinviare a Bondì, 2006). È una scelta non casuale. Agli occhi di Lovelock, ciò che rende peculiari le sue analisi è di essere state fatte da un «medico planetario», la cui paziente, la Terra vivente, si sta lamentando per la propria condizione febbricitante: questo medico ha gli strumenti più adeguati per visitare Gaia e per prescrivere la medicina più efficace.

Il secondo capitolo è dedicato al rapporto ambivalente tra Lovelock e gli ambientalisti. Il terzo al tema del riscaldamento globale così com'è affrontato dal Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (istituito nel 1988 dall'Organizzazione meteorologica mondiale e dal Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite), da scienziati per alcuni versi fuori dal coro come James Hansen, dai cosiddetti "scettici" e, naturalmente, da Lovelock. Il quarto capitolo, infine, esamina e discute le proposte di politica ambientale avanzate dal teorico di Gaia.

L'impressione di Lovelock, certo condivisibile, è che l'epoca nella quale ci è concesso di vivere contenga dosi inaccettabili di ignoranza scientifica: si è permesso ai romanzieri e alle lobby verdi di servirsi della paura del nucleare e di quasi ogni altra novità scientifica allo stesso modo di come le chiese si servivano della paura dell'inferno (Lovelock, 2006a, p.12). Le descrizioni e le prescrizioni di Lovelock si possono condividere o no. Non è questo il punto. Il punto è che troppo spesso le discussioni sull'ambiente, sulla scienza e sulla tecnica vengono affrontate in modo puramente ideologico, con risultati pessimi su tutti i fronti. Non ultimo quello della divulgazione scientifica.

Si tende troppo spesso a pensare che gli scopi della divulgazione scientifica siano di comunicare con linguaggio semplice e accessibile contenuti che rimarrebbero altrimenti appannaggio di pochi e di invogliare i giovani a intraprendere la carriera scientifica. Intendiamoci: si tratta di aspetti fondamentali, soprattutto in un paese come il nostro. Ma la divulgazione scientifica non è e non può essere soltanto questo. È, al contempo, il tentativo di scrostare l'ideologia dal dibattito scientifico. È anche da qui che passa il futuro di un paese. Forse la vera questione non riguarda tanto le scelte che si fanno, quanto il modo con cui ci si arriva. Per quanto riguarda l'Italia, indipendentemente da come la si pensi sul nucleare, i referendum del 1987 sono un triste capitolo da dimenticare, perché furono fatti in un clima di dilagante ignoranza scientifica: in breve, non fu una scelta consapevole. Da questo punto di vista, c'è da augurarsi che l'ultimo libro di Lovelock faccia riflettere.

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Pagina 107

4.4 Fonti di energia parte prima

In uno dei capitoli più importanti di The revenge of Gaia, Lovelock passa in rassegna le diverse fonti di energia, dalle cosiddette non rinnovabili alle rinnovabili per chiudere con il nucleare. Bisogna innanzi tutto tenere conto che la generazione di elettricità ottenuta attraverso il consumo dei combustibili, solidi o liquidi, ha ormai raggiunto un livello molto alto di efficienza, probabilmente il più alto raggiungibile. Naturalmente Lovelock riconosce che la quantità disponibile di alcuni di questi combustibili, ad esempio il carbone, è ingente, ma sostiene che sta aumentando la percezione dell'impossibilità di mantenere i ritmi di consumo del secolo scorso. Soprattutto, sottolinea l'improbabilità che le emissioni siano fermate in tempo: la situazione di paesi come la Cina, l'India e anche gli Stati Uniti non lascia molta speranza. In ogni caso, «dobbiamo rinunciare ai bombustibili fossili prima possibile», perché, indipendentemente dalla situazione climatica, l'«entità» e la «rapidità» del cambiamento avverso continueranno a essere condizionate dal nostro comportamento.

Quanto al gas naturale, sembra davvero un combustibile fossile «quasi ideale ». Produce, infatti, molta meno anidride carbonica rispetto al carbone o al petrolio. Tuttavia, quando si afferma che il consumo di gas naturale dimezza l'emissione di gas serra rispetto al carbone a parità di energia prodotta, si dice una cosa corretta soltanto nel caso in cui non vi siano dispersioni. Ma quello delle dispersioni di metano a vari livelli è un problema serio. Attualmente, è «plausibile» che il consumo di gas, al posto del carbone, diminuisca le possibilità di contenere il riscaldamento globale. E quanto all'idrogeno, che, come si sa deve essere prodotto, è «estremamente improbabile» che in tempi brevi possa rimpiazzare il gas naturale nelle abitazioni e nelle industrie.

Se poi consideriamo le cosiddette fonti rinnovabili, il quadro secondo Lovelock non migliora. Quanto all'energia delle maree, non c'è da aspettarsi che possa costituire una «parte sostanziale» del fabbisogno energetico prima di almeno venti, più probabilmente quaranta, anni. Per ciò che riguarda l'idroelettrico, è sicuramente molto meno «dannoso» del consumo di combustibili fossili, ma può soddisfare i nostri bisogni energetici complessivi soltanto in «piccola parte». Il problema fondamentale dei biocombustibili, poi, è legato al fatto che ci siamo già appropriati di più della metà del territorio produttivo per soddisfare i nostri bisogni: non è consigliabile andare oltre, perché si metterebbe ancora più in pericolo l'equilibrio del sistema. Quanto al solare, non si può non riconoscere che le celle fotovoltaiche, ad esempio, sono ancora troppo costose, nonostante gli oltre trent'anni di sviluppo.

Per ciò che riguarda invece l'eolico, Lovelock pensa che sia «efficiente»: molte ancora le cose da imparare sull'impiego di questa fonte di energia e molti i problemi connessi. Anche di tipo estetico: l'eolico «sta già devastando zone di campagna di eccezionale bellezza». Ma il punto non è l'estetica, che di per sé è «una ragione insufficiente per rifiutare quella che potrebbe essere una risorsa energetica pulita e preziosa». Il punto è invece l'incapacità di dare risposte significative al fabbisogno energetico. Da questo punto di vista gli entusiasmi sono fuori luogo. Prendiamo il caso del Regno Unito: per soddisfare la richiesta di elettricità, occorrerebbero ben 276.000 generatori eolici, senza contare che, a causa dell'intermittenza del vento, per la maggior parte del tempo l'elettricità dovrebbe in ogni caso essere prodotta in altro modo. In definitiva, si tratta di una soluzione non efficiente e non economica: il fatto è che i «costi reali» sono stati mascherati e nascosti dietro un sistema di sussidi. Quando l'entusiasmo per l'energia rinnovabile si sposa col tentativo dei paesi di ostentare il rispetto di Kyoto si crea una «miscela nefasta». Dipende da noi: consentire o no che ciò che rimane della campagna diventi un sito industriale stracolmo di gigantesche turbine costruite nell'«inutile» tentativo di rispondere alla richiesta di energia della vita urbana: «la riforma è fin troppo spesso un vandalismo organizzato in nome dell'ideologia». Siamo di fronte al «lato oscuro della politica verde europea» (Lovelock, 2006a, pp. 9, 72-77, 82-87).


4.5 Fonti di energia parte seconda

Secondo Lovelock, l'unica via percorribile è quella dell'energia nucleare: è la «più sicura» tra tutte le fonti di energia su vasta scala e ha conseguenze globali trascurabili. In altri termini: non costituisce un pericolo per Gaia. Non esiste un'alternativa «sicura» e «affidabile» per la produzione di elettricità su vasta scala. Ciò non significa che l'energia ottenuta dalla fissione nucleare sia in grado di risolvere tutti i problemi. Ma significa che è «l'unica medicina efficace» da utilizzare in attesa che si rendano disponibili l'inesauribile fusione nucleare e l'energia rinnovabile.

Le fonti di energia nucleare, infatti, sono di due tipi: fissione fusione. Nel primo caso l'energia viene prodotta scindendo nuclei atomici (è il processo che avviene nelle centrali nucleari attualmente funzionanti), nel secondo caso unendoli (è il processo che avviene nel Sole e nelle altre stelle). La fusione è «la fonte di elettricità del futuro», a meno che non sorgano problemi ingegneristici insormontabili nella costruzione di centrali «efficienti». Lovelock afferma di avere sempre saputo, come molti altri scienziati in tutto il mondo, che l'energia da fusione nucleare è la fonte di energia «definitiva, pulita e inesauribile». E si mostra convinto del fatto che, se sugli accordi di Kyoto avesse inciso più il «pragmatismo» degli scienziati e meno l'«idealismo romantico», questa fonte oggi sarebbe più a portata di mano. Perché lo diventi, ci vorranno invece almeno vent'anni.

Nel frattempo abbiamo i reattori nucleari che producono energia elettrica utilizzando la fissione del nucleo (soprattutto, l'isotopo 235 dell'uranio e l'isotopo 239 del plutonio). Secondo Lovelock, l'energia da fissione nucleare è rispettosa di Gaia senza essere rispettata da quasi nessuno. Quello sul nucleare è un dibattito viziato da pregiudizi di ogni tipo e da rappresentazioni del tutto fuorvianti. Ad esempio, generalmente si pensa che un "Davide antinuclearista" lotti valorosamente contro un "Golia nuclearista", il che è «falso». A essere influenti sono da un lato le «lobby verdi» e dall'altro le compagnie petrolifere e del carbone, non certo l'industria nucleare, che è «piccola». Poi c'è il problema legato alla «riluttanza degli scienziati a parlare in pubblico». Se «un bravo scienziato sa che nulla è certo e tutto è questione di probabilità», «un attivista antinuclearista non esiterà mai a esagerare e a speculare». Nel clima «accusatorio» di un'aula di tribunale o in un dibattito televisivo, non è affatto difficile fare passare un «bravo e onesto scienziato» per una persona dalle argomentazioni «deboli». Nei mezzi di comunicazione, come tutti sanno, si cerca di proporre «duelli che intrattengano», non «noiose informazioni».

Se ci chiediamo da dove nascano le paure, che sono senza fondamento, e i profondi sentimenti di avversione nei confronti del nucleare, bisogna tornare indietro alla seconda guerra mondiale. Fu allora che nacque una percezione del nucleare ancora oggi dominante. Lovelock concorda con le analisi contenute in Nuclear renaissance (Nuttall 2005) e sostiene che molti verdi con posizioni tenacemente antinucleariste sono i figli del matrimonio tra ambientalismo e campagna per il disarmo nucleare. Ci fu senza dubbio un «periodo di follia» che toccò l'apice nel 1962 con i spaventosamente potenti test nucleari. In quegli anni le superpotenze erano impegnate a dare dimostrazione della loro forza. A questo proposito, secondo Lovelock, è «interessante» fare due conti. Le grandi esplosioni hanno rilasciato nell'atmosfera globale una radioattività equivalente a due disastri di Chernobyl alla settimana per un anno intero. Tutti noi abbiamo inspirato o ingerito prodotti di fissione, come cesio-137 o stronzio-90, ma non esistono né prove né argomenti plausibili a sostegno della possibilità che tutto questo abbia frenato l'aumento progressivo della durata della vita. Da ciò è possibile trarre elementi di «conforto»: «questi test, che hanno prodotto un fallout pari a quello di una guerra nucleare di media scala, non hanno messo seriamente in pericolo la Terra o la salute e il benessere dei suoi abitanti»; semmai, hanno messo a disposizione degli scienziati della Terra «un insieme di elementi radioattivi da usare come traccianti per seguire i grandi cicli naturali del sistema Terra». Si può quindi affermare che «grazie a questi test ci è stato possibile avere una comprensione di Gaia molto più profonda».

Le paure che di solito si nutrono verso il nucleare riguardano non soltanto il passato, ma anche il futuro. Come e dove possono essere messe le scorie? Anche su questo Lovelock interviene spiazzando. L'«incubo» è che si finisca con l'avvelenare l'intera biosfera per milioni di anni, ma questa è soltanto una fantasia «del tutto priva di fondamento». La natura «accoglie volentieri le scorie nucleari», perché la difendono tenendo alla larga coloro che vorrebbero sfruttarla avidamente. Non può non colpire, poi, l'«abbondanza» della fauna e della flora nei siti più contaminati, e questo vale per Chernobyl come per le zone del Pacifico in cui sono stati effettuati i test. E ciò suggerisce che tra i luoghi «più adatti» allo smaltimento delle scorie vi sono le foreste tropicali, che in tal modo sarebbero protette dalla distruzione. Anche a questo proposito, secondo Lovelock, è il caso di fare due conti. Il consumo di combustibili fossili produce 27 miliardi di tonnellate all'anno di anidride carbonica: una quantità che, allo stato solido, formerebbe una montagna alta circa 1500 metri e con una base di quasi 20 chilometri. A parità di energia prodotta, la fissione nucleare genera invece rifiuti in quantità due milioni di volte inferiore. Le scorie sepolte nei siti di produzione non sono una «minaccia» per Gaia e «sono pericolose unicamente per chi fosse abbastanza sciocco da esporsi alle radiazioni». A proposito delle radiazioni. Secondo Lovelock, i «rischi» di sviluppare il cancro a causa di prodotti chimici o a causa delle radiazioni sono «statisticamente minuscoli»: quasi un terzo di noi morirà di cancro comunque, soprattutto perché respiriamo aria piena di quell'onnipresente elemento cancerogeno che è l'ossigeno». Dovremmo riflettere di più sulla compresenza della paura del cancro e della paura del nucleare nei paesi sviluppati, e non dovremmo dimenticare che nei paesi sottosviluppati, in cui sono drammaticamente presenti altri problemi, «non c'è il tempo di pensare al cancro o di averne paura». Si può permettere il lusso di avere questa paura soltanto il «viziato» mondo sviluppato, dove le persone hanno un'aspettativa di vita molto alta (Lovelock, 2006a, pp. 11-12, 69, 87-98). Lovelock sa bene quanto il dibattito sul nucleare sia influenzato, oltre che da questi aspetti, dalla vicenda di Chernobyl. Non è certo per caso che ci si soffermi molto qui come altrove.


4.6 Parentesi su Chernobyl

In una già citata intervista del 2006, alla domanda «A vent'anni dall'incidente di Chernobyl, pensa che il nucleare oggi godrebbe di maggiore popolarità se quella catastrofe non fosse mai accaduta?», Lovelock ha risposto: «Credo che il problema sia molto più complesso. Durante la guerra fredda, i timori della gente nei confronti dell'energia atomica erano molto forti, perché veniva generalmente associata, e in maniera del tutto ingiustificata, alla guerra nucleare e alla distruzione che ne sarebbe seguita. Chernobyl ha dato la spinta finale a queste paure, ma in realtà non si è trattato affatto di una catastrofe come invece è stata dipinta». Sostiene, infatti, citando rapporti delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione mondiale della Sanità, che le vittime sono «poche decine», in maggioranza tra coloro che si trovavano sul sito subito dopo l'esplosione. E stigmatizza il comportamentodi «alcuni movimenti ambientalisti» che «hanno parlato di un milione di morti». Per Lovelock si tratta di «una cifra assurda, di cui non esiste la minima prova». L'incidente di Chernobyl non è stato una «catastrofe» – definirlo così sarebbe un'«immensa esagerazione» –, ma è stato «un incidente industriale dalle proporzioni molto contenute». Ci sono state disgrazie «ben peggiori»: ad esempio, nel 1952 a Londra in una sola notte morirono 5000 persone per l'inquinamento da carbone nell'aria (Lovelock, 2006b, p.19).

Per contrastare il riscaldamento globale, occorrono «immediatamente» fonti di energia prive di emissioni: la questione è che non esistono alternative «serie» alla fissione nucleare. Come si è visto, di questo Lovelock è assolutamente convinto. Proprio perché lo è, ritiene di fondamentale importanza che si riesca a vincere una paura secondo lui sostanzialmente ingiustificata. Invita, a questo scopo, a confrontare i pericoli a cui sono esposte una famiglia che viva a 150 chilometri a valle dell'immensa diga sul fiume cinese Yangtze (esempio di «potente» ed «efficace» fonte di energia rinnovabile), e una famiglia che viva a 150 chilometri sottovento rispetto alla centrale nucleare di Chernobyl («il peggiore esempio del tipo sbagliato di tecnologia nucleare»). Ebbene: se la diga cedesse, ucciderebbe un milione di persone; i morti dell'incidente di Chernobyl non furono né migliaia né tanto meno milioni, ma non più di 75.

Lovelock ritiene che sia ampiamente diffuso un «perverso fraintendimento» della radiobiologia. Ricorda le ricerche degli epidemiologi che hanno stabilito l'esistenza di una correlazione «lineare» tra la dose di radiazioni ricevute e mortalità per cancro: è sembrato che questa ipotesi si accordi bene con i dati. Secondo Lovelock, ne potremmo ricavare che, esponendo l'intera popolazione europea a 10 milliSievert di radiazione (l'equivalente di cento radiografie al torace), si avrebbero 400.000 morti, cioè conseguenze terribili. Ma questo è «un modo sorprendentemente ingenuo di presentare i fatti». Perché il punto non è se si muore o no, ma quando si muore. È ovvio che quella cifra assume tutto un altro significato se, anziché indicare persone che muoiono nella settimana successiva all'irradiazione, indica persone che vivono normalmente per poi morire una settimana prima di quanto dovrebbero. Valutando con lo stesso metro la vicenda di Cernobyl, si può affermare che l'esposizione a quelle radiazioni di tutti coloro che vivono nel Nord Europa ha ridotto la durata della vita di 1-3 ore. Non sarà inutile ricordare che «un fumatore cronico è destinato a perdere sette anni della sua vita». Certo, le popolazioni dell'Ucraina e della Bielorussia dovettero rinunciare a «diverse settimane» per quanto riguarda l'aspettativa di vita, ma se avessero dovuto fare i conti col crollo di un'enorme diga non avrebbero avuto per nulla un'aspettativa di vita (Lovelock, 2006a, pp. 99-102).


4.7 Fonti di energia parte terza e ultima

Proviamo a riassumere. Alla base dell'appello di Lovelock in favore del nucleare ci sono due convinzioni. La prima è che il riscaldamento globale sia un problema reale e grave. La seconda è che non esiste un'alternativa altrettanto sicura e immediatamente disponibile per la produzione di elettricità su vasta scala. Ma il nucleare per Lovelock non assomiglia affatto a una panacea. È «una parte essenziale» di un ventaglio di fonti energetiche. Tra le molte idee distorte che si hanno sul nucleare vi è anche quella che riguarda le riserve di uranio: sarebbero così scarse che basterebbero appena per qualche anno. Questo – secondo Lovelock – vale soltanto nel caso in cui tutti scegliessero l'uranio come unico carburante. Non bisogna dimenticarsi però dell'uranio che è contenuto nel granito. Senza contare quello che sta succedendo in alcuni paesi: ad esempio, «l'India si sta già preparando a usare le sue abbondanti riserve di torio, un combustibile nucleare alternativo, al posto dell'uranio».

La ricetta di Lovelock prevede un utilizzo immediato e quanto più diffuso possibile dell'energia da fissione, come «provvedimento temporaneo», finché non si sia in grado di sostituire la fissione con le energie rinnovabili e la fusione; potrebbe anche esserci posto per l'uso di combustibili fossili, a patto però che si abbia la possibilità di sequestrare l'anidride carbonica. Il vantaggio della fissione è la sua disponibilità immediata. Lo svantaggio di tutte le alternative è che passeranno decenni prima che possano essere utilizzate in misura tale da ottenere una significativa riduzione delle emissioni di anidride carbonica (Lovelock, 2006a, pp. 103-04).

In definitiva il nucleare è una fonte energetica affidabile, su cui esistono ingiustificate paure di ogni tipo. Tra le quali vi è - lo si è accennato - quella relativa alle radiazioni e alle scorie. A questo proposito, c'è un fatto interessante da ricordare. Lovelock è stato a Sellafield, che è maggiore centro di stoccaggio di scorie del Regno Unito, e ha misurato i livelli di radiazione, con «risultati straordinari»: «ovunque la radiazione era minore di quella misurata per le strade della cittadina in cui vivo, in Cornovaglia, dove la radiazione naturale emessa dal granito è abbastanza forte» (Lovelock, 2006b, p. 19).

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