Copertina
Autore Giovanni Boniolo
CoautoreS. Bergia, M.L. Dalla Chiara, M. Dorato, G.Ghirardi, R. Giuntini, M. Pauri
Titolo Filosofia della fisica
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 1997, Sintesi , pag. 655, dim. 145x210x38 mm , Isbn 978-88-424-9400-3
CuratoreGiovanni Boniolo
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe fisica , filosofia , cosmologia
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Indice


    Introduzione


3   Parte Prima: LO SPAZIO E IL TEMPO


5   l. Dalla relatività galileiana alla
       relatività generale
       di Giovanni Boniolo e Mauro Dorato

7   1.     Trasformazioni galileiane e
           fisica classica
7   1.1    La covarianza della meccanica
           classica
10         Prodotto scalare e prodotto
           vettoriale
10         Numeri e scalari
10         Funzioni scalari e vettoriali
10  1.2    Campi di forze conservativi
12         Derivata e differenziale di una
           funzione a più variabili
14         Operatori differenziali
16         Il teorema di Stokes
16  1.3    Non covarianza delle leggi
           dell'elettromagnetismo classico
17         Equazioni di Maxwell

19  2.     La relatività speciale
19  2.1    Le trasformazioni di Lorentz
21  2.1.1  Conseguenze delle
           trasformazioni di Lorentz
24  2.2    L'intervallo spaziotemporale
28  2.2.1  Linterpretazione geometrica
           della relatività speciale
34  2.3    Tempo e simultaneità
34  2.3.1  Tempo oggettivo e tempo
           relativo nella relatività
           speciale
39  2.3.2  La teoria causale del tempo e
           la non-esistenza dell'universo
           in un istante
47  2.3.3  La convenzionalità della
           simultaneità
54  2.4    La realtà della contrazione
           delle lunghezze e della
           dilatazione dei tempi
57  2.4.1  L'esperimento di Michelson e
           Morley e le sue prime
           interpretazioni
59         Calcolo della velocità della
           terra rispetto all'etere
63  2.4.2  Spiegazione causale e
           spiegazione strutturale degli
           effetti relativistici
72  2.4.3  Il paradosso dei gemelli
78  2.5    Un po' di matematica: vettori e
           tensori
79         Vettori e matrici
88  2.6    I quadrivettori
91  2.7    Il problema interpretativo
           della massa relativistica
93         Calcolo dell'energia cinetica
94  2.8    L'equivalenza fra massa ed
           energia

102 3.     La relatività generale
102 3.1    Le forze inerziali
103 3.2    Il principio di equivalenza
107 3.3    Il principio di covarianza
           generalizzato
111 3.4    Verso la geometria della
           relatività generale
115 3.5    La curvatura
118 3.6    La connessione affine
124 3.7    Il tensore energia-impulso
128 3.8    Le equazioni di campo
129 3.9    Il principio di Mach
138 3.10   Il principio di equivalenza
           debole
140 3.11   Fisica e geometria
140 3.11.1 La "irragionevole" efficacia
           della geometria nella
           descrizione del mondo fisico
143 3.11.2 Il platonismo e il realismo
           geometrico
147 3.11.3 Il kantismo
154 3.11.4 Il formalismo
157 3.11.5 Il convenzionalismo della
           metrica e la disputa fra
           sostanzialisti e relazionisti
163        Bibliografia


169 2. Problemi fondazionali e
       metodologici in cosmologia
       di Silvio Bergia

171 1.     La cosmologia come disciplina
           scientifica
171 1.1    Osservazioni di natura
           cosmologica
172 1.2    Osservazioni con valenza
           cosmologica
179 1.3    La cosmologia teorica: è lecito
           parlare del tutto?
181 1.4    Leggi e condizioni iniziali
182 1.5    Ruolo peculiare delle
           condizioni iniziali in
           cosmologia: una teoria rigida?
185 1.6    Forme possibili del rapporto
           fra cosmologia e fisica: la
           subordinazione della cosmologia
           alla fisica e il Principio
           Cosmologico
187 1.7    Moti naturali, principio di
           Weyl, tempo cosmico come tempo
           degli osservatori del substrato
           e modelli di universo
189 1.8    Dal principio cosmologico alla
           soluzione di Friedman-Lemaitre-
           Robertson-Walker (FLRW)
191 1.9    Intermezzo. La biblioteca di
           Babele: i problemi dell'
           infinito spaziale
193 1.10   Dinamica dell'universo nella
           cosmologia standard: necessità
           di un inizio e possibili
           modalità della fine
196 1.11   Forme possibili del rapporto
           fra cosmologia e fisica: leggi
           locali e leggi cosmiche
197 1.12   Forme possibili del rapporto
           fra cosmologia e fisica:
           la subordinazione della fisica
           alla cosmología
198 1.13   La teoria dello stato
           stazionario: il Principio
           Cosmologico Perfetto e le
           ragioni della permanenza delle
           leggi fisiche
201 1.14   La radiazione cosmica di fondo
203 1.15   Un esempio di predittività
           della cosmologia
206 1.16   L'isotropia della radiazione di
           fondo e il Principio
           Cosmologico
206 1.17   Elusione delle condizioni
           iniziali o ricerca della causa
           della causa: tentativi di
           risposta al problema chiave
           della cosmologia teorica
209 1.18   Un metodo per la cosmologia?

211 2.     Problemi e modelli di
           spiegazione nella cosmologia
           evolutiva

211 2.1    La storia termica dell'universo
211 2.1.1  L'universo e il secondo
           principio
212 2.1.2  I paradossi della "morte
           termica"
214 2.1.3  Il secondo principio dal punto
           di vista meccanico-statistico e
           l'evoluzione spontanea come
           evoluzione verso l'ordine
215 2.1.4  L'apparente contraddizione: la
           tendenza in atto allo
           squilibrio.
           Il caso della biosfera
216 2.15   L'apparente contraddizione: la
           tendenza in atto allo
           squilibrio.
           Il caso generale
217 2.1.6  L'espansíone come spiegazione:
           il modello dell'espansione
           incontrollata nel vuoto
220 2.1.7  Meccanismi specifici per la
           generazione d'ordine con
           aumento dell'entropia globale
221 2.1.8  L'universo è nato in uno stato
           di bassa entropia?
223 2.1.9  La bassa entropia iniziale come
           origine dell'irreversibilità e
           della freccia del tempo
225 2.1.10 Diramazione successiva di
           sistemi fuori equilibrio
226 2.1.11 Bassa entropia "iniziale" e
           iperespansione
227 2.1.12 L'archetipo del processo
           d'espansione come processo
           reversibile e le sue risposte
228 2.2    Il Principio Antropico
228 2.2.1  Le espansioni inspiegate fra
           costanti adimensionali
229 2.2.2  Il Principio Antropico (debole
           e forte) come proposizione
234 2.2.3  Il valore esplicativo delle
           proposizioni antropiche
235 2.2.4  La scoperta della criticità
           dell'universo
236 2.2.5  Finalismo o darwinismo?

239 3.     Postfazione
240        Bibliografia


245 3. La descrizione fisica del mondo e
       la questione del divenire temporale
       di Massimo Pauri

247 1. Introduzione
254 2. Antefatti storici: il
       'principio di ri-presentazione'
258 3. Il 'presente'
267 4. Il 'divenire'
282 5. Il 'tempo fisico' e la sua
       'freccia'
287 6. "Se c'è 'divenire' il fisico deve
       saperlo", ovvero: il 'divenire'
       impossibile
296 7. Il 'tempo cosmico'
3o3 8. Una ricapitolazione: la
       'descrizione fisica' del mondo
316 9. Il 'divenire ritrovato'
330    Bibliografia


335 Parte seconda:
    LA MECCANICA QUANTISTICA


337 4. I fondamenti concettuali e le
       implicazioni epistemologiche
       della meccanica quantistica
       di Gian Carlo Ghirardi

339 l.   La nascita della meccanica
         quantistica
340 1.1  La crisi della fisica CLassica
342 1.2  La dipendenza della temperatura
         del "colore" degli oggetti
343 1.3  Gli atomi e le loro proprietà
345 1.4  L'ipotesí di Planck e la
         successiva elaborazione di
         Einstein
346 1.5  L'atomo di Bohr e la
         quantizzazione
348 1.6  L'ipotesi di de Broglie
351 1.7  Il superamento della crisi
352 1.8  Il dualismo onde-corpuscoli
352 1.9  Cenni alle problematiche
         sollevate dal nuovo schema

355 2.   La struttura formale della teoria
356 2.1  Le regole del gioco:
         un'esposizione semplificata
361 2.2  Un'illuminante descrizione
         geometrica
362 2.3  Probabilità degli esiti ed
         effetto della misura nel caso di
         autovalori degeneri e/o di
         spettro continuo
366 2.4  Ancora sulla preparazione dei
         sistemi: stati puri e miscele
         statistiche
369 2.5  Lo schema generale
371 2.6  Osservabili fisiche e operatori
         autoaggiunti
374 2.7  Rappresentazione esplicita delle
         variabili posizione e impulso
380 2.8  L'algebra delle componenti del
         momento delle quantità di moto
383 2.9  Lo spin dell'elettrone
386 2.10 Valori medi
388 2.11 Scarti quadratici medi
389 2.12 La trattazione degli insiemi
         statistici e l'operatore
         statistico
391 2.13 Il processo di evoluzione
         temporale
393 2.14 L'operatore statistico e la
         riduzione del pacchetto

396 3.   Prime implicazioni concettuali
         della teoria
396 3.1  Il principio di sovrapposizione
400      Operatoti statistíci associati a
         insiemi omogenei e disomogenei
400      Valoti medi degli operatori di
         proiezione nel caso di un insieme
         statistico
402 3.2  Sovrapposizioni e variabili
         spaziali
407 3.3  L'indeterminismo
410 3.4  Le relazioni di indeterminazione
413 3.5  L'argomento di Heisenberg
415 3.6  Misure di osservabili compatibili
417 3.7  Primi cenni al dibattito circa
         l'interpretazione della teoria
423 3.8  Il dibattito Bohr-Einstein: prima
         fase

429 4.   Sistemi composti ed
         'entanglement'
429 4.1  Aspetti formali della descrizione
         dei sistemi composti
430 4.2  Stati fattorizzati e non
         fattorizzatí
433 4.3  Un utile esempio: gli stati di
         spin di due particelle di spin
         1/2
437 4-4  Stati entangled e ríduzione del
         pacchetto d'onde
439 4.5  La descrizione formale dei
         singoli costituenti di un sistema
         composto: miscele statistiche di
         prima e di seconda specie

443 5.   L'argomento di incompletezza di
         EPR
444 5.1  Il cosiddetto "paradosso" di EPR
450 5.2  Una prima valutazione delle
         implicazioni del lavoro di EPR
452 5.3  La reazione di Bohr
454 5.4  Alcuni fraintendimenti
         dell'argomento di incompletezza
459 5.5  La violazione della località
         einsteiniana comporta la
         possibilità di segnali o effetti
         superluminali?

464 6.   Le variabili nascoste
464 6.1  L'idea delle variabili nascoste
466 6.2  Il teorema di impossibilità di
         von Neumann
469 6.3  La teoria dell'onda pilota
472      Come la teoria di Bohm riproduce
         le distribuzioni quantistiche
         in posizione
473 6.4  Alcuni esempi di descrizione
         "alla Bohm" di processi fisici
477 6.5  La contestualità delle teorie
         deterministiche a variabili
         nascoste
482 6.6  La contestualità delle variabili
         di spín
485 6.7  Le caratteristiche delle teorie e
         variabili nascoste in sintesi

487 7.   La nonlocalità e la
         disuguaglianza di Bell
489 7.1  La richiesta di località secondo
         Bell
491 7.2  Il teorema di Bell
491      Derivazione dell'equazíone (7.3)
493      Dimostrazione della (7.5)
495 7.3  Implicazioni per l'argomento di
         EPR
496 7.4  Un esempio di metafisica
         sperimentale
500 7.5  Nonlocalità e segnali
         superluminali
505 7.6  Una prova completamente generale
         della nonlocalità dei processi
         naturali
507      Pmva dell'implicazione 1

509 8.   Il problema dell'oggettivazione
         delle proprietà macroscopiche
510 8.1  Il principio di sovrapposizione e
         i sistemi macroscopici
511 8.2  I processi di misura ideali e
         l'argomento di von Neuman
514 8.3  Evoluzione quantistica e
         riduzione del pacchetto
516 8.4  La catena di von Neumann
518 8.5  Una necessaria puntualizzazione
522 8.6  Il celebre gatto di Schrödinger
523 8.7  Difficoltà nel mettere in
         evidenza le sovrapposizíoni di
         stati macroscopicamente diversi
524      Sulla distinguibilita di stati
         puri da miscele statistiche

528 9.   Il dibattito attuale sulle
         implicazioni della teoria
529 9.1  Una prima destinazione delle
         possibili vie d'uscita: l'ipotesi
         di completezza della teoria
533 9.2  Completezza della teoria e
         omogeneità o disomogeneità degli
         insiemi quantistici
535 9.3  Un sottile modo per associare uno
         stato puro a un insieme
         fisicamente disomogeneo: le
         interpretazioni modali
536      La decomposizione biortogonale
         degli stati dí un sistema
         composto
539 9.4  Una prospettiva circa la
         dismogeneità che chiama in causa
         l'intera realtà:
         l'interpretazione a molti
         universi
542 9.5  Una soluzione che ammette diverse
         letture: le storie quantistiche
546 9.6  L'oggettivazione come un processo
         dinamico: approcci dualistico e
         unificato
548 9.7  La riduzione da parte della
         coscienza e l'amico di Wigner
551 9.8  Il progranuna di riduzione
         dinamica
560 10.  Conclusioni

564      Appendice: Il linguaggio
         matematico della meccanica
         quantistica

564 A.1  Lo spazio di Hilbert

    Spazi vettoriali lineari, Varietà
    lineari, Indipendenza lineare e
    dimensionalità, Un semplice esempio,
    Spazi metrici, Spazi normati,
    Distanza, Insiemi ortonormali di
    stati, Limiti e convergenza, Punto di
    accumulazione di un sottoinsieme,
    Insieme denso di stati, Il criterio di
    Cauchy, Completezza, Separabilità,
    Spazio di Hilbert, Due importanti
    esempi di spazi di Hilbert

569 A.2  Sistemi ortonormali

    Sistemi ortonormali completi, Varietà
    lineari generate da un insieme di
    vettori, Somma diretta di varietà
    lineare, Prodotto diretto di varietà o
    di spazi vettoriali lineari,
    Isomorfismo

572 A.3  Operatori nello spazio di Hilbert

    Trasformazioni nello spazio di
    Hilbert, Mappe da H in R o in C,
    Algebra degli operatori, Potenze di
    operatori e alcuni operatori
    particolari, Operatori lineari,
    Parentesi di commutazione, L'aggiunto
    di un operatore, Proprietà di
    coniugio, Operatore simmetrico o
    hermitiano, Operatore autoaggiunto o
    ipermassimale

577 A.4  Equazione agli autovalori

    Proprietà generali degli autovalori e
    degli autovettori, Autovalori ed
    autovettori di una trasformazione
    simmetrica, Spettro continuo,
    autovalori ed autofunzioni improprie

581 A.5  Operatori continui, limitati,
         unitari e proiettori

    Operatori continui, Mappe continue da
    H in C o in R, Operatori limitati,
    Operatori unitari, Decomposizione di
    un vettore rispetto a una varietà
    lineare, Operatoti di proiezione,
    Somme, prodotti e differenze di
    operatori di proiezione,
    Rappresentazione esplicita di un
    operatore di proiezione, Ordinamento
    Parziale dell'insieme degli operatori
    di proiezione, Successioni monotone di
    proiettori, Successioni di varietà
    ortogonale e successioni monotone di
    proiettori

587 A.6  Risoluzioni dell'identità e
         teorema spettrale

    Risoluzione dell'identità, Risoluzione
    dell'identità associata a un operatore
    autoaggiunto, Risoluzione
    dell'identità associatta a un
    operatore autoaggiunto: un semplice
    esempio, Rappresentaztone spettrale di
    un operatore autoaggiunto: il caso
    dello spettro discreto, Teorema di
    risoluzione spettrale

592 A.7  Commutatività e compatibilità

    Commutatività e insiemi completi di
    autostati comuni, Insieme completo di
    osservabili commutanti

593 A.8  Funzione di osservabile

    Funzione di osservare secondo Dirac

594 A.9  Operatori di classe traccia e
         operatori statistici

    Estensione di un operatore, Estensione
    di un operatore continuo, L'aggiunto
    di un operatore continuo definito
    ovunque, Operatori positivi, Spettro e
    radice quadrata di un operatore
    positivo, La traccía di un operatore
    positivo, Operatore di classe traccia,
    Alcuni teoremi sugli operatori di
    classe traccia, Proprietà della
    traccia, Operatori di proiezione e
    operatori di classe traccia, Operatore
    statistico o operatore densità,
    Proprietà dell'insieme degli operatori
    statistici, Combinazioni a
    coefficienti reali e positivi di
    operatori di proiezione su varietà
    monodimensionali, Traccia del prodotto
    di un operatore densità per un
    proiettore, Risoluzione spettrale e
    misura di probabilità


600 A.10 Rappresentazioni discrete e
         continue: diversi modi di
         caratterizzare lo spazio di
         Hilbert

603 Bibliografia


609 5. La logica quantistica
       di Maria Luisa Dalla Chiara
       e Roberto Giuntini

611 Introduzione

612 1.   La nascita della logica
         quantistica: Garrett Birkhoff
         e von Johan Neumann
613      Spazi misurabili
618      Teoria dei reticoli
620      Reticoli ortocomplementati
622 2.   Astraendo dagli spazi di Hibert:
         che cos'è la logica quantistica
624      Isomorfismi tra reticoli
         ortocomplementati
626 3.   Che cos'è una logica?
630 4.   La logica quantistica ortodossa e
         le sue anomalie semantiche
633 4.1. Una assiomatizzazione della
         logica quantistica ortodossa
637 5.   Logiche quantisitiche 'unsharp'
637 5.1  L'approccio 'unsharp'
639 5.2  Logiche quantistiche parziali e
         fuzzy
640 6.   Problenii epistemologici
644 Bibhografia


647 Indice dei nomi

 

 

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Pagina 1

Introduzione


Molte volte si incontrano persone che chiedono come si possa fare filosofia della fisica, visto che sono cose ben diverse la fisica che hanno in mente (quella che per sentito dire sta sotto il funzionarnento di una lampadina) e la filosofia che hanno in mente (quella che sempre per sentito dire è connessa con il problema dell'anima). E in effetti così è. L'elettromagnetismo classico e la metafisica cristiana sono due campi del tutto eterogenei. Ma non sono affatto eterogenei la filosofia e la fisica in quanto tali. Tale omogeneità non deve però essere rintracciata nel tentativo fatto da alcuni fisici di risolvere problemi filosofici attraverso l'esperimento o la formalizzazione matematica, né, meno che mai, nel tentativo di qualche filosofo di risolvere i problemi fisici attraverso l'argomentazione. In questo caso più che di mancata omogeneità bisognerebbe parlare di confusione di ambiti, anzi di pericolosa confusione di ambiti. In realtà, il filosofo della fisica cerca di attuare una riflessione filosofica, meglio logico-filosofica, sulla struttura delle teorie fisiche e sui concetti che vi sono contenuti. Inoltre, specie in questi ultimi decenni, il compito del filosofo della fisica si è anche intersecato, e con ottimi risultati in alcuni autorevoli pensatori, con compiti fondazionali. Va da sé che se già il filosofo della fisica che si occupa di riflessione logico-filosofica deve conoscere la fisica - naturalmente oltre che la filosofia o la logica -, quello che si occupa di aspetti fondazionali è quasi necessario che sia un fisico di professione.

Dunque, filosofia della fisica come visione logico-filosofica, e talora anche fondazionale, sulla fisica. Quindi una disciplina dove le due culture, quella umanistica e quella scientifica, non solo vanno d'accordo, ma sono entrambe necessarie per tentare di conseguire buoni risultati.

Una volta stabilito in generale di che cosa tratti il presente lavoro, è possibile entrare un po' più nello specifico. Segnatamente, in esso i vari autori hanno voluto proporre un primo approccio ai reali e numerosi problemi che la fisica fondamentale contemporaneo presenta. Si faccia comunque attenzione che questo non significa affatto affennare che le teorie considerate superate, quali la meccanica classica, la termodinamica fenomenologica e l'elettromagnetismo classico, non presentino problemi. Tutt'altro; anche all'interno di queste vi sono luoghi teorici densi di nodi logico-filosofici e fondazionali che meriterebbero analisi e lavori specifici. Si sono però privilegiati gli ambiti teorici fondamentali per la comprensione attuale del divenire fisico, ossia ci si è soffermati su relatività e meccanica quantistica. Qualcuno potrebbe osservare maliziosamente che pure queste discipline sono già in un certo senso "vecchie", avendo visto la loro nascita nei primi decenni del secolo XX. Questo è senz'altro vero; ora il fisico teorico indaga il mondo naturale con altre teorie, quali la gravità quantistica o la cromodinamica quantistica. Però, fortunatamente o sfortunatamente, quest'ultime teorie si portano dietro i problemi delle 'vecchie', ossia della relatività e della meccanica quantistica. Anche in quelle "nuove" si ha a che fare con nozioni quali lo spaziotempo. E come poter pensare di abbandonare l'analisi del principio di sovrapposizione, della complementarità, o della relazione fra macroscopíco e microscopico? Forse la fisica teorica contemporanea, oltre a presentare problemi propri, non presenta anche questi? Un problema non è "vecchio" perché molto tempo è passato da quando si è iniziato a discuterlo; caso mai diventa "vecchio" quando è stato definitivamente risolto, o dissolto.

Relatività e meccanica quantistica sono la base per la costruzione di buone teorie fisiche contemporanee, per cui capire il valore e le difficoltà delle prime è possedere la necessaria chiave d'accesso per affrontare i problemi e le difficoltà logico-filosofiche e fondazionali delle seconde.

Nonostante qualcuno ritenga che non sia necessario conoscere la scienza per poter fare filosofia della scienza, gli autori qui presenti non lo pensano affatto. Per questo, oltre che per la completezza del lavoro proposto, si è voluto accostare un'introduzione fisica all'analisi filosofica dei problemi. In questo modo, si è tentato di superare una lacuna caratterizzante testi già presenti sul mercato che offrono solo un'introduzione alla fisica della relatività o della meccanica quantistica, oppure solo un'introduzione all'analisi filosofica di queste due teorie. In quello che segue sono presenti entrambi gli aspetti e in questo sta la ragione del maggior spazio dato ai due saggi quadro: quello sulla relatività (G. Boniolo e M. Dorato) e quello sulla meccanica quantistica (G. Ghirardí). In essi gli autori si sono sforzati di coniugare una presentazione della parte matematico-fisica con l'esame della discussione filosofica. In questo modo, negli altri tre saggi - uno sui problemi metodologici e fondazionali della cosmologia contemporanea (S. Bergia), uno sul divenire in relazione alla descrizione fisica del mondo (M. Pauri), uno sulla logica quantistica (M. Dalla Chiara e R. Giuntini) - gli autori si sono potuti concentrare sull'analisi logico-filosofica, in quanto gli strumenti tecnici erano già stati, almeno quasi totalmente, approntati.

Due, quindi, sono gli obiettivi che questo lavoro si propone: (1) offrire un'introduzione formale alla fisica della relatività ristretta e generale, nonché della meccanica quantistica; (2) presentare un'introduzione ai molteplici problemi logico-filosofici e fondazionali che tale fisica comporta. Le bibliografie finali di ogni capitolo dovrebbero poi permettere al lettore interessato di trovare quelle indicazioni necessarie per approfondire le tematiche discusse nei saggi.

Sicuramente questo non è un libro di facile lettura. Ma abbiamo cercato di portare la conoscenza del lettore da una presupposta preparazione liceale fino al livello fisico-matematico che si è ritenuto necessario per la comprensione delle tematiche filosofiche presentate. Quindi richiediamo pazienza al lettore, come d'altronde ogni lavoro filosofico serio ne richiede. Ma se ne avrà, riuscirà anche a godere della gioia di entrare senza scorciatoie, e cioè nell'unico modo possibile, nelle affascinanti e per molti versi ancora aperte problematiche che verranno presentate.

G.B.

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Pagina 5

l. Dalla relatività galileiana alla relatività generale
di Giovanni Boniolo e Mauro Dorato

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Pagina 140

3.11 Fisica e geometria

3.11.1 La "irragionevole" efficacia della geometria nella descrizione del mondo fisico

Nel suo saggio introduttivo sulla filosofia dello spazio e del tempo, Wesley Salmon ha definito la filosofia e la geometria due sorelle gemelle (cfr. Salmon, 1980). Tali due discipline non sono solo nate insieme, ma sono rimaste legate durante tutta la loro storia da una relazione molto profonda. Tenendo presente il ruolo fondamentale che la geometria ha avuto anche nella nascita della fisica moderna, sembrerebbe fin troppo ovvio considerare il rapporto tra fisica e geometria come in grado di rivaleggiare con quello menzionato sopra. Sulla scia dell'inaspettato successo della geometria non-euclidea nella descrizione sia della struttura locale del campo gravitazionale che di quella dell'universo a larga scala, nella seconda metà del nostro secolo è stato persino proposto un programma di ricerca che considera la geometria dello spaziotempo come l'entità fondamentale in base a cui spiegare qualsiasi fenomeno fisico (il programma geometro-dinamico di Wheeler).

Considerando il fatto che fino al Settecento la fisica veniva definita "filosofia naturale", sembra allora naturale estendere la qualifica di "sorelle gemelle" anche alla fisica e alla geometria, ciò che rende un qualunque approccio critico al problema dei rapporti tra queste due ultime discipline inscindibile da una considerazione filosofica o epistemologica. Se filosofia, fisica e geometria sono tre sorelle gemelle, la prima è quella a cui le altre due debbono guardare per comprendere la loro relazione reciproca. Vorremmo anzi aggiungere che uno degli aspetti più importanti del complesso problema dei rapporti tra fisica e geometria è di natura filosofico-concettuale, perché riguarda la teoria della conoscenza. In particolare, il problema essenziale che cercheremo di introdurre in questa parte è il seguente: come è possibile che la matematica, in particolare la geometria, che sembra una pura invenzione del pensiero umano e che non necessita dunque di esperienze e osservazioni per la verifica delle sue proposizioni, si riveli uno strumento indispensabile per descrivere la natura? Se, seguendo Hobbes e Vico, crediamo che l'uomo non possa comprendere nulla che non abbia fatto lui stesso, com'è possibile che il mondo fisico, che non è stato certo fatto da noi, si lasci descrivere da complicate strutture matematiche che sembrano un puro frutto della nostra immaginazione, e che spesso sono state escogitate per fini totalmente eterogenei? Parafrasando Einstein, ciò che è davvero sorprendente non è solo che il mondo sia conoscibile, ma che lo sia attraverso la matematica.

Alcuni esempi storici dell'efficacia della geometria nel descrivere il mondo fisico ci daranno la misura non solo del fascino dell'enigma, ma anche di quanto siamo ancora lontani da una sua soluzione. La straordinaria potenza della geometria euclidea come rappresentazione simbolica del mondo fisico è dimostrata dall'applicazione della teoria geometrica delle coniche alle orbite dei corpi celesti. Tali curve (ellisse, iperbola, parabola, circonferenza) erano state studiate da Apollonio di Perga alcuni secoli prima di Cristo in modo del tutto indipendente da possibili applicazioni al mondo fisico. Quasi duemila anni dopo, la conoscenza puramente astratta delle loro proprietà si rivelò utile per risolvere il problema della forma delle orbite planetarie, che Keplero scoprì essere ellittica e non circolare. L'esempio delle geometrie non-euclidee, inventate nel secolo scorso, e inizialmente guardate con sospetto, è forse ancora più eclatante, dato che, come si è visto, la teoria della relatività generale nella sua forma finale non è altro che una reinterpretazione in termini gravitazionali di una matematica degli spazi curvi già pre-esistente. Tale matematica era stata elaborata inizialmente da Gauss per risolvere un problema relativo ai fondamenti della geometria che era privo di qualsiasi applicazione immediata al mondo reale.

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Pagina 154

3.11.4 Il formalismo

La dottrina del carattere necessario (a priori) eppure informativo (sintetico) della geometria ricevette un colpo molto duro dalla concezione formalista hilbertiana della matematica. Per riassumere questa concezione con un motto di Einstein, "in tanto la geometria è certa in quanto è vuota, cioè non ci informa sul mondo, e in tanto ci informa su esso in quanto è incerta". In altre parole, per il formalismo, la matematica, e segnatamente la geometria, si divide in una parte pura e in una applicata. La prima costituisce un sistema assiomatico, o calcolo sintattico non interpretato, in cui compaiono termini come 'punto', 'linea retta' e 'tra' (i cosiddetti termini primitivi) il cui significato è dato implicitamente dagli assiomi in cui compaiono. In base a regole deduttive specificate una volta per tutte in anticipo, la geometria pura ci dà un insieme di teoremi derivato in modo puramente logico e non intuitivo dagli assiomi. Questa parte della geometria è a priori ma vuota di significato empirico, e dunque non sintetica nel senso di Kant.

È solo collegando tali termini primitivi e tali teoremi con gli oggetti fisici quali i regoli o i raggi di luce che, secondo il formalista, la geometria pura diventa applicata e assume un signfflcato empirico. Il punto centrale è che il modo di correlare gli oggetti matematici della parte pura con gli oggetti fisici è dato, nella tradizione filosofica neopositivista dei Rudolf Carnap, Reichenbach e Ernst Nagel, che furono molto influenzati dal formalismo, da definizioni coordinative, che essendo postulati che assegnano un significato parziale ai termini teorici della teoria, non hanno necessariamente un contenuto fattuale. Per meglío comprendere lo status di queste definizioni coordinative, si ricorderà che è tipico della concezione neo-positivista delle teorie scientifiche il considerare una teoria scientifica come un insieme di enunciati, suddivisi a loro volta in enunciati teorici, enunciati osservativi ed enunciati misti. Come è ovvio dai loro nomi, i primi sono enunciati che contengono solo termini che si riferiscono a entità teoriche, cioè a entità non osservabili direttamente quali elettrone, atomo, molecola, ecc., i secondi contengono termini che denotano grandezze o entità osservabili, mentre i terzi, che sono in genere proprio le definizioni coordinative, contengono entrambi i tipi di termini, perché connettono i termini teorici con procedure empiriche di misura o con entità osservavibili. Per esempio, interpretare 'geodetica tra due punti' come corrispondente a 'cammino di un raggio luminoso nel vuoto' ci dà una definizione coordinativa.

Tali definizioni (dette anche leggi ponte, o principi, o regole di corrispondenza) hanno sostanzialmente tre compiti, tutti molto importanti. In primis, esse connettono il formalismo non interpretato con il linguaggio osservativo, e permettono di assegnare dunque un contenuto sintetico alla teoria stessa. Inoltre, a seconda che esprimano un contenuto fattuale o convenzionale, ci permettono di suddividere la scienza in una parte fattuale e indipendente dalle convinzioni umane, e in una non empirica e convenzionale, una distinzione che si richiama in parte a quella kantiana tra contenuto e forma della conoscenza. Infine, esse ci permettono di uscire da un circolo vizioso simile a quello già incontrato nel problema della misurazione della velocità della luce in una sola direzione ("solo andata"). Per esempio, come è stato evidenziato da John Norton a proposito dell'argomento di Reichenbach sulla natura della geometria, da una parte non possiamo sapere se ci sono forze universali finché non conosciamo la geometria dello spaziotempo, ma dall'altra non possiamo conoscere la geometria di quest'ultimo se non sappiamo se ci sono forze universali. Un tale circolo vizioso è infranto proprio dalla scelta di una definizione coordinativa (Norton, 1992, pp.187-188).

 

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Riferimenti


Bibliografia

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Pagina 170

2. Problemi fondazionali e metodologici in cosmologia
di Silvio Bergia

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Pagina 172

l. La cosmologia come disciplina scientifica

1.1 Osservazioni di natura cosmologica

Nei primi anni sessanta, Arno Penzias e Robert Wilson, due ricercatori della Bell Telephone, stavano studiando, nei laboratori di questa impresa a Holmdel, vicino a Princeton, nel New Jersey, un'antenna usata per le telecomunicazioni via satellite. Per migliorare la qualità delle telecomunicazioni, si deve cercare di eliminare i disturbi, quello che si chiama il rumore radioelettrico. Nel maggio del '64, Penzias e Wilson avevano cominciato a impiegare la loro antenna per misurare il rumore radioelettrico proveniente dallo zenit. Dedotti vari effetti, rimaneva un rumore residuo che risultò ineliminabile. Nell'anno seguente, essi si resero conto che lo stesso rumore era captato da ogni direzione. Inoltre constatarono che non subiva variazioni stagionali. Gradualmente risultò che esso non era prodotto dalla supefficie terrestre, né da qualunque sorgente localizzabile.

Si tratta, come il lettore informato avrà capito, della scoperta della cosiddetta radiazione cosmica di fondo, una scoperta di straordinario interesse scientifico, sulla cui rilevanza nello sviluppo della cosmologia contemporanea dovrò tornare. Essa mi interessa qui però per un aspetto che si presta a una considerazione di carattere metodologico. Come ho appena accennato, non risultò possibile individuare per la radiazione in questione alcuna sorgente specifica. In termini suggestivi, ma non per questo scorretti, si può dire che la sua sorgente è l'universo nel suo complesso. Sembra adeguato chiamare osservazioni astronomiche o astrofisiche, che presentino la caratteristica di non riguardare oggetti singoli, osservazioni di natura cosmologica (ONC).

La possibilità, e l'effettiva esistenza, di osservazioni di questo tipo fornisce un primo indizio circa la possibilità di individuare una disciplina con un suo proprio statuto, in grado di distinguerla dall'astronomia e dall'astrofisica con le quali condivide strumenti e metodi di osservazione. È lungi da me l'intenzione di procedere a un'apodittica dettatura di un tale statuto: sono consapevole dell'esistenza di posizioni che giungono a contestare la stessa possibilità di una cosmologia scientifica, un tema sul quale ritornerò difflisamente. Non nascondendo che il mio scopo finale è proprio quello di indicare l'esistenza di un metodo caratteristico della cosmologia, mi propongo piuttosto di perseguirlo seguendo un percorso spiraleggiante, dove con l'immagine intendo suggerire il graduale approfondimento e la graduale definizione dei problemi.

1.2 Osservazioni con valenza cosmologica

Un'osservazione di natura cosmologíca è da sempre alla portata di tutti i vedenti: il cielo notturno è nero, fatta eccezione per un gran numero di sorgenti puntiformi o comunque (è il caso dei pianeti) molto piccole. L'osservazione ha una natura cosmologica, nel senso che ho tentato di delineare sopra, se, con un'estrapolazione che tutti o quasi sarebbero disposti a fare, ci sentiamo di affermare che un osservatore, ovunque collocato nell'universo, purché al di fuori di una qualsiasi forma di atmosfera, farebbe la stessa osservazione. E d'altra parte l'inferenza è confortata dall'esperienza diretta di un paio di generazioni di astronauti. Questa stessa esperienza conforta anche l'altra inferenza: che, in un cielo privo di atmosfera, anche il Sole splenderebbe in un cielo nero.

Un piccolo inciso: il cielo diurno è luminoso perché l'atmosfera diffonde la luce solare. Non sembra legittimo considerare questo asserto come dettato dalla sola osservazione: la conclusione è raggiungibde sulla base dell'osservazione e di conoscenze fisiche. Così è anche allora l'inferenza che osservatori collocati al di fuori di ogni atmosfera osserverebbero un cielo nero. L'esempio (ci dice che forse non esistono ONC pure. Ma a credere che in qualunqute disciplina scientifica esistano dati che si possano considerare assolutamente puri, non "intrisi di teoria", non sono forse rimasti in molti. In questo la cosmologia non può fare eccezione. Osservazioni di carattere cosmologico sono probabilmente sempre tali solo se accompagnate da clausole che siamo disposti a stipulare sulla base delle conoscenze fisiche correnti. Forse che l'osservazione pura di Penzias e Wilson non presuppone la tacita assunzione che la strumentazione usata obbedisce alle leggi note della fisica? Nei due esempi considerati, peraltro, il peso delle clausole che stipuliamo sembra lieve: non per nulla ho voluto sopra parlare di un'estrapolazione che tutti o quasi saremmo disposti a fare; e, d'altra parte, come pure ho voluto sottolineare, abbiamo in quel caso il conforto di osservazioni dirette, sia pure in ambito limitato; quanto poi alla strrumentazione di Penzias e Wilson, porre in dubbio il suo corretto funzionamento equivale a vietarsi la possibilità di ogni ricerca fisica.

Diverso è il discorso se da una ONC vogliamo trarre conclusioni su proprietà dell'universo. Chiamerò osservazioni con valenza cosmologica (OVC) osservazioni che potenzialmente permettano di trarre delle conclusioni sull'universo (sull'universo visibile o addirittura sull'intero universo - se pure il concetto ha un senso). Ci si può senz'altro aspettare che l'attribuzione di una valenza cosmologica a una ONC implichi in generale la stipulazione di clausole più forti di quelle testé discusse.

Esaminerò qui due casi in quanto permetteranno di raggiungere qualche conclusione interessante. Il primo è proprio quello dell'oscurità del cielo notturno. Si può dimostrare che questo "dato", accompagnato da alcune clausole basate su conoscenze fisiche comunemente accettate, esclude che possano valere congiuntamente le quattro proposizioni seguenti:

- l'universo è spazialmente infinito e mediamente omogeneo;

- l'universo è esistito da sempre;

- le proprietà medie dell'universo sono stazionarie;

- l'universo è, su larga scala, statico.

La comprensione corretta delle quattro proposizioni richiede qualche precisazione. L'avverbio "mediamente" è necessario in quanto è evidente la disomogeneità spaziale dell'universo su scale anche molto grandi. Questo asserto richiederebbe a sua volta una definizione rigorosa di omogeneità, che intendo rimandare a una tornata successiva della spirale. Basti al momento indicare che la presenza di concentrazioni di materia, nei corpi celesti, ma anche nelle galassie, viola l'omogeneità spaziale, che sarà eventualmente raggiungibile solo su scale così grandi che queste disomogeneità si possano trascurare, un po' come le catene montuose sono un'irregolarità locale trascurabile per chi studia la forma geometrica della Terra. Analoga rilevanza hanno l'aggettivo "medie" nella terza proposizione e l'inciso "su larga scala" nella quarta.

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Pagina 191

1.9 Intermezzo. La biblioteca di Babele: i problemi dell'infinito spaziale

La questione della finitezza o meno dell'universo è dunque lasciata ancora aperta dalla cosmologia contemporanea.

La dinamica dell'espansione funziona ugualmente bene nell'uno come nell'altro caso. Tuttavia un universo spazialmente infinito presenta problemi specifici che rischiano di mettere in crisi le nostre concezioni generali.

Innanzitutto esso rimette in discussione il presupposto cardine dell'intera costruzione, e cioè il Principio Cosmologico. A questo proposito, John D. Barrow ha sottolineato che, se la cosmologia ambisce allo status di scienza della natura, basata, come tale, sull'osservazione, «la distinzione fra universo e universo visibile è cruciale [...]. È lo studio di questa regione finita che porta alle nostre leggi di natura, e solo le predizioni teoriche che riguardano questa parte dell'intero universo possono essere, anche in linea di principio, provate vere o false». Se l'universo è infinito, «l'universo visibile, finito, sarà sempre nient'altro che un frammento infinitesimo, e forse non rappresentativo del tutto» (Barrow, 1988, p. 259). Se questo è vero, il principio cosmologico non può che presentarsi «solo come un enunciato sul contenuto dell'universo visibile» (Ivi, p. 260).

A questo problema, fondamentale dal punto di vista fondazionale, si affiancano due considerazioni inquietanti: 1) in un mondo infinito, nelle parole dello stesso Barrow, «qualsiasi cosa possa accadere, accadrà certamente» (Ivi, p. 262); 2) qualsiasi oggetto, o evento, può avere una replica (in effetti, infinite repliche).

Il primo aspetto è stato intuito, con la sua intuizione visionaria, da Luis Borges nella sua "finzione" La biblioteca di Babele (Borges, 1941), non a caso citata da Tullio Regge (cfr. Regge, 1994): «L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d'un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali [...] A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina di quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore nero [...] È ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze [...] la Biblioteca è totale [...] i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici [...] cioè tutto ciò ch'è dato di esprimere, in tutte le lingue [...]» (Borges, 1941, pp. 680 e segg.).

Il secondo punto è logicamente distinto dal primo. Proviamo a trasmetterne il senso con un esempio. Siamo probabibnente disposti ad accettare che, nell'universo visibile, esistano innumerevoli altri sistemi solari; nel caso di un universo sufficientemente grande, siamo probabilmente disposti ad accettare che esistano sistemi solari con lo stesso numero di pianeti; sistemi solari con pianeti "simili" a quelli del nostro sistema e susseguentisi nello stesso ordine; e, via via; ... ; ma se non c'è limite al numero dei corpi celesti dell'universo, non c'è limite alle possibilità realizzabili, e si deve accettare l'idea che esista almeno un sistema solare del tutto identico al nostro, e, fatto questo primo passo, accettare l'idea che ne esistano di fatto infiniti. Così come l'idea che in uno, anzi in infiniti di essi, vi sia qualcuno intento alla nostra stessa opera.

Le conclusioni delineate, tuttavia, non sono così necessarie come si tende talvolta a presentarle. Sopra ho deliberatamente sottolineato che ogni oggetto può avere una replica. Ma, ricorda giustamente Barrow (Barrow, 1988, p. 262), le considerazioni fatte, per essere vincolanti, richiedono la completa casualità degli eventi; l'universo deve essere assimilabile a un numero irrazionale piuttosto che non a un numero razionale periodico.

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Pagina 236

2.2.5 Finalismo o darwinismo?

La domanda cruciale è: vogliamo inferire qualche considerazione ulteriore dalla pura constatazione che l'universo è critico nel senso appena detto? È quando ci addentriamo per questa strada che il messaggio trasmesso dal principio antropico diventa più suggestivo, e perfino inquietante, ma anche più ambiguo.

Sosterrò qui la tesi che sono possibili a rigore due soli atteggiamenti di fronte alla constatazione di cui sopra: uno sposa il punto di vista che compito della scienza è spiegare l'esistente, e, darwinianamente, cerca di riscontrare nella storia dell'universo le cause (efficienti) che l'hanno resa possibile; l'altro è necessariamente teleologico e, come tale, non certo proibito ma semplicemente estraneo alla scienza. Di sicuro, i due atteggiamenti sono antitetici. E credo che buona parte delle presentazioni del principio antropico risultano oscure perché non riescono a far chiarezza neanche su questo punto fondamentale.

Sembra opportuno cominciare la nostra discussione da dove necessariamente devono cominciare a diramarsi i due punti di vista: dalla sensazione di meraviglia che ci pervade al constatare come l'ambiente in cui viviamo, mediamente, e quindi prescindendo dalla considerazione di luoghi come i deserti freddi o caldi, sia adatto alla vita, in particolare alla nostra. Ne nasce, anche in spiriti non religiosi, la sensazione inquietante che una sorta di congiura cosmica abbia operato per produrre questo tisultato.

L'avvento del darwinismo, tuttavia, ha comportato anche una profonda modifica di questo atteggiamento. Nessuna meraviglia se la biosfera si dimostra adatta ad ospitare la vita dell'uomo: se essa non avesse raggiunto, nel corso della sua evoluzione, uno stato favorevole allo sviluppo di quanto alla vita è necessario, non avrebbe potuto aver luogo il processo evolutivo che ha portato all'uomo. Ha scritto, mi sembra molto efficacemente, Lars Gustafsson: la concezione dell'origine della specie «a cui Charles Darwin ha dato una forma definitiva [...] afferma che certi sistemi come gli organi interni dei mammiferi, per esempio, non siano fatti come sono perché [causa finalel qualcosa li ha obbligati a prendere la forma più adatta, bensì perché [causa efficiente] le modificazioni delle condizioni esterne hanno fatto da filtro alla moltitudine di evoluzioni teoricamente possibili, facendo passare solamente le forme atte a sopravvivere e a trasformarsi lentamente [...] Il principio di finalità era stato condotto dallo statuto di principio universale a quello di semplice relazione tra un sistema biologico e il suo ambiente naturale transeunte. La finalità poteva essere trasformata in un normale rapporto di causalità» (Gustafsson, 1990).

Proviamo a trasferire queste considerazioni dall'ambito della biosfera a quello cosmologico, come inquadrato nel modello standard del big bang caldo. Un insieme di considerazioni può portarci a una meraviglia perfino maggiore di quella che coglieva l'uomo pre-darwiniano di fronte al miracolo dell'ambiente terrestre. È solo un incredibile insieme di circostanze favorevoli, come abbiamo visto, che rende il cosmo quale lo conosciamo, o descriviamo, adatto a ospitare una vita cosciente basata sul carbonio. A quanto ho ricordato sulla nucleosintesi del carbonio, si possono aggiungere alcune considerazioni riguardanti la nucleosintesi primordiale. Si può ricordare, a questo proposito, per non fare che qualche esempio, che accanto al deutone, stato legato di neutrone e protone, tenuto insieme dall'interazione cosiddetta "forte", è concepibúe uno stato legato di due protoni; per la sua esistenza sarebbe sufficiente che l'interazione forte fosse appena un po' più intensa, in modo da poter vincere la repulsione elettrostatica fra i due protoni (Barrow e Tipler, 1986, p. 322). Come sottolineano Barrow e Tipler, l'esistenza di questo stato legato, il diprotone, avrebbe conseguenze catastrofiche: infatti tutto l'idrogeno dell'universo sarebbe "bruciato" in elio durante le fasi iniziali del big bang, e non vi sarebbero oggi neppure le stelle in cui compiere la nucleosintesi degli elementi pesanti. Né è essenziale solo l'intensità delle interazioni forti: se il rapporto fra le intensità delle interazioni forti ed ellettromagnetiche fosse leggermente diverso, a parità delle altre condizioni, e dunque anche assumendo una fisica che permette i nuclei di carbonio, non potrebbero esistere gli atomi di carbonio, e dunque neanche i fisici nel cui corpo si trovano tali atomi (Ivi, p. 5). Gli esempi (al solito, si tratta di controfattuali antropici) di questo genere si moltiplicano: i testi citati fin qui ne presentano innumerevoli.

Ed è difficile non lasciarsene suggestionare, al punto da lasciarsi condurre a una visione neofinalistica, che potrebbe essere epressa in questi termini: «L'esistenza della vita nell'universo è resa possibile da una tale serie di circostanze concatenate, che essa appare il frutto di un progetto». Ma il finalismo ha un carattere immediatamente ascientifico. Possiamo anche nutrire un credo finalistico, ma esso deve restare estraneo al nostro modo di sentire e operare come uomini di scienza. Non solo, ma un'asserzione di finalismo è conclusa in sé, non contiene, per così dire, nient'altro che il suo enunciato, è un discorso senza seguito.

Se si vuol restare in ambito scientifico, sembra dunque inevitabile che si debba sposare anche in cosmologia il punto di vista darwiniano, che, ridotto al nocciolo, significa sostituire cause finali con cause efficienti, e dunque si accontenta, in questo caso, della conclusione che non solo la vita non avrebbe potuto nascere che in un universo adatto, ma che essa non avrebbe potuto nascere senza un universo. D'altra parte, ogni forma di finalismo deve oggi fare i conti col fatto che l'evoluzione biologica, nel generare ordine e informazione, lo fa in un modo essenzialmente impredicibile.

Possiamo concludere la discussione in questi termini: se adottiamo il punto di vista darwiniano, la scoperta che i valori osservati di tutte le quantità fisiche e cosmologiche assumono valori ristretti dal requisito che esistano luoghi ove si possa evolvere una vita basata sul carbonio è ricondotta alla considerazione che, se così non fosse stato, non si sarebbe prodotto il processo evolutivo che osserviamo. "Scoperta" e assunzione del punto di vista non aggiungono peraltro nulla al principio antropico (forte) né come proposizione controllabile, né come proposizione che ambirebbe ad avere valore esplicativo. Le uniche novità stanno nella scoperta e nell'adozione del punto di vista, ma né l'una né l'altra configurano necessariamente alcun reato di apostasia rispetto al quadro teorico ed epistemologíco esistente, e non comportano necessariamente l'abbandono dell'atteggíamento laico, che, fino a prova contraria, scarta come ridondante e non pertinente ogni finalismo nelle scienze della natura.

L'adozione di un punto di vista finalistico, d'altra parte, sembra individuare l'unica alternativa logicamente possibile all'adozione del punto di vista darwiniano. È il caso di sottolineare che si tratta di un'alternativa totale, di un atteggiamento antitetico, e non certo di una variante o di una sorta di integrazione. Questa conclusione dovrebbe essere, ma non pare che sia, ben chiara a tutti.

A che si deve allora la convinzione che il principio antropico costituirebbe una sorta di ribaltamento pressoché totale della visione copernicana, intesa come quella che toglie l'uomo dal centro dell'universo, sia in senso geometrico sia nel più ampio dei sensi traslati, e reintrodurrebbe elementi di finalismo nella nostra visione del cosmo? Si deve alla prassi consueta di lasciare quasi inavvertitamente strisciare nei discorsi l'idea che il principio antropico dia una vera spiegazione in termini causali. E in effetti, su buona parte delle considerazioni che si fanno in questo ambito, aleggia, inespressa, la domanda che cerca una causa: "Perché?". E, quel che è peggio, si lascia sviluppare nel lettore la sensazione che essa abbia trovato una risposta. Ed ecco allora che il PAF non è più letto come esprimente la scoperta di una correlazione, ma come esprimente una spiegazione causale che, nel contesto, non può essere che finalistica.

 

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Riferimenti


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Altri resoconti di carattere storico

Riferimenti storici generali

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    On the curvature of space, in J. Bernstein, G. Feinherg,
    Cosmological Constants, Columbia University Press,
    New York 1986, pp. 49-58.
[...]

Articoli e saggi sugli sviluppi recenti
[...]

Testi su argomenti cosmologici di particolare interesse
epistemologíco
[...]

Testi sulla gravità quantistica e il problema delle
condizioni iniziali
[...]

Sulle origini dell'irreversibilità e la storia termica
dell'universo
[...]

Sul principio antropico
[...]

Raccolte di articoli e attí e opere di riferimento
[...]

Opere letterarie
[...]


 

 

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Pagina 337

4. I fondamenti concettuali e le implicazioni epistemologiche della meccanica quantistica
di Gian Carlo Ghirardi

l. La nascita della meccanica quantistica

Ci accingiamo a percorrere il cammino che ha portato, nel primo quarto del nostro secolo, all'elaborazione di quella genuina rivoluzione scientifica rappresentata dalla meccanica quantistica, lo schema concettuale che, assieme alla teoria della relatività, sta alla base di tutta la modeena visione del mondo. Raramente la nascita di una nuova teoria è stata altrettanto travagliata, ha richiesto cos' rilevanti sforzi da parte di alcune delle più brillanti menti di tutti i tempi e, pur avendo registrato un successo sul piano predittivo ineguagliato da ogni altro schema teorico nella storia della scienza, ha suscitato un così vivace e appassionante dibattito e controversie così accese circa il suo vero significato. Questi fatti non risulteranno sorprendenti allorché avremo acquisito una certa familiarità con i radicali cambiamenti circa la visione dei processi fisici che sono risultati necessari per inquadrare in uno schema coerente la fenomenologia che andava emergendo nel corso delle indagini sui sistemi microscopici.

Conviene precisare subito la linea che seguiremo nella presentazione del nostro tema. Questo primo paragrafo avrà un carattere radicalmente diverso da quelli che seguiranno. In esso ci limiteremo a indicare in termini non tecnici i fatti salienti che hanno posto in evidenza, nel periodo di transizione tra il secolo scorso e quello presente, l'insufficienza degli schemi concettuali classici per rendere conto di alcuni processi fisici di notevole interesse, tratteggeremo l'articolata linea di pensiero che ha portato a identificare aspetti insospettati del mondo fisico, analizzeremo le ipotesi, talora contraddittorie e/o non precisamente definite che sono state avanzate per superare le difficoltà sopra menzionate, fino a delineare l'epilogo di questo sofferto processo rappresentato dalla formulazione di due versioni del nuovo schema teorico, che solo successivamente verranno riconosciute come equivalenti. Elencheremo anche alcune caratteristiche salienti e alcuni aspetti della teoria che si sono subito rivelati problematici.

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Pagina 340

1.1 La crisi della fisica classica

Come già menzionato, il prologo della vicenda che ci accingiamo ad analizzare si può identificare nella fondamentale incapacità degli schemi concettuali "classici" di rendere conto di alcuni basilari fenomeni fisici. L'elenco completo risulterebbe estremamente lungo ed un'analisi esauriente richiederebbe la considerazione di sofisticati effetti fisici e trattazioni tecniche estranee allo spirito di queste prime pagine. Ci limiteremo perciò a descrivere alcuni processi elementari che non ammettono spiegazione all'interno della concezione "classica" dell'universo fisico.

Prima di proseguire vale la pena di precisare che in questo testo espressioni quali "la concezione classica del mondo", o altre equivalenti, devono intendersi riferite a quel corpo di conoscenze elaborate nel lungo corso dell'evoluzione del pensiero scientifico dalla rivoluzione galileiana al 1800 e compendiate nei due pilastri della fisica del secolo scorso, vale a dire la meccanica e l'elettromagnetismo.

La meccanica classica, nata dalle profonde intuizioni di Galileo e concretatasi grazie alla geniale opera di Newton nel XVII secolo, ha trovato la sua espressione più raffinata e generale nei lavori di Joseph Louis de Lagrange e di William Rowan Hamilton nei due secoli successivi. Questa superba teoria tratta, come ben noto, del movimento dei corpi materiali come determinato dalle forze che agiscono su di essi. Tali forze si manifestano quali attrazioni (o repulsioni) mutue tra particelle individuali e governano i loro movimenti nei più minuti dettagli. Come ben noto la meccanica classica ha consentito l'unificazione di fenomeni apparentemente diversissimi; basterà ricordare che essa implica che il moto dei pianeti nei cieli è governato dalle stesse identiche leggi che regolano la caduta di un oggetto qualsiasi sulla Terra. Vale anche la pena di menzionare che mentre in un primo tempo gli scienziati pensavano che i processi fisici che coinvolgono scambi di calore non rientrassero nell'ambito della meccanica, proprio nel XIX secolo fu possibile mostrare che i processi termici trovano la loro origine nei moti disordinati dei costítuenti della materia. In altre parole, la meccanica vide in questo secolo uno dei suoi più grandi trionfi quando, grazie all'opera geniale di Josiah Williard Gibbs, Ludwig Boltzmann e di James Clerk Maxwell, essa portò a un'ulteriore unificazione dei fenomeni naturali fornendo una spiegazione meccanica dei processi termodinamici.

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Pagina 560

10. Conclusioni

Siamo giunti alla fine del capitolo e sembra appropriato aggiungere alcune considerazioni conclusive. Abbiamo ripercorso la strada che dagli inizi del secolo ha condotto la comunità dei fisici a elaborare quella vera rivoluzione scientifica e concettuale che è rappresentata dalla meccanica quantistica. Questo appassionante percorso si è articolato in cinque fasi che, anche se non sono state identificate chiaramente, non saranno certamente sfuggite al lettore attento. Abbiamo esordito illustrando le difficoltà che la comunità scientifica ha dovuto affrontare agli inizi del secolo e mostrando come, attraverso intuizioni geniali e fortunate ipotesi, passando da momenti di grande frustrazione a entusiastiche speranze, da profondi sconforti a uno stupore quasi estatico, un ristretto gruppo di scienziati geniali abbia saputo sollevare il velo che nascondeva aspetti sorprendenti del mondo reale. Successivamente abbiamo analizzato il dibattito che si è acceso attorno all'interpretazione della teoria la quale andava incontrando un successo dopo l'altro e aveva ormai acquistato una sua struttura precisa di estrema eleganza formale ma che, al tempo stesso, poneva seri problemi a chi guardasse con un atteggiamento critico alla concezione circa la conoscenza scientifica che essa sembrava implicare, rifiutandosi in particolare di assumere una posizione puramente strumentalista. I giganti di questa titanica sfida sono due delle figure più significative del nostro secolo: Niels Bohr e Albert Einstein il cui dialogo-scontro è stato ampiamente analizzato. Abbiamo visto come il confronto tra queste due figure eccezionali, che ha coinvolto direttamente anche gli altri celebri protagonisti di questa incredibile vicenda intellettuale, da Heisenberg a Schrödinger, da Born, Pauli, Jordan e von Neumann a de Broglie e Bohm abbia portato a focalizzare sempre meglio i veri problemi della teoria e abbia costretto i vari pensatori a uscire allo scoperto, prendendo posizioni via via più precise e definite.

Le vicende analizzate forniscono anche un'interessante materia di riflessione per coloro che si interessano dell'evoluzione del pensiero scientifico. Si è sottolineato come l'accettazione acritica dell'ideologia di Copenaghen abbia rappresentato un freno per lo sviluppo di nuove idee, per l'elaborazione di proposte alternative e addirittura per la comprensione dei rivoluzionari aspetti del reale che stavano emergendo. È risultato molto difficile per voci dissenzienti farsi prendere sul serio, è stato troppo facile per chi condivideva la posizione "vincente" far accettare come inequivocabilmente stabiliti fatti e principi che avrebbero richiesto un'indagine più seria e approfondita. Nei paragrafi 5, 6 e 7 abbiamo visto il ruolo essenziale di un genio come Einstein e di un lucido pensatore profondamente motivato come Bell per consentire un reale salto di qualità nella comprensione delle più riposte implicazioni della teoria e quindi dei peculiari aspetti del mondo reale.

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Pagina 562

Sul versante più vicino allo spirito di questo testo, quello concettuale, vale la pena di interrogarci su cosa potrebbero riservare gli sviluppi futuri delle ricerche più recenti. Una prima osservazione si impone. Tra le proposte analizzate per superare le difficoltà del forinalismo, quelle che richiamano maggiormente l'interesse di coloro che sono seriamente impegnati in questo campo sono quelle che vengono ormai classfficate, utilizzando il felice titolo di un recente convegno tenuto a Bielefeld lo scorso anno, come "Teorie quantistiche senza osservatori", a indicare appunto che esse non vogliono attribuire alcun ruolo peculiare all'osservatore cosciente. Tra queste si collocano la teoria di de Broglie e Bohm, le Storie Quantistiche e i Modelli di Riduzione Dinamica.

Con riferimento al primo e al terzo di questi approcci è doveroso dichiarare che anche se essi si configurano come perfettamente coerenti al livello della trattazione di questo capitolo, cioè quello nonrelativistico, essi non risultano facilmente generalizzabili in senso relativistico. Indagini in questo senso sono tuttora in corso e hanno portato ad alcune interessanti proposte che meritano considerazione in quanto hanno gettato una nuova luce sugli imbarazzanti aspetti (dal punto di vista della teoria della relatività) del processo di riduzione. Per questi temi facciamo riferimento ai recenti lavori di Duerr, Goldstein e Zanghí e di Grassi assieme all'autore di questo capitolo (Ghirardi e Grassi, 1995, Ghirardi 1996).

Con riferimento al programma di riduzione dinamica è anche importante menzionare che Roger Penrose si muove lungo linee che sono molto vicine, nello spirito, a quella di questo programma ma che egli si propone un obiettivo molto più ambizioso e affascinante, cioè quello di risolvere simultaneamente i problemi della teoria quantistica che abbiamo analizzato e quelli della teoria quantistica della gravitazione. Inutile dire che ogni passo avanti lungo questa linea potrebbe portare al superamento del carattere fenomenologico del modello di GRW e all'elaborazione di una teoria con solide basi concettuali. Sfortunatamente per ora non è risultato possibile esibire esplicitamente alcun modello che rappresenti una precisa implementazione di queste stimolanti idee.

Inutile dire ceh tutti i tentativi che ho appena elencato si muovono nella direzione di una posizione di realismo scientifico. Per concludere non ci resta che sottolineare una volta di più come la sfida concettuale che abbiamo illustrato nella parte finale del capitolo ci sembra di grande interesse. E ci sembra opportuno sottolineare, da un lato, i nuovi titanici sforzi che questa sfida richiederà a chi è impegnato in questo campo e, dall'altro, lo stimolo che queste ricerche offrono in quanto lasciano intravedere la possibilità di cogliere nuovi, insospettati aspetti della realtà. Penrose stesso ha espresso recentemente una posizione, un programma e delle aspettative che condividano pienamente: «Io propendo per cercare di salvare sia il realismo quantistico che lo spirito della concezione spazio-temoorale della relatività. Ma questo richiederà un cambiamento radicale del nostro modo di rappresentarci la realtà fisica,... un cambiamento profondo dei nostri punti di vista, che rende addirittura estremamente difficile immaginare ora quale potranno essere le sue caratteristiche specffiche. Per di più esso, senza alcun dubbio, sembrerà folle!».

 

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Riferimenti


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