Copertina
Autore Andrea Chiesi
Titolo Riconvertire i luoghi
EdizionePostmedia, Milano, 2008 , pag. 94, ill., cop.fle., dim. 15,2x21x0,8 cm , Isbn 978-88-7490-038-1
LettoreGiovanna Bacci, 2008
Classe arte , fotografia
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Indice


  7 RICONVERTIRE I LUOGHI
    Gianni Romano

 17 LA FABBRICA DELLA MEMORIA
    Silvia Berseli

 21 CINQUE PEZZI (NON) FACILI
    PICCOLA GUIDA SUL COME USARE (O RI-USARE)
    EDIFICI INDUSTRIALI PIÙ O MENO DIMESSI
    Stefano Mirti

 29 PROGETTO HABITAT
    Ekidna

 35 IL NICHILISMO DELLO SGUARDO
    Cecilia Pirovano

 41 EX-FAEMA ED EX-GIÒ STYILE
    Mutti Architetti

 45 MILANO COME META DELL'ARCHI-TURISMO?
    Lorena Bari

 49 SPAZICO INDUSTRIALE
    Alberto Iori

 53 FLUMENDOSA
    DotDotDot

 59 ISOLA ART CENTER E LA STECCA DEGLI ARTIGIANI
    Berth Theis e Luis Miguel Selvelli


 

 

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Pagina 7

RICONVERTIRE I LUOGHI

Gianni Romano


Questa pubblicazione raccoglie il materiale d'archivio e i dipinti realizzati da Andrea Chiesi nel 2007. La serie si intitola Kryptoi e si concentra su l'Ex-Manifattura Tabacchi di viale Fulvio Testi a Milano con un'incursione all'Ex-Manifattura Tabacchi di Modena. L'edificio milanese è ben visibile dal viale quando si lascia Milano per addentrarsi in Brianza, visitare una mostra all'Hangar Bicocca o la sera per andare a mangiare alla Trattoria Arlati. Il complesso occupa una superficie di circa 90.000 mq. Sul sito Internet della Regione Lombardia, tuttavia, si parla di questo edificio nella sezione "cultura", il che confermerebbe l'idea che in questa regione si fa tanto poco per la "cultura" che anche un'operazione edilizia può rientrare in questa fascia. In realtà c'è un motivo più consistente: sotto il titolo Riqualificazione del complesso ex Manifattura Tabacchi a Milano veniamo informati del fatto che la riqualificazione e riconversione delle aree degli immobili costituenti il complesso "Ex Manifattura Tabacchi" è destinata ad una valorizzazione come bene culturale. L'ex Manifattura, dunque, è destinata a sede del Dipartimento Lombardia della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia diventando così "Polo cine-audio-visuale" (il nome è provvisorio), in cui verranno ubicati spazi per l'archivio regionale di etnografia e Storia Sociale, per archivi del cinema e del disco e per altre funzioni, tra cui anche alloggi ad uso temporaneo legati all'attività formativa (universitaria, scuola del cinema, ospedaliera e simili).

La riconversione degli edifici non è certo una novità in Italia, fa parte della storia della nostra architettura, è un patrimonio del nostro modo di costruire. Abbiamo casi esemplari come il Lingotto a Torino e la Bicocca (poco distante dalla ex-manifattura dove ha lavorate Andrea Chiesi). Dunque riconvertire degli edifici non va considerato come un surrogato della mancanza del costruire in un paese dove finora si è costruito poco: anche riconvertire significa costruire, ed è ancora più interessante quando - come spesso accade - l'edificio riconvertito viene adibito ad altre funzioni.

Quello che è in atto nella zona nord di Milano è solo un esempio di quanto accade anche altrove. Per l'occasione abbiamo chiesto dunque ad alcune persone di darci la loro testimonianza a proposito della riconversione dei luoghi, abbiamo raccolto delle dichiarazioni pratiche, teoriche o simboliche. Ad esempio, Stefano Mirti ci ha elencato cinque simboliche case history, tra le quali il progetto non realizzato (dato che il concorso venne vinto da Renzo Piano) di Hans Hollein per il Lingotto. Bisogna anche considerare situazioni abitative che cambiano la natura dei luoghi dandogli un valore aggiunto anche se non si ricorre a nuovi interventi architettonici, basti pensare ai centri sociali che occupano edifici abbandonati dandogli nuova vita sotto forma di centri di aggregazione giovanile, luoghi d'intrattenimento che cambiano funzione e percezione di luoghi che erano fabbriche, colonie, ospedali...

A questo proposito, spesso veniamo a conoscenza di storie vissute, simpatiche come quella dell'Associazione Ekidna - che ha trasformato una vecchia scuola in luogo d'incontro no-profit, ma solo per "un pensiero di miglioramento dello stare al mondo nell'ambito locale" - oppure antipatiche come quella dell'Isola Art Center, sorta di vero e proprio centro espositivo pubblico (e alternativo rispetto alle scelte culturali conservative e confuse che da troppo tempo dominano Milano) che è stato abbattuto per far posto all'ennesima "riconversione" di un'intera area edilizia nel cuore del quartiere Isola a Milano. L'architetto che opera una riconversione si ritrova a dover – in qualche modo – ricostruire un luogo, proprio come l'artista che è chiamato a ricordarci l'esistenza di questi luoghi o a dare forma alle proprie idee. Le motivazioni che muovono Andrea Chiesi sono diverse tra loro, benché tutte legate a fatti e attitudini personali, dal silenzioso pellegrinaggio in vecchie strutture, edifici abbandonati, fabbriche... Non vi è dubbio che l'archeologia industriale eserciti ancora un certo fascino. Ce ne accorgiamo dallo stile architettonico che questi edifici conservano anche una volta finita la riconversione, dalle tracce di un "passato" che nessun architetto ha il coraggio di cancellare, e dal fascino di noi utenti che possiamo riutilizzare dei luoghi chiusi in precedenza. Ricordo ancora un progetto dei Cliostraat per la Biennale dei Giovani Artisti di Torino (1997), un percorso che aveva fatto parlare di sé all'epoca, un viaggio di 70 km in cinque giorni e quattro notti, un cerchio che attraversava la circonferenza più esterna della città che Mirti ricorda "come fosse un trekking con gli scarponi e le tende, solo che anziché andare in montagna, si percorreva la periferia della capitale dell'auto... fabbriche abbandonate, wasteland assortiti".

Per Silvia Berselli, l'abitudine di Andrea Chiesi di andarsi a ricercare questi spazi particolari, armato di "un treppiede sulla spalla, la macchina fotografica al collo e tasche piene di rullini da 24", assume il valore di una testimonianza dall'evidente valore documentaristico, tanto più che l'artista – pur riportando su tela l'immagine fotografica – fa di tutto per contenerne le tracce rivelate dalla pellicola invece di farle sparire per creare un immagine "pulita". Del resto, la ricerca iconografica di Chiesi è abbastanza simile a quella di un antropologo che ricerca tracce di una


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Non so perché lo faccio... Forse perché a Modena il 9 gennaio1950, durante il governo Tambroni, la polizia sparò ad altezza d'uomo sugli operai delle Fonderie Riunite in sciopero, uccidendo Renzo Bersani, Angelo Appiani, Roberto Rovatti, Ennio Gargnani, Arturo Chiappelli e Arturo Malagoli. Me ne parlava mio padre da bambino davanti al cippo commemorativo, lui c'era, era scappato dal Collegio proprio per partecipare al corteo e osservando le foto dei caduti sentivo il dovere di ricordarli. O forse c'entra il fatto che ho realizzato varie opere con le Officine Schwartz, gruppo musicale bergamasco di Osvaldo Schwartz che ha sempre cantato il lavoro e la fabbrica, sviluppando una ricerca a metà strada tra il canto popolare e la musica industrial. Non è un caso che ho intitolato le mie tele con gru e carri ponte G.R.U., Grande Rumore Universale, in omaggio a una loro bellissima composizione

Andrea Chiesi

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situazione di transito: si tratta di un'immagine molto diversa da quella consueta del pittore stanziale, chiuso in studio a dipingere. La situazione "raccontata" dal suo lavoro – scrive Berselli – riflette certamente "la corsa alla terziarizzazione". La conseguenza l'abbiamo vissuta in prima fila con l'abbandono dei luoghi tradizionali di produzione, l'avvento del precariato, tutto quello che Jeremy Rifkin descrive con l'inequivocabile titolo "La fine del lavoro" (Baldini&Castoldi, 1995). Un mondo senza lavoratori, dunque, nel quale lo scontro tra l' "effetto a cascata" della tecnologia e le realtà del mercato provoca un ribaltamento epocale: l'enfasi sulla produzione, che aveva occupato gli economisti fino ai primi anni del secolo, viene improvvisamente sostituita dal neonato interesse per il consumo. L'abbassamento dei costi di produzione – generato dalle nuove tecnologie – fa si che aumenti l'offerta di merci che costano sempre meno. Si apre l'era del marketing, il cittadino diventa definitivamente cliente.

Se Andrea Chiesi fosse un fotoreporter probabilmente ci ritroveremmo a parlare soltanto di questa fine senza inizio apparente; avremmo chiamato in causa qualche sociologo, senza dare troppa importanza alla specificità delle sue foto, o alla qualità della composizione. Però, come ci ricorda Cecilia Pirovano (via Lewis Baltz) "La fotografia non è più in grado di dare forma al mondo", non possiamo più accettarla come dato oggettivo. È diventata anch'essa arte, strumento interpretante e da interpretare, e nel caso di Chiesi "tradita" dalla trasposizione in uno dei più vecchi mezzi di "produzione" artistica, la pittura. Questo complica le cose.

Andrea Chiesi non ha la saggezza silenziosa di uno Stalker, ma rispetta silenziosamente la Zona. Proprio come i kryptoi dell'antica Sparta... "Ragazzi che vivevano da antagonisti ai margini delle città, vestiti di nero, dal cranio rasato e posti sotto la protezione di Melanthos, il nero, personificazione di Dioniso. Ragazzi-contro, resistenti ad ogni forma di gerarchia e di inquadramento stabili, il loro viaggio nella tenebra era un rito di passaggio che li trasformava in adulti". È probabile che - romanticamente – Chiesi intraveda in queste figure una delle condizioni dell'artista contemporaneo, l'artista come figura simbolica di una comunità relegata ai margini del dibattito culturale (specialmente in Italia), non quello messo in copertina dalla spettacolarizzazione dell'esistente. Nella società contemporanea, nessuna strategia è possibile, ci sono solo tattiche. Se il luogo del mercato è diventato il luogo del conflitto, individualità e originalità sono trattate al pari di merci obsolete e la piccola comunità artistica – ancora capace di aggregarsi per assimilazione e comprensione – è costretta a sentir parlare di sé solo quando raggiunge i grandi numeri, quelli dei visitatori delle grandi mostre o degli acquisti alle grandi fiere.


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Da circa vent'anni vado in giro a fotografare edifici abbandonati, fabbriche, relitti dimenticati, zone industriali, qualche volta periferie e porti, resti dell'architettura fascista... La mia non è una mappatura dell'archeologia industriale, non è un lavoro scientifico o una ricerca condotta come la condurrebbe un architetto o un urbanista. Io sono un pittore e sono mosso da un sentimento di irrequietezza decadente, romantic-noir, da stati emotivi, da empatie. In fondo non mi interessa particolarmente sapere cosa diventeranno questi luoghi... li trovo abbandonati e li fotografo prima, e li dipingo poi, perchè sono vuoti, fermi, sospesi, fuori dal tempo, in attesa. Li sento vicini, simili. In quel silenzio io agisco.

Andrea Chiesi

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Confronto e dialogo, quelle componenti che sembravano necessarie alla costruzione della qualità dell'esperienza e della nostra memoria, sembrano ormai orpelli inutili in un'età in cui la cronaca prevale sulla storia.

Con la pittura Chiesi riesce a rallentare questo processo di sminuimento del quotidiano per rintracciarne valori, per forzare il presente, per vedere se da lontano — e con adeguati attraversamenti — è ancora possibile partecipare al meccanismo del mondo. In un testo da lui scritto nel 2005 (in "Nero", CorsoVeneziaOtto) leggiamo:

Tutto il mio lavoro è legato al tempo [...] Tutti gli spazi che ho dipinto sono spazi che ho visitato realmente e in misura diversa fanno parte della mia memoria. Da quando ho iniziato a disegnare e scattare foto, cioè da oltre venticinque anni, ho una specie di agenda in cui annoto quello che faccio. Ogni pagina serve a dare un senso a ogni giorno trascorso, a costruire nel trascorrere dei giorni la storia di una vita (che in questo caso è la mia, ma potrebbe essere qualsiasi altra). In questa lettura il mio lavoro è una sola opera autobiografica costituita da innumerevoli parti, i diari, le incursioni, le foto, i disegni e i dipinti. La pittura è la manifestazione finale del mio tempo.

La pittura permette all'artista di rallentare il tempo per comprenderlo meglio, di evitare l'eccesso per concentrarsi sulla sostanza, per evitare l'accumulo di cose inutili, per creare spazio laddove l'affollamento comincia a creare agorafobia e confusione, di concepire il vuoto come momento formativo. Kryptoi è una tappa in corso d'opera, quella di Andrea Chiesi, con la quale l'artista utilizza la pittura proprio perché la sua "lentezza" gli permette di conservare lo stupore di una sorpresa, di rendere legittimo l'abusivismo dello sguardo, di render conto con i propri tempi della trasformazione del nostro paesaggio, di non dimenticare che esiste da qualche parte una memoria storica che ha delle implicazioni sociali.

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A volte li cerco, altre volte li ho trovati davanti al mio sguardo. Questo è un elenco parziale e disordinato, ma rende l'idea: Milano, Sesto San Giovanni, ex acciaierie Falck, gasometri della Bovisa, palazzo di giustizia; Verona, ex cartiera Saifex, ex Magazzini Frigoriferi Generali; La Spezia, porto industriale; Livorno, cantieri navali Orlando, porto industriale; Modena, cantiere TAV, treno alta velocità, centro commerciale Ipercoop, ex acciaierie, ex Fonderie Riunite, ex manifattura tabacchi; Piacenza, centrale elettrica; Caorso, ex centrale nucleare; Trieste, porto vecchio, risiera di San Sabba; Colonia, porto industriale sul Reno; Croazia, porto industriale di Krk; Torino, ex Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie, ex stabilimenti Fiat, ex Docks Dora; Barcellona, porto industriale; Bilbao, porto industriale; Fossoli, ex campo di concentramento; Prato, ex cementificio; Vienna, ex torri della contraerea; Spilamberto, ex fabbrica esplosivi S.I.P.E.; Bari, ecomostri di Punta Perotti; Taranto, impianto Montedison; Napoli, ex acciaieria di Bagnoli; Caivano, ex cementificio; Genova, ex acciaieria di Cornigliano; Predappio, ex fabbrica aerei Caproni; Mantova, impianto Enichem; Brescia, stazione autolinee e Piazza della Vittoria; Roma, EUR; Udine, Torviscosa, ex Fabbrica Viscosa; ex colonie elioterapiche in Romagna...

Andrea Chiesi

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