Copertina
Autore Noam Chomsky
Titolo Siamo il 99%
Edizionenottetempo, Roma, 2012, cronache , pag. 108, cop.fle., dim. 14x20x0,8 cm , Isbn 978-88-7452-373-3
OriginaleOccupy [2012]
CuratoreGreg Ruggiero
TraduttoreAndrea Aureli
LettoreRiccardo Terzi, 2012
Classe movimenti , paesi: USA
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Indice


Nota del curatore di Greg Ruggiero            9

Occupy                                       21

Dopo trent'anni di lotta di classe           55

InterOccupy                                  71

La politica estera secondo Occupy            92



 

 

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Pagina 31

Sull'economia

Senza entrare troppo nel dettaglio, ciò che è avvenuto negli ultimi trent'anni è stato in realtà un incubo già previsto dagli economisti classici.

Adam Smith prese in considerazione l'eventualità che i mercanti e gli industriali potessero decidere di trasferire le loro attività fuori dall'Inghilterra – che potessero investire all'estero e importare dall'estero. Scrisse che ne avrebbero sí tratto profitto, ma a danno dell'Inghilterra.

Comunque, egli affermò anche che i mercanti e gli industriali avrebbero preferito operare nel proprio paese – quello che a volte viene definito "home bias". Cosí, quasi grazie a "una mano invisibile", l'Inghilterra sarebbe stata risparmiata dalle devastazioni di quella che oggi viene chiamata globalizzazione neoliberale. È un brano difficile da ignorare, dato che nel testo La ricchezza delle nazioni è l'unica volta che l'autore utilizza l'espressione "mano invisibile". Forse l'Inghilterra anche oggi sarà salvata dalla globalizzazione neoliberale da una "mano invisibile".

David Ricardo , l'altro classico dell'economia, fece la stessa previsione e si augurò che non si avverasse – speranza alquanto ingenua –, e per lungo tempo in effetti cosí è stato. Oggi, però, sta accadendo. È esattamente ciò che è successo nel corso degli ultimi trent'anni.


Plutonomia e precariato

Per gran parte della popolazione, il 99% secondo l'immagine del movimento Occupy, è stata particolarmente dura. Potrebbe andare ancora peggio. Questa potrebbe essere un'epoca di declino irreversibile. Per meno dell'1% del paese — per un decimo dell'1% — non c'è problema. Loro non sono mai stati cosí ricchi e potenti. Controllano il sistema politico, indifferenti al resto della popolazione. Per quanto li riguarda, se continua cosí, qual è il problema? Proprio la situazione temuta da Adam Smith e David Ricardo.

Prendete per esempio Citigroup. Per decenni Citigroup è stata una delle piú corrotte tra le principali banche d'investimento. Fin dai tempi di Reagan è stata piú volte salvata con i soldi dei contribuenti, proprio com'è avvenuto adesso. Non voglio entrare nel dettaglio — ne sarete già a conoscenza — ma il livello di corruzione è strabiliante.

Nel 2005 Citigroup pubblicò una brochure per gli investitori dal titolo Plutonomy: Buying Luxury, Explaining Global Imbalances. La brochure esortava gli investitori a collocare i loro soldi in un "indice plutonomico". Secondo il sommario, "il mondo si sta dividendo in due blocchi — la Plutonomia e tutto il resto".

La categoria della "plutonomia" fa riferimento ai ricchi, a coloro che acquistano beni di lusso e cosí via, ed è in quel contesto che le cose si muovono. Gli autori sostenevano che il loro indice plutonomico superava in redditività il mercato azionario, ed era per questa ragione che la gente doveva investirci i propri soldi. Gli altri, potevano pure andare a quel paese. Che ce ne importa di loro? Non ne abbiamo mica bisogno. Ci devono stare perché cosí possiamo avere uno Stato forte in grado di proteggerci e, all'occorrenza, tirarci fuori dai guai. A parte questo, non ci servono poi tanto. Oggi queste persone sono a volte definite il "precariato" — gente che vive un'esistenza precaria ai margini della società. Che ormai, però, non è più marginale, dal momento che sta diventando una parte rilevante della società statunitense, e non solo. E questa viene considerata una buona cosa.

Nell'era Clinton, per esempio, Alan Greenspan, quando era ancora "sant'Alan" — ed era considerato dall'ambiente economico come uno dei maggiori economisti di tutti i tempi (questo accadeva prima del crollo di cui è stato il principale responsabile) —, poteva testimoniare di fronte al Congresso e illustrare le meraviglie della magnifica economia che era sotto il suo controllo. Disse che gran parte del successo di quel tipo di economia era fondata in buona misura su ciò che definí la "crescente insicurezza del lavoratore". Se i lavoratori sono insicuri, se fanno parte di quello che noi oggi chiamiamo "precariato", se le loro esistenze sono precarie, allora non faranno richieste, non cercheranno di ottenere salari piú alti, non avranno tutele. Se non ci servono piú, li possiamo cacciare. È ciò che si definisce un'economia "sana", dal punto di vista tecnico. E per questo, Greenspan veniva elogiato e molto ammirato.

Ebbene, oggi il mondo si sta effettivamente dividendo in plutonomia e precariato – che è proprio l'immagine di Occupy, l'1% contro il 99%. I numeri non saranno proprio questi, ma restituiscono il giusto quadro della realtà. Oggi, è intorno alla plutonomia che le cose si muovono. Quindi, potremmo anche andare avanti cosí.

Se va avanti cosí, la regressione storica iniziata negli anni settanta rischia di diventare irreversibile. Stiamo andando in quella direzione. E Occupy è la prima credibile reazione di massa che potrebbe evitare questo andamento. Ma, come ho già detto, bisognerà rendersi conto che la lotta sarà lunga e difficile. Le vittorie non si conseguono da un giorno all'altro. Occorre essere tenaci, formare strutture organizzative durevoli, che siano in grado di superare i tempi difficili e ottenere vittorie decisive. Molto può essere fatto in questa direzione.

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Pagina 45

Ho una doppia domanda da porle, una domanda che voglio farle da sempre. Lei prima ha detto che le occupazioni delle fabbriche sono il passo precedente alla gestione diretta. Vorrei chiederle se oggi lei ritiene che uno sciopero generale possa essere una tattica efficace per portare avanti la protesta. La seconda parte della domanda è: se le fosse richiesto, lei si presterebbe a rappresentare la volontà democraticamente espressa dalla nazione?

La mia voce non sarebbe di grande aiuto. E tra l'altro, voi non volete leader; volete fare da soli. [Applausi e grida di approvazione] Abbiamo bisogno di rappresentanti, ma dovete sceglierli voi stessi e devono essere revocabili. Non dobbiamo ricadere in un sistema di controllo e di gerarchia.

La questione dello sciopero generale è come tutte le altre. La si può considerare una possibilità solo quando la gente è pronta. Non possiamo star qui e dichiarare semplicemente uno sciopero generale. Ci devono essere ovviamente il consenso, l'accordo e la volontà da parte della grande massa della popolazione di assumersene il rischio. Ci devono essere organizzazione, educazione, mobilitazione. Educazione non significa dire alla gente cosa deve pensare. Significa imparare le cose autonomamente.

C'è una famosa espressione di Karl Marx, che sono sicuro molti di voi conoscono: il compito non è solo comprendere il mondo, ma cambiarlo. C'è anche un corollario che bisognerebbe tenere a mente. Se si vuole cambiare il mondo in senso costruttivo, prima sarebbe meglio comprenderlo. Questo non significa semplicemente ascoltare una conferenza o leggere un libro, anche se qualche volta può aiutare. Significa imparare. E si impara partecipando. Si impara dagli altri. Si impara dalle persone che si cerca di organizzare. E si devono acquisire l'esperienza e la comprensione che forse permetteranno di trasformare idee del genere in tattica.

Ma la strada è lunga, e non ci si arriva schioccando le dita. Può solo avvenire con l'impegno e un duro lavoro di lungo respiro.

Penso che, per molti versi, l'aspetto piú esaltante di Occupy sia la costruzione di forme associative, di legami, di connessioni e reti che si sta realizzando dappertutto – che si tratti di una mensa autogestita o di altro. È a partire da queste cose, se riescono a durare nel tempo e a diffondersi in una larga parte della popolazione che ancora non sa cosa sta succedendo, che può prodursi il cambiamento. Se tutto ciò accadrà, allora si potrà discutere di tattiche come lo sciopero generale, che potrebbe a un certo punto diventare un'opzione appropriata.


Due domande su Occupy a livello mondiale: primo, in che modo possiamo individuare efficacemente i problemi per produrre un cambiamento? Dovremmo formulare delle richieste?

Non c'è bisogno che si sia tutti d'accordo sulle proposte e le idee da portare avanti. Ci sono buone ragioni per lasciare che "cento fiori sboccino". Ci sono molte possibilità e anche proposte estremamente sensate, a cominciare da quelle di breve periodo. Cerchiamo di impedire nelle prossime settimane che la Commissione sul deficit sferri un colpo letale che potrebbe produrre effetti duraturi sulla società. Questa è una proposta di breve periodo.

Ci sono anche questioni piú a lunga scadenza, come quelle che ho citato prima: aiutare i lavoratori di quel sobborgo di Boston a prendere in mano la loro fabbrica, invece di restare disoccupati. Si potrebbe poi continuare, fare lo stesso per l'intero settore manifatturiero, e procedere verso altre iniziative di questo genere.

Ancora, si potrebbe trasformare il nostro paese in un leader dello sforzo per mitigare – e magari risolvere – il rischio tremendo rappresentato dal riscaldamento globale, invece di essere in realtà il leader e praticamente l'unico partecipante alla campagna per rendere tale minaccia piú imminente. O ancora, affrontare la questione della personalità giuridica delle corporation, anche se suggerirei che si allargasse la prospettiva per poter affrontare la distorsione – la plateale distorsione – implicita nella nozione di persona, che è stata ampliata per includere entità societarie, ma è stata al contempo limitata per escludere quelle che la legge identifica come non-persone. E ci sono molte altre richieste che dovrebbero essere formulate e articolate. Non tutti devono per forza essere d'accordo sulla lista delle priorità o sul ventaglio delle proposte, le può perseguire chi è d'accordo.

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Pagina 50

Ritorniamo alla questione del deficit. La gente capisce che non è un problema primario. In effetti, non è neanche un problema rilevante. I cittadini hanno un approccio di buon senso riguardo a ciò che si dovrebbe fare: tassare di piú i ricchi, ritornare a come stavano le cose durante il periodo di grande crescita e mantenere le tutele sociali – che sono limitate e dovrebbero essere migliorate.

Poi, c'è un altro argomento che non viene neanche discusso. Si potrebbe letteralmente eliminare il deficit se gli Stati Uniti avessero un sistema sanitario dello stesso tipo degli altri paesi industrializzati. [Grande applauso] Sí, è proprio cosí. Non c'è niente di utopico. L'idea che dovremmo avere un sistema sanitario come quello degli altri paesi industriali non è una farneticazione estremista. [Risate]

Come voi ben sapete, il sistema sanitario degli Stati Uniti è uno scandalo di dimensioni internazionali. È due volte piú costoso di quello di paesi simili, ed è il meno efficiente. C'è un numero enorme di persone che non sono tutelate in alcun modo, e la situazione sta peggiorando.

Il problema non è "Medicare". "Medicare" è in effetti un problema, ma lo è perché viene gestito da un sistema privatizzato in gran parte non regolamentato, che è totalmente disfunzionale.

Di questo a Washington non si può parlare, per via dello strapotere delle istituzioni finanziarie. Gran parte dei cittadini lo vorrebbe. In effetti, per decenni un'ampia fetta della popolazione, a volte una larga maggioranza, è stata favorevole a modificare il sistema sanitario, ma è qualcosa di cui non si può parlare. Oggi le istituzioni finanziarie hanno troppo potere. Ma tutto ciò può cambiare. Non è una cosa irrealizzabile. Se il deficit è un problema, questo è quanto si può fare per affrontarlo.

Un'altra cosa che si può fare, la sapete già; mettere sotto controllo il nostro folle apparato militare, che costa all'incirca quanto tutti gli apparati militari del mondo messi insieme. Il nostro sistema militare non ha finalità difensive. In effetti, a ben vedere, è pericoloso per gli stessi abitanti degli Stati Uniti. Le cose non devono per forza andare in questo modo.

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Pagina 66

È stato appena pubblicato dall'Economic Policy Institute un libretto dal titolo Failure by Design: The Story behind America's Broken Economy. L'espressione "by design", "pianificato", è scelta con attenzione. Queste cose non accadono come effetto di leggi naturali o in base ai principi dell'economia. Corrispondono a delle scelte. Sono scelte fatte dai settori ricchi e potenti al fine di creare una società su misura. È successo qui, e adesso sta succedendo in Europa.

Prenda la Banca Centrale Europea. Concordo con molti economisti, tra cui anche alcuni premi Nobel, i quali pensano che le politiche che la BCE sta portando avanti — fondamentalmente di austerità in un periodo di recessione — contribuiranno di certo a peggiorare la situazione. A oggi, penso che stia succedendo proprio questo.

In un periodo di recessione ci vuole crescita, non austerità. L'Europa ha le risorse per stimolare la crescita, ma non le usa a causa delle politiche della Banca Centrale e di altri attori. Ci si potrebbe chiedere quale sia il fine di tutto questo. Un modo razionale per valutare i fini è guardare alle prevedibili conseguenze. Una conseguenza è che queste politiche minano le strutture socialdemocratiche e lo stato sociale; minano il potere dei lavoratori e creano una società piú diseguale, dove il potere è sempre piú concentrato nelle mani delle corporation e dei ricchi. È fondamentalmente una forma di lotta di classe, ed è in qualche modo anche un "fallimento pianificato".

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Pagina 76

All'inizio della Rivoluzione Industriale, nel Massachusetts orientale, a metà del XIX secolo, c'era una stampa molto vivace gestita dai lavoratori – giovani operaie delle fabbriche, artigiani e cosí via. Era molto interessante, molto diffusa e godeva di un ampio consenso. I lavoratori criticavano aspramente il modo in cui il sistema industriale li espropriava di libertà e diritti, imponendo rigide strutture gerarchiche che loro respingevano. Una delle principali rimostranze riguardava ciò che quei lavoratori definivano "il nuovo spirito dei tempi: acquisire ricchezza, pensando solo a se stessi". Per centocinquant'anni si sono fatti sforzi enormi per tentare di imporre alle persone "il nuovo spirito dei tempi". Ma è cosí inumano che tuttora incontra molta resistenza.

Penso che uno dei principali risultati ottenuti da Occupy sia stato di aver sviluppato in maniera molto netta una concreta manifestazione del rifiuto di questa ideologia. Le persone non si impegnano per il proprio tornaconto personale. Si impegnano le une per le altre, per la società intera e per le generazioni future. I legami e le relazioni che si stanno formando, se riescono a durare nel tempo e ad allargarsi alla comunità piú ampia, saranno la vera difesa contro l'inevitabile repressione e le sue manifestazioni talora violente.

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Pagina 88

Può parlarci della recente crisi della bolla immobiliare? Qual è il contesto storico che ci ha condotto a questo punto? Perché pensa che ciò sia avvenuto e quali sono le radici del fenomeno?

Alla radice di quel che è avvenuto c'è la grande trasformazione dell'economia iniziata negli anni settanta. È un processo che ha subito una radicale accelerazione con Reagan e con la Thatcher in Inghilterra, ed è continuato a partire da quel momento. Negli Stati Uniti, dagli anni cinquanta agli anni sessanta del secolo scorso, c'è stato un lungo periodo di crescita economica, il piú lungo della loro storia. All'epoca c'era anche egualitarismo: il quintile piú basso della popolazione se la passava bene quanto il quintile piú alto ed era parte integrante della società. I gruppi che precedentemente erano stati emarginati, gli afroamericani per esempio, poterono finalmente essere inclusi nel corpo sociale. Tutto questo ebbe fine negli anni settanta, quando ci fu una transizione verso un maggior ruolo della finanza nella società.

Recentemente Martin Wolf, uno dei piú importanti giornalisti economici, ha scritto che i sistemi finanziari stanno distruggendo i mercati come una larva distrugge il proprio ospite. È tra i piú rispettati economisti finanziari del mondo e non è un estremista di sinistra. Questo è l'effetto che ha avuto il sistema della finanza. A ciò si sono aggiunte le decisioni dei grandi gruppi industriali di trasferire la produzione all'estero. Ripeto, non è una legge di natura. Si possono avere condizioni dignitose di lavoro e di produzione sia qui che altrove, sono i profitti che aumentano. Queste decisioni hanno trasformato completamente l'economia. Uno degli effetti è stato che la ricchezza si è intensamente concentrata nel settore finanziario, il che a sua volta ha portato a una concentrazione del potere politico, influenzando infine l'attività legislativa e via di seguito, riproducendo cosí il circolo vizioso.

La deregolamentazione è stata parte di questo processo. Durante gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, nel periodo di grande crescita, le banche erano regolamentate e non ci furono crisi, né scoppiarono bolle di rilievo. A partire dagli anni ottanta, sono invece cominciate le bolle e le crisi finanziarie. Ce ne sono state parecchie durante l'amministrazione Reagan. L'amministrazione Clinton si è conclusa con lo scoppio della bolla dell'alta tecnologia.

C'è molto denaro in circolazione, ma molta produzione reale in meno che risponda ai bisogni delle persone. Uno dei modi in cui le famiglie sono riuscite a sopravvivere durante il periodo di stagnazione è stato semplicemente impantanandosi nelle bolle. All'inizio di questo secolo, i prezzi delle case si sono impennati al di fuori di ogni logica. Nei decenni precedenti c'era stata una tendenza per la quale i prezzi delle case approssimativamente corrispondevano all'andamento del prodotto interno lordo. Piú o meno dieci anni fa hanno avuto invece un'impennata sbalorditiva, che non corrispondeva ai fondamentali. Gran parte di tutto questo era il risultato di una rapina: i mutui subprime e i complicati meccanismi con cui le banche erano in grado di suddividere i mutui in modo da poter scaricare su altri le loro perdite in caso di crollo in borsa. Derivati complicati e altri strumenti finanziari. Tutto questo si impennò a tal punto da creare una bolla gigantesca, che ovviamente prima o poi sarebbe scoppiata. Gli economisti, Federal Reserve inclusa, quasi non se ne accorsero.

Recentemente sono stati resi pubblici i verbali delle riunioni della Federal Reserve nel 2006. Forse li avete visti. È abbastanza sorprendente, non c'era alcuna consapevolezza dell'esistenza di una bolla dell'edilizia di trilioni di dollari che non aveva basi solide e che sarebbe scoppiata. Anzi, si congratulavano con se stessi per il meraviglioso modo in cui stavano gestendo l'economia. Bene, chiaramente la bolla è scoppiata, com'era naturale, e forse 8 trilioni di dollari sono andati persi.

Per gran parte della popolazione, quegli investimenti erano tutto quel che aveva. La ricchezza di numerosi afroamericani, come quella di molti altri, è stata praticamente azzerata. È stato un disastro. Questo genere di cose continuerà ad accadere finché ci saranno mercati di capitali non regolamentati e che godono, inoltre, di una sorta di assicurazione statale. È chiamata "Troppo grande per fallire": se avete dei problemi, il contribuente vi salverà – ovviamente, questo tipo di "polizza" porta a sottostimare i rischi.

Le agenzie di credito tengono già conto del fatto che la prossima volta che fallirete sarete salvati. Ovviamente, questo fa aumentare ulteriormente il rischio. Se non è l'edilizia, saranno i beni primari o qualcos'altro.

Invece di un'economia protetta, abbiamo un casinò finanziario, e chiaramente chi non è ricco e potente, cioè il 99%, si fa male.

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