Copertina
Autore Luciano Cresci
Titolo Le curve celebri
SottotitoloInvito alla storia della matematica attraverso le curve piane più affascinanti
EdizioneMuzzio, Roma, 2006 [1998], Il piacere della scienza 11 , pag. 194, ill., cop.fle., dim. 14x21x1,5 cm , Isbn 978-88-7413-118-1
LettoreGiorgia Pezzali, 2007
Classe matematica , storia della scienza , musei
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Indice

Presentazione                                xi

Introduzione: una prospettiva storica        xv


1    I tre grandi problemi dell'antichità     1

1.1  Le lunule di Ippocrate                   4
1.2  Menecmo e la duplicazione del cubo       7
1.3  La trisettrice di Ippia                  9
1.4  La quadratrice di Dimostrato            10
1.5  Platone e la filosofia matematica       11

2    Da Euclide a Tolomeo                    15

2.1  Il mulino di Euclide                    15
2.2  La spirale di Archimede                 18
2.3  La circonferenza                        23
2.4  Le stelle circolari                     26
2.5  L'arbelo di Archimede                   28
2.6  Il fuso circolare                       28
2.7  La pelecoide                            30
2.9  Il trifoglio                            31
2.8  Il salinon di Archimede                 31
2.10 La drepanoide                           32
2.11 I triangoli a lati circolari            33
2.12 I trigoni di Tolomeo                    34

3    La nascita della geometria analitica    37

3.1  Il concetto di curva                    37
3.2  Gli assi cartesiani                     38
3.3  Il tridente di Cartesio                 41
3.4  Il folium di Cartesio                   43
3.5  Le spirali di Fermat                    44
3.6  La scodella di Galileo                  49
3.7  La funzione logaritmica di Torricelli   50

4    Le storie della cicloide                53

4.1  Pascal e la cicloide                    53
4.2  Il paradosso della cicloide allungata   57
4.3  La cicloide accorciata                  58
4.4  L'evolvente e l'evoluta                 59
4.5  La tautocrona del Moby Dick             60
4.6  Il pendolo isocrono di Huygens          62
4.7  La brachistocrona di Bernoulli          63
4.8  L'isocrona di Bernoulli                 65
4.9  Epicicloidi e ipocicloidi               67

5    La riscoperta delle curve antiche       69

5.1  Le coniche, da Apollonio a Keplero      69
5.2  L'ellisse                               73
5.3  La parabola                             75
5.4  L'iperbole                              78
5.5  Le parabole virtuali di Gregorio
     di S. Vincenzo                          79
5.6  L'esagramma mistico di Pascal           81
5.7  La concoide di Nicomede                 83
5.8  La cissoide di Diocle                   85

6    Alla scoperta di curve nuove            89

6.1  La lumaca di E. Pascal                  89
6.2  La lemniscata di Bernoulli              91
6.3  La spirale logaritmica                  92
6.4  Il girasole di Fibonacci                96
6.5  Il lituo                               100
6.6  La kappa                               103
6.7  La catenaria                           104
6.8  Le perle di Sluse                      107
6.9  La cardioide                           109
6.10 La nefroide                            111
6.11 La strofoide                           112
6.12 La trattrice di Huygens                115
6.13 Le rose di Grandi                      116
6.14 La deltoide                            120
6.15 L'asteroide                            122
6.16 La clotoide                            123
6.17 La versiera di Gaetana Agnesi          126
6.18 Il bicorno                             127

7    Da Newton ai giorni nostri             129

7.1  L'enumerazione di Newton               129
7.2  Le funzioni iperboliche                131
7.3  Le curve inviluppo                     133
7.4  La funzione di Gauss                   133
7.5  La funzione logistica di Verhulst      137

8    Curve nuove e meravigliose             139

8.1  La curva di Peano                      139
8.2  La polvere di Cantor                   142
8.3  La curva a fiocco di neve              143
8.4  Il setaccio apolloniano                146
8.5  I frattali di Mandelbrot               148

Appendici                                   153

A  La biblioteca di Alessandria             155
B  Omaggio a Pascal                         163
C  Lady Lovelace e Charles Babbage          171

Bibliografia                                175

Indice delle curve                          185

Indice dei nomi                             189


 

 

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Pagina xv

Introduzione: una prospettiva storica


La storia di Roma e dell'impero romano si estende sull'arco di oltre 2 millenni, dal 700 a.C. al 1400. Il periodo di maggior fulgore di Roma caput mundi, dalla repubblica a Costantino, dura per almeno 600 anni. I romani conquistano il mondo e lasciano l'impronta della loro civilizzazione nei campi più svariati, dall'architettura al diritto, dalle lettere alle arti. Eppure nessun romano è passato alla storia per meriti matematici: di più, nessun romano è noto per poter essere almeno definito un matematico. Si può speculare sui motivi di tale negligenza: eppure la civiltà greca aveva espresso nel 400-300 a.C. una mirabile fioritura di geni matematici, culminata con Archimede, una delle più alte menti matematiche di tutti i tempi; e poi ancora, dopo una stasi di circa 500 anni, una ripresa con altri grandi come Tolomeo, Diofanto, Pappo.

Se proprio vogliamo, possiamo dare una patente di benemerenza a Cicerone perché, come questore in Sicilia, ritrovò e fece restaurare la tomba di Archimede sulla quale era scolpita la celebre figura della sfera iscritta in un cilindro: e questa è forse l'unica citazione per cui Roma merita di passare alla storia della matematica.

La grande matematica dell'antichità fu essenzialmente greca. Anche se le civiltà che precedettero la greca, ed in particolare la egizia e la babilonese, diedero importanti contributi alla conoscenza in svariati campi della scienza matematica e costituirono la base sulla quale i greci svilupparono le loro scoperte, l'impulso ad una prodigiosa fioritura di studi, ricerche e risultati fu merito della civiltà greca. Singolarmente però la grande maggioranza dei matematici greci visse e operò nelle colonie, ed in particolare in quelle dell'Asia Minore: numerose furono le sedi dove comunità greche si distinsero per gli apporti al progresso della matematica.

Le colonie erano lontane dalla madre patria, ma proprio per questo più aperte, più dinamiche, meno portate alla politica e più agli aspetti pratici dei commerci e degli scambi di esperienze con altre genti. Ma, e qui sta la singolarità della vicenda storica, nel venire a contatto con discipline per loro nuove, e nel conoscere i pregevoli risultati ottenuti da altre civiltà nei secoli e nei millenni precedenti per scopi essenzialmente pratici, i coloni greci cominciarono a porsi nei confronti dei problemi matematici in un'ottica più speculativa: non si accontentarono più dei risultati, ma cercarono di capire le regole dei procedimenti, e di dimostrarle con ragionamenti logici.

A Talete di Mileto (624-548 a.C. circa), mercante e gran viaggiatore, spetta il merito di passare alla storia come il primo vero uomo di scienza. È tuttavia opportuno collocare questo momento in una prospettiva storica più ampia, per capire che i tempi erano forse maturi per un salto di qualità.

Le grandi piramidi egizie risalgono al 2800 a.C. ed è plausibile che per l'organizzazione logistica di tali immense opere pubbliche occorressero ordinati e precisi sistemi di numerazione e di calcolo; inoltre le complessità costruttive imponevano conoscenze non trascurabili di geometria. C'erano infine le esigenze, da sempre considerate primarie da qualsiasi pubblica amministrazione, di gestire con sagacia la riscossione dei tributi.

In effetti sono disponibili un certo numero di testimonianze, su papiro o su pelle, della matematica egizia. Ad esempio il papiro di Rhind (al British Museum, così chiamato dal nome dell'inglese che lo scoprì a Luxor nel 1858) fu copiato da uno scriba, Ahmes, intorno al 1650 a.C., ma dovrebbe risalire al 2000 a.C. In esso vi sono esposti circa 80 problemi, con le loro soluzioni, di carattere aritmetico e geometrico, spesso di natura pratica, ma talvolta anche veri e propri divertimenti matematici.

Anche la civiltà babilonese vanta numerosi e significativi contributi all'aritmetica, all'algebra, all'astronomia e alla geometria, sviluppati indipendentemente dalle esperienze egiziane. I documenti che ci sono pervenuti, e che risalgono fino al 1900 a.C., rivelano un primo tentativo di indagine teorica sui problemi un certo gusto per la speculazione intellettuale slegata da applicazioni pratiche immediate.

Le civiltà della Cina e dell'India svilupparono anch'esse conoscenze matematiche, ma la datazione dei loro contributi è molto incerta; in ogni caso i documenti indicano uno stadio inferiore a quello raggiunto dagli egizi e dai babilonesi, e non rivelano alcun tentativo di sistematizzazione dei problemi o di ricerca di formulazione di regole. Infine è estremamente improbabile che ci siano stati scambi di esperienze, o di conoscenze, tra le civiltà della Cina e dell'India con quelle del Mediterraneo e della Mesopotamia.

I coloni greci, che dal 600 a.C. iniziarono un periodo glorioso per lo sviluppo della scienza, avevano dunque disponibile, nelle civiltà vicine, un patrimonio di idee, di ricerche e di risultati, che abbracciava un periodo di oltre mille anni almeno, e che costituì per loro la base di partenza. Pagato il debito storico, è a pieno titolo che spetta ai greci il merito di aver espresso nell'arco di poche centinala di anni una concentrazione di uomini di scinza, alcuni di statura eccelsa, che ha del prodigioso.

Torniamo a Talete: la sua vita è ricca di episodi coloriti e di aneddoti, ma l'effettivo contributo originale, e quanto invece egli abbia attinto da caldei ed egiziani, è assai vago e controverso. A lui si attribuiscono gli enunciati, ed in parte le dimostrazioni, di alcuni teoremi. Ad esempio quello che nei testi scolastici viene presentato come "teorema di Talete" è il risultato del calcolo, che egli fece alla presenza del faraone Amasi, dell'altezza di una piramide. Piantando un bastone per terra, ed osservando quando l'ombra del bastone eguagliava la lunghezza del bastone stesso, egli fu in grado, in quello stesso momento, di misurare la lunghezza dell'ombra della piramide, uguale per similitudine alla sua altezza.

Nel considerare comunque Talete uno dei fondatori della matematica, ci si basa sul giudizio che di lui diede Proclo, un filosofo vissuto circa mille anni dopo, che a sua volta si rifaceva al riassunto di una storia della matematica, andata perduta, di un allievo di Aristotele, Eudemo da Rodi, vissuto circa 300 anni dopo Talete. Dice dunque Proclo nel Commento al primo libro degli elementi di Euclide che

non solo egli stesso fece molte scoperte, ma insegnò ai suoi successori i principi che stavano alla base di molte altre, seguendo in alcuni casi un metodo più generale, in altri uno più empirico.

Come si vede, non è che le fonti storiche a disposizione siano così solide, ma insieme con i testi c'è anche il valore della tradizione. E Talete è il primo uomo al quale la tradizione attribuisce specifiche scoperte matematiche; in particolare egli è considerato il fondatore del ragionamento deduttivo in geometria.

Pitagora da Samo (580-500 a.C. circa) è il secondo mostro sacro della storia della matematica, ma anche per lui le sue supposte scoperte sono avvolte in una cortina fumosissima di leggende e di miti. Sempre rifacendosi alla stessa fonte, Proclo dice che

Pitagora, venuto dopo Talete, trasformò la matematica in una forma di educazione liberale, riconducendone i principi a idee ultime, e dimostrandone i teoremi in maniera astratta e puramente intellettuale. Fu lui a scoprire la teoria delle proporzioni e la costruzione delle figure cosmiche.

Il famoso teorema di Pitagora era già noto ai babilonesi: si dice però che furono i pitagorici a dimostrarlo, ma di ciò non esiste prova. Vale anche in questa caso la tradizione, e, secondo questa, Pitagora è da considerare il "padre" della matematica. A lui dunque onore e gloria!

Comunque, fino circa al 400 a.C. non abbiamo documenti di natura matematica, ma solo testimonianze, anche molto posteriori, sui precursori che, nelle colonie dell'Italia meridionale (Pitagora tenne la sua scuola a Crotone) e nelle regioni greche, gettarono le basi della scienza matematica: in particolare inventarono le prime curve, generalmente legate alla risoluzione dei tre famosi problemi, la quadratura del cerchio, la duplicazione del cubo e la trisezione dell'angolo. Furono un numero modesto di pensatori, di differenti estrazioni, dai nomi rievocatori degli anni del liceo: Democrito, Zenone, Archita, Anassagora, Ippocrate e pochi altri, vissuti nel V secolo prima di Cristo. Carl Boyer, nel definirla "età eroica" osserva che

raramente, prima o dopo tale periodo, uomini così sprovvisti di mezzi hanno affrontato problemi matematici di importanza così fondamentale.

E coraggiosi, perché osavano formulare pensieri, per usare l'espressione immaginifica del Poe, "no mortal ever dared to dream before":

Anassagora per esempio fu imprigionato ad Atene con l'accusa di empietà per avere asserito che il Sole non era una divinità, ma soltanto una grossa pietra incandescente grande come il Peloponneso, e che la Luna era una terra abitata che traeva la sua luce dal sole.

Nel IV secolo altri matematici proseguirono con successo il cammino intrapreso. Nel 323 a.C. muore Alessandro Magno, ed i grandi mutamenti che ne seguono fanno sì che la data sia considerata il termine di separazione tra l'età ellenica, anteriore, e l'età alessandrina, posteriore. Alessandria d'Egitto, dove l'illuminato re Tolomeo aveva raccolto la successione di parte dell'impero di Alessandro e aveva fondato il famoso museo, divenne per parecchi secoli il punto di riferimento ed il centro di sviluppo della matematica.

Ed il primo secolo dell'età alessandrina merita di essere considerato il secolo d'oro della matematica. Euclide, che tutti conosciamo per via dei due teoremi sui triangoli rettangoli, visse ed insegnò al Museo, e lì scrisse gli Elementi, il testo di matematica più conosciuto e autorevole di tutti i tempi, giustamente (tanto che Euclide fu detto l'"elementatore"). Archimede, il più grande matematico dell'antichità, studiò probabilmente ad Alessandria, ma visse a lungo e morì a Siracusa. Apollonio di Perga, "il grande geometra", è il terzo delle straordinarie personalità matematiche che vissero tra il 300 e il 200 a.C., ed a lui si deve lo studio approfondito delle curve derivate dalla sezione di un cono, le coniche.

Si tratta quindi di un periodo di circa tre secoli, dal V al III a.C., che vide dapprima la fioritura dell'interesse speculativo per la matematica; poi, con i tre grandi del III secolo, il raggiungimento di risultati ed il loro consolidamento a dei livelli di altissima genialità. È un fenomeno di concentrazione di talenti nel mondo greco di allora, che ha, è vero, paralleli in molte altre forme di creatività, di arte, di cultura, di civiltà, sempre nel mondo greco; ma, per quanto riguarda la matematica, rimane un .cor unicum nella storia del pensiero.

La storia, bizzarra e volubile, sembra che con Apollonio consideri esaurito lo straordinario sforzo creativo, tanto che segue un lungo declino di oltre trecento anni prima che si imponga, con Tolomeo, una figura di classe (circa metà del II secolo d.C.). Ma passano ancora altri cento anni prima che la matematica abbia una nuova primavera: dal 250 al 350 d.C., nel periodo conosciuto come "tarda età alessandrina", abbiamo nuovamente, sempre ed esclusivamente nel mondo greco, due grandi: Diofanto, "il padre dell'algebra", e Pappo, entrambi di Alessandria.

Ancora è impressionante notare la prospettiva storica: questo periodo, detto anche "età argentea della matematica" segue di quasi mezzo millennio il periodo aureo di Archimede. Ma ancor più straordinario è il salto che si compie ora: di oltre mille anni, per arrivare al 1500. Per la matematica è stato veramente un evo oscuro: ma il lungo letargo aveva accumulato energie creative e stava creando i presupposti per liberare il pensiero dai condizionamenti dell'autorità del passato. Dopo i primi sintomi di risveglio, a partire dal 1200, si arriva al 1500 quando, dietro l'esempio e l'azione innovatrice di Galileo, il terreno è ormai preparato, e si rinnova il piacere della ricerca intellettuale. La meravigliosa esplosione del "secolo dei geni", il Seicento francese ed europeo, rivisita la gloriosa eredità greca in campo matematico e costruisce le chiavi, e inventa gli strumenti, per entrare nel mondo nuovo della geometria analitica e dell'analisi moderna. Dal periodo di Pascal, Fermat, Descartes, Bernoulli, Newton, Leibniz e fino ai giorni nostri, dalla lumaca di Pascal padre ai frattali di Mandelbrot, il passo è breve, quasi irrilevante in un diagramma temporale che segni le tappe principali dell'avventura del pensiero matematico.


                              La fioritura               Il Seicento,
                   Papiro            della                 il secolo
     Grande        di           matematica    La                 dei
     piramide      Ahmes             greca    rinascita         geni
3000  |       2000  |       1000        |  1   |        1000      |   2000
a.C.  |       a.C.  |       a.C.        |  |   |         |        |    |
_|____|________|____|________|__________|__|___|_________|________|____|__
                                 |  |   |      |            |  |  | ||
                                 |  |   |      |            |  |  | ||
                             Talete |   |      |      Fibonacci|  | |Gauss
                                    |   |     Tolomeo          |  | |
                              Pitagora  |     Diofanto    Oresme  | Eulero
                                        |     Pappo               |
                                 Ippocrate                   Galileo
                                   Platone                   Keplero
                                   Menecmo                 Descartes
                                   Euclide                    Fermat
                                 Apollonio                    Pascal
                                 Archimede                   Huygens
                                                             Leibniz
                                                              Newton
                                                           Bernoulli

È curiosa la concentrazione di eccezionali talenti matematici in periodi
di tempo ristretti: nella civiltà greca con un intervallo di circa 500
anni e nell'Europa del Seicento.



Nuovamente è motivo di meraviglia la concentrazione, in un periodo temporale limitato, di un così rapido e significativo progresso: anche qui il Rinascimento matematico è andato in parallelo con il Rinascimento umanistico, così come nel mondo greco la matematica era sbocciata in sincronia con l'età gloriosa dell'Atene di Pericle; ma qui comunque il fenomeno abbraccia una scena geografica e culturale assai più ampia, ed ha poi avuto una sostanziale continuità negli ultimi tre secoli.

L'itinerario che compiremo con le curve celebri abbraccia dunque 2500 anni di storia: pur senza porci propositi di rigore cronologico, abbiamo comunque ricercata la fedeltà alle fonti. Soprattutto ci siamo sforzati di legare ogni curva che viene presentata nel testo al suo ideatore e di quest'ultimo tratteggiare la personalità: le biografie dei matematici sono spesso ricche di episodi, di avvenimenti, di aneddoti curiosi, e la parte matematica delle curve non può prescindere dalle circostanze della loro creazione. Le curve celebri sono dunque tali in quanto celebri sono i loro autori.

Riconosciamo comunque a tutti i grandi matematici di aver contribuito all'avventura del pensiero con risultati di altissimo valore speculativo: perché, come dice Jacobi (in una lettera a Legendre del 3 luglio 1830) "l'unico fine della scienza è l'onore dello spirito umano".

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2.3 La circonferenza


Il reverendo Edwin A. Abbott (1838-1926) è noto in letteratura per una sua deliziosa operetta fantastica, Flatland, racconto a più dimensioni [10]. Divertimento letterario, che comunque gli ha conquistato attenzione e stima anche da parte del mondo matematico.

Nell'universo immaginario di questo "paese piatto" esistono soltanto due dimensioni, così che gli esseri, l'ambiente, la natura, sono caratterizzati da lunghezza e larghezza. Manca la terza dimensione, lo spessore. Né d'altra parte gli abitanti di Flatland se ne dolgono: così come noi abitanti di un mondo a tre dimensioni non sentiamo l'esigenza di una quarta dimensione, se non per favoleggiarne nei racconti di fantascienza.

Ecco dunque Flatland, rigorosamente ancorata ad un piano senza spessore, con i suoi curiosi abitanti che vivono e si muovono secondo le regole di una fisica a due dimensioni.

La massima lunghezza o larghezza di un abitante adulto della Flatlandia si può calcolare all'incirca in ventotto dei vostri centimetri.

Chi parla è un gentiluomo di Flatland, che racconta ad un terrestre come vanno le cose in quel paese.

Le nostre donne sono delle Linee Rette.

Da buon antifemminista il reverendo piazza il genere femminile all'ultimo gradino della scala sociale, come l'espressione più rudimentale dell'umanità su Flatlandia: da questa caratteristica di segmenti aguzzi infatti derivano tanti difetti, quali la spigolosità, la pericolosità (perché le punte possono ferire), e comunque, come vedremo, un segmento è quanto di più lontano si possa immaginare dalla perfezione.

I nostri soldati e gli operai delle classi inferiori sono dei Triangoli con due lati uguali, ciascuno della lunghezza di ventotto centimetri circa, e un terzo lato, o base, così corto (spesso appena più lungo di un centimetro), da formare al vertice un angolo assai acuto e temibile. E specialmente quando le loro basi sono di tipo infimo (cioè lunghe non più della terza parte di un centimetro) è difficile distinguerli dalle Linee Rette, o donne, tanto acuminati sono i loro vertici. Da noi, come da voi, questi Triangoli si distinguono dagli altri col nome di Isosceli... La nostra borghesia è composta da Equilateri, ovvero da Triangoli dai lati uguali. I nostri professionisti e gentiluomini sono Quadrati (classe a cui io stesso appartengo) e Figure a Cinque Lati, o Pentagoni. Subito al disopra di costoro viene l'aristocrazia, divisa in parecchi gradi, cominciando dalle Figure a Sei Lati, o Esagoni, per continuare, via via che il numero dei lati aumenta, fino a ricevere il titolo onorifico di Poligonali, o dai molti lati. Infine, quando il numero dei lati diventa tanto grande, e i lati tanto piccoli, che la figura non è più distinguibile da un cerchio, si entra a far parte dell'ordine Circolare o Sacerdotale; e questa è la classe più elevata di tutte.

Ecco dunque il cerchio, come espressione massima della perfezione: siamo in sintonia con una visione platonica del mondo.

Le consuetudini sociali rendono

più facile per un Circolo mantenere il velo di mistero con cui, sin dalla più tenera età, egli desidera avvolgere la natura esatta del suo Perimetro o Circonferenza...

Era infatti considerato un insulto gravissimo "tastare" un Circolo, mentre l'operazione del tastare era diffusa tra gli appartenenti alle classi più modeste per riconoscere i propri interlocutori.

Al Gran Circolo in carica si attribuiscono sempre, a titolo di cortesia, diecimila lati.

È in fondo una definizione di cerchio come limite di un poligono regolare iscritto, il cui numero dei lati aumenti indefinitamente (se vogliamo, è anche l'indicazione di un itinerario alla perfezione).

Molti secoli prima Archimede, nella ricerca di un valore più preciso del rapporto tra circonferenza e diametro di un cerchio (il termine pi greco non fu mai usato nell'antichità), partiva da un esagono regolare iscritto e cominciava a raddoppiare via via il numero dei lati, calcolando i perimetri dei poligoni così ottenuti. Per far questo, da geniale matematico qual era, aveva inventato un procedimento iterativo noto come l'algoritmo archimedeo: era riuscito così a raggiungere novantasei lati; poi è presumibile che la sua cortesia nei confronti del cerchio avesse ceduto rispetto alla fatica di un procedimento lungo e faticoso.

L'approssimazione raggiunta da Archimede per il rapporto, poi chiamato pi greco, fu di un valore compreso tra 3+1/7 e 3+10/71. Prima di lui i babilonesi e gli egiziani avevano calcolato valori meno approssimati; la Bibbia più semplicemente cita un valore pari a 3. Nel primo Libro dei Re, 7,23, si descrive il tempio di Salomone, edificato ad opera dell'architetto Hiram, che Salomone aveva ingaggiato facendolo venire da Tiro. Si dice che Hiram

fece pure un gran bacino di bronzo fuso, che aveva dieci cubiti da un orlo all'altro, era interamente rotondo, alto cinque cubiti, ed una corda di trenta cubiti l'avrebbe cinto tutto all'intorno.

La circonferenza, così semplice ed essenziale, è una figura ricchissima di possibilità geometriche, come generatrice di innumerevoli altre curve. Di queste ne vedremo alcune: le stelle, come mezzo di espressione grafica, le ipocicloidi e le epicicloidi, per la bellezza delle variazioni in funzione dei differenti numeri di cuspidi; e tante altre: in effetti moltissime curve sono figlie o parenti strette del Gran Circolo.

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6.4 Il girasole di Fibonacci


        Sette vecchie andavano a Roma;
        ogni vecchia aveva sette muli;
        ogni mulo portava sette sacchi;
        in ogni sacco c'erano sette pani;
        con ogni pane c'erano sette coltelli;
        ogni coltello aveva sette guaine.
        Tra vecchie, muli, sacchi pani, coltelli, guaine,
        in quanti andavano a Roma?


Il problema, in forme simili, è presente in molte tradizioni popolari: ad esempio ricordiamo la filastrocca dell'infanzia

        Per una strada che andava a Camogli
        passava un uomo con sette mogli
        e ogni moglie aveva sette sacchi,
        e ogni sacco aveva sette gatte,
        e ogni gatta avea sette gattini.
        Gattini, gatte, sacchi e mogli,
        in quanti andavano, dite, a Camogli?


Esso è probabilmente derivato da uno dei primi testi di carattere matematico, che ci siano pervenuti: il famoso papiro egizio di Rhind (dal nome del suo scopritore) che si colloca tra il 2000 e il 1800 avanti Cristo. Nella versione su riportata si trova nel Liber abaci di Leonardo Pisano, che è considerato il più grande matematico medievale (1180-1250 circa). Più noto come Fibonacci, filius Bonacci, Leonardo lavorava con il padre in un'attività mercantile e, per meglio far di conto, aveva imparato i primi rudimenti di matematica da alcuni maestri musulmani in Algeria, dove aveva accompagnato il padre nel suo lavoro. Notevoli sono i suoi meriti matematici, soprattutto quello di avere contribuito ad introdurre la notazione araba che era in pratica sconosciuta in Europa. Ecco così che, insieme alle "nove figure indiane", comincia ad apparire il segno 0 "che in arabo viene chiamato zefiro". Ed è proprio dallo zephirum arabo che il termine "zero" deriva e si diffonde nelle varie lingue europee.

Oltre al Liber abaci, Leonardo Pisano scrisse altre opere matematiche, brillanti per originalità e acume; anche se le sue scoperte erano troppo avanzate per essere pienamente recepite nel suo tempo, la sua fama si diffuse comunque. Ad esempio parecchi dei problemi descritti nei suoi libri derivano da gare matematiche svolte presso la corte di Federico II, alle quali egli era stato invitato. Fibonacci tuttavia è diventato famoso solo nell'Ottocento, quando uno scrittore francese di matematica ricreativa, Edouard Lucas, diede il nome di Fibonacci ad una serie numerica, che si ricava dal cosiddetto problema dei conigli:

Quante coppie di conigli, chiedeva Fibonacci, saranno generate in un anno partendo da un'unica coppia di conigli adulti, supponendo che ogni mese essa generi una coppia di maschio e femmina, che a sua volta si riproduca similmente a partire dal secondo mese?

È facile vedere cosa succede (fig. 6.7): dopo 5 mesi ci saranno 13 coppie, dopo 12 mesi addirittura 377 coppie di conigli!

I numeri delle coppie che si ritrovano alla fine di ogni mese formano la famosa successione di Fibonacci:

1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, ...

La successione ha molte e curiose proprietà matematiche: una delle più caratteristiche è che ogni numero è la somma dei due numeri precedenti; inoltre il rapporto tra due numeri consecutivi, al crescere dei numeri, tende indefinitamente al valore della sezione aurea (che, ricordiamo, è quella parte di una grandezza media proporzionale tra l'intera grandezza e la sua parte rimanente: il suo valore decimale è 1,618033...).

I numeri di Fibonacci saltano fuori spesso nelle circostanze più bizzarre: li ritroviamo ad esempio in alcune specie di girasoli, per quanto riguarda la disposizione dei semi. In tali fiori i semi sono disposti lungo spirali logaritmiche contrapposte; il numero delle spirali orarie e di quelle antiorarie è diverso, ed è dato appunto da due numeri consecutivi della serie di Fibonacci. La figura 6.8, ottenuta da calcolatore, rappresenta un girasole medio, con il numero di spirali pari a 34 e 55, ma vi sono girasoli con coppie di numeri di Fibonacci assai più grandi (fino a 144 e 233!).

Le serie di Fibonacci, ed altre serie ad essa ricollegabili, stanno avendo un boom notevole di popolarita tra matematici anche tra quelli dilettanti: è stata ad esempio fondata in America la Fibonacci Association, che stampa dal 1963 The Fibonacci Quarterly. Si sono inventati giochi basati sulla serie in questione (il Fibonacci-Nim, una sorta del gioco di Marienbad), sono state scoperte altre serie derivate, chiamate per assonanza "tribonacci", "tetranacci" e così via. Nel 1994 si è svolto a Pisa, organizzato dalla Fondazione IBM Italia, un convegno internazionale dedicato all'opera di Fibonacci.

Insomma il buon figlio di Bonaccio Pisano gode oggi di una popolarità giustamente meritata anche a distanza di 800 anni.

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6.16 La clotoide


Nell'aprile 1988 a Gurney, nell'Illinois, fu inaugurato il parco divertimenti Six Flags Great America. Grande attrazione ne erano le montagne russe Shock Wave (onda d'urto), definite, naturalmente, le più alte e più veloci del mondo.

Chi ancor oggi vi si avventura sui tradizionali carrelli, viene sollevato ad un'altezza pari ad un palazzo di 17 piani, lanciato ad una velocità di 110 km orari e rovesciato a testa in giù, in un gigantesco anello; subito dopo entra in una specie di boomerang, che rapidamente gli inverte la direzione prima di entrare in altri anelli analoghi. Alla fine chi sopravvive si ritrova ad aver effettuato sette capriole complete. Il divertimento si è rapidamente esteso anche ad altri parchi analoghi, e ad esempio anche Gardaland sul lago di Garda consente emozioni simili.

Tutto ciò è reso possibile da una curva, studiata inizialmente da Eulero nel 1700 in risposta ad un problema posto da Giacomo Bernoulli.

Nel 1800 Marie-Alfred Cornu (1841-1902), professore di fisica all'Ecole Politechnique di Parigi dal 1867, utilizzò la curva nelle sue ricerche sulla diffrazione, ed essa fu chiamata spirale di Cornu. Finalmente, agli inizi del 1900, l'italiano E. Cesàro la battezzò clotoide.

Cloto era quella delle tre parche che filava lo stame della vita, avvolgendolo sul fuso: per questo poetico riferimento la curva, con il suo doppio andamento a spirale (fig 6.29), che ricorda l'avvolgimento attorno alla rocca e al fuso, prese il nome dalla Parca.

Fu soltanto alla fine degli anni '70 che si scoprì che la clotoide era l'ideale per rovesciare verticalmente le persone, mentre in precedenza si era sempre ritenuto logico pensare, per tale scopo, ad un circonferenza. Peraltro, nelle configurazioni circolari degli otto volanti, all'inizio il carrello sale rapidamente, generando una forza centrifuga eccessiva per i suoi passeggeri; al contrario, quando il carrello sta per raggiungere il punto più alto della circonferenza, la sua accelerazione diminuisce in modo tale da far correre il rischio ai suoi occupanti di cadere a testa in giù.

Fortunatamente fu fatta intervenire la clotoide, che con la sua forma consente un'accelerazione tale da portare sani e salvi gli occupanti nuovamente con i piedi per terra. Il principio su cui si basa la clotoide è il raggio variabile del suo anello: si comprende facilmente tale principio pensando alla rotazione di un peso legato ad una cordicella: esso ruoterà più lentamente se la corda si allunga, più velocemente se la si accorcia.

L'anello della clotoide ha una forma a goccia rovesciata: in basso il suo raggio è di lunghezza sufficiente per consentire una forza centrifuga non fastidiosa per i viaggiatori; al vertice il raggio è molto più corto, e il carrello si muove con una velocità molto maggiore di quella che avrebbe in un cerchio, generando così una forza centrifuga tale da far rimanere ben saldi nei loro sedili gli avventurosi rovesciati. Oltre a questo non trascurabile vantaggio, la forma a clotoide consente anche una dimensione molto più ampia dell'anello, con ovvio maggior divertimento per le persone di stomaco forte.

Mentre in inglese il nome di questo e simili piacevoli passatempi è rolley coaster, in italiano il nome di "montagne russe" risale a circa 400 anni fa, quando in Russia si diffuse il gioco di scivolare con slittini lungo colline artificiali di neve e ghiaccio, supportate da intelaiature di legno. Nel 1804 l'idea fu trapiantata in Francia, dove però opportunamente si utilizzarono carrelli con le ruote al posto delle slitte. Nel 1884 un inventore americano, LaMarcus A. Thompson mise il carrello su rotaie, ed eccoci alle montagne russe dei giorni nostri.

In generale l'arco di clotoide, con la sua curvatura variabile, in ogni punto direttamente proporzionale alla lunghezza dell'arco stesso (calcolata dall'origine), costituisce il raccordo più razionale tra un rettifilo e una curva circolare e come tale viene utilizzato nelle costruzioni stradali e ferroviarie: la forza centrifuga varia infatti linearmente nel tempo, a velocità costante, dal valore zero (in rettifilo), al valore massimo (in curva) e viceversa.


NOTA MATEMATICA

Le equazioni parametriche della clotoide sono date dai cosiddetti "integrali di Fresnel"

                  t
            x = ∫ cos(πt^2/2) dt
                 0

                  t
            y = ∫ sin(πt^2/2) dt
                 0


Le due spirali, simmetriche rispetto all'origine degli assi, hanno la caratteristica di tendere a due punti asintotici.

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Pagina 126

6.17 La versiera di Gaetana Agnesi


Gaetana Agnesi è una matematica di buona levatura, nota soprattutto per una sua curva celebre, la versiera, ed il poter accogliere una donna italiana tra i matematici famosi è certamente motivo di compiacimento.

A pochi chilometri da Monza, risalendo per una ripida strada, dopo i ruderi del Castello di S. Dionigi, si arriva al caratteristico paese di Montevecchia, che dai suoi 479 m di altezza offre una splendida visione di tutta la Brianza. Il paese è anche noto per i suoi formaggini sott'olio e pepe, anche se oggi la produzione locale è molto ridotta. Tra le cose da vedere a Montevecchia c'è il Palazzo Alberoni, un tempo della famiglia Agnesi, e qui Maria Gaetana (1718-1799) vi soggiornò a lungo.

Brava matematica, in contatto con i più eminenti scienziati del suo tempo, fu aggregata all'Accademia delle Scienze di Bologna, e nel 1748 scrisse un trattato di analisi algebrica e calcolo infinitesimale dal titolo, come dire, programmaticamente severo: Istituzioni analitiche ad uso della gioventù italiana. Benedetto XIV la voleva alla cattedra di matematica dell'Università di Bologna, ma Maria Gaetana rifiutò: in effetti, dopo la morte del padre (1752), si dedicò interamente ad opere di carità.

L'Agnesi ha legato il suo nome alla versiera, una curva che peraltro non fu scoperta da lei, ma da G. Grandi. Grandi l'aveva chiamata curva con (seno) verso, cioè contrario, nemico. Di qui versiera, "avversaria", nome attribuito solitamente a streghe, o entità simili. Infatti in inglese la curva è nota come witch of Agnesi (strega di Agnesi). La curva è rappresentata nella fig. 6.30.

Per costruirla si parte da un cerchio di diametro a; la sua equazione è:

            (a^2 + x^2) y = a^3

Dalla versiera si ricavano inoltre una serie di curve simili, dette, sempre in onore della brava Maria Gaetana, agnesiane.

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Pagina 148

8.5 I frattali di Mandelbrot


Nel 1975 Benoit B. Mandelbrot, professore di matematica alla Harvard University e IBM fellow (i fellows sono ricercatori ai quali è concessa un'ampia libertà nella scelta della propria attività), dava alle stampe in Francia il saggio Les objects fractals, nel quale, per la prima volta, esponeva i risultati di un lungo itinerario di ricerca, che lo aveva condotto alla definizione ed alla esposizione dei frattali. Diamo la parola all'autore, nella traduzione italiana:

Nel presente saggio vengono studiati oggetti naturali assai diversi, molti dei quali decisamente familiari, come la Terra, il cielo e l'oceano, ricorrendo all'aiuto di un'ampia famiglia di oggetti geometrici ritenuti fino ad oggi esoterici e inutilizzabili, e che io invece mi propongo di dimostrare che meritano di essere presto integrati nella geometria elementare in ragione della semplicità, della diversità e della portata davvero straordinaria delle loro nuove applicazioni. Benché il loro studio sia di pertinenza di discipline scientifiche diverse tra cui la geomorfologia, l'astronomia e la teoria della turbolenza, gli oggetti naturali in questione hanno in comune la caratteristica di essere di forma estremamente irregolare o interrotta; per studiarli, ho concepito, messo a punto e largamente utilizzato una nuova geometria della natura. La nozione che le fa da filo conduttore sarà designata con uno dei due neologismi sinonimi "oggetto frattale" e "frattale", termini da me concepiti per le necessità di questo libro e che si richiamano all'aggettivo latino fractus, che significa "interrotto" o "irregolare"...

Il sottotitolo mette in evidenza che il mio scopo iniziale è descrivere, dal di fuori, la forma di diversi oggetti... Inoltre per generare l'irregolarità frattale mette l'accento su costruzioni dominate dal caso...

Infine annuncia che una della caratteristiche principali di qualsiasi oggetto frattale è la sua dimensione frattale: essa misura il grado di irregolarità e di interruzione dell'oggetto. [41]

La dimensione frattale può essere qualsiasi numero, frazionario od anche trascendente: e qui sta forse l'innovazione più coraggiosa della ricerca di Mandelbrot.

Il libro, salvo i concetti generali, è francamente illeggibile se non forse per profondi conoscitori della materia. Eppure ha una forza di trascinamento ed una freschezza quasi sbarazzina nell'affrontare con incoscienza terreni, nei casi più favorevoli snobbati con sufficienza dagli accademici paludati, che finisce per conquistare. Ed a ragione: a distanza di venti anni da quel primo saggio, oggi i frattali sono una realtà affascinante e certo non più clandestina, anche nel mondo della matematica con la m maiuscola.

Per introdurre brevemente questa nuova realtà, prendiamo l'esempio, che costituisce anche il primo esempio del libro citato. Quant'è lunga la costa della Bretagna? Seguiamo l'autore.

Preso un tratto di costa marittima in una regione accidentata, cercheremo di misurarne effettivamente la lunghezza. È evidente che tale lunghezza è almeno uguale alla distanza in linea retta tra le estremità del nostro tratto di curva; che, se la costa fosse diritta il problema a questo punto sarebbe già risolto; infine, che una vera costa selvaggia è estremamente sinuosa e, di conseguenza, più lunga della summenzionata distanza in linea retta. Se ne può tener conto in varie maniere ma, in ogni caso, la lunghezza finale risulterà talmente grande da potersi, senza inconvenienti pratici, considerare infinita.

Infatti, dice l'autore, cominciamo con un metodo di misura prendendo un compasso di apertura data e moltiplichiamo tale apertura per il numero dei passi del compasso. Diminuendo l'apertura, la misura tende ad aumentare senza limite. Un altro metodo: facciamo camminare un uomo lungo la costa, ad una distanza massima pari all'apertura del compasso: poi si rende tale distanza sempre più piccola. Successivamente si rimpiazza l'uomo con un topo, con una mosca, e così via. Ancora una volta la distanza sarà tanto maggiore, quanto più vicino ci si tiene alla costa.

L'esempio serve sia per far capire come la descrizione della natura possa sfuggire alle tecniche della geometria classica, sia per introdurre il nuovo strumento, il frattale.

Ho parlato prima di itinerario di ricerca di Mandelbrot; ed in effetti egli, nel raggiungere i brillanti traguardi che oggi gli vengono riconosciuti, ha ripercorso vie già battute da altri prima di lui, ma poi lasciate cadere nel dimenticatoio, o addirittura gettate con disprezzo nel cestino della carta straccia. Mandelbrot è orgoglioso di questo suo recupero, ed è per questo che non esita a riconoscere i meriti di Georg Cantor, di Giuseppe Peano, di Helge von Koch, di Felix Hausdorff, e di numerosi altri.

Utilizzando i calcolatori realizza costruzioni fantastiche.

Lo sviluppo che si riscontra più spesso e che è, nello stesso tempo, il più inatteso, non è di carattere scientifico, ma puramente estetico... Continuando lo studio dei frattali mi sono imbattuto sempre più spesso in oggetti geometrici di bellezza crescente, incontestabile, sorprendente ed ambigua: di primo acchito appaiono fantastici e del tutto strani, subito dopo vi si avvertono delle remote risonanze, quand'ecco che diventano quasi familiari. Il mio programmatore (e, sempre più spesso, uno dei miei collaboratori) introduce nel calcolatore equazioni dall'apparenza anodina. E, alternativamente, affiora sullo schermo tutta una fauna, ora realistica, ora di sogno, ora da incubo! Ogni volta, uno choc estetico indimenticabile.

Entrare in questo brave new world con il personal computer è possibile: in un'opera di rara suggestione visiva, The Beauty of Fractals [44], c'è un capitoletto "do it yourself" nel quale si forniscono istruzioni su come ottenere curve frattali utilizzando un personal computer. Sono comunque ormai disponibili programmi per generare curve frattali su un personal computer.

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Appendice A

La biblioteca di Alessandria


Alla morte di Alessandro (323 a.C.) l'impero fu diviso tra i Diadochi (successori): la Macedonia (e Grecia) a Cassandro; la Tracia e l'Asia Minore occidentale a Lisimaco; la Babilonia e la Siria a Seleuco; l'Egitto a Tolomeo.

Quest'ultimo fece le cose alla grande: nel 305 si proclamò faraone d'Egitto e fondatore della dinastia dei Tolomei. Nelle lunghe guerre che immediatamente si scatenarono fra i successori, Tolomeo sostenne la neutralità dell'isola di Rodi e si meritò da parte dei suoi abitanti onori divini (quali spettavano ad un faraone) ed il titolo di Soter (Salvatore). Alessandria, la città fondata da Alessandro, fu scelta da Tolomeo come capitale al posto di Menfi: e la città crebbe, splendida e moderna, secondo le concezioni più avanzate di urbanisti famosi. Fu a lungo, prima di Roma, la più grande città del mondo, ed arrivò ad avere oltre mezzo milione di abitanti, cifra impressionante per quell'epoca. Vantò una delle sette meraviglie del mondo, il faro (dal nome di un'isolotto nel porto), alto circa 120 metri.

Tolomeo Soter, uomo colto e di ampie vedute, dedicò molte delle sue energie alla fondazione del Museo, istituzione che giocò un ruolo importantissimo nello sviluppo della cultura nell'area mediterranea per molti secoli.

Il Museo era una sorta di Accademia Reale e insieme di selezionatissima Università. I più grandi uomini d'allora, poeti, scrittori, scienziati, filosofi, artisti v'erano ospitati a spese della Corona e venivano forniti loro, oltre che vitto ed alloggio, anche tutti gli strumenti di lavoro di cui avessero bisogno [47]

In parallelo al Museo si sviluppa l'altra grande istituzione, vanto e gloria di Alessandria e di tutti i Tolomei: la Biblioteca. Si è concordi nell'attribuirne la fondazione a Tolomeo II, detto Filadelfo (colui che ama il fratello), figlio e successore del Soter, dopo due anni di governo comune. Si è altresì concordi nel riconoscere a Demetrio Falereo, un governante ateniese in esilio, di formazione aristotelica, il merito della sagace direzione scientifica dell'iniziativa.

L'idea era quella di costituire una grande biblioteca che raccogliesse con organicità tutte le opere scritte in greco; ciò comportava anche la trascrizione completa di quelle che, per qualche ragione, non potevano essere acquistate. Si trattava quindi di una biblioteca fornita di un attrezzatissimo laboratorio di scrivani e copisti, al tempo stesso centro di raccolta e fucina di lavoro, qualcosa di molto simile ai conventi benedettini del Medioevo. Biblioteca e Museo erano quindi strettamente interdipendenti: nel ricopiare un'opera letteraria o scientifica se ne poteva fare una vera e propria edizione critica, emendata da errori o aggiunte arbitrarie.

Le due istituzioni godranno delle cure pressoché costanti di tutti i Tolomei; la Biblioteca raggiungerà, ai tempi di Cleopatra, i settecentomila volumi (cioè, nella accezione originaria, "rotoli" di papiro). Il che non significa che vi fossero altrettante opere, dato che di ognuna potevano esserci più copie, mentre varie altre, le più lunghe, erano composte da più papiri. Comunque, fino al nostro Rinascimento, rimarrà la più grande biblioteca dell'antichità. [47]

Nell'imponente sforzo di raggiungere l'obiettivo ambizioso di una biblioteca universale, il Filadelfo ad esempio aveva stabilito che tutti i libri che, per caso, si trovassero nelle navi che facevano scalo ad Alessandria, venissero copiati, che fossero trattenuti gli originali (!), e che le copie fossero restituite prima della ripartenza. Inoltre grande impegno fu posto nelle traduzioni da altre lingue. Secondo una testimonianza molto tarda, ma ben documentata, di Giovanni Tzetze (1110-1185 circa), "i libri raccolti non erano soltanto dei greci, ma di tutti gli altri popoli, ed anche degli stessi ebrei".

Tutto ciò appare inquadrabile in un intelligente disegno politico di affermazione del dominio greco, anche se ripartito fra diverse monarchie, attraverso gli strumenti della lingua e della cultura, ed è conferma della lungimiranza dei sovrani della dinastia dei Tolomei.

Il Museo di Alessandria fu la scuola dove insegnarono, o si formarono, grandi matematici per parecchi secoli. Tra essi:

• Euclide, che insegnò fin dalla fondazione del Museo, sotto Tolomeo Soter;

• Timocare, astronomo e matematico;

• Aristarco di Samo, astronomo, ardito sostenitore della teoria eliocentrica;

• Eratostene di Cirene, filologo, matematico, direttore della Biblioteca (chi non ricorda il suo celebre "crivello" per trovare i numeri primi?);

• Conone di Alessandria, astronomo, matematico, inventore della spirale, come gli venne riconosciuto con generosità da Archimede, al cui nome peraltro la spirale è associata;

• Ipparco di Nicea, grande astronomo (redasse un famoso catalogo stellare), chiamato "padre della trigonometria";

• Erone, grande ingegnere, che inventò straordinarie macchine belliche e teatrali;

• Ctesibio, al quale si attribuisce l'invenzione di un organo musicale idraulico;

• Tolomeo, grande ed eclettico scienziato, figlio del suo tempo, autore del famosissimo Almagesto cioè "il più grande";

• Diofanto, "padre dell'algebra", vissuto nell'età tarda alessandrina.

• Pappo, sempre di Alessandria, ultimo grande matematico dell'epoca greca;

• Teone, che redasse un'edizione degli Elementi di Euclide, che ci è pervenuta (attivo nel 365 d.C.);

• Ipazia, figlia di Teone, bravissima matematica e musicologa, uccisa da fanatici religiosi (415);

• Proclo, nato ad Alessandria ma poi trasferito ad Atene, filosofo e matematico, la più preziosa fonte di informazione sulla storia dei primi sviluppi della geometria greca.

Museo e Biblioteca vissero quindi momenti gloriosi, per oltre settecento anni.

I primi guai la Biblioteca li passò ai tempi di Cesare. Sbarcato ad Alessandria Cesare, secondo il racconto di Plutarco, ricevette in segno di omaggio la testa di Pompeo, e pianse per la sorte dell'avversario: e cercò di attirare dalla sua parte quanti avevano seguito Pompeo e che ora erano sbandati e in difficoltà.

Ai propri amici in Roma scriveva: «Il più grande e dolce frutto della vittoria è questo: che posso salvare alcuni dei miei concittadini, da cui sono sempre stato avversato».

Si intese rapidamente con Cleopatra, e si diede da fare per riconciliarla con il fratello. Ma il generale Achilla

scatenò una guerra che vide Cesare accerchiato da ogni lato e fu per lui pericolosa e difficile: con pochissimi uomini doveva difendersi dagli assalti di una città e di un'armata grandissime. Anzitutto corse il pericolo di avere i rifornimenti d'acqua tagliati, perché i nemici ostruirono i canali che la portavano fino al palazzo. Poi tentarono di circondare la flotta e di portargliela via: e fu costretto a sventare quest'altro pericolo appiccando il fuoco alle navi. Ma dall'arsenale dove si trovavano le navi l'incendio si propagò anche alla grande biblioteca di Alessandria e la distrusse completamente. [Plutarco, Vite parallele, vita di Cesare]

Fin qui Plutarco; ma fonti più precise e dettagliate, in particolare Tito Livio, Lucano, Orosio, Dione Cassio, nel descrivere la battaglia e la dinamica dell'incendio, fanno escludere che il fuoco abbia interessato la Biblioteca, se non forse per qualche deposito secondario.

I quarantamila rotoli, che alcune fonti danno per bruciati nella battaglia, supposto anche che appartenessero alla Biblioteca, non furono dunque tali da menomare significativamente il valore della stessa.

Ad esempio Strabone, altro storico serio e attendibile, soggiornò in Egitto dal 25 al 20 a.C., una trentina d'anni dopo l'incendio, e lavorò nella Biblioteca, descrivendo poi la struttura del Museo, ma non fa cenno di distruzioni o danneggiamenti.

I veri guai cominciarono tre secoli più tardi.

Tra le popolazioni cosiddette barbare, che si affacciarono minacciose ai margini dell'impero, sicuramente la più strana fu quella dei blemmi, discendenti da antiche tribù del deserto: secondo Plinio il Vecchio "erano privi della testa e avevano gli occhi sul petto". La bella regina di Palmira, Zenobia, che si vantava discendente di Cleopatra, trovò utile allearsi con individui così peculiari, conquistò Alessandria e l'imperatore Aureliano dovette penare alquanto per restaurare il potere di Roma ed avere ragione degli avversari (270-275 d.C.).

Si combatté per le strade della città e secondo lo storico Ammiano Marcellino andò distrutto il quartiere di Bruchion, dove avevano sede Museo e Biblioteca. Si tratta probabilmente di un'esagerazione e infatti, purtroppo, la Biblioteca dovette subire ingiurie ancora per molto tempo. Pochi anni dopo ad esempio Diocleziano operò un vero e proprio sacco di Alessandria, attingendo ai testi più preziosi della Biblioteca.

E intanto cominciarono altri problemi. Il fanatismo religioso dei cristiani, dopo la loro legittimazione da parte di Costantino, si accanì in particolare verso l'Egitto, considerato lo zoccolo duro dei culti pagani tenacemente persistenti. Il patriarca Teofilo, che lo storico Gibbon definisce "eterno nemico della pace e della virtù" (The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, London 1776-1778. cap. XXVIII), si fece forte dell'editto dell'imperatore di Costantinopoli per la chiusura di tutti i templi pagani, e in Alessandria distrusse il Serapeo (391). Lo stupendo monumento del tempio di Serapide non faceva parte del Museo: era una sorta di biblioteca pubblica ad uso degli Alessandrini, mentre la biblioteca del Museo, come abbiamo visto, era riservata alla élite di studiosi ospiti dell'istituzione.

Appare probabile che nella sua distruzione del Serapeo sia andato distrutto tutto il patrimonio librario ivi esistente, che comunque era costituito da copie dei testi conservati nel Museo.

Ancor peggio [di Teofilo] fece il suo successore, san Cirillo che, oltre a distruggere templi o a trasformarli in chiese, espulse da Alessandria tutti i quarantamila ebrei «deicidi», lasciandone massacrare un gran numero dai greci che non persero l'occasione per liberarsi dei pericolosi rivali in affari. [47]

Più tardi ci fu un'invasione persiana, ai tempi di Cosroe, e l'imperatore Eraclio solo con molta fatica ristabilì la sovranità di Costantinopoli sull'Egitto.

Insomma, la fondazione della Biblioteca risaliva ormai a quasi mille anni prima e, anche se gli antichi fasti del Museo erano stati di tanto in tanto rinnovati da forti personalità di scienziati (Diofanto, Proclo i più illustri di recente), tutte le vicende e le dominazioni straniere avevano lasciato profonde cicatrici. Ed era profondamente mutato il contenuto della biblioteca: i rotoli di papiro erano stati sostituiti da solide pergamene rilegate; la progressiva decadenza della cultura, e quindi della lingua greca, faceva sì che i nuovi testi fossero zeppi di errori; ai testi classici erano ormai in buona parte subentrati gli scritti dell'ormai egemone religione cristiana. Ma insomma, appare comunque probabile che la consistenza numerica dei libri conservati nella biblioteca fosse ancora imponente.

A questo punto arriviamo all'atto finale della nostra storia: l'invasione araba.

Nel ventesimo anno dell'Egira, corrispondente al 640 d.C., l'emiro Amr ibn al-As conquistava Alessandria dopo 14 mesi di assedio, e negli anni successivi resisteva con successo ai tentativi di riconquista dell'ormai esangue potere di Bisanzio.

Ho conquistato la grande città dell'Occidente e non mi è facile enumerare le sue ricchezze e le sue bellezze. Mi limiterò a ricordare che conta quattromila palazzi, quattromila bagni pubblici, quattrocento teatri o luoghi di divertimento, dodicimila negozi di frutta e quarantamila Ebrei tributari. La città è stata conquistata con la forza delle armi e senza trattato. I musulmani sono impazienti di godere il frutto della vittoria. [49]

Così l'emiro scriveva al califfo Omar, nel render conto del suo operato. Amr era comunque un generale intelligente: non permise saccheggi o distruzioni, ed anzi si adoperò perché Alessandria tornasse a prosperare.

Ed eccoci alla biblioteca. Amr aveva conosciuto un gran vegliardo ed emerito studioso, Giovanni Filopono, che viveva ad Alessandria. Filosofo della natura, grammatico, matematico, commentatore di testi antichi, Giovanni fu un precursore nell'ipotizzare le leggi sulla caduta dei gravi, in ciò anticipando quanto, quasi un millennio dopo, sarà ripreso da Galileo.

Era cristiano, ma con profonde radici pagane, formato sui testi della classicità greca, in particolare sull'opera di Aristotele: era stato per lui quasi fatale scivolare nell'eresia. Viveva appartato, coltivando i suoi studi. L'emiro imparò a conoscerlo, a stimarlo, ad apprezzarne la grande erudizione, e fu attraverso Giovanni che Amr prese coscienza dell'immenso patrimonio storico e culturale che presumibilmente era ancora conservato nella Biblioteca.

Lo storico arabo di origine egizia Ibn al-Qifti (1172-1248), seicento anni dopo, rievocava queste vicende nel libro Ta'rikh al-Hukama raccontando un lungo dialogo tra Giovanni Filopono e l'emiro Amr ibn al-As: si tratta quindi di notizie non proprio freschissime, ma ben documentate e verosimili. Con questa opportuna precisazione, proseguiamo il resoconto.

Amr rimase impressionato da quanto Giovanni gli aveva raccontato; meditò a lungo, poi risolse di scrivere al Califfo, per avere lumi su come procedere.

La risposta, giunta dopo il tempo necessario per coprire la distanza tra Alessandria e Baghdad, fu lapidaria:

Se il contenuto dei libri che tu hai nominato si accorda con il libro di Allah, noi possiamo farne a meno, dal momento che, in tal caso, il libro di Allah è più che sufficiente. Se invece contengono qualcosa di differente rispetto al libro di Allah, non c'è alcun bisogno di conservarli. Procedi e distruggili.

L'emiro, che probabilmente ormai era stato conquistato dalle appassionate perorazioni di Giovanni, di fronte all'ordine dovette a malincuore mettersi sull'attenti. I libri furono bruciati nei quattromila bagni di Alessandria a scopo di riscaldamento.

"Si narra", dice Ibn al-Qifti, "che ci sian voluti sei mesi per bruciare tutto quel materiale."

Il grande storico inglese Edward Gibbon, nell'opera citata, contesta la veridicità del racconto, e scagiona completamente gli arabi dall'accusa della distruzione. L'opinione ha qualche merito, ma la questione è aperta, e il libro di Ibn al-Qifti costituisce una fonte precisa.

La sorte della biblioteca di Alessandria è stata la stessa delle altre grandi concentrazioni di libri dell'antichità: saccheggi, distruzioni, incendi, incuria, ignoranza, fanatismo, riutilizzo dei rotoli per nuove scritture... tutto ciò ha portato via via alla perdita totale di quanto era stato accumulato nei secoli. La conservazione dei testi antichi e la loro accessibilità ai giorni nostri, è dovuto in misura preponderante all'esistenza di piccole biblioteche, e all'opera di trascrizione e copiatura, svolta soprattutto nei conventi e negli istituti religiosi.

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