Copertina
Autore Gilles Dostaler
CoautoreBernard Maris
Titolo Capitalismo e pulsione di morte
EdizioneLa Lepre, Roma, 2009, I saggi , pag. 160, cop.fle., dim. 13,5x21x1,3 cm , Isbn 978-88-96052-20-4
OriginaleCapitalisme et pulsion de mort
EdizioneAlbin Michel, Paris, 2009
TraduttoreAlberto Bracci Testasecca
LettoreRiccardo Terzi, 2010
Classe economia politica , psicoanalisi , globalizzazione , economia finanziaria , capitalismo
PrimaPagina


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Indice

  7 Introduzione

 11 Prefazione

 27 Capitolo primo
    Freud e la pulsione di morte

 29 Eros e Thanatos
 32 Rimozione e principio di realtà
 38 La tecnica, o come somigliare a Dio
 41 Globalizzazione e accumulazione
 44 Dal narcisismo delle piccole differenze alla servitù volontaria
 50 Denaro e analità

 57 Capitolo secondo
    Keynes e il desiderio di denaro

 59 Il denaro e la morte
 62 Auri sacra fames: Mida
 71 Il denaro o l'arte come assicurazione contro la morte?
 73 Marmellata e liquidità
 77 La teoria del mercato-folla
 82 Il denaro capro espiatorio
 86 Il debito di vita: capitalismo e senso di colpa
 91 La concorrenza e la morte

 97 Capitolo terzo
    Freud e Keynes oggi

101 Globalizzazione
    La globalizzazione è anche lo scontro delle civiltà, 102
    La globalizzazione è anche l'emersione dei giganti, 103
    La globalizzazione è anche il mercato generalizzato, 105
107 Liquidità e crisi finanziaria
110 La rendita

117 Epilogo
    Oltre il capitalismo

117 Nel 2030 l'umanità avrà risolto il problema economico
119 La bellezza e la dolce narcosi dell'arte
120 La resurrezione del corpo
123 Quale abbondanza?
125 La possibilità di un'isola
126 In memoria della specie umana

129 Appendice
    Bloomsbury e la psicoanalisi

139 Ringraziamenti
141 Note
157 Bibliografia

 

 

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Pagina 7

Introduzione



«Fuga verso la liquidità», «sete insaziabile di liquidità», «desiderio morboso di liquidità»: come definire altrimenti l'odierna affannosa domanda delle banche e delle istituzioni finanziarie in mezzo alla tempesta borsistica che loro stesse hanno scatenato, mosse da un'insaziabile cupidigia e da una brama infinita di denaro? L'espressione «desiderio morboso di liquidità» non è nostra, è stata coniata da Keynes e rimanda alla pulsione di morte scoperta da Freud. Keynes riteneva che le banche avessero svolto un ruolo di primo piano nella genesi della crisi che nel 1929 aveva condotto l'umanità al disastro. Ed ecco che la storia si ripete. Naturalmente gli uomini hanno una memoria, e le banche centrali, oggi, immettono nel mondo centinaia e centinaia di miliardi di dollari ed euro per rivitalizzare un'economia mondiale che minaccia di affondare. Non siamo ancora al crollo del 50% della produzione industriale americana come negli anni Trenta, ma basta tendere l'orecchio per sentir risuonare la minaccia militarista che proviene dalla Russia, dall'Austria, dalle repubbliche ex sovietiche e dai paesi della stessa Europa. Ancora una volta il capitalismo, con la sua corsa sfrenata al profitto e il suo desiderio sempre più intenso di accumulazione, ha liberato e spinge con tutte le sue forze ciò che si annida nella sua parte più nascosta: la pulsione di morte. Quella che noi pensavamo «globalizzazione felice» era soltanto mancanza di misura per il denaro impazzito e la sua pulsione distruttrice.

Il capitalismo è quella particolare fase della storia umana in cui scienza e tecnica vengono dirottate verso la superproduttività del lavoro, in cui la crescita della produzione di merci che dovrebbero rispondere ai bisogni diventa infinita, e in cui il denaro, usato solo per accumulare altro denaro, diventa anch'esso fine a se stesso. È quindi un momento senza altra finalità che quella di accumulare beni materiali e risparmiare tempo (è il senso dell'aumento della produttività), quello stesso tempo che pretendiamo di strappare alla morte. In un sistema del genere il denaro non è affatto, come immaginava la maggior parte degli economisti, il velo trasparente, neutro e pacifico steso sugli scambi. Esso porta con sé tutte le angosce e le pulsioni di un'umanità trascinata nel vortice della crescita, dell'accumulazione di beni e rifiuti e della distruzione della natura. In un mondo che da Benjamin Franklin in poi non fa differenza tra tempo e denaro, la ricerca della velocità a tutti i costi equivale alla ricerca di denaro.

In questo tempo cumulativo, il tempo del capitalismo, il conto non viene mai saldato. Non ci si ferma mai. Non si raggiunge mai né pace né equilibrio. Laicizzando il tempo, facendone oggetto di dilazione e accumulazione insieme, infrangendo il divieto religioso del prestito a interesse, gli uomini hanno recuperato, monetizzato e scambiato ciò che apparteneva soltanto a Dio. Tramite la tecnica, l'uomo crede di poter arrivare al divino. Stivare, accumulare senza tregua per avvicinarsi a Dio è una definizione di capitalismo che il Freud del Disagio della civiltà approverebbe sicuramente.

Freud e Keynes , come intendiamo illustrare in questo libro, insegnano che il desiderio di equilibrio insito nel capitalismo, sempre presente ma sempre procrastinato in nome della crescita, altro non è che pulsione di morte. Anche distruggere, e poi distruggersi e morire, fa parte dello spirito del capitalismo. Sui mercati circolano merci che, cristallizzando il tempo di lavoro degli uomini, cristallizzano anche il tempo della sofferenza, del senso di colpa e dell'odio. Il mercato, braccio destro del capitalismo, è un orrendo luogo di uguaglianza teorica e, quindi, di mimetismo e di rancore, oltre che un incredibile catalizzatore della pulsione di morte impegnata ad accumulare. Dal canto suo, il capitalismo è concomitante all'esplosione delle ineguaglianze tra le nazioni e tra gli uomini all'interno delle nazioni, al gonfiarsi di bolle che vampirizzano l'energia umana e poi scoppiano, e alla formazione di rendite che vanno a detrimento del lavoro, come avevano chiaramente esposto grandi pensatori dell'economia quali Smith , Ricardo , Malthus , Mill e naturalmente Marx. Il capitalismo esiste solo grazie alla crescita infinita del surplus. E di quando in quando lo spreco, che Georges Bataille definisce la «parte maledetta», reclama la propria spettanza: oggi con una crisi di borsa, domani con una guerra.

La grande astuzia del capitalismo, come vedremo, sta nel dirottare le forze annientatrici e canalizzare la pulsione di morte verso la crescita. In questo senso Eros domina Thanatos, lo utilizza e lo sottomette, in particolare mandando in rovina la natura. Ma in Eros c'è Thanatos: distruggere è piacevole, come d'altronde è piacevole consumare; se il consumo è distruggere invece di investire, l'investimento è rifiuto a consumare. L'odierna crisi di borsa che si somma a una crisi climatica senza precedenti, l'invecchiamento delle popolazioni dei paesi a nord del mondo e il loro rifiuto a negoziare il proprio livello di vita (che è un'altra manifestazione della «parte maledetta», del consumo inutile), l'emergere di superpotenze capitaliste come la Cina, forte di un miliardo e trecento milioni di abitanti, il cui destino sarà presumibilmente, forse suo malgrado, quello arrogante e bellicoso di tutte le superpotenze, sono pessimi presagi dai quali si percepisce come la pulsione di morte non chieda altro che sopraffare il capitalismo che la contiene. Fino a quando?

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Prefazione
Morituri...



                Non solo era un genio, ma a differenza di molti altri
                  geni era un uomo straordinariamente cordiale [...].
                 Aveva qualcosa del vulcano non completamente spento,
            qualcosa di oscuro, di rimosso, di riservato. Mi ha fatto
                           un'impressione che ben poche altre persone
                 mi hanno fatto, un'impressione di grande gentilezza,
                              e dietro la gentilezza di grande forza.

                           Leonard Woolf a proposito di Sigmund Freud
                                      (da Downhill all the Way, 1967)


               La mente di Maynard era incredibilmente rapida, agile,
                  immaginativa e agitata; aveva sempre pensieri nuovi
                   e originali, in particolare nel campo degli eventi
                       e dei comportamenti umani, nonché dei rapporti
          tra gli eventi e le azioni degli uomini. Aveva il rarissimo
                dono di essere ugualmente brillante ed efficace nella
                    pratica come nella teoria, tanto che era in grado
                       di spuntarla su un banchiere, un uomo d'affari
               o un primo ministro con la stessa velocità ed eleganza
                           con cui era capace di demolire un filosofo
                                          o annientare un economista.

                     Leonard Woolf a proposito di John Maynard Keynes
                                                    (da Sowing, 1960)



Nell'ottobre del 1929 la borsa di New York crolla provocando la caduta di altre piazze finanziarie e fallimenti a catena malgrado il più famoso economista dell'epoca, Irving Fisher, ritenesse che il prezzo delle azioni si sarebbe attestato su «un alto livello permanente». Il capitalismo, che sembrava destinato alla crescita perpetua, sprofonda dappertutto in una crisi senza precedenti. La produzione cola a picco, la disoccupazione supera in molti paesi un quarto della popolazione attiva. Dalla Germania trapelano sinistre avvisaglie. Appena quindici anni dopo il massacro della Somme, di Verdun e del Chemin des Dames tuona di nuovo l'ira delle nazioni e in Europa si affermano ideologie diaboliche.

L'anno dopo vengono dati alle stampe due importanti testi. John Maynard Keynes pubblica Prospettive economiche per i nostri nipoti, una riflessione piuttosto ottimista sul balzo culturale che dovrebbe giustificare il capitalismo, mentre Sigmund Freud esce con Il disagio della civiltà , un'opera profondamente pessimista sulla dialettica tra bene e male, tra forze mortifere e forze vitali, in cui si scopre che la civiltà, energia di vita e di mantenimento della specie umana, porta in sé una pulsione di morte contro la quale lotta senza tregua. Non si può che rimanere colpiti dalle analisi che il libro contiene riguardo alla globalizzazione, alla tecnica e alla lotta dell'uomo contro la natura. Certo il capitalismo, venuto alla luce qualche centinaio d'anni prima, non va confuso con la civiltà, che affonda le sue radici nell'alba dell'umanità, ma il suo linguaggio, fatto di mercati, di contratti, di accumulazione, di denaro, di bisogni e di mondializzazione, è quello che oggi la ricopre e la modella. Uno dei messaggi di Freud è che la civiltà contiene la tecnica. Sviluppando la tecnica, l'uomo non ha accresciuto la propria felicità, ma liberato una forza che non sa dove lo porterà. Verso una nuova società dell'abbondanza che si dedica alle arti e all'amicizia dopo aver finalmente messo fine al problema economico della scarsità, come sogna Keynes nel suo Prospettive? Verso il termitaio che Freud evoca al termine del suo libro e l'abolizione delle volontà individuali auspicata dai nazisti? Verso l'apocalisse?

Più probabilmente verso il termitaio, il che sancirebbe la morte dell'umanità. Saremo tutti controllati, sorvegliati, schedati. Tutto verrà sottomesso a un Grande Fratello informatico: le nostre impronte genetiche, l'iride dei nostri occhi, le targhe delle nostre macchine. Nelle vie di Londra, ormai, un individuo può essere fotografato anche trecento volte nel corso della stessa giornata. Già esistono apparecchi che producono ultrasuoni percepibili dalle sole orecchie dei bambini, meccanismi concepiti per tenerli lontani dagli ambienti in cui potrebbero nuocere, come gli ingressi dei supermercati in cui si accalca la «folla innumerevole di uomini simili e uguali che girano senza sosta su se stessi per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui riempire la propria anima». Al disopra di essi si eleva un «potere immenso e tutelare», e questo potere «è contento che i cittadini gioiscano, a patto però che pensino solo a gioire», dice ancora Tocqueville. Sono gli stessi individui egoisti, isolati e perennemente in movimento che vengono messi in scena dagli economisti.

Il messaggio di Freud nel Disagio della civiltà è inquietante: la civiltà tiene a freno la pulsione di morte, ma la pulsione di morte è contenuta nella civiltà. Donde la domanda: come quei lemming che si accalcano in cima al dirupo fino a precipitare di sotto o quei caribù che si gettano in massa nelle acque turbinanti di un fiume, l'umanità sta inconsciamente precipitando se stessa verso la morte con grande diletto, o almeno con un gran desiderio di sollievo?

Quattro anni fa Claude Lévi-Strauss , all'epoca novantaseienne, ricordava che i demografi hanno previsto un picco di popolazione intorno al 2050, quando l'umanità raggiungerà i nove miliardi di individui. In seguito decrescerà così rapidamente che «nel giro di qualche secolo sarà minacciata la sopravvivenza stessa della specie. Nel frattempo, però, avrà operato le sue devastazioni non solo sulla diversità culturale, ma anche su quella biologica, condannando alla sparizione una quantità di specie animali e vegetali». Così l'umanità che devasta la Terra sarà la causa della propria scomparsa:

Tra i grandi drammi contemporanei non ce n'è uno che non trovi la propria origine diretta o indiretta nella difficoltà crescente a vivere insieme, inconsciamente sentita da un'umanità in preda all'esplosione demografica che — come quei vermi della farina che si avvelenano a distanza nel sacco in cui stanno, molto prima che il cibo cominci a scarseggiare — si metterà a odiare se stessa quando una prescienza segreta la avvertirà che sta diventando troppo numerosa perché ognuno dei propri membri possa liberamente godere di quei beni essenziali che sono lo spazio libero, l'acqua pulita e l'aria non inquinata.

Dopo aver distrutto la natura diventeremo vittime di noi stessi, conseguentemente all'odio incosciente che nutriamo verso di noi. Un capo islamico ha giustificato gli attentati e l'imminente vittoria della jihad con queste assurde parole: «Non arriverete mai ad amare la vita tanto quanto noi amiamo la morte». Il Viva la muerte! dei fascisti spagnoli sembra allegro, in confronto a una frase così atroce!

L'umanità, in crescita indefinita, accumula all'infinito per soddisfare bisogni anch'essi infiniti. All'opposto sono gli indios caduveo studiati da Claude Lévi-Strauss o gli achuar di Philippe Descola la cui cultura, probabilmente molto elaborata, impone loro di vivere parsimoniosamente e in simbiosi con la natura. Gli achuar, stanziati in Amazzonia vicino al fiume Kapawi, al confine tra Ecuador e Perù, pensano che la catastrofe si abbatterebbe su di loro se uccidessero troppe scimmie lanose, cioè più di quante servono per cibarsi, perché si romperebbe il delicato equilibrio che li unisce a quella che loro definiscono parentela. Le società di questo tipo «ignorano la scrittura, il centralismo politico e la vita urbana». Sprovviste di «istituzioni specializzate nell'accumulo e nell'oggettivazione e trasmissione del sapere» (ibid.), esse non hanno banche, né brokers, né hedge funds, né laboratori di ricerca specializzati nel deposito di brevetti. Marshall Sahlins ha tuttavia spiegato in cosa consiste l'abbondanza vissuta da questi popoli cosiddetti «primitivi»: «Immuni come sono da ossessioni di scarsità di merci, le inclinazioni economiche dei cacciatori trovano, più delle nostre, un fondamento coerente nell'abbondanza». Con la natura sono in rapporto di fratellanza, che è poi la traduzione del termine «parentela». Il prezzo che abbiamo pagato noi per uscire da questa fratellanza è stato lo sfruttamento della natura e del lavoro. Bisogno e bisogna hanno la stessa radice. Gli achuar non hanno bisogni né bisogne. Questo libro tuttavia non si propone di invocare un utopico «ritorno alla natura».

Perché siamo usciti dallo stato di simbiosi con la natura? Enigmi del neolitico, della sedentarizzazione, dell'agricoltura, dell'allevamento e della costituzione di scorte. Il capitalismo è dunque uno stadio nuovo e specifico dell'evoluzione umana? Sì, non è un mistero. Possiamo definirlo come il momento in cui invenzione e tecnica vengono dirottati, canalizzati e sistematicamente applicati all'accumulazione di beni. Certo, il grande commercio è nato con gli antichi, che conoscevano bene le tecniche della contabilità, della banca, del credito e dell'assicurazione, ma si basava in gran parte sul saccheggio e sulla conquista. Non è necessario rileggere Marx per sapere che con il capitalismo si sviluppano il lavoro libero, lo scambio commerciale, la classe dei capitalisti e lo Stato moderno garante della libertà di contrattazione. La rivoluzione industriale inglese, in particolare, rappresenta un salto quantitativo e qualitativo nella produzione. Il capitalismo è giovane rispetto alla storia dell'umanità. Ma non è detto che riesca a invecchiare. È caratterizzato dall'esplosione della produttività lavorativa e dall'utilizzo intensivo ed estensivo di varie fonti di energia delle quali l'ultima, il petrolio, ha svolto un ruolo essenziale nella nascita del mondo moderno. L'esplosione demografica è commisurata all'uso sfrenato di un'energia fossile.

Perché il capitalismo sia nato in Europa è una questione che lasciamo agli storici, a cui essi rispondono peraltro in maniera esaustiva. La domanda che poniamo noi al lettore è un'altra: il capitalismo, dirottando la tecnica a vantaggio dell'accumulazione, non avrà spalancato le porte a una pulsione di morte annidata nel cuore dell'umanità? Se la risposta è sì, e temiamo che lo sia, tempi duri attendono gli uomini appena usciti da un secolo che non li ha certo riempiti di carezze. L'implosione demografica prevista da Lévi-Strauss e varie catastrofi economiche, ecologiche, politiche e sociali potrebbero mettere la parola fine a una storia di qualche milione di anni, una storia grandiosa e tragica agli inizi della quale, se vogliamo credere ai paleontologi, la specie ha rischiato di sparire perché numericamente troppo esigua. La pulsione di morte messa in luce da Freud, insieme all'amore per il denaro e all'accumulazione di capitale descritti da Keynes, hanno avuto una parte di primo piano nella nascita e nello sviluppo del capitalismo.

Nella sua storia sociale e culturale della psicoanalisi, Eli Zaretsky definisce la psicoanalisi «una grande forza di emancipazione», cruciale nell'avvento del modernismo e dello stato assistenziale. Aggiunge tuttavia che, dopo la Seconda guerra mondiale, e in particolare negli Stati Uniti, è diventata in larga misura una forza conservativa e di normalizzazione. Questa deriva verso i meccanismi della «teoria dell'adattamento», per riprendere l'espressione di un altro rappresentante della sinistra freudiana, Erich Fromm , legata, dice Fromm, all'origine borghese della maggior parte degli psicanalisti e dei loro pazienti, è stata combattuta da parecchi pensatori quali lo stesso Fromm, Brown e Marcuse , alcuni dei quali vicini a una corrente freudiano-marxista i cui pionieri sono Wilhelm Reich e Otto Fenichel. Tra questi, Marcuse in Eros e civiltà (1955) e Norman Brown in La vita contro la morte (1959) sviluppano la tesi, che nella famiglia freudiana non è mai stata unanime, di una lotta tra la pulsione di vita e quella di morte. Brown è probabilmente il primo a sottolineare le convergenze tra le idee di Freud e quelle di Keynes su denaro, capitalismo e morte. Come Keynes, tuttavia, anche Brown e Marcuse, per quanto severamente critici verso la società del loro tempo, sono relativamente ottimisti riguardo al futuro lontano.

Cinquant'anni dopo, le cose si sono considerevolmente evolute. La realtà economica di oggi illustra in maniera spietata le analisi di Keynes e di Freud, e l'ottimismo non è più concesso. È possibile che Marcuse e Brown considerassero la guerra ormai alle spalle, quando invece è sempre all'orizzonte dell'umanità. L'equilibrio del terrore tra due soli giocatori ha fatto il suo tempo. L'URSS è scoppiata. Prolificano guerre locali o regionali. Le epurazioni etniche e i genocidi non si sono esauriti con la Shoah. Le armi si sono democratizzate, è comparso il terrorismo ed è pronta a esplodere la bomba ecologico-climatica, mentre la pentola dell'economia ci ha cucinato una crisi finanziaria che va a sommarsi alla crisi delle materie prime.

Nuovi mostri sono apparsi: la Cina, che con un'argomentazione schizofrenica degna di Orwell coniuga dittatura e mercato, intercetta il 40% delle nuove risorse petrolifere scoperte ogni anno, accaparra metalli, accumula crediti verso gli Stati Uniti, appoggia senza problemi regimi assolutisti e genocidi, devia il corso dei fiumi e sposta città e fabbriche per soddisfare la propria volontà di potenza. Brown, Marcuse e molti altri non potevano prevedere la corsa sfrenata di tutte le civiltà verso il capitalismo, la deregolamentazione e la globalizzazione finanziaria, né l'influenza che avrebbe avuto la scarsità economica a livello planetario. Il fatto è che la scarsità economica è strettamente legata all'analisi freudiana della rimozione, del principio di realtà e della pulsione di morte.

Anche nell'opera di Keynes, come in Freud, è presente la pulsione di morte. Nell'uno e nell'altro troviamo una concezione simile del denaro, ovvero che non si tratta, come ritiene la maggior parte degli economisti, di uno strumento neutro inventato per facilitare gli scambi, ma di una realtà che rimanda a pulsioni profondamente nascoste nell'inconscio, all'erotismo animale, alla morte, come illustra il mito di Mida a cui fanno spesso riferimento gli scritti di entrambi. Alla fine hanno una concezione identica della relazione tra individuale e sociale, della psicologia delle folle (o delle masse) e dei processi di mimetismo che agiscono sia nelle sollevazioni politiche che nella speculazione finanziaria. A parte quest'affinità, che meriterebbe un'opera a sé, Keynes ha fornito un'altra chiave che Freud non possedeva per comprendere la dialettica di Eros e Thanatos, pulsione di vita e pulsione di morte. Sebbene più ottimista del saggio di Vienna, Keynes ha introdotto un concetto presago di un esito funesto per l'umanità: la rendita. Keynes ha fatto il collegamento tra pulsione di morte, preferenza per la liquidità e tendenza redditiera delle economie. Se, volendo credere a Lutero e a Freud, la pulsione di morte ha per altro nome Satana, «l'eutanasia del redditiere» auspicata da Keynes al termine della sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta è la risposta da fornire al male e al Maligno. La globalizzazione finanziaria è una nuova tappa, forse l'ultima, di questa tendenza redditiera. L'umanità è ormai incastrata, stretta contro il muro della scarsità.

È curioso come in tutti i miti alla base delle religioni gli uomini, che vivevano nell'abbondanza e nella profusione di beni offerti dal paradiso terrestre, abbiano finito per scegliere la caduta e le sue conseguenze: scarsità, fatica, sofferenza, fame, violenza. Possiamo azzardare che «la conoscenza del bene e del male» che li ha sedotti sia stata la tentazione di un'altra abbondanza, di un'altra profusione: quella del sapere. Gli uomini hanno voluto sapere e hanno pagato il desiderio di entrare nella storia e nell'economia, cioè, ancora una volta, nella mancanza, nella scarsità, nella fatica, nell'incertezza e nell'infelicità. L'economia nasce con la cacciata dall'Eden.

Dal momento in cui hanno smesso di essere cacciatori-raccoglitori, quindi parassiti di altre specie, gli uomini hanno perso l'opulenza e la possibilità di attingere dall'abbondanza. E da quando hanno cominciato a costituire un surplus, quindi a partire dall'era agricola, ammucchiano. La novità sta forse nel fatto che l'uomo intuisce quanto l'accumulo sia diventato per lui una minaccia, dato che non immagazzina soltanto «ricchezze», ma anche e soprattutto beni negativi, cioè scarti. In parole povere, distrugge più di quanto mette via. Questa consapevolezza cela in realtà un dramma: come lo scorpione non può fare a meno di pungere la rana che lo trasporta sul fiume e affogare con lei, ma tuttavia la uccide perché, dice, «è la mia natura», così l'uomo accetta di continuare la sua corsa devastatrice probabilmente perché è «la sua natura» e perché distruggere e giocare alla roulette russa gli dà piacere.

Keynes immaginava che intorno al 2030 gli uomini avrebbero finalmente messo fine al problema della scarsità relegando l'economia al posto che le spetta, in secondo piano, e si sarebbero dedicati alla cultura, all'arte di vivere, alla contemplazione della bellezza, alla conversazione con gli amici e alle relazioni amorose. Sappiamo oggi che il 2030 è all'incirca la data del picco di Hubbert, cioè il momento in cui la domanda di petrolio supererà l'offerta, e che il periodo non avrà un bel niente di irenico. Il 2030 è domani. Vari orrori economici si profilano all'orizzonte. I divari si approfondiscono, sia all'interno dei paesi ricchi che tra le nazioni. Somme favolose di denaro circolano per il mondo mentre più di due miliardi di individui vivono in condizioni subumane. Con l'aiuto di una manodopera malleabile e disponibile alle corvée, una scarna minoranza di predatori distrugge allegramente ciò che resta del pianeta isolandosi a debita distanza dai miserabili che vivono nelle bidonville, mentre qualche centinaio di milioni di individui in Cina, India o Brasile accedono allo status di consumatori al prezzo di una mutazione del loro ambiente senza precedenti. Perché c'è gente che, pur avendo troppo, vuole sempre di più? È una domanda a cui risponde Keynes. Ma il vero problema è: perché gli uomini gioiscono di questo saccheggio? Freud dice che l'uomo gode della propria schiavitù e della morte di cui si circonda. I due interrogativi convergono: l'accumulazione instancabile di capitale e il desiderio mortifero di denaro sono intrinsecamente legati alla pulsione di morte.

Keynes e Freud erano eccezionalmente colti ed eruditi. Keynes, prima di essere economista, era stato matematico, storico e filosofo. Discuteva con i suoi amici George Moore , Bertrand Russell , Ludwig Wittgenstein e Frank Ramsay. Era affascinato da Newton , di cui aveva acquistato i manoscritti sull'alchimia (nonché la maschera mortuaria!), così come lo appassionavano la teoria della relatività e la teoria dei quanti, sulle quali si intratteneva con Planck ed Einstein. Collezionista di quadri e libri rari, è stato una delle voci più importanti nel mondo dell'arte del suo paese. Freud, di cui Einstein era un estimatore, aveva una conoscenza capillare dell'antropologia, della storia, della filosofia, della mitologia, della chimica e della biologia. In gioventù aveva tradotto testi di John Stuart Mill e di Shakespeare. Era probabilmente più attratto dal teatro, dalla poesia e dalla scultura (collezionava statuette antiche) che non dai lavori del professor Julius Wagner-Jauregg, premio Nobel per la medicina nel 1927. Quando al professore fu fatto notare che il premio l'avrebbe meritato Freud, Wagner-Jauregg rispose con condiscendenza che il viennese avrebbe probabilmente ricevuto un Nobel per la letteratura: il 18 agosto del 1930 Freud ottenne il premio Goethe, e nessuno oggi oserebbe mettere in dubbio la bellezza del suo modo di scrivere. Anche Keynes era un maestro di lettere, e il suo stile riscuoteva l'ammirazione della sua amica Virginia Woolf. Per lui, retorica e bellezza della scrittura erano parte integrante del messaggio da trasmettere, e ciò mentre l'economia cominciava già a caratterizzarsi, sul piano espressivo, per una certa pesantezza e per un'oscurità accentuata da una sovrabbondanza di equazioni. Keynes e Freud scrivevano per essere letti e per convincere, laddove oggi si scrive per conformarsi al modello ricevuto e progredire nella carriera.

Come Condorcet , che dalla scomparsa dell'aristocrazia sperava sarebbero nate libertà, educazione e progresso, Keynes sperava che la scomparsa delle rendite avrebbe dato vita a un mondo senza più amore per il denaro, considerato da lui come il principale problema morale del suo tempo. Apparteneva a quella che lui stesso definiva la «borghesia intellettuale» che crede al progresso dell'umanità, una borghesia che ha poco a che vedere con quella contemporanea predatrice e avida, volgare, probabilmente più stupida che cinica, che non è animata da alcun ideale e si accontenta di autocelebrarsi. Freud non era un borghese, ma come Keynes era cosciente di appartenere a un'élite. Per Keynes, al contrario di Marx verso il quale aveva un rapporto freudiano di amore-odio, il mondo migliore non sarebbe venuto dalle classi inferiori in rivolta, ma da una classe superiore informata, saggia e temperata. La classe superiore definisce il modo di vita in quanto suscita l'invidia. Tocca a lei raccomandare la saggezza, la moderazione, l'amore per i libri e i vini, tocca a lei fare l'elogio dell'amicizia e della bellezza. Veblen diceva che il tenore di vita della classe superiore definisce la norma di onorabilità dell'intera società.

Chi sono oggi i Condorcet, i Keynes, i Freud? Al momento in cui il Titanic urta l'iceberg, tutti i passeggeri sono convinti della superiorità del piroscafo sugli elementi della natura. Credono che la tecnica, la meravigliosa tecnica della nave inaffondabile, li salverà. L'élite — progettista, capitano, armatore — scopre sbalordita che l'imponente transatlantico colerà a picco. L'armatore salta nella prima scialuppa di salvataggio. L'armatore è la nostra borghesia che, non abbiamo dubbi, alla cecità fa seguire la vigliaccheria. Perché si erano addentrati con i motori al massimo in un mare disseminato di iceberg? Quale incoscienza arrogante e quale nascosto desiderio di catastrofe animavano quell'élite? Freud e Keynes l'hanno svelatot.


***


Questo libro, che evoca un punto d'incontro tra Freud e Keynes, è nato da un altro incontro. Gilles Dostaler e Bernard Maris, docenti di economia, si sono conosciuti poco più di dieci anni fa a Toulouse, dove il primo era professore invitato e l'altro insegnava. Hanno naturalmente parlato di Keynes, la cui opera li appassionava in quanto antidoto agli errori e alle derive del pensiero economico contemporaneo, sia sul piano pratico che teorico. Hanno anche scoperto un comune interesse per il pensiero di Freud, che entrambi conoscevano da lungo tempo, constatando alla fine che condividevano la stessa opinione sullo stretto rapporto tra il pensiero di Keynes e quello di Freud, nonché sul fatto che le influenze tra i due autori erano influenze incrociate. I due pensatori sognavano un'umanità colta. Secondo Keynes e il suo gruppo la psicoanalisi, dal momento che permette di guardare le tenebre e il male, poteva contribuire a questa realizzazione culturale.

Parigi e Montreal, ottobre 2008

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Nel capitalismo le pulsioni aggressive forniscono l'energia necessaria alla trasformazione, al predominio e allo sfruttamento permanente della natura a vantaggio dell'umanità; e la distruttività socialmente canalizzata si somma alla libido socialmente canalizzata. Eros è all'opera, e l'umanità progredisce. Tuttavia succede che Eros, credendo di dominare Thanatos, gli sia sottomesso, e che la violenza si scateni in tutte le forme di cui l'uomo è maestro. Ma il male, volente o nolente, viene di nuovo respinto nella sua tana. Violenze un tempo tollerate vengono criminalizzate. Gli autori dei delitti verso l'umanità vengono perseguiti. La violenza è presente dappertutto, ma la democrazia la istituzionalizza. La democrazia c'è per evitare che la violenza diventi sistema, come sotto il Terrore o nei regimi totalitari, ma deve affrontare la decadenza dei rapporti umani mossi unicamente dal mercato, dalla sete di guadagno, dal possesso e, conseguentemente, dal risentimento. Flirtando senza sosta con la violenza, la democrazia inventa concetti nuovi come l'idea di «guerra pulita»: e sappiamo che per Freud la pulizia è un indice di civiltà. Dietro il silenzio degli schermi radar e i pixel dei colpi «chirurgici», queste guerre pulite contengono tutta la perversione di cui è capace la tecnica. Eppure, persino negli Stati Uniti, vengono inventati nuovi modi per torturare e uccidere.

Malgrado le invenzioni, fino al XVIII secolo le condizioni di produzione agricola non cambiano. È con il capitalismo che la crescita si mette davvero in moto. La ragione si mette al servizio dell'accumulazione. A una società essenzialmente rivolta verso la sussistenza, ma che ha sempre contenuto nel proprio seno una «classe dell'ozio», è seguita una società votata all'accumulo per l'accumulo, che pretende di rimandare il più possibile l'incontro con la morte, con il nulla. La scienza si trasforma in tecnoscienza. Per Bachelard , uno dei rari filosofi della scienza che utilizzi la psicoanalisi, «sembra che con il XX secolo abbia inizio un pensiero scientifico diretto contro le sensazioni [...]. Ormai il cervello ha decisamente smesso di essere lo strumento consono al pensiero scientifico, il che equivale a dire che è di ostacolo al pensiero scientifico». Brown, che cita una parte di questo passaggio di Bachelard, gli affianca una brutale caratterizzazione fatta da Ferenczi: «L'intelligenza pura sarebbe quindi un prodotto del processo dell'imminenza della morte o quanto meno dell'insorgere dell'insensibilità psichica, ma è anche fondamentalmente una malattia mentale i cui sintomi possono diventare utilizzabili sul piano pratico». Per Whitehead, che è stato membro della commissione di laurea di Keynes, con la filosofia scientifica che si sviluppa alla fine del XVII secolo «la natura diventa una faccenda triste [dull], muta, senza profumi, senza colori: nient'altro che il decorso precipitoso della materia, senza fine né significato».

La civiltà non estingue mai la pulsione di morte. La rimuove, la dirotta verso l'esterno, la dirige contro la natura, ma essa persiste, sempre più potente. Un giorno raggiungerà i suoi obiettivi e verrà a capo della civiltà e dell'umanità. Il progresso contiene la regressione, così come in economia la crescita genera la crisi, come Marx e dopo di lui Schumpeter avevano capito. Marx era un ottimista, al pari di Mill e Keynes. Era convinto che quando il proletariato avesse liquidato la borghesia sarebbe cessato lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, cioè la sofferenza. Sarebbe sparita la frustrazione come anche la nozione stessa del bisogno, sostituita dal piacere di lavorare qualche ora al giorno in mezzo ad altre ore dedicate alla caccia, alla pesca, al giardinaggio e alla riflessione filosofica. L'uomo sarebbe stato felice nel suo paradiso materiale. L'abbondanza avrebbe preso il posto della necessità e della scarsità: «In una fase superiore della società comunista [...] quando, con la fioritura di tutti gli individui, le forze produttive si saranno accresciute e tutte le fonti della ricchezza cooperativa sgorgheranno in abbondanza, solo allora si potrà finalmente evadere dal ristretto orizzonte del diritto borghese e la società potrà scrivere sui suoi stendardi: a ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo, i suoi bisogni». Ma forse questo nirvana non riuscirà a vedere la luce del giorno prima che l'umanità soccomba sotto una montagna di oggetti o, per rimanere nello stesso ambito, di rifiuti.

Quali indizi possono farci pensare che le tesi di Freud e di Keynes siano giuste? Come possono aiutarci a comprendere il nostro tempo? Dimentichiamo l'apocalisse e immaginiamo Freud e Keynes testimoni del nostro tempo. Sono tre gli eventi contemporanei che suffragano la loro visione delle cose.


Globalizzazione

La civiltà porta l'umanità a formare masse sempre più grandi. Allo stadio attuale della globalizzazione tutto è sottoposto alla legge del capitale, alla legge commerciale. Neanche il più piccolo frammento del pianeta sfugge ormai alla legge dell'accumulazione. La stessa Africa, considerata «fuori dal tempo», senza storia, condannata a morire, è in crescita. La sua popolazione esplode, come la sua violenza e come il saccheggio delle sue materie prime da parte di altri paesi tra cui la Cina. Le sue coste sono razziate dai pescatori giapponesi, le sue foreste distrutte, le sue popolazioni subiscono genocidi tanto più insopportabili in quanto l'umanità ha la memoria di altri genocidi, ma alla fine anche l'Africa rientra nel gioco del capitale!

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La rendita

Abbiamo detto in questo libro che la pulsione di morte concepita da Freud esiste anche nel modo di vedere le cose di Keynes. È presente, tra l'altro, nella rendita, a giustificazione di quella «eutanasia del redditiere» da lui auspicata. Forse penserebbe che gli avvenimenti attuali ci mettono finalmente sulla via di questa trasformazione, la sola ai suoi occhi suscettibile di permettere il passaggio a un mondo migliore in cui non esista più l'amore per il denaro. Di fatto il mondo sta riscoprendo la scarsità, quella dell'energia fossile e dei beni alimentari. La concorrenza tra biocarburanti e cibo sta portando un paese come il Brasile ad accelerare la deforestazione per lasciare le terre buone ai cereali e quelle dissodate al bestiame. La pressione della popolazione mondiale sui cereali ha fatto esplodere negli ultimi due anni il prezzo del mais, del grano e del riso. La crisi petrolifera è un esempio lampante di scarsità. La rendita del petrolio finisce a paesi e proprietari che non hanno fatto il minimo lavoro concreto per estrarlo. Tutti i fenomeni di scarsità portano rendita, che si tratti di terreni edificabili (e della bolla immobiliare che si portano dietro), di materie prime o di cereali.

Dove va a finire il denaro del petrolio? Negli yacht, negli allevamenti di purosangue, negli immobili di lusso, nei jet privati, nei quadri, nei diamanti. Insomma, la rendita del petrolio è una tassa sui lavoratori che vivono solo di oggetti a forte valore d'uso (come auto destinate a portarli al lavoro) dirottata verso oggetti che non hanno valore d'uso. La rendita si trasforma in superfluo. Ma nel passaggio vampirizza la forza lavoro. Trasforma il sudore in diamanti o in plusvalore immobiliare. Non accresce la forza lavoro, la distrugge. Dall'altra parte l'imprenditore, al contrario del redditiere, valorizza il lavoro sfruttato. L'imprenditore utilizza operai per fabbricare valori d'uso, cioè prodotti che serviranno a ricostituire la forza lavoro degli stessi operai, e nel passaggio prende per sé una parte di questi valori. Nel processo di captazione del profitto c'è la volontà di fabbricare oggetti socialmente utili. Socialmente utile significa una cosa sola: permettere agli individui di lavorare. Un manuale di istruzioni permette agli individui di lavorare. Un diamante non è indispensabile. Il profitto può essere immorale o indebito, risulta da un rapporto di forza, remunera forse il rischio preso da un padrone o dal figlio del padrone o da un'idea, poco importa, non ha niente a che vedere con la rendita. La rendita non può crescere che a detrimento del salario o del profitto. Più la rendita aumenta, più i salari e i profitti sono costretti a indebolirsi.

I grandi economisti classici Smith, Ricardo e Mill prevedevano che a lungo termine i profitti sarebbero diventati nulli o quasi nulli, perché i salari avrebbero a stento consentito la sopravvivenza dei lavoratori e la rendita avrebbe captato tutto il valore prodotto dalla società. Ciò porterà un giorno alla fine dell'accumulazione del capitale, sentita da Ricardo come una calamità, mentre Mill, anticipando Keynes, vede questo «stato stazionario» come l'occasione di passare a un mondo migliore in cui dalla corsa al denaro e dalla distruzione della natura che essa provoca si passerà a coltivare l'arte di vivere. In un'altra versione si può immaginare il mondo come un'immensa bidonville in cui la popolazione sopravvive appena e in cui un'infima minoranza di redditieri (l'élite) capta i surplus. La fine della crescita, lo stato stazionario da cui non si può mai uscire somiglia al coma eterno, alla morte. Keynes preferirebbe preparare lo stato stazionario con l'eutanasia del redditiere, anziché subirlo. L'economia politica di Ricardo e di Malthus era all'epoca giustamente tacciata di dismal science, scienza lugubre, nera come il diavolo, la scienza delle tenebre. John Ruskin, nella sua critica dell'economia A quest'ultimo ha detto della «scienza degli scambi» che è «fondata sull'ignoranza». «In particolare, sola tra tutte, è scienza delle tenebre».

La sovrappopolazione mondiale, sommata alla crescita cinese e indiana, esercita una tale pressione sulle materie prime che le rendite decollano e le disuguaglianze esplodono. A ciò si aggiunge un altro fenomeno: le popolazioni del Nord invecchiano. Per il proprio mantenimento captano somme «di rendita» che non hanno contropartite in produzione. Per i loro fondi pensionistici queste popolazioni esigono tassi di rendimento molto elevati sui loro investimenti. Il famoso rate over return del 15% preteso dai fondi pensionistici, e che obbliga le imprese a ristrutturarsi a valle, si somma alla rendita immediata che nasce dal semplice aumento dei corsi. Il mantenimento delle persone anziane rientra nella «parte maledetta», la distruzione dei surplus che, contrariamente alla distruzione causata dalla guerra, è consentita. Presto l'invecchiamento della popolazione affliggerà l'intero pianeta e, quando succederà, questa parte maledetta, tranquilla, pacifica e discreta, dovrà crescere sempre di più. Fino a che punto? Quanto potrà durare questo grazioso equilibrio di età: giovani sempre meno numerosi che mantengono anziani sempre in maggior numero?

La nostra epoca somiglia dunque curiosamente a quelle che descrivevano Keynes e Freud. Ancora una volta sono all'opera i «fabbricanti di marmellata», che accumulano vasi di confettura da non toccare mai. Le disuguaglianze aumentano insieme alla torta mondiale fabbricata dai paesi emergenti come la Cina, e questa torta si rivela un cancro, non solo per il paese che la produce, ma per l'intera terra. Keynes sperava in una possibile via d'uscita da questo «orrore economico», Freud ne dubita: «Ogni cultura si appoggia sulla costrizione al lavoro e sulla rinuncia alle pulsioni». L'uomo deve costantemente essere rimesso al lavoro, costretto a girare senza requie su se stesso. Lotta indefessamente contro la morte attraverso la propria pulsione di morte. A Keynes non piaceva questo circolo vizioso. Pensava che la concorrenza e l'accumulazione fossero deleteri, ma anche che fosse un passaggio obbligato dell'umanità per uscire dalla scarsità.

Il terrorismo attuale avrebbe probabilmente affascinato Freud: l'ipernarcisismo di uomini spesso educati, e forse non più desiderosi di morire di altri, che neanche godono del piacere sadico di vedere i corpi delle vittime. Gli attentati suicidi portano la pulsione di morte a livelli ancora inimmaginabili ai tempi di anarchici come Caserio, Rivarolo o Gavrilo Princip, l'assassino dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Quanto ai kamikaze giapponesi, il loro sacrificio esclusivamente militare, intriso di onore e di obbedienza, ha qualcosa di bucolico in confronto alle carneficine perpetrate ogni giorno in Iraq. Si fa fatica a concepire la quantità di odio e di fanatismo che certi uomini, e sempre più spesso donne e ragazzi, riescono a immagazzinare per andarsi a uccidere in mezzo a vittime innocenti.

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