Copertina
Autore Michele Dragoni
Titolo Terrae motus
SottotitoloLa sismologia da Eratostene allo tsunami di Sumatra
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2005, Frontiere , pag. 394, cop.fle., dim. 150x230x25 mm , Isbn 978-88-7750-976-5
LettoreRenato di Stefano, 2005
Classe scienze tecniche , scienze della terra , natura , storia della tecnica , storia della scienza
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Indice


  3  1. La Terra e i terremoti da Eratostene al XXI secolo
 22  2. Come è nata la Terra
 42  3. Il calore della Terra
 63  4. La Terra è elastica
 79  5. Materiali sotto sforzo
 95  6. L'azione delle forze
108  7. Onde elastiche
129  8. Fluidi nella Terra
147  9. Nel campo di gravità
162 10. La Terra è duttile
180 11. Il moto delle placche
197 12. Le fratture della Terra
217 13. La sorgente del terremoto
237 14. L'emissione delle onde
254 15. Il viaggio delle onde sismiche
276 16. Oscillazioni libere e oscillazioni forzate
297 17. La misura dei terremoti
318 18. Il maremoto
337 19. Il ruolo della complessità
354 20. Pericolosità e rischio sismico

377 Bibliografia
379 Indice degli argomenti
391 Indice dei nomi

 

 

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1. La Terra e i terremoti da Eratostene al XXI secolo


     Verrà il giorno in cui queste conoscenze che ora ci sono
            nascoste saranno portate alla luce... e i posteri
si meraviglieranno che abbiamo ignorato realtà così evidenti.
                    Lucio Anneo Seneca, Naturales quaestiones



Nel 227 a.C. un forte terremoto colpiva l'isola di Rodi e provocava il crollo del famoso Colosso, costruito sessant'anni prima all'imboccatura del porto. Opera dello scultore Carete di Lindo, discepolo del celebre Lisippo, la sua costruzione era durata dieci anni ed era terminata attorno al 290: era in bronzo dorato, alto centosei piedi, e rappresentava il dio Helios, personificazione del Sole, con una corona di raggi sul capo e una fiaccola nella mano destra. Il terremoto lo spezzò all'altezza delle ginocchia e lo fece rovinare al suolo, dove i suoi resti rimasero per secoli oggetto di ammirazione.

Il Colosso di Rodi, che i contemporanei annoveravano tra le sette meraviglie del mondo, era un prodotto della nuova tecnologia, sviluppatasi nel III secolo a.C., sulla scia della prima rivoluzione scientifica, che aveva il suo centro nella città di Alessandria. Lo storico Polibio ci informa che ai Rodii non mancò la solidarietà dei Paesi vicini: presentando la loro sventura come immensa e terribile, ma comportandosi sempre con grande dignità nelle pubbliche ambascerie e nelle private richieste, commossero a tal punto le città e i re, che tutti elargirono doni in abbondanza.


1 Il tridente di Posidone

Come per altri fenomeni naturali, le prime spiegazioni del terremoto furono mitologiche. La mitologia greca, che attribuiva a un dio ogni manifestazione della natura, vedeva nei terremoti l'opera di Posidone, re del mare e sposo della Terra, fratello di Zeus. Posidone non era originariamente un dio marino, ma il dio del suolo, del mondo minerale e delle forze che vi operano. Tempeste e terremoti erano manifestazioni della sua collera, provocate scuotendo la terra con il tridente. Alla sua azione erano attribuite grandi fratture, isole vulcaniche, gole e stretti della regione mediterranea, tra cui il Bosforo, l'Euripo, la gola di Tempe, lo stretto di Messina.

Per indicare il terremoto, i Greci usavano i termini seismós o sêisma, che significano «scossa», «scuotimento », da cui l'italiano sisma. Essi derivano dal verbo greco seío, che vuoi dire «scuoto», «agito» e, come conseguenza, «crollo». Seío si diceva anche di un cavallo irrequieto e sotto le sembianze di un cavallo era venerato Posidone in Asia Minore, dove nel XII secolo a.C. si svolse la guerra di Troia. Posidone è chiamato seisíchthon, cioè scuotitore della Terra (intesa come chthôn, il mondo sotterraneo) o, con lo stesso significato, enosígaios da gaîa (la Terra, per Omero), che divenne ghê nel greco classico.

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3 L'età di Eratostene

Con l'epoca ellenistica, si compie il passaggio dalla filosofia della natura alla scienza. A questo sviluppo i Greci dell'epoca classica diedero un contributo fondamentale, tramite l'elaborazione di molte idee che avrebbero guidato la scienza nei secoli successivi. Quello che chiamiamo metodo scientifico, consistente nella formulazione di teorie basate su insiemi di assunzioni chiaramente identificate e nella loro applicazione alla costruzione di modelli del mondo, verificati con l'esperimento, è un'acquisizione dell'età ellenistica.

La rivoluzione scientifica del III secolo a.C. ha grandi conseguenze anche sulla conoscenza della Terra. Aristarco di Samo afferma che la Terra compie un moto di rivoluzione attorno al Sole e un moto di rotazione attorno a un proprio asse. Archimede di Siracusa, fondatore della meccanica e dell'idrostatica, dimostra che la superficie degli oceani deve essere sferica a causa della forza di gravità della Terra.

Eratostene di Cirene fu un genio universale, che lasciò un'impronta duratura in molti campi della scienza: diverse discipline che studiano la Terra, dalla geofisica alla geodesia, dalla geologia alla geografia, furono da lui poste su rigorose basi scientifiche. Nato nel 272, studiò a Cirene, Alessandria e Atene e ricevette un'educazione letteraria e filosofica. Tolomeo III Evergete, che regnò dal 246 al 221, lo nominò direttore della Biblioteca di Alessandria, il più importante centro di studi scientifici dell'Antichità, dotato all'epoca di quattrocentomila volumi. Fu anche precettore di Tolomeo IV.

Eratostene ha legato il suo nome alla prima misura accurata delle dimensioni della Terra: la lunghezza del meridiano terrestre risultò uguale a 252 mila stadi, con un errore inferiore all'1% rispetto alle stime odierne. L'impresa, ricordata con ammirazione dai posteri, non fu più ripetuta fino al 1669. Eratostene realizzò inoltre la prima carta scientifica del mondo conosciuto, adottando come longitudine di riferimento quella di Alessandria, una scelta analoga a quella che verrà compiuta in epoca moderna con il meridiano di Greenwich.

Compì ricerche sulle trasformazioni della crosta terrestre, inclusi i fenomeni sismici e vulcanici. Ci viene tramandato che si recò sui luoghi del terremoto di Elice e Bura, avvenuto cento anni prima della sua nascita, per studiarne gli effetti. Comprese che la presenza di depositi di organismi marini fossili in località distanti dal mare è una prova di spostamenti delle linee costiere avvenuti in tempi lunghissimi. Studiò le maree e le attribuì all'influenza della Luna. Si occupò anche di matematica: il famoso crivello di Eratostene è un metodo per costruire una tavola di numeri primi.

Gli scienziati ellenistici sono convinti che i corpi celesti non siano di natura diversa da quelli terreni. La forma sferica della Terra viene spiegata immaginando che il pianeta fosse inizialmente allo stato liquido e abbia assunto tale forma per effetto della forza di gravità. Allo stesso modo spiegano la forma sferica del Sole e della Luna e la presuppongono per gli altri astri: ritengono che ciascun corpo eserciti una forza di gravità e che l'universo sia formato da molti mondi equivalenti tra loro.

Lo studio delle maree porta a concepire la gravità anche come azione mutua tra i corpi. Nel II secolo a.C. Seleuco di Babilonia, uno dei massimi studiosi delle maree, ne individua la causa nell'azione esercitata sulla Terra dalla forza di gravità della Luna e del Sole e dalla forza centrifuga. Viene avanzata l'ipotesi che la Terra non sia una sfera perfetta, ma sia schiacciata ai poli. Lo storico Diodoro Siculo riferisce l'opinione secondo cui la forma della Terra fu determinata dall'effetto complessivo della gravità e della forza centrifuga dovuta alla rotazione. Il geografo Strabone parla della Terra come di uno sferoide, cioè di un corpo generato per rotazione di un'ellisse attorno ad uno dei suoi assi (detto perciò anche ellissoide). Questa infatti è la forma assunta da un corpo fluido che ruota su se stesso.

Ancora nel II secolo, l'astronomo Ipparco di Nicea scopre che la precessione degli equinozi, cioè la loro anticipazione annuale, è dovuta a un lentissimo moto dell'asse di rotazione terrestre, che ha un periodo di ventiseimila anni. Misura la distanza della Luna, stimandola uguale a cinquantanove raggi terrestri, un valore molto vicino a quello reale. A Ipparco è attribuita una teoria che unifica lo studio del moto dei gravi con quello dei corpi celesti: Rodi, dove aveva insegnato, era il principale centro di studi di balistica. A cavallo tra il II e il I secolo a.C. dirige una scuola a Rodi anche Posidonio di Apamea, che si occupa di geologia e di astronomia e conosce una spiegazione astronomica delle maree.

Il livello raggiunto dalla scienza ellenistica è testimoniato dalla conoscenza della relatività del moto e del principio di inerzia e dal superamento del concetto di sfera delle stelle fisse. Ci sono rimasti solo pochi frammenti delle teorie sismologiche sviluppate in questo periodo. I terremoti vengono classificati in base al movimento del suolo che producono: viene riconosciuta la distinzione tra oscillazioni verticali e orizzontali e il ruolo di queste ultime nel provocare il collasso degli edifici. Si consolida la convinzione che i terremoti abbiano la tendenza a manifestarsi negli stessi luoghi e che vi siano luoghi più sismici di altri.

Nei secoli successivi, il prevalere di tendenze irrazionalistiche si accompagna a un rapido declino della scienza. Le opere degli scienziati ellenistici divengono incomprensibili ai più e l'interesse degli studiosi si rivolge ad autori più lontani nel tempo, come Aristotele, Platone, Pitagora. La selezione operata dal Medioevo, regredito a età prescientifica, ci ha privato della maggior parte delle opere degli antichi scienziati e ha fatto sì che molte informazioni sulle loro acquisizioni siano andate perdute.

Nel IV secolo lo storico Ammiano Marcellino ci informa che Alessandria è ormai soltanto una pallida ombra del glorioso centro di studi che era stata in passato. Tracce dell'indirizzo scientifico sopravvivono ancora nel VI secolo, quando Antemio di Tralle, uno degli architetti che progettarono l'imponente chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, costruisce una macchina a vapore per la simulazione del terremoto. La macchina era costituita da una caldaia con ugelli rastremati che terminavano sotto il pavimento di un locale, contro il quale inviavano violenti getti di vapore. Gli esperimenti seguivano la tradizione della scienza ellenistica, che aveva scoperto la possibilità di usare il vapore come forza motrice, ed erano basati sulla teoria aristotelica che descriveva il terremoto come causato da spostamenti di aria sotterranea.

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Ma perché esistono le faglie e perché producono i terremoti? La risposta è venuta dagli sviluppi rivoluzionari che lo studio della Terra ha prodotto nel XX secolo. All'inizio del secolo, il meteorologo tedesco Alfred Wegener raccolse le prove che attestano grandi movimenti orizzontali dei continenti e propose la teoria della deriva dei continenti, secondo la quale le masse continentali hanno subito grandi spostamenti nel corso della storia della Terra. La teoria sfidava convinzioni consolidate e le prove addotte parvero a molti insufficienti: tra i sostenitori e gli avversari si aprì un acceso confronto che durò alcuni decenni. Solo dopo la metà del secolo, le prove geofisiche raccolte, in particolare con l'esplorazione dei fondali oceanici, portava alla conferma dell'ipotesi di Wegener e la sua teoria veniva accolta in quella che è nota oggi come tettonica globale. La nuova teoria fornisce la spiegazione della distribuzione globale della sismicità, dell'attività vulcanica e dell'orogenesi.

Intanto i dati sismologici venivano utilizzati per lo studio dell'interno della Terra. Le vaghe idee su un nucleo centrale fuso che si avevano all'inizio del XX secolo si precisarono con l'individuazione delle proprietà fisiche dell'interno della Terra. In occasione del grande terremoto del Cile del 1960, furono per la prima volta osservate le oscillazioni libere della Terra, un tipo di oscillazioni a carattere globale già previste teoricamente alla fine del XIX secolo.

Notevole impulso allo sviluppo della sismologia è venuto dalla ricerca dei giacimenti di combustibili fossili e, durante la Guerra Fredda, dagli studi condotti per individuare le esplosioni nucleari sotterranee. I progressi della sismologia strumentale hanno portato dagli osservatori isolati alle reti centralizzate e alla realizzazione di sismometri in grado di registrare tutto lo spettro delle onde sismiche. La comprensione dei fenomeni sismici si è avvalsa inoltre dei progressi compiuti dalle tecniche geodetiche, grazie alla messa in orbita di satelliti artificiali che consentono di misurare con elevata precisione i movimenti della superficie terrestre.

L'avvento dei sistemi di calcolo automatico ha consentito alla sismologia, come alle altre scienze, di trattare problemi sempre più complessi. Il successo dei modelli di sorgente sismica è decretato dalla possibilità di realizzare sismogrammi sintetici, ossia di riprodurre la registrazione di un terremoto effettuata da un sismometro posto in qualunque punto della Terra. Verso la fine del XX secolo, finalmente si poteva affermare di sapere che cos'è un terremoto.

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2 Le fratture della litosfera

L'osservazione geologica mostra che la presenza di fratture è una caratteristica generalizzata delle rocce alla superficie terrestre. Quando è evidente che la frattura ha subito uno scorrimento relativo dei suoi lembi, si parla di faglia. Si osservano faglie di tutte le dimensioni, fino a migliaia di chilometri di lunghezza; l'ampiezza cumulativa degli scorrimenti subiti può raggiungere centinaia di chilometri. Tuttavia solo una parte delle faglie osservabili alla superficie terrestre sono attualmente attive. Poiché il movimento delle faglie non è continuo, per stabilire quali faglie devono essere considerate attive occorre fare riferimento a un determinato intervallo di tempo: si definiscono attive quelle faglie che hanno subito uno scorrimento negli ultimi diecimila anni (questo periodo è chiamato Olocene). Le faglie si sono formate a causa della fragilità della litosfera. I margini delle placche tettoniche possono essere considerati sistemi di faglie attive: lungo di essi avviene la maggior parte dell'attività sismica della Terra. Vi sono tuttavia faglie attive anche all'interno delle placche: il loro scorrimento dà luogo a terremoti che vengono detti intraplacca.

Una faglia è una discontinuità della litosfera, che consente lo scorrimento tangenziale di due masse di roccia. Dal punto di vista geometrico, la faglia è costituita da due superfici a contatto: le pareti della faglia. In prima approssimazione, le due pareti possono essere considerate coincidenti: perciò si parla di una singola superficie di faglia. Spesso questa può essere approssimata da una superficie piana: il piano che la contiene è detto piano di faglia. Si chiama traccia della faglia l'intersezione tra il piano di faglia e la superficie terrestre. Poiché la litosfera è sottile, nei terremoti medi e grandi la superficie di faglia si estende maggiormente in direzione orizzontale che in direzione verticale. Perciò la superficie di faglia viene spesso schematizzata con un rettangolo con il lato maggiore orizzontale.

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3 Il rimbalzo elastico

Il modello del rimbalzo elastico fu proposto da Harry Fielding Reid in seguito allo studio del terremoto di Sna Francisco del 1906. Come altri prima di lui, Reid comprese che il terremoto è preparato da un lungo periodo, che può durare decenni o secoli, durante il quale si ha un lento accumulo di energia elastica. Poiché la resistenza delle rocce ha un limite, l'energia non può accumularsi all'infinito: lo studio della Faglia di San Andreas mostrò che il meccanismo attraverso il quale l'energia viene rilasciata è lo scorrimento rapido di una faglia. I terremoti sono la conseguenza di questo improvviso rilascio di energia.

Oggi sappiamo che all'origine di questo processo c'è il movimento delle placche tettoniche. Le placche che compongono la litosfera, muovendosi lentamente l'una rispetto all'altra, si deformano e creano uno stato di sforzo, con un conseguente accumulo di energia elastica. L'energia si accumula soprattutto lungo i margini delle placche: qui ha origine la maggior parte dei terremoti. Muovendosi l'una rispetto all'altra, due placche adiacenti tendono a produrre uno scorrimento delle faglie presenti nella zona di margine. A un certo punto, lo sforzo supera la capacità di resistenza di una delle faglie. Le due pareti della faglia, che fino a quel momento erano serrate l'una contro l'altra dalla pressione litostatica, improvvisamente si svincolano: si ha il rimbalzo elastico della faglia e il terremoto.

In termini moderni, il modello di Reid può essere formulato come segue. Consideriamo una faglia trascorrente verticale, come la Faglia di San Andreas, immersa in un mezzo elastico. Il mezzo è sottoposto a una deformazione di taglio che cresce lentamente nel tempo. Questa deformazione può essere vista come la conseguenza di un movimento relativo a velocità costante delle Placche Nordamericana e Pacifica. La velocità è di circa tre centimetri all'anno e produce uno spostamento elastico dei punti del mezzo proporzionale al tempo e alla distanza dalla faglia: si tratta di un movimento quasi statico. Se la zona di margine è larga 50 chilometri, la velocità di deformazione è di circa tre decimilionesimi all'anno: è una velocità molto piccola, che corrisponde alla lentezza dei movimenti tettonici. La deformazione è proporzionale al tempo e alla velocità relativa delle placche. In base alla legge di Hooke, il tasso di crescita dello sforzo è uguale a due volte la rigidità delle rocce moltiplicata per la velocità di deformazione. Sappiamo che la rigidità è pari a trenta gigapascal: calcolando il prodotto, troviamo che il tasso di crescita dello sforzo è uguale a circa ventimila pascal all'anno.

Supponiamo che la resistenza della faglia sia uguale a due megapascal, cioè due milioni di pascal: quanto tempo ci vuole perché lo sforzo raggiunga questo valore? Dividendo la resistenza della faglia per il tasso di crescita dello sforzo otteniamo un tempo di cento anni. Quando, superata la resistenza, la faglia scorre, recupera lo spostamento realizzato dalle placche in questo intervallo di tempo. Lo scorrimento della faglia sarà uguale allo spostamento relativo delle due placche avvenuto in cento anni alla velocità di tre centimetri all'anno, cioè tre metri. Come conseguenza dello scorrimento, lo sforzo e la deformazione si annullano e il processo ricomincia da capo.

Come si vede, il modello consente di calcolare in maniera semplice le principali caratteristiche del processo di accumulo e rilascio di sforzo. Ad esempio, se la resistenza della faglia fosse uguale a quattro megapascal, il tempo richiesto per raggiungere questo valore di sforzo sarebbe pari a duecento anni e lo scorrimento della faglia sarebbe di sei metri. Se però la velocità delle placche fosse di sei centimetri all'anno, sarebbero ancora sufficienti cento anni, ma lo scorrimento sarebbe ugualmente di sei metri.

Il modello di Reid mostra che í terremoti sono causati dall'improvviso, rapido scorrimento delle faglie che pervadono la litosfera terrestre, in particolare lungo i margini delle placche. Tuttavia lo scorrimento di una faglia può avvenire anche in maniera lenta, senza emissione di onde sismiche: in questo caso si parla di scorrimento asismico. Un segmento della Faglia di San Andreas fornisce un esempio di questo tipo di scorrimento. Lo scorrimento asismico avviene più frequentemente sulle porzioni di faglia che si trovano in profondità nella litosfera, dove l'aumento progressivo della temperatura conferisce alle rocce proprietà parzialmente duttili su tempi lunghi. Ciò riduce la possibilità di accumulare sforzo, che viene progressivamente rilasciato tramite deformazione duttile delle rocce o scorrimento asismico delle faglie. Lo scorrimento asismico in profondità ha l'effetto di concentrare maggiormente lo sforzo nelle regioni superficiali, che perciò non riescono a tenere il passo con quelle profonde. Di conseguenza, lo sforzo si accumula soprattutto nelle prime decine di chilometri di profondità, dove le rocce sono relativamente fredde: qui si registra la maggior parte delle sorgenti sismiche.

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5 L'interazione tra faglie

I terremoti sono dovuti al cedimento rapido di una o più asperità di una faglia, che avviene quando lo sforzo tettonico ne vince la resistenza. Abbiamo già visto che la dislocazione genera un campo di sforzo nel mezzo circostante: questo sforzo è detto cosismico, perché prodotto insieme col terremoto. Lo sforzo cosismico di ciascun terremoto va ad alterare le condizioni di sforzo presenti sulle faglie vicine, influenzando perciò l'attività sismica della regione. Poiché una dislocazione di taglio è equivalente a una doppia coppia di forze, lo sforzo cosismico decresce molto rapidamente con la distanza dalla sorgente, in maniera inversamente proporzionale al cubo della distanza. Perciò, mentre il trasferimento di sforzo ha un ruolo molto importante nell'ambito di una regione sismogenetica, si devono ritenere eventi indipendenti quei terremoti che avvengono in un breve intervallo di tempo, ma le cui sorgenti sono separate da una distanza sufficientemente grande.

Se consideriamo le faglie vicine, lo sforzo cosismico va ad aggiungersi allo sforzo tettonico già presente su tali faglie: modificando la trazione già applicata ad esse, ne favorisce o ne inibisce lo scorrimento a seconda dei casi. Lo sforzo trasferito agisce in due modi. La componente normale della trazione altera l'attrito: lo aumenta o lo diminuisce secondo che sia compressiva o distensiva. La componente tangenziale della trazione favorisce o inibisce lo scorrimento, a seconda che agisca nello stesso verso della trazione tettonica o nel verso opposto. I due effetti dipendono dall'orientazione delle faglie.

Consideriamo un sistema di faglie sottoposto a uno sforzo tettonico regionale. Ci chiediamo: dopo che è avvenuto uno scorrimento sulla faglia A, lo scorrimento della vicina faglia B è favorito o inibito? Lo scorrimento della faglia A trasferisce sforzo sulla faglia B: ciò significa che applica una trazione aggiuntiva alla faglia B. La componente normale di questa trazione varia l'attrito di B, mentre la componente tangenziale si somma alla trazione tettonica già presente.

Sulla faglia B, che non ha ancora subito uno scorrimento, la trazione tangenziale è minore dell'attrito. Chiamiamo sforzo di Coulomb la differenza tra la trazione tangenziale e l'attrito. Lo sforzo di Coulomb è perciò un numero che esprime la quantità di trazione tangenziale che manca alla faglia per raggiungere il valore dell'attrito. Quando lo sforzo di Coulomb si annulla, avviene il terremoto.

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14. L'emissione delle onde


    Occorre tenere bene in mente la distinzione tra la velocità
    di transito dell'onda... e quella delle particelle di terra
    che si muovono entro i limiti dell'ampiezza di ogni vibrazione.
    La prima velocità è molto grande, circa la metà di quella di un
    tiro di cannone, ... la seconda è molto piccola, spesso non più
    grande di quella che un corpo acquista cadendo dall'altezza di
    due o tre piedi.
    ROBERT MALLET, The first principles of observational seismology



Finora abbiamo parlato di dislocazioni come oggetti statici. Ci siamo riferiti sempre alla situazione prima che avvenga la dislocazione e dopo che la dislocazione è avvenuta. In tal modo ci siamo concentrati sulla deformazione permanente che la dislocazione produce nel mezzo elastico che la contiene. È venuto il momento di occuparci di quello che avviene durante il processo di dislocazione.

Vedremo che la dislocazione sismica non è un processo istantaneo, ma ha una durata finita, anche se breve. Durante questo intervallo di tempo vengono emesse le onde elastiche che percepiamo come terremoto. La dislocazione sismica è una dislocazione di taglio che si propaga ad alta velocità su una faglia sotto l'azione di un campo di sforzo. In questo capitolo vedremo come avviene l'emissione delle onde, quali sono le loro caratteristiche e come avviene la loro propagazione in un mezzo omogeneo.

Lo scorrimento rapido delle faglie non è l'unico fenomeno che produce onde sismiche: l'attività vulcanica, le frane, le valanghe e gli impatti di corpi extraterrestri sono pure sorgenti di onde sismiche. Anche le onde oceaniche che si frangono sulle coste e, naturalmente, l'attività umana generano onde sismiche. Se si tiene conto della frequenza con cui avviene, dell'estensione delle aree coinvolte e dell'intensità degli effetti, lo scorrimento delle faglie è certamente la sorgente più importante.


1 La dislocazione si propaga

Una caratteristica fondamentale della dislocazione sismica è che lo scorrimento non avviene simultaneamente su tutta la superficie della faglia. Esso ha inizio in un punto (o in una piccola regione) della superficie di faglia e da lì si estende a tutta la superficie. Perciò la superficie di dislocazione aumenta nel tempo. Ciò avviene perché in generale l'attrito e la trazione sulla faglia variano da punto a punto: lo scorrimento ha inizio dove l'attrito è minore o la trazione è maggiore e le condizioni di instabilità della faglia si realizzano prima. La dislocazione si propaga con una velocità finita e si espande coinvolgendo un'area sempre più vasta, finché non incontra una zona di attrito più elevato o di sforzo più basso, che costituisce una barriera contro la quale rallenta e infine si ferma.

Il margine della superficie di dislocazione, detto fronte della dislocazione, si muove a una certa velocità, espandendo la superficie dislocata. La velocità del fronte è detta velocità di rottura. In generale la propagazione non è isotropa, cioè non avviene con la stessa velocità in tutte le direzioni, ma è diversa a seconda della resistenza che il fronte incontra. Il tempo impiegato dalla superficie di dislocazione a raggiungere l'estensione finale è la durata della dislocazione.

In ciascun punto della superficie di dislocazione, lo scorrimento cresce da zero al valore finale. Questo processo avviene con una certa velocità e richiede un certo tempo. La velocità con cui lo scorrimento cresce è detta velocità di scorrimento e il tempo che impiega a raggiungere il valore finale è il tempo di salita. Man mano che il fronte della dislocazione si muove lungo la faglia, lo scorrimento si propaga, cioè interessa successivamente tutti i punti della faglia. Perciò lo scorrimento dipende dalla posizione e dal tempo: la dipendenza è espressa da una funzione sorgente, analoga a quella che abbiamo introdotto nel capitolo 7.

Quando il fronte della dislocazione raggiunge un punto qualsiasi della superficie di faglia, in quel punto le pareti della faglia subiscono un'accelerazione in direzioni opposte e si muovono l'una rispetto all'altra. Poi decelerano fino ad arrestarsi. Il processo dura pochi secondi e ha come risultato lo scorrimento delle due pareti l'una rispetto all'altra. L'accelerazione porta le rocce circostanti fuori dall'equilibrio elastico: la rapida deformazione che viene generata dallo scorrimento della faglia non può essere smaltita e si accumula in prossimità della faglia, originando un'onda che si propaga al mezzo circostante.

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7 Il rischio sismico

La pericolosità sismica di un sito è indipendente dalla presenza e dalla tipologia degli insediamenti umani. Essa è determinata esclusivamente dall'attività sismica della Terra, dalle modalità di propagazione delle onde sismiche e dalla struttura della Terra, elementi che concorrono a determinare lo scuotimento del suolo nel sito considerato. I possibili effetti che il terremoto produce su un ambiente antropizzato sono contenuti nel concetto di rischio.

Il rischio sismico esprime la probabilità che l'evento abbia luogo e che produca determinate conseguenze. Può essere espresso come perdita attesa di vite umane e di beni. È calcolato come prodotto di tre fattori: la pericolosità, la vulnerabilità e l'esposizione. Della pericolosità abbiamo già parlato. La vulnerabilità è una misura della propensione degli edifici a subire danni per effetto dei terremoti e viene valutata sulla base delle caratteristiche costruttive degli edifici stessi: nella pratica, si assegna ciascun edificio a una certa tipologia strutturale, per la quale viene definita una probabilità di danno.

L' esposizione comprende diversi elementi, che vanno dalla densità di abitanti presenti nell'area agli effetti del terremoto sul tessuto socio-economico. La valutazione di questi effetti è complessa, in quanto richiede la considerazione del valore attribuito dalla comunità alle opere presenti sul territorio. Si pensi, ad esempio, alle conseguenze che può avere la distruzione di un importante complesso industriale o di un capolavoro del patrimonio artistico. Il valore è peraltro un concetto relativo, che può variare notevolmente da una popolazione all'altra e persino da un individuo all'altro. La vulnerabilità e l'esposizione prescindono quindi dall'attività naturale della Terra e sono determinate esclusivamente dai comportamenti umani.

Nella valutazione del rischio complessivo, si deve poi tenere conto dell'eventualità che avvengano altri fenomeni, indotti dal terremoto, che vanno ad accrescere il rischio globale. Può trattarsi di altri fenomeni naturali, quali le frane o i maremoti. L'eventuale presenza nell'area sismica di impianti industriali o la presenza di dighe e in generale di bacini sopraelevati rappresentano un'altra componente del rischio indotto: il terremoto può in questo caso innescare esplosioni, incendi, fuoriuscita di materiali tossici o inondazioni. I fenomeni indotti possono produrre più danni del terremoto stesso: è quanto è accaduto nel 2004 con il maremoto del Golfo del Bengala.

Il rischio connesso ai maremoti può essere notevolmente limitato grazie al fatto che le onde di maremoto viaggiano a velocità relativamente basse. Se una regione esposta al rischio di maremoti è dotata di una rete sismometrica adeguata, è possibile identificare in tempo reale i terremoti che hanno la capacità di produrre un maremoto. La conferma che il maremoto è stato effettivamente generato è fornita da una rete di strumenti che misurano il passaggio delle onde e il livello del mare (ondametri, mareografi). Ciò consente di diramare un allarme, che permette alle popolazioni di allontanarsi dalle coste che stanno per essere inondate. Un sistema di allarme del genere è stato realizzato nell'Oceano Pacifico, che è la regione della Terra più frequentemente colpita da maremoti distruttivi.

Per i gravi danni che i terremoti possono arrecare all'ambiente antropizzato, la riduzione del rischio sismico deve essere considerata una priorità. Dei tre fattori che determinano il rischio, la pericolosità non può essere modificata: non esiste oggi la capacità di intervenire sulla dinamica naturale della Terra per ridurre l'attività sismica delle faglie. Anche l'esposizione può essere difficilmente ridotta. Pertanto il rischio può essere mitigato solo intervenendo sulla vulnerabilità. Questa può essere ridotta tramite l'adeguamento del patrimonio edilizio a criteri antisismici proporzionati ai livelli di pericolosità delle diverse aree.

In definitiva, il rischio sismico è una misura della probabilità che il terremoto produca danni e tiene conto sia della pericolosità delle sorgenti sismiche, sia della vulnerabilità degli edifici, sia del loro valore intrinseco e dell'impiego cui sono destinati. Nelle regioni sismiche, il rischio non può essere eliminato, ma può essere considerevolmente ridotto se si realizzano costruzioni resistenti alle scosse attese e si adottano semplici norme di comportamento.


8 Conclusione

Lo studio della Terra ha compiuto un enorme progresso nel XX secolo, svelando i meccanismi di molti fenomeni, tra cui i terremoti, che per secoli avevano resistito ai nostri tentativi di comprensione. Oggi sappiamo che cos'è un terremoto e che cosa dobbiamo fare per evitare che si trasformi in un evento distruttivo.

Abbiamo visto che prevedere a lungo termine il singolo terremoto in senso deterministico non è possibile, così come non è possibile prevedere che tempo farà il 15 agosto dell'anno prossimo. Dobbiamo limitarci a previsioni probabilistiche, cioè a valutare la pericolosità sismica di una regione.

I terremoti sono inevitabili, come il vento e la pioggia, ma ci si può proteggere da essi così come ci si protegge dai fenomeni atmosferici. Occorre per questo valutare la pericolosità e il rischio sismico cui ciascuna regione è esposta, programmare l'uso del territorio in maniera conseguente, riducendo la vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente e costruendo i nuovi edifici secondo rigorosi criteri antisismici. La difesa dai maremoti è basata principalmente sul dispiegamento di appropriate reti di sorveglianza e sull'adozione di procedure di allarme che consentano l'evacuazione tempestiva delle aree minacciate.

Nel prossimo futuro, il perfezionamento e l'estensione delle reti strumentali e lo sviluppo di modelli della Terra sempre più accurati ci consentiranno una sempre maggiore definizione dei movimenti tettonici, della posizione e delle caratteristiche delle faglie attive, della struttura della Terra e delle modalità di propagazione delle onde sismiche. La nostra comprensione dei fenomeni sismici aumenta ogni qual volta avviene un terremoto, a patto che il territorio colpito fosse dotato di una copertura strumentale adeguata. Ciò renderà possibile una valutazione sempre più accurata della pericolosità sismica di ogni regione. Allo stesso tempo, la conoscenza delle potenziali sorgenti sismiche, delle modalità con cui si attivano e dello stato della litosfera ci avvicinerà alla possibilità di prevedere l'imminenza dei terremoti.

La simulazione degli scenari sismici e l'esperienza maturata con lo studio dei danni prodotti dai terremoti già avvenuti consentono già agli ingegneri di progettare e costruire edifici in grado di rispondere alle sollecitazioni sismiche limitando in misura considerevole l'entità dei danni. Quando tutte le nostre case e le nostre città avranno raggiunto un livello di sicurezza adeguato, il terremoto non sarà più l'evento catastrofico che oggi spesso rappresenta e non incuterà più il timore che da sempre lo accompagna.

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