Copertina
Autore Domenico Fiormonte
Titolo Scrittura e filologia nell'era digitale
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003, Nuova didattica Arte e letteratura , pag. 344, cop.fle., dim. 147x220x20 mm , Isbn 978-88-339-5713-5
LettoreCorrado Leonardo, 2004
Classe teoria letteraria , scrittura-lettura , linguistica , informatica: sociologia , comunicazione , libri , copyright-copyleft
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Indice

  9 Ringraziamenti

    Scrittura e filologia nell'era digitale


 13 0. Introduzione

    0.1. Contenuto e struttura del libro, 15
    0.2. Metodologia e obiettivi, 19

    Parte prima   Scritture e tecnologia


 23 1. Temi e paradigmi della rivoluzione tecnologica

    1.1. Tecnica e comunicazione: fra Innis e Leroi-Gourhan,
                                                          23
    1.1.1. Il determinismo e il ruolo dei media, 28
    1.1.2. La Great Divide Theory: Hegel, McLuhan e il
                                                computer, 31
    1.2. La scrittura alfabetica: la prima rivoluzione della
                                           comunicazione, 36
    1.2.1. La Scuola di Toronto e i suoi epigoni, 36
    1.2.2. Moneta, contabilità, scrittura, 41
    1.2.3. Scrittura e volontà di potenza, 43
    1.2.4. Teorie dello spartiacque storico-letterarie, 45
    1.3. La seconda rivoluzione, 48
    1.4. Verso la terza rivoluzione?, 52

 54 2. Breve storia della scrittura elettronica

    2.1. Quattro tappe, 54
    2.2. La sfida ai «limiti del linguaggio», 63
    2.3. Prima tappa. La turbomacchina degli anni ottanta,65
    2.3.1. "Pelle degli eroi» e ancilla dei nuovi media, 65
    2.3.2. Verso gli anni novanta. Pragmatici, scettici e
                                               disertori, 71
    2.3.3. Excerpta d'autore. Il computer nel computer, 75
    2.4. Seconda e terza tappa. Libro computerizzato e
                            letteratura digitale «molle», 77
    2.5. Quarta tappa. Ipertesti, multimedialità, reti, 80
    2.5.1. Che cosa è un ipertesto? Definizioni, mitologia,
                                                  storia, 80
    2.5.2. Interattività, interpretazione, oblio, 85
    2.5.3. La koinè universale, 91
    2.5.4. A Platone piace l'ipertesto? Apertura e
                                           democraticità, 94
    2.5.5. Ipertesti: pars construens, 98
    2.5.5.1. Connessioni, collisioni e sinestesie:
                                       l'Hyperzavattini, 100
    2.5.5.2. Una teoria della forma ipermediale: nella Cina
                                          di Wang Fuzhi, 102

107 3. Dalle scritture online alla Web usability

    3.1. Pragmatica della comunicazione elettronica, 109
    3.1.1. La Netiquette, 113
    3.1.2. Per una tipologia (post)testuale, 117
    3.2. Retorica o usabilità del Web?, 121
    3.2.1. Web content design, ovvero ars scribendi in
                                                 araneo, 125
    3.3. Scritture collettive e interattività, 131
    3.3.1. MUD e chat, 132
    3.3.2. Tra cyberdrama e letteratura ergodica, 141
    3.4. «Tempus digitale», 146
    3.5. Riepilogo, 150

    Parte seconda   Per una filologia digitale


159 4. Il documento digitale

    4.1. Introduzione, 159
    4.2. Il problema della memorizzazione, 161
    4.3. La codifica, un atto interpretativo, 163
    4.4. L'autore, il copyright e la merce, 172
    4.5. Comunità di interpreti e comunità di autori:
                                  per un'etica digitale, 177

185 5. Pilologia o postfilologia?

    5.1. Il testo come prodotto e come processo, 185
    5.2. Gli «accidenti del mezzo», 192
    5.3. Verso una critica testuale dinamica, 197
    5.4. Psicologia della composizione e varianti, 204

209 6. Varianti Digitali

    6.1. Storia e contenuto del sito, 210
    6.2. L'eredità della filologia d'autore e la questione
                                            tecnologica, 215
    6.3. La variante come «artefatto cognitivo» e
                        l'apprendimento della scrittura, 220
    6.4. Varianti Digitali e la didattica della scrittura,
                                                         226
    6.5. L'esperimento online, 230
    6.5.1. Obiettivi specifici, 231
    6.5.2. Procedure, 232
    6.5.3. L'analisi linguistica, 232
    6.5.4. Stile e tecniche di narrazione, 233
    6.5.5. L'edizione di una «nuova variante», 233
    6.5.6. Il computer e la scrittura, 234
    6.5.7. Esperimenti in corso: 666 o il romanzo circolare,
                                                         235
    6.6. Riepilogo, 236

239 7. Conclusioni

    7.1. La convergenza tra filologia, scienza cognitiva e
                            scienze della comunicazione, 239
    7.2. Computer, dialogicità, processo: una svolta
                                        epistemologica?, 240
    7.3. Lo studio della postestualità digitale, 243
    7.4. Per un nuovo curriculum degli studi umanistici, 245

    Appendice   Risorse digitali per la filologia

253 A.0. Avvertenza
255 A.1. Strumenti
    A.1.1. Software per la critica del testo, 257
    A.1.2. Software per l'analisi del testo, 260
263 A.2. Prodotti
    A.2.1. Edizioni testo/immagine, 265
    A.2.1.1. Sistemi offline, 266
    A.2.1.2. Sistemi online, 267
    A.2.2. Edizioni scientifiche, 270
    A.2.2.1. Sistemi offline, 272
    A.2.2.2. Sistemi online, 274
    A.2.3. Archivi multimediali, 279
    A.2.3.1. Sistemi offline, 280
    A.2.3.2. Sistemi online, 281
    A.2.4. Pubblicazioni collaborative, archivi dinamici,
                                          testi visuali, 285
    A.2.4.1. Sistemi online, 286
291 Bibliografia
337 Indice dei nomi

 

 

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Pagina 13

0.

Introduzione


Due delle più importanti sfide scientifiche di questo inizio di millennio riguardano la memoria dell'uomo: la rivoluzione informatica e la decifrazione del genoma. Donne e uomini della comunità di ricerca, forse inseguendo il mistero di un'identità perduta, oggi concentrano i loro studi sulla trasmissione dell'informazione e della conoscenza (intrinseca ed estrinseca) della nostra specie. Questo libro discute e analizza dal punto di vista umanistico - in particolare modo quello delle scienze del testo: filologia, storia della scrittura, linguistica, teorie dei media - gli strumenti e le metodologie che stanno cambiando i modi della comunicazione scritta, da sempre al cuore dei processi di trasmissione della conoscenza.

Ciò che andrò fornendo al lettore sono mappe, inevitabilmente molto provvisorie. Come già avvenuto in altre epoche, ci troviamo nel mezzo di una gigantesca opera di traghettamento, di traduzione della cultura da un formato all'altro. Cinquanta anni fa, Thomas Mann, raccontando gli ultimi attimi della vita di Goethe, ricordava che il poeta morì tracciando nell'aria i segni della scrittura: «Goethe - commenta Mann - moriva scrivendo [...] esercitava questa attività per cui il corporeo si scioglie e si fa spirito, e i prodotti dello spirito si consolidano, e restano» (Mann 1933/1988, p. XIII). Questa immagine dello spirito che «si consolida» sulla carta non è solo una bella metafora uscita dalla penna di un grande scrittore del Novecento, ma racchiude il senso di un'epoca. L'universo scrittorio di Mann (come quello di Goethe e oltre) è quello del manoscritto e della stampa: l'epoca dell'«edizione critica», intesa come testimonianza ultima di un autore, testo consegnato alla storia per essere letto, glossato e interpretato. Con la diffusione delle tecnologie digitali, questo impianto di trasmissione e di produzione viene messo in discussione.

Molti studiosi provenienti da diverse (e qualche volta opposte) scuole scientifiche in questi anni hanno parlato di un «assetto epistemico» nuovo (Mordenti 1992, p. 241) fondato sulla rottura dei concetti di stabilità e gerarchia delle fonti, paragonando la rivoluzione informatica a quella della stampa, la «Galassia chip» a quella Gutenberg. Altri, sfruttando il parallelismo offerto dalla Great Divide Theory (cfr. § 1.1.2), si sono spinti più in là paragonando la svolta digitale all'apparizione della scrittura alfabetica.

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Pagina 15

Nonostante ciò, e malgrado si affermi da più parti che una «seconda rivoluzione» o «terza fase» della cultura sia in atto, queste pagine vogliono essere un tentativo di decelerazione critica sulle nuove tecnologie di rappresentazione, produzione e fruizione del testo. D'altronde il popolo degli scriventi è e sarà ancora per lungo tempo immerso nella prima rivoluzione, quella del libro. Non solo questa rivoluzione è ancora in gran parte incompiuta (cfr. § 7.2), ma la nostra informazione, formazione e istruzione corrono in gran parte ancora attraverso canali irrimediabilmente gutenberghiani. E le tecnologie, passate e presenti, sono sì determinanti, ma sono anche il risultato di diverse forze in gioco: esse rappresentano delle scelte, non un destino.

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Pagina 23

1.

Temi e paradigmi della rivoluzione tecnologica


L'evoluzione della scrittura e dei suoi strumenti e quella della letteratura procedono nel corso della storia su binari paralleli. Entrambe s'intrecciano a loro volta a una serie infinita di fattori: il momento storico, le caratteristiche economiche e sociali del paese o del gruppo che esprime una determinata cultura ecc. In filosofia, antropologia, linguistica, psicologia, paleografia ecc. si sono fatte spesso delle ipotesi di collegamento «profondo» fra tipologia scrittoria ed espressione. Dalla scrittura cuneiforme allo stile lapidario, fino alla scrittura egiziana e cinese, ogni sistema di scrittura e ogni supporto a esso collegato vengono ritenuti veicoli in grado di plasmare la mentalità e la cultura.

Ma qual è il rapporto fra un sistema di conoscenze e il suo (o i suoi) supporto(i)? Si tratta di un rapporto di causa-effetto o piuttosto di reciproca influenza? Quello che propongo è un breve itinerario fra vari autori e discipline, con l'intento di iniziare a riflettere su alcuni di tali quesiti, in particolare sul ruolo della tecnica nella comunicazione e della tecnologia nell'elaborazione delle conoscenze queste ultime intese sia come linguaggi (naturali e non) che conoscenze e prodotti elaborati (per esempio testi e sistemi di testi).

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Pagina 52

1.4. Verso la terza rivoluzione?


Sugli autori e le teorie della Scuola di Toronto (cfr. § 1.2.1) è stata svolta negli ultimi anni una intensa opera di ricerca, di discussione e a volte di rivalutazione. Sulla scia delle varie teorie della «trasformazione tecnologica» la nascita del computer è stata paragonata alla nascita dell' homo tipographicus e l' homo informaticus, suo discendente, viene oggi visto da alcuni come il protagonista di una terza (o per alcuni solo seconda) «rivoluzione inavvertita».

Ma qual è la differenza fra le tre rivoluzioni (ammesso che di rivoluzioni si tratti)? Premesso che «nella misura in cui noi sentiamo echi della prima rivoluzione delle comunicazioni nella seconda [quella del computer], dobbiamo stare attenti a usare la metafora della prima trasformazione solo per generare suggestive possibilità» (Brent 1997), a mio giudizio due sono le differenze fondamentali da analizzare.

1) Il computer non è (o non è soltanto) una tecnologia della produzione, ma è una tecnologia della composizione. Per usare una felice espressione di Lev Manovich (2001/2002, pp. 44-45), è diventato un «processatore di media», ovvero «una macchina in grado di sintetizzare e manipolare i media». Dunque, per quanto suggestive, le analogie fra i passaggi oralità/scrittura (o manoscritto/stampa) e stampa/computer non catturano la complessità del fenomeno.

2) Mentre la stampa e gli altri strumenti di registrazione (audio, cinema, TV) privilegiano l'identificazione di un autore o emittente preciso, la malleabilità e interattività del documento elettronico generano un diverso rapporto con il destinatario/fruitore. Ecco perché le ricadute dovrebbero essere più profonde di quelle degli altri media: toccando più da vicino i processi (lettura/fruizione e scrittura/costruzione), esse hanno maggiori chance di influire sui processi cognitivi. Quali che siano le conseguenze future, e mettendo per un momento da parte le perplessità sulla sua opera, la famosa domanda-risposta di McLuhan non ha perso di senso: «Č impossibile emanciparci dal funzionamento subliminale della nostra stessa tecnologia? [...] Dal momento che una cosa simile non è stata mai tentata in nessuna cultura, forse la risposta è dubbia» (McLuhan 1967/1988, p. 323).

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Pagina 54

2.

Breve storia della scrittura elettronica


2.1. Quattro tappe

Nel settembre 1996, sull'«Indipendent on Sunday», lo scrittore di testi elettronici Paul Roberts discuteva sul futuro della scrittura nell'epoca della rivoluzione digitale. A lato del suo articolo un piccolo riquadro proponeva un calendario della rivoluzione: «1998: tutte le biblioteche scolastiche avranno accesso a Internet e CD-ROM [...]; 2005: Internet è diventata più economica e più veloce [...] il denaro elettronico è una realtà. Il principale affare degli editori continuano a essere i libri ma [...] gli editori specialistici fioriscono grazie all'individuazione di nuovi lettori tramite Web. Il 90 per cento dei nuovi titoli vengono da piccoli editori». Saltiamo al 2050: «Una nuova forma d'arte, ibrido di letteratura, video, animazione e musica, si sta affermando. Gli autori creano performance interattive sulle loro pagine Web, connettendosi direttamente con il pubblico». L'articolo, nonostante qualche previsione ottimistica, affrontava gli argomenti in maniera misurata, con la giusta dose di realismo (l'autore fa parte della schiera di scrittori riciclatisi nell'industria dell' information technology) e una componente di malinconico scetticismo che ogni Gutenberg-alfabetizzato non potrà non apprezzare. Alla fine, parlando delle future generazioni di autori, Roberts scriveva:

Già ora non posso non guardare a questo futuro con apprensione e tristezza, non semplicemente perché mette in discussione la qualità della letteratura che sarà a disposizione di queste persone, ma perché so fin d'ora che non sarò capace di comprenderla [...]. Per coloro che sono stati allevati nella tradizione della stampa lineare questa forse rappresenta la più desolante ironia della rivoluzione digitale: l'aver partecipato entusiasticamente alla nostra stessa estinzione.

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Pagina 79

Da Leopardi fino a Borges (lo abbiamo visto in Eco) letteratura è citazione: impossibile dire, possibile è ripetere «cose nuove». La questione è assai più datata dello stesso autore dell' Infinito: nella retorica antica infatti «l' inventio latina rinvia non tanto a una invenzione (degli argomenti) quanto a una scoperta: tutto esiste già, bisogna solo ritrovarlo: è una nozione più estrattiva che creativa» (Barthes 1970/1993, p.59). La materia bruta, i «luoghi», vanno ripescati e selezionati con metodo per essere distribuiti nello spazio del discorso. Certi generi della prosa latina prevedevano una organizzazione in rubricae; gli exempla, i ritratti, le Imagines varroniane ecc. sono opere compilate secondo questo criterio. Ma la rubrica antica, che aveva tra l'altro la funzione di rendere più agevole la consultazione del volumen, non va confusa con la granularità che è invece lo «spezzettamento» di uno stesso discorso in varie unità logiche (e non dunque semplice distribuzione in paragrafi di soggetti e materie più o meno omogenei).

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Pagina 83

Andiamo dunque a rintracciare quelli che sembrano i principi ispiratori dell'idea di ipertesto. Se ne possono elencare almeno sei (non nettamente distinguibili fra loro, come vedremo):

1) l'idea di interattività (libertà di agire nel/con l'opera);

2) l'idea di multisequenzialità o non-linearità (dal memex di Vannevar Bush alle teorie della complessità);

3) l'idea di associazione/collage/incastro (libertà di composizione e ricombinazione dell'opera);

4) l'idea di itinerario, viaggio, navigazione su cui basare i modi di accesso e uso;

5) l'idea di processo (in certi casi opposto a creazione, cfr. § 2.5.5.2), cioè di un fenomeno dinamico nel quale non è possibile identificare fratture o nette discontinuità fra i diversi elementi che lo compongono;

6) l'idea di apertura (libertà di interpretare l'opera e/come libertà-democraticità della rete).

Storicamente queste sei caratteristiche sembrano riprendere e fondere insieme generi e forme espressive già sperimentati nel corso della storia della creazione artistico-letteraria: 1) l'opera-collage (mosaico di elementi e citazioni, incastro di testo più immagini ecc.); 2) l'arte interattiva (abbiamo già citato le avanguardie artistiche, e si potrebbe aggiungere il teatro, dai Sei personaggi al Living Theatre a Jerzy Grotowski [1968], che fa sedere gli spettatori in mezzo agli attori); 3) il romanzo combinatorio (Queneau, Butor, Perec, Calvino, Cortázar, Saporta ecc.).

Naturalmente nessuna di queste sei caratteristiche ha un ruolo isolato: alla base dell'idea di processo vi è la necessità sia del rapporto interattivo che dell'apertura (come potrebbe essere continuo senza reciprocità?), mentre vedremo che l'idea di connessione è strettamente collegata tanto al concetto di itinerario quanto a quello di processo. Esempi di incastri ve ne sono un'infinità perlomeno a partire da Petronio e Apuleio. Le dif£erenze principali fra mosaico, incastro e combinatoria, nonostante le varie caratteristiche spesso si fondano o si sovrappongano, sta nel fatto che nella seconda brani di testo si originano a partire da sequenze foniche, liste di parole ecc. Tipici testi combinatori contemporanei sono Cent mille milliards de poèmes (1961) di Raymond Queneau o Une chanson pour Don Juan (1962) di Michel Butor. Ma il sogno (o incubo) di una «macchina letteraria» risale ai Viaggi di Gulliver: nell'Accademia di Lagado fa la comparsa l'infernale literary engine, per il cui perfezionamento l'inventore auspica cospicui finanziamenti pubblici (Swift 1997, pp. 204-05). Leopardi, che probabilmente aveva sentito parlare delle macchine di Babbage, potrebbe avere avuto in mente Swift scrivendo nel 1824 quello straordinario testo che è la Proposta di premi fatta dall'Accademia dei Sillografi, dove si propone la costruzione di «un uomo artificiale a vapore, atto e ordinato a fare opere virtuose e magnanime». E forse proprio a questa Operetta si ispirò Primo Levi nel suo racconto Il versificatore, in cui un calcolatore-compositore viene acquistato da un poeta di grido afflitto dalle troppe richieste del mercato. Il versificatore, probabile omaggio a uno dei padri del computer, Alan Turing, è in grado di simulare e soprattutto apprendere a fare poesia (Usher 2002). Per avere un'idea della genialità delle intuizioni informatiche di Levi basti pensare che quest'ultima - l'autoapprendimento - è la caratteristica del recente paradigma connessionista e delle cosiddette «reti neuronali».

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Pagina 90

In conclusione, smaterializzazione e riduzione della distanza a opera del mondo digitale possono dar luogo a visioni tanto orwelliane quanto palingenetiche - con tutte le sfumature del caso. Mentre la visione di filosofi come Severino o Galimberti (cfr. § 1.1) ingloba tutta la tecnologia nell'orizzonte annichilente della techne, Ricciardi e altri scorgono nell'informatica una speranza di ribellione ai condizionamenti della storia. Ma alla base di entrambe le posizioni c'è la constatazione, di marca nietzschiana, sull'«inutilità e danno» della storia. Normale contrapporre a questa prospettiva di perdita di senso un rifiuto (Eco ecc.), che passa attraverso il persistere della visione critica moderna (Segre 2001, pp. 87-99 e più in generale Rossi 1995). Secondo questa visione tanto il lettore Gutenberg-alfabetizzato, quanto l'ascoltatore della dimensione narrativa «aurale» (voce-orecchio: cinema, radio, TV) perderebbero nei meandri dello spazio elettronico i loro punti di riferimento. Se in fondo questa è una conferma in negativo delle tesi dei teorici dell'ipertesto, va ammessa l'inadeguatezza dei prodotti con cui tali autori rispondono alla sfida della costruzione di una nuova dimensione del raccontarsi. Una «sfida», come vedremo nei prossimi paragrafi, iniziata parecchi secoli fa.

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Pagina 107

3.

Dalle scritture online alla Web usability


Fino adesso ho analizzato le forme della comunicazione elettronica dal punto di vista teorico e dei loro legami col passato (soprattutto letterario), abbozzando ipotesi di sviluppi e direzioni future. Nelle pagine seguenti discuterò alcune delle caratteristiche presenti della scrittura elettronica, a partire dai generi sviluppatisi grazie a Internet (argomento che ho sfiorato nel capitolo 2). Sono convinto che queste scritture, nonostante i numerosi elementi di continuità con la tradizione precedente, stiano dando uno scossone alle discussioni sulla testualità. Tali scritture hanno attirato l'attenzione delle discipline consolidate (linguistica, filologia, psicologia, antropologia ecc.), rivitalizzandone alcune in crisi (la composizione, la Human-Computer Interaction) e facendone nascere altre apparentemente nuove (la Web usability, la net semiology).

Dal punto di vista della comunicazione, la caratteristica più interessante di Internet è quella che Lorenzo De Carli, richiamandosi a Bachtin, definisce inclinazione dialogica:

Nel protocollo di comunicazione [TCP/IP] è come inscritta una sorta di principio dialogico, una inclinazione alla interazione condivisa da tutti gli utenti di Internet che ne definisce la natura profonda. [...] Il fatto che Internet non esiste e che la sua natura si definisce per l'universale condivisione di una norma dialogica ha come conseguenza che ogni tentativo di regolamentazione [...] si scontra con un principio - quello dialogico, appunto - che tende sempre a perpetuarsi, a trasformarsi col mutare dei contesti per conservare la propria natura intelocutoria. [De Cadi 1997, p. 143]

Descrizioni di questo tipo in genere provocano le reazioni infastidite o ironiche non solo di tecnici e ingegneri, ma spesso degli stessi umanisti succubi della visione dicotomica delle «due culture» (cfr. § 3.5). Ma De Carli interpreta nel modo più genuino lo spirito di molte applicazioni di Internet. Per esempio di World Wide Web. Il cui inventore non nasconde affatto la natura teorica del suo approccio:

Il principio fondamentale del Web è che, una volta che si è messo a disposizione un documento, un database, un'immagine, un suono, un video o un dialogo interattivo, questo dovrebbe essere accessibile a tutti con qualsiasi tipo di computer, in qualsiasi paese. [...] Era una rivoluzione copernicana rispetto alla filosofia dei precedenti sistemi informatici. [...] Spingere la gente a mettere dati sul Web significava spesso solo indurla a cambiare punto di vista, a pensare all'accesso di un utente non come interazione con, per esempio, un sistema di biblioteca online ma come navigazione in una serie di pagine virtuali all'interno di uno spazio astratto. [...] Essendo in grado di fare riferimento a tutto con la medesima facilità, il Web potrebbe anche rappresentare le associazioni tra cose che possono sembrare prive di collegamento tra loro ma in realtà spartiscono una qualche relazione. E un compito che il cervello può eseguire in modo facile e spontaneo. [Berners-Lee 2001, pp. 40-41]

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Pagina 150

3.5. Riepilogo

Nelle pagine precedenti ho cercato di discutere tanto la tesi degli «strumenti neutri» che i millenarismi/primitivismi, fra loro speculari, di apocalittici ed entusiasti. Al fondo di tali opposizioni vi è l'antica disputa fra chi crede l'uomo geneticamente programmato, e quindi relativamente «indipendente» dall'ambiente, e chi lo ritiene invece più legato al mondo degli oggetti, delle persone e degli eventi che lo circondano e che egli stesso ha contribuito a forgiare. Questa dialettica, riassumendo un po' brutalmente, è stata per lungo tempo al centro del dibattito filosofico e linguistico. Come nelle Scilla e Cariddi dell' Ulisse di Joyce, si sono affrontate due scuole: quella che vedeva il linguaggio come una capacità prevalentemente innata e quella convinta che il suo sviluppo e la sua «costruzione» siano determinati, in modo decisivo, da fattori ambientali e sociali. Non si tratta di posizioni necessariamente in contrasto, ma forse lo scarso interesse di Chomsky (1988, 1996) per i fattori per così dire «esterni» ha concentrato il dibattito dei linguisti su altri temi, lasciando in ombra la questione degli strumenti (e la stessa scrittura, riscoperta dai linguisti negli ultimi dieci-quindici anni). Uno dei temi negletti è l'idea che i linguaggi, intesi come insieme di strumento e supporto, lingua/alfabeto, scrittura/mezzi ecc., siano di per sé portatori di senso (Goody 1987; Cardona 1985). E che i sistemi linguistici, inscindibili dalle culture che rappresentano e di cui allo stesso tempo si nutrono, possano dare luogo a precise configurazioni mentali.

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La concezione «storica» della formazione ed evoluzione della psiche di Vygotskij, da cui trarrà ispirazione la psicologia culturale di Bruner, ci riporta al paradigma della Scuola di Toronto, a Leroi-Gourhan, a Cardona e a tutte quelle discipline che studiano l'influenza degli human artifacts, e dunque anche della tecnologia, sui processi vuoi cultural-sociali, vuoi psicologici o mentali. Questa linea di pensiero, che trova in Vygotskij uno dei primi e più lucidi interpreti (cfr. § 7.1), è un filo che unisce scienziati, filosofi e letterati del Novecento, spesso anche molto lontani fra loro: da Wittgenstein a Bruner, da Innis a Dewey a Stephen J. Gould, c'è una corrente sotterranea che andrebbe portata alla luce ed esplorata in modo aperto e interdisciplinare.

Per ora, sui confini fra psicologia e genetica, fra environmentalism e selezione naturale, i due schieramenti si danno ancora battaglia. Il problema è, tra l'altro, che sulla mente sappiamo ancora troppo poco. Anche se la plasticità neuronale è un dato acquisito (Aoki e Siekevitz 1988), non è chiaro in che misura e secondo quali modalità i fenomeni che ci circondano possano determinare o marcare i nostri futuri comportamenti (Boncinelli 1999). Il motivo della contrapposizione è chiaro: qualsiasi ammissione che i sistemi linguistici insieme ad altre forme di comunicazione possano cambiare sotto la pressione di eventi esterni, si concilia male con l'innatismo e, viceversa, posizioni come la selection theory («Per il "selezionista", l'assoluta verità è che tutto ciò che facciamo nella vita è scoprire ciò che è già contenuto nel nostro cervello» [Gazzaniga 1992, p. 2]) minacciano i metodi degli «strumentalisti».

Applicata al nostro caso, la contrapposizione è fra chi crede che le nuove tecnologie della comunicazione possano incidere non solo sui comportamenti e le abitudini, ma sulle attività cognitive, e chi colloca le cause di tali cambiamenti (se esistono) altrove.

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Se i primi passi verso una nuova etica possono essere fatti solo inventando idee diverse del «patto» fra autori e fruitori digitali, allora l'esempio più importante lo troviamo nel mondo dell'open source e del cosiddetto software libero (Williams 2002). In questo campo si vanno diffondendo nozioni come quella di «cooperazione costruttiva» e copyleft, ovvero un tipo di licenza che permette agli utenti di utilizzare, copiare, distribuire e persino modificare un prodotto, ma non di sfruttarlo a scopi commerciali:

Il modello del copyleft ha permesso di dare un fondamento giuridico a un mercato costruito sulla non mera appropriazione privata della proprietà intellettuale. [...] Esso utilizza gli strumenti di protezione legislativa del copyright per garantire non i diritti proprietari, ma la libertà del software. I programmi possono così diffondersi e arricchirsi del contributo dei diversi fruitori o programmatori senza correre il rischio che imprese produttrici di software se ne approprino e vendano come software proprietario le versioni modificate. [Berra e Meo 2001, p. 97]

Tali nozioni inaugurano un nuovo modo di pensare l'opera di ingegno, se non completamente nuovo nei principi - come abbiamo visto leggendo le testimonianze degli stampatori tedeschi (cfr. p.177, nota 13) - certo inedito nella pratica. Anche se questo nuovo modo poteva rafforzarsi e propagarsi solo attraverso la rivoluzione digitale, occorre evitare le tentazioni deterministe. Nessun fattore considerato isolatamente è in grado di spiegare la nascita di fenomeni come le comunità peer-to-peer per lo scambio di musica - e oggi, grazie a software liberi che permettono la creazione di nodi di scambio totalmente anonimi, si prelevano e si distribuiscono film appena usciti nelle sale cinematografiche (Pedemonte 2000). A prima vista sembrerebbe di trovarsi di fronte a semplici fenomeni di illegalità o di protesta, ma nella maggioranza dei casi si tratta di veri e propri movimenti culturali.

I protagonisti di questa rivoluzione sono gli hacker, una parola troppo spesso tradotta in italiano come «pirata informatico», ma che in inglese è sinonimo di «individuo dotato di non comuni conoscenze tecnologiche, che pratica una profonda esplorazione della tecnologia che usa» (Berra e Meo 2001, p. 73). Questa non è certo un'idea nuova. Fu Norbert Wiener, il fondatore della cibernetica, il primo a formulare questa teoria denunciando l'impraticabilità della tutela delle invenzioni tecnologiche e delle teorie che ne sono alla base. Era la fine degli anni quaranta e Wiener, per smontare l'idea diffusa che la conoscenza potesse essere proprietà esclusiva di una singola nazione (come imponevano le ideologie del momento) o di un singolo gruppo di potere, ricordava che la possibilità che un'opera, sia scientifica sia letteraria, contribuisca all'avanzamento del sapere risiede nella quantità di «novità» che essa riesce a veicolare: «Soltanto l'informazione indipendente è additiva. L'informazione derivata contenuta nell'imitazione di secondo ordine è ben lungi dall'essere indipendente da ciò che l'ha preceduta» (Wiener 1950/1966, p. 149). Questa, che potremmo chiamare «condizione di avanzamento», non è un fatto accidentale ma inerente alla natura stessa dell'informazione: «La proprietà dell'informazione soffre necessariamente dell'inconveniente per cui un'unità di informazione, al fine di contribuire all'informazione generale della comunità, deve dire qualcosa di sostanzialmente diverso dal patrimonio di informazione già a disposizione della comunità. [...] L'idea che in un mondo soggetto a continue modificazioni l'informazione possa essere immagazzinata senza una sostanziale menomazione del suo valore, è un'idea falsa» (pp. 149-50). Dunque, secondo Wiener non esiste innovazione senza circolazione. Una constatazione abbastanza banale, ma dirompente se applicata al mondo del software.

L'etica hacker si basa su un principio in apparenza condiviso da tutti: la democraticità nella diffusione del sapere. Per aumentare qualità ed efficienza di macchine e software, e avvicinare l'informatica a quante più persone possibili, l'unica strada è infatti quella delle risorse condivisibili, ovvero la progettazione di programmi e sistemi aperti, che consentano di poter essere modificati e migliorati dalla stessa comunità che li utilizza. In questo senso, secondo tali comunità, il monopolio di una o più aziende multinazionali non solo non aiuta, ma ostacola la crescita della scienza informatica. Questo principio non è una presa di posizione ideologica, ma un fatto storico. Fin dagli anni sessanta il contributo della comunità degli hacker alla rivoluzione informatica è stato fondamentale. Il principale frutto di questa rivoluzione dei rapporti fra «autori» è la stessa rete Internet, creata a partire da standard aperti e grazie alla libera circolazione dei principali software e linguaggi che la costituiscono: dai protocolli TCP/IP (Transmission Control Protocol/ Internet Protocol) a quelli per il trasferimento dei file (FTP, File Transfer Protocol), dal linguaggio HTML (Hypertext Markup Language) ai server Apache. E il contributo tecnologico non può essere scisso da quello umano: in Internet vi è anche una importante dimensione sociale che si è costituita quando alle componenti istituzionali e di ricerca si sono sommate le numerose BBS (Bullettin Board System), reti civiche e locali che formavano, con i loro specifici strumenti di comunicazione (per esempio i newsgroup), la vitale galassia telematica dei primi anni ottanta (Castells 2001/2002, pp. 25-36).

In conclusione, qual è la relazione fra la digitalizzazione delle risorse, i nuovi sistemi di comunicazione e l'etica hacker? Così com'era avvenuto nel lento passaggio dalla cultura del manoscritto a quella della riproducibilità della stampa, quando si formarono il concetto e la pratica del diritto d'autore, nuove regole e nuovi patti possono emergere solo da nuovi oggetti e nuove relazioni sociali. L'etica hacker mostra che l' oggetto informatico è in sé qualcosa di diverso dai precedenti oggetti culturali e conferma, sottolineandola, la regola enunciata da Wiener. Non è (soltanto) la libera circolazione digitale a scardinare le regole del «mondo atomico», ma un oggetto alla cui costruzione di senso contribuiscono più entità, in tempi e modi diversi.

In un software libero l'utente può essere veramente un coautore, e non solo un «lettore interattivo», come nel caso degli ipertesti («lecteur-usager», cfr. Zinna 2002a, p. 9), dei MUD e dei videogiochi (cfr. § 3.3). Poiché qualsiasi sistema informatico si costruisce e si perfeziona attraverso il suo uso, la comunità degli utenti acquista un potere sui prodotti: il potere di condividerne la creazione. La stessa pratica del beta testing è in definitiva una forma di coautorialità, perché è solo grazie all'incessante confronto fra pari che ogni tipo di software, anche quello proprietario, viene accettato e ufficialmente «rilasciato» sul mercato. In definitiva, dunque, ciò di cui abbiamo bisogno è una teoria della despotia (= «appartenenza» dell'opera) digitale fondata su un nuovo rapporto autore-opera-fruitore: solo da questa potrà scaturire un nuovo concetto di proprietà e di critica.

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