Copertina
Autore Leila Haddad
Titolo Il principio del cavatappi
EdizioneSonzogno, Milano, 2006 , pag. 396, cop.ril.sov., dim. 145x224x27 mm , Isbn 978-88-454-0019-3
OriginaleLa principe du tire-bouchon
EdizioneLa Table Ronde, Paris, 2005
TraduttoreValeria Pazzi, Monica Amarillis Rossi
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe narrativa francese , storia della scienza , fisica
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Indice


Prologo - L'Esperimento Cruciale                      7


     PRIMA PARTE - L'ANIMA DEL MONDO


I    Alla ricerca di un fantasma                     25
II   Ordine, bellezza e armonia                      38
III  La prigione                                     72


     SECONDA PARTE - IL SOGNO DEL MATEMATICO,
                     LA GLORIA DELL'INGEGNERE,
                     IL TRIONFO DELL'ALCHIMISTA


IV   Gli ammutinati del cavatappi                   111
V    Il Signore dei mondi                           188


     TERZA PARTE - L'UOMO CHE VOLEVA VEDERE DIO


VI   Oggetti Fantomatici Ben Identificati           255
VII  La quarta dimensione                           286
VIII La teoria ultima                               333


Epilogo - Parola di Gran Picchiatello               383


Ringraziamenti                                      389

 

 

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Pagina 7

Prologo
L'Esperimento Cruciale



"Irène..."

"Cosa, Marie?"

"Guarda, Bernard sta sbavando!"

"Di nuovo!"

Sollevando gli occhi dalla rivista in cui era immersa, Irène lanciò uno sguardo seccato al marito. La testa dell'uomo ciondolava. Un grosso rivolo di saliva gli colava dalle labbra socchiuse, scendeva lungo il mento e andava a formare una macchia sul pullover.

Con un sospiro, dopo aver afferrato alcuni fazzoletti di carta dal pacchetto appoggiato sul tavolino, Irène si diresse verso di lui, gli asciugò delicatamente la bocca e gli raddrizzò la testa contro lo schienale della sedia a rotelle su cui era inchiodato.

Marie fece una smorfia.

"Succederà di nuovo, vedrai. Si rimetterà a sbavare e ti toccherà ancora una volta pulirlo."

"Non è colpa sua, Marie."

"Un po' sì, tutto sommato..."

"Non meritava questo. Nessuno lo merita."

Irène accarezzò con la punta delle dita i capelli di Bernard, biondicci e tagliati a spazzola. Non aveva osato raderlo, quella mattina, e le guance erano spruzzate di neve. Era dimagrito e si era coperto di rughe, come un foglio stropicciato. I suoi occhi spenti sembravano cosparsi di cenere.

Marie sbadigliò.

"Quando arriva questa infermiera? Ne ho abbastanza di parole crociate."

Di giorno e di notte, diverse infermiere si davano il cambio accanto a Bernard per nutrirlo, vestirlo, lavarlo e tenergli compagnia. Una di loro non si era presentata perché aveva il figlio malato e non si era trovata una sostituta.

"Ancora due ore. Non ti obbligo, lo sai."

"Brava ragazza..."

Irène aveva bisogno di Marie. Bernard era pesante, troppo pesante, e non reagiva più a nulla. Era inerte... non parlava più, non si muoveva più, non batteva nemmeno più le palpebre. Non si riusciva a capire se dormisse o fosse sveglio. Bernard era vivo, certo, ma ridotto allo stato di un tubo digerente. E dire che solo qualche mese prima di quel maledetto "Esperimento Cruciale" era stato eletto "lo scienziato più sexy del mondo" da un grande settimanale femminile che gli aveva concesso gli onori della copertina! Con i jeans neri e la camicia bianca che sottolineavano la silhouette slanciata, le spalle larghe e il ventre piatto, aveva offerto con piacere all'ammirazione di centinaia di migliaia di donne il suo bel volto squadrato di studioso dalla splendida criniera argentata, pettinata all'indietro per dare risalto alla fronte ampia, agli occhi grigio chiaro, al sorriso da predatore. Che spreco! Irène fece ruotare la sedia a rotelle e la spinse davanti alla vetrata. Bernard ormai dava la schiena al divano sul quale Marie continuava a scarabocchiare le sue parole crociate.

"Inutile insistere. Non li vede", mormorò quest'ultima.

"Che cosa?"

"Gli uccelli, il cielo, i fiori..."

"E tu cosa ne sai? Magari non è completamente insensibile. Dev'esserci ancora qualcosa, nella sua testa. Non può più comunicare, però forse un po' di compagnia gli fa bene. Stare con me. Con te. Forse ha bisogno che gli si parli. Che lo si aiuti. E se un giorno si svegliasse? Può succedere, no?"

"Non nel suo caso. Il suo cervello è morto", ribadì seccamente Marie, picchiettando con l'indice sulla fronte. "Quando te lo ficcherai in testa?"

Irène fece spallucce e, dopo aver recuperato il giornale, andò ad acciambellarsi nella poltrona più lontana, dove finse di leggere. Ma l'amica non aveva intenzione di lasciarla in pace.

"Posso sapere cosa leggi?... Aspetta, fai vedere... Scienze e cognizione, niente meno!" Marie scoppiò in una risata. "Non trovi che sia un po' eccessivo?"

"Leggo quel che mi pare."

"E ci capisci qualcosa? È scritto con i piedi, questo giornalaccio. Arabo per neurobiologi e sedicenti specialisti del pensiero. Fatto solo per quelli che si spaccano la testa a decifrarlo! Ma dai!"

"C'è un articolo interessante sulla mente di Einstein."

Marie alzò le braccia al cielo.

"Non dirai sul serio! Ti sei lambiccata il cervello su questa roba per settimane, mattina, mezzogiorno e sera! Non ne hai abbastanza? Che cosa ti aspetti ancora?"

"Ho voglia di capire e basta. È pur sempre a causa sua se Bernard si trova in questo stato."

"Sai, Irène, ti preferivo all'epoca in cui leggevi gli oroscopi. Eri molto più divertente." Con questo, Marie chiuse la conversazione.

Dopo il disastroso Esperimento Cruciale di Bernard, Irène, letteralmente ossessionata da Albert Einstein, aveva acquistato tutti i libri che era riuscita a trovare sulla vita e sull'opera dell'inventore della relatività. Avida di qualsiasi informazione, foto o aneddoto, aveva tormentato bibliotecari, archivisti, bouquinistes, e navigato in Internet per scoprire anche i commenti più idioti sul famoso scienziato. Si era spinta fino a iscriversi a un corso di matematica nella vana speranza di riuscire a decifrare, un giorno, gli articoli scientifici del genio di Ulm... Stava perfino meditando d'imparare il tedesco per leggerlo in originale! Irène si era domandata spesso, nel corso delle sue ricerche, come avrebbe reagito Einstein se avesse saputo di essere all'origine della terribile avventura di Bernard. Era probabile che, dopo aver ascoltato con pazienza la strana storia, avrebbe mormorato con la sua voce sottile: "Quest'uomo è pazzo", e sarebbe passato a qualcos'altro.

Irène non aveva avuto presentimenti. L'umore di Bernard era misteriosamente peggiorato dopo il polverone suscitato dall'annuncio della sua teoria fondamentale, intitolata: Ipotesi del vivente. Rifiutato e preso in giro dai suoi colleghi, era rimasto isolato in seno alla comunità scientifica. Era diventato sempre più tetro, ostile, fino al punto di non parlare più. Irène aveva fatto finta di niente, pensando che gli sarebbe passata. Ma il marito si era a poco a poco rintanato nel proprio studio. Non ne usciva se non per recarsi due o tre volte la settimana all'Istituto, o per accasciarsi in una poltrona del salotto e svuotare mezza bottiglia di whisky ruminando pensieri cupi. Un'altra delle sue "Crisi di fisica acuta", aveva pensato. In media una volta l'anno si tagliava fuori dal mondo esterno, diventava odioso e non viveva più che per le sue equazioni. Cercava... che cosa? Lei non lo sapeva. Ma dopotutto Bernard, professore universitario e direttore dell'Istituto Europeo per la Fisica della Materia, istituzione che in Francia costituiva il non plus ultra della fisica teorica, era pagato, e piuttosto profumatamente, per fare il ricercatore.

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Pagina 72

III
La prigione



Dopo aver salutato Léo, Irène vagò lungo le rive della Senna, senza decidersi a tornare a casa. Ben presto calò la notte e lei dovette rientrare nel suo bunker deprimente. L'interno dell'abitazione – non brutto, ma troppo ricercato – era suddiviso in due zone ben distinte.

Da una parte, lungo entrambi i lati di un corridoio angusto, la camera, la cucina, il bagno e lo studio di Bernard. Dall'altra, un vasto soggiorno con un angolo sala da pranzo e un camino finto. Irène aveva inseguito a tutti i costi bellezza e comodità, con il risultato di aver ottenuto una serie di anticaglie artificiose. Aveva investito una fortuna in folti tappeti persiani, una monumentale biblioteca in mogano, tre maestose poltrone Impero, due profondi divani in cuoio inglese dagli innumerevoli bottoni, un rarissimo tavolo rotondo in ferro battuto e marmo bianco con sedie assortite e, qua e là, gueridons di legno pregiato. Tanti oggetti solidi, nobili, di prestigio, eleganti, lussuosi. Ma senza calore, né originalità.

Come ciliegina sulla torta, Irène aveva seppellito i mobili sotto varie collezioni ispirate alle passioni del momento. Si era invaghita degli elefanti e se n'era procurata di ogni genere – grandi, piccoli, scolpiti, incisi, in legno, in terracotta, di giada – prima di lasciarli perdere a favore dei portacenere di cristallo.

Dopo averne raccolti un centinaio, tra cui alcuni bei pezzi screziati di Praga, si era messa a correre come una pazza dietro agli orologi del XIX secolo, per poi rivolgere l'attenzione alle bambole antiche, e soccombere subito dopo al fascino dei libri antichi. Poiché la bibliofilia l'aveva quasi ridotta sul lastrico, aveva optato per le maschere africane, sostituite in seguito da schizzi di nudi maschili realizzati a matita o al carboncino da aspiranti pittori, di cui aveva cominciato a subire l'irresistibile charme poco prima della partenza di Bernard. Marie la definiva sindrome Birds – o "cervello di gallina" –, acronimo di "Borghese Infantile Ricca e Decisamente Sfaccendata".

In quel momento, più che le sue collezioni, era Platone a non andarle giù. Semisdraiata sul lussuoso divano, Irène tentò di annegare la cosmologia del filosofo greco in un buon bicchiere di bordeaux. Cosa funzionava, come funzionava e perché funzionava in quel modo... queste domande (assieme a tante altre) rappresentavano tutto ciò che non aveva mai avuto né il bisogno né la voglia di capire. Non era già abbastanza colta? Non leggeva tutti i giorni i quotidiani, e ogni settimana i settimanali? Non comprava decine e decine di libri oltre a CD e DVD? Non andava forse all'opera più di una volta all'anno, a teatro ogni trimestre, al cinema ogni mese? Non visitava regolarmente musei, mostre, castelli e monumenti, non perdendo mai l'occasione di fare viaggi in provincia e all'estero? Non le piaceva infine, e soprattutto, sapere tante cose più o meno utili, per esempio come riconoscere un bordeaux servito in caraffa, collocare un villaggio storico in una regione sperduta, centellinare aneddoti sconosciuti su personaggi celebri, svelare ricette rare? In compenso, non si era mai chiesta cosa succedesse quando accendeva il televisore, apriva il frigorifero, accendeva il forno a microonde o telefonava a Marie. Non aveva voglia di entrare nell'intimità delle onde hertz, della radioattività, del big bang o dell'evoluzione.

Sapere che faceva freddo in frigorifero e caldo in forno, che il motore di un'automobile partiva quando si girava la chiave, che l'universo era nato quindici miliardi di anni fa e che l'uomo era cugino dello scimpanzé le bastava e avanzava. Viveva nella stessa era beata e divina del "così è" che Léo rimproverava agli antichi, ma non aveva mai avuto nulla da obiettare.

Non sarebbe stato certo un dramma, se non fosse stata la compagna di un fisico mondano e arrivista. Per anni, su richiesta di Bernard, aveva organizzato cene deliziose per cervelloni.

La conversazione finiva sempre per involarsi verso le alte sfere specialistiche della conoscenza e, immancabilmente, qualche anima buona impietosita si sentiva in obbligo di fornirle una spiegazione dettagliata. Irène non contava più i corsi improvvisati su Kant, il magnetismo, la meccanica quantistica e i primi tre minuti dell'universo che si era dovuta sorbire.

Nell'impossibilità di far tacere il benintenzionato senza dare scandalo, incollava il suo sguardo nocciola alle labbra del maestro di turno e andava a parlare di un nuovo taglio di capelli con il suo parrucchiere, a rivedere al cinema un film che le era piaciuto, a sfogliare un volume trovato in libreria. Tornando di tanto in tanto per tastare il polso della conversazione, assumeva il tono e l'espressione suggeriti dall'atteggiamento dell'oratore, emetteva una serie di "Mmm... Mmm" densi di significato e sprofondava di nuovo nelle sue fantasticherie letargiche.

Queste cene, per fortuna, erano svanite dopo lo scandalo dell'Ipotesi. Irène sospirò... tutto la riportava a Einstein e a quella maledetta relatività di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Bernard avrebbe potuto dirle cosa cercava, anziché costringerla a scoprirlo da sola. Tanto lo avrebbe dimenticato subito, e il suo segreto sarebbe stato al sicuro. Che fare?

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Pagina 338

Irène e Marie entrarono in una brasserie, uguale a tante altre. Irène ordinò un cappuccino e Marie un croissant con un tè e due fettine di limone. Il cameriere gliele portò in un piattino, con uno stuzzicadenti per prenderle senza sporcarsi le dita. Marie ne schiacciò una nel tè e infilò lo stuzzicadenti in mezzo alla seconda.

"Bene. Sei di nuovo un piccolo microbo, microscopico, piatto, eccetera eccetera. Tutto come prima, però stavolta non vivi più su una linea retta, bensì sulla superficie di questa fettina. È tutto il tuo mondo, il tuo cosmo, il tuo universo. Decidi di misurarne la circonferenza. Come fai?"

"Non ho voglia di riflettere, Marie..."

"Certo che a scuola dovevi andare proprio male! Be', in ogni caso puoi scegliere. O prendi un righello, piattissimo, minuscolo, ridicolo, lo appoggi sul bordo per un certo numero di volte e trovi un certo valore C. Oppure ti limiti a misurare il raggio. La distanza fra il bordo e il centro..."

"Lo so, lo so."

"Poiché il microbo, a differenza di te, si è impegnato a scuola, sa che la circonferenza di un cerchio è uguale al raggio motiplicato per due, moltiplicato per π, ovvero 3,1416. Applica questa formula e trova di nuovo C. Da quella cattivona che sono, decido di far ruotare la fettina su se stessa, intorno allo stuzzicadenti (come un vecchio 33 giri su un vecchio piatto). La velocità a cui ruota è costante, è sempre la stessa. Il microbo sarà soggetto a una certa forza."

"Lo so. La forza centrifuga."

"Esatto. Un oggetto appoggiato su un disco in rotazione sarà proiettato verso l'esterno. Più vai verso il bordo della fettina, più questa forza si farà sentire. In mezzo, è pari a zero. Il microbo che vaga sul suo disco si trova esattamente nella stessa situazione di una navicella spaziale in viaggio fra la Terra e la Luna. È soggetto a un campo di forze, come la navicella a quello della gravitazione terrestre. Possiamo senz'altro accostare i due campi, e considerare che quello che agisce sul disco è un campo gravitazionale un po' speciale, in cui la forza di attrazione aumenta con la distanza anziché diminuire. Adesso, cara formichina, ti chiedo di rimisurare la circonferenza della fetta. Riprendi il righello, lo appoggi per un certo numero di volte sul bordo del disco e trovi C. Per te è tutto okay. Per me non va affatto bene. Sono immobile rispetto a te e ti vedo girare. Sei trascinata dal movimento della rondella e, ogni volta che appoggi il righello, è come se stessi misurando la lunghezza di un treno in moto rettilineo uniforme. In base alla relatività ristretta, il tuo righello si è accorciato rispetto al mio. Devi aumentare il numero di misure rispetto a quando il disco era fermo, e il valore della circonferenza sarà dunque superiore a C... Il che mi pone un grossissimo problema: ne consegue infatti che non sarà più uguale al valore del raggio moltiplicato per due volte π. È stata appena infranta una delle leggi fondamentali della geometria."

Marie chiamò il cameriere e gli chiese un mezzo limone. Il ragazzo nicchiò, ma lei gli promise una mancia e ottenne ciò che voleva. Capovolse sul piatto il mezzo limone, con la parte posteriore rivolta verso l'alto.

"A meno che il tuo disco, ora, non assomigli a questo."

"Un limone?"

"Una semisfera. I postulati, gli assiomi e le regole della geometria che impari a scuola, quella di Euclide, non sono validi dappertutto. Affermano per esempio che la somma degli angoli dei vertici di un triangolo è sempre di 180°. Ci assicurano inoltre che il percorso più breve per andare da un punto a un altro è una linea retta, e che la circonferenza di un cerchio è sempre pari a due volte il suo raggio per π. Posso tracciare su questo tavolo tutti i triangoli, i cerchi e le linee fra due punti che voglio: funzionerà sempre. In compenso, se faccio lo stesso sulla scorza del limone, non andrà più bene. La somma degli angoli di un triangolo disegnato su una semisfera non è pari a 180°. In maniera analoga, il percorso più breve per andare da un punto a un altro non è una linea, ma una curva, un arco di cerchio che definiamo geodetica. Non dimenticare che la superficie del limone è bombata... Le regole della geometria classica qui non funzionano più. Supponiamo adesso che il microbo vada a spasso su questo mezzo limone. È convinto di essere ancora sulla fettina piatta e decide di ricalcolarne la circonferenza: userà la formula euclidea e misurerà quello che ritiene essere il raggio del disco, la distanza fra il vertice del limone e il bordo. Non è più una bella linea retta, come prima, bensì un arco di cerchio. La formula non è più valida e, se il microbo la applica, il risultato sarà una circonferenza superiore a C. Come nel disco in rotazione. La geometria tradizionale qui non funziona più e il microbo dovrà adottarne una specifica, quella delle sfere e degli spazi curvi. È come se il campo di gravitazione creato dalla rotazione della fettina lo avesse deformato, bombato. Il tempo è a sua volta influenzato da questo campo. Se il microbo disponesse di tanti piccoli orologi lungo il raggio del disco, non segnerebbero la stessa ora. Sono tutti in movimento, a una velocità che varia in funzione della loro posizione. Più sono vicini al bordo, più vanno in fretta. La relatività ristretta ha stabilito che più un oggetto è rapido, più il suo tempo rallenta. Un campo gravitazionale modifica la struttura e la geometria dello spazio-tempo. Prendi un grosso foglio di gomma e mettici sopra una palla di acciaio: il foglio s'incurverà sotto il suo peso. Puoi aggiungere molte altre palle, di tutte le dimensioni: deformeranno completamente la superficie, che risulterà piena di cavità e protuberanze. A questo punto lancia una pallina sul foglio. Sarà come se fosse sulle montagne russe: salirà, scenderà, girerà intorno alle palle più grandi. In sostanza, è ciò che accade nell'universo. Le masse come i pianeti, le stelle, le galassie piegano, curvano e deformano lo spazio-tempo. I corpi che si muovono all'interno non lo fanno in linea retta, ma seguono le geodetiche, le vie più brevi per andare da un punto all'altro in uno spazio curvo. È per questo che, in un campo gravitazionale, la traiettoria della luce non è diritta. Asseconda e segue le rotondità dello spazio-tempo. Lo stesso vale per i pianeti del sistema solare. Si muovono nelle quattro direzioni dello spazio e la loro orbita apparente è un'ellisse. In realtà, seguono anche loro le geodetiche."

"Ma allora è questa la relatività?"

"Più o meno. È una nuova teoria della gravitazione. Quella di Newton è più pratica e più semplice, ma a volte capita che i fisici debbano chiedere aiuto alla relatività. Il suo apparato matematico – le equazioni che collegano la geometria, la forma dello spazio-tempo a quattro dimensioni alle masse – è molto oneroso. Einstein non conosceva la geometria degli spazi curvi e aveva chiamato in soccorso l'amico matematico Marcel Grossmann: 'Grossmann! Aiutami o impazzisco!'..."

"Non ti ricorda niente?"

"Bernard non è Einstein, Irène..."


Albert Einstein mise la parola fine alla teoria della relatività in un articolo pubblicato nel 1916. Il fisico olandese Willem de Sitter ne fece una copia e la spedì alla Royal Society. Finì sulla scrivania del segretario, l'astronomo Arthur Stanley Eddington, incaricato di leggere tutti i documenti inviati all'istituzione. Costui si rimboccò le maniche, decifrò il complesso linguaggio della relatività e se ne innamorò alla follia. Celibe, era stato dichiarato idoneo per la guerra ma, pacifista convinto, stava seriamente pensando di disertare, a costo di rovinarsi la carriera. Il suo superiore, Frank Dyson, gli evitò il disastro e le armi con un fantastico sotterfugio: fece in modo che Eddington, anziché essere spedito in un campo di lavoro per disertori, fosse condannato ad andare a osservare un'eclissi di Sole in una località remota! Secondo la teoria di Einstein, la luce avrebbe dovuto essere deviata in prossimità del Sole. I raggi provenienti da una stella avrebbero dovuto formare un piccolo uncino nelle vicinanze dell'astro, come se girassero intorno a un ostacolo. C'era un solo modo per verificare questa previsione: un'eclissi. Il Sole, coperto dal disco della Luna, spariva dal cielo per un brevissimo lasso di tempo, lasciando intravedere le stelle. Grazie alle fotografie scattate in quel preciso istante, gli astronomi avrebbero potuto verificare se la luce da loro emessa fosse deviata.

Un'eclissi di Sole, visibile dall'isola di Principe, nel golfo di Guinea, era attesa per il 29 maggio 1919. La guerra finì in tempo ed Eddington si mise in marcia. Pioggia, nuvole... il giorno X il tempo era pessimo. L'inglese aveva voglia di piangere. Poi, all'improvviso, proprio nel momento in cui l'eclissi era totale, ci fu una schiarita. Si affrettò a scattare le fotografie tanto attese, solo una manciata, che analizzò febbrilmente durante il viaggio di ritorno: Einstein aveva ragione...

Oggi molti dubitano dell'autentico valore delle fotografie di Eddington; sembra che, a differenza di quanto riportato negli annali di storia, la deviazione non sia stata né così evidente né così conforme alle previsioni di Einstein. Resta il fatto che, non appena seppe la notizia, Einstein ne fu così entusiasta da dimenticarsi di lavorare per tre giorni. Spedì subito un telegramma alla madre, ricoverata nella quiete di un sanatorio svizzero. Una studentessa gli chiese come avrebbe reagito se l'esperimento avesse dato esito negativo, e lui rispose altezzoso: "Il buon Dio mi avrebbe fatto pena; la teoria è corretta".

Il 6 novembre 1919, nel corso di una solenne riunione alla Royal Society, Frank Dyson comunicò, sotto il ritratto di Newton, la notizia al resto del mondo. Dall'oggi al domani, Albert Einstein divenne una star. Aveva visto il mondo e ne aveva colto i segreti. Era l'Iniziato, l'uomo a cui l'universo si era finalmente degnato di parlare dopo oltre cent'anni di silenzio. Solo pochissimi erano in grado di capire la sua complicatissima teoria, ma pazienza: aveva ritrovato il cosmo. Tutti se lo contendevano: il pubblico, i media, le istituzioni scientifiche, politiche, sociali o caritatevoli. Tutti volevano ascoltare, vedere, sentire il nuovo Profeta. Il genio aveva numerosi ruoli, che interpretava a seconda delle necessità: ricercatore, amministratore, membro eminente e portavoce del mondo scientifico tedesco, professore, conferenziere, militante pacifista eccetera. Parigi, Giappone, Brasile, Stati Uniti... andò a predicare la buona novella ai quattro angoli del mondo, incontrò il fior fiore degli intellettuali e degli scienziati, fu ricevuto da re e presidenti. Nel corso di un viaggio in Giappone seppe di aver ricevuto il premio Nobel 1921. Era stato insignito non per la teoria della relatività, ma per un altro lavoro (pubblicato anch'esso nel 1905), in cui aveva dimostrato che la luce si comportava sia come un'onda sia come una particella.

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Pagina 358

"Conosci la storia, vero?" riprese Marie. "No? Allora ascolta. All'esordio, all'inizio, all'origine, come preferisci tu, è successo qualcosa. Un evento capitale, detto 'big bang', che alcuni immaginano ancora come una grossa esplosione... partorita da un topolino. L'universo intero stava su una particella grande come un'unghia. Densissimo e caldissimo, ha cominciato a crescere, crescere, crescere... Con l'inizio della sua espansione, ha preso a raffreddarsi a mano a mano che si allargava. Sono apparse le prime particelle, che si sono aggregate per formare protoni e neutroni. I quali a loro volta si sono agglutinati gli uni con gli altri e hanno costituito i primi atomi e molecole, di elio e di idrogeno. Trecentomila anni dopo l'universo, abbastanza freddo e diluito per consentire alla luce di allontanarsi, di separarsi dalla materia, è diventato trasparente. Circa un miliardo di anni dopo il big bang, hanno cominciato a formarsi le galassie. Hanno raccolto l'elio e l'idrogeno e li hanno riuniti in enormi sfere, le stelle, le quali hanno prodotto il resto degli atomi della materia in quella specie di fornace nucleare che è il loro cuore, disperdendoli poi nello spazio. In seguito sono nati i pianeti, nonché l'ultimo prodotto dell'universo, per il momento il più complicato: la vita. Fra oggi e l'attimo della nascita del mondo, sono trascorsi quasi quindici miliardi di anni. Ti piace come idea?"

"Sì, certo", affermò Irène, che tuttavia era molto meno convinta di quanto volesse far apparire.

"Non c'è nulla che ti disturba?"

"Direi di no... Ah, sì! Cosa c'era prima? Prima dell'universo, intendo dire...?"

"Non esiste un prima."

"Come?"

"Il tempo, lo spazio-tempo e nato con esso. Prima, non c'era tempo. Né passato, né futuro, né presente."

"Non c'era niente? È uscito dal niente? Com'è possibile?"

"Raccontato così come ho fatto io, il big bang è una teoria da preti. Assomiglia come una goccia d'acqua alla Genesi. Una creazione ex nihilo, a partire dal niente. È difficile immaginarla senza Dio, vero?"

"Dev'esserci un modo per spiegarla..."

"Non contare sulla scienza, non è un problema suo. Le equazioni di Einstein e la fuga delle galassie dicono che l'universo è in espansione. Ciò significa che, più si risale indietro nel tempo, più le galassie dovevano essere vicine, più la materia doveva essere compatta e più l'universo doveva essere denso e caldo. È un viaggio a ritroso nel tempo, nel corso del quale l'universo diventa sempre più piccolo, la materia sempre più compressa e il calore sempre più intenso. A un certo punto l'universo e la materia sono in condizioni tali da invalidare la teoria della relatività. Essa non può più dirci a cosa assomiglia. A questo punto entra in gioco la fisica quantistica, la teoria che descrive il comportamento dell'infinitamente piccolo (particelle e affini). Ma anch'essa, almeno per il momento, non è in grado di dirci cosa succedeva, a cosa assomigliava il mondo prima di quel momento."

"Quale momento?"

"Se c'è stato un inizio, un tempo zero, possiamo collocarlo a 10^-43 secondi dopo. Ovvero dieci milioni di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo dopo il big bang. Prima di allora, le equazioni sono mute. Esiste un muro, detto di Planck, che ci nasconde ciò che c'era prima. Le caratteristiche dell'universo in quella fase sono un grosso punto interrogativo. Il tempo zero, il momento in cui si ritiene che sia cominciato tutto, esiste soltanto per i fisici. È un orizzonte irraggiungibile. Tutto ciò che può essere successo prima non li riguarda, si occupano solo del seguito. Non sanno neppure se si possa parlare di tempo prima del muro di Planck. La fisica di quell'universo è ancora tutta da creare. Del resto, non abbiamo elementi per affermare che sia sorto dal niente. Puoi credere che il nostro universo provenga da un altro mondo, e allora il big bang sarebbe una specie di parto. Puoi credere altresì che non sia altro che la parte emersa di un universo ancora più vasto, un piccolo continente di un'altra Terra. Puoi inventare un sacco di cose."

"Sì, è meglio", disse Irène, facendo un grande sforzo di concentrazione. "Ma se l'universo degli inizi era piccolissimo, poi ha cominciato a espandersi..."

"Vuoi sapere in cosa si è ingrandito, giusto?"

"Giusto."

"In se stesso. Non si è ingrandito in niente, perché è il tutto. Lui è lo spazio."

"Ho un po' mal di testa."

"Non preoccuparti, ce l'ho anch'io. L'espansione è una dilatazione dello spazio-tempo, l'universo non è una torta che lievita in forno o in una scatola da scarpe. Non c'è contenitore, perché esso stesso lo è. Lascia perdere... Il big bang, in effetti, non è altro che un bel pacchetto di equazioni. Un modello che tenta di descrivere in modo matematico l'evoluzione del mondo. Il big bang stesso non è un evento, ma una singolarità: il momento in cui, facendo il conto a ritroso, l'universo diventa infinitamente denso, infinitamente piccolo, infinitamente energetico e completamente indescrivibile dalle equazioni."

"Ci rinuncio."

"È una storiella che, nei dettagli, fa acqua da tutte le parti. Immagina che ti portino una bella torta al cioccolato. Ti danno il forno e tutti gli ingredienti necessari: uova, farina, cioccolato e burro. Ti chiedono di farne una identica, ma senza ricetta. Lo stesso vale per le galassie, la vita, le stelle. Abbiamo gli ingredienti e il forno, ma non le istruzioni. Non sappiamo con precisione come tutto ciò sia apparso. In questo stesso momento centinaia di persone si stanno cimentando con la torta, ottenendo dei grandi impasti."

"E non funziona?"

"Sì, ma con alcune falle. È possibile tuttavia che siamo in procinto di cambiare il mondo."

"Di nuovo!"

"Eh, sì. A causa dell'Uno. Il mito, il sogno, il Graal dei fisici. Se c'è qualcosa che li mette ko, è la diversità. Non so se lo hai notato ma, da quando esistono, fanno di tutto per ridurre il funzionamento del mondo a una sola e unica teoria. Newton ha unificato il cielo e la Terra, offrendo un'identica spiegazione a fenomeni diversi come il movimento degli astri, la caduta dei gravi o le maree. Una forza, la gravitazione, è responsabile di tutto. Maxwell ha riunito in un solo fascio il magnetismo e l'elettricità, fondendoli nell'elettromagnetismo. Einstein non ha tollerato che il principio di relatività fosse valido per gli uni e non per gli altri: ha quindi unito lo spazio e il tempo dando vita a una singola entità, lo spazio-tempo. Ha dimostrato che l'energia e la massa non erano che due facce della stessa medaglia. Aveva la capacità e gli strumenti per cancellare le differenze, per abbattere le barriere con la stessa facilità che cui gli altri le innalzano. Rompeva i cassetti, strappava via le etichette, disintegrava le categorie. Conciliava gli opposti e fondeva gli estremi. Dopo il suo passaggio, non si sa più bene come stiano le cose..."

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"Temo che tu non abbia capito bene, Marie. Non c'è nulla di normale in questa vicenda. Nulla. Dracula, Frankenstein, l'uomo invisibile, il mostro di Loch Ness, Alien, l'Uomo Ragno e il diavolo stesso erano dei pivellini in confronto ai tuoi mostri matematici! L'astrologia, la magia, la pietra filosofale... uno scherzetto, in confronto a E = MC^2! Nessun fantasma, neppure i peggiori, i più folli, i più cattivi del mondo di Léo, arriverà mai a lambire i campi, le corde o la ventesima dimensione! Non ho mai sentito parlare di una stupidaggine analoga allo spazio-tempo! Io non conosco niente che cresca in niente! Nessun veggente avrà mai gli occhi di Einstein! Allora basta! Un mondo in più o in meno, un ennesimo giro di cavatappi in un senso o nell'altro! Dobbiamo trovarli, Marie, dobbiamo assolutamente trovarli. Bernard porterà l'Orso con sé."

"Cosa?"

"Grossmann! Aiutami o impazzisco!" quasi urlò Irène.

"Se il mondo è matematico, soltanto l'Orso può decifrarlo!"

Ci fu un breve attimo d'incertezza. Marie accusò il colpo, ma era ancora incerta se crederle oppure no.

"Ti prego, Marie", la supplicò Irène. "Dobbiamo ritrovarlo prima... prima che..."

L'amica si scosse all'improvviso. Il suo viso si ricoprì di macchie rosse e, con grande sollievo di Irène, la Fiamma della Tempesta di Marie ricominciò a danzarle negli occhi. Infatti tuonò:

"Se gli torce un solo capello, questa volta è davvero nei guai. Hai un'idea di dove possano essere?"

"No."

"Che cosa ti ha detto Léo?"

"Niente, niente..."

Irène, con la testa fra le mani, cercava di concentrarsi. Léo sapeva sin dall'inizio che lei sarebbe andata lì. Era per questo che aveva appoggiato il libro accanto all'orribile cieco. La soluzione era alla Losca. Marie cominciò a camminare in lungo e in largo nel salotto, più dura, decisa e appassionata che mai.

"Ricominciamo da capo. Se hai visto giusto, Bernard sta per morire. Deve restare morto il tempo necessario ad andare... ad andare dove hai detto tu, e poi i Veggenti lo risveglieranno. Serve del materiale per questo... sai, gli apparecchi nelle sale di rianimazione: elettrocardiogramma, encefalogramma eccetera. Dovranno far sì che vada tutto bene e bisognerà rimettere il suo cuore in pista. Sono di sicuro in un ospedale. O in una clinica."

Irène si era sforzata di ricordare. Il giorno di La Losca. La fattoria del Lincolnshire. Il sanguinaccio che avevano mangiato. Le candele. L'albero gravitazionale. La madre di Léo. I fantasmi. I libri. Il tronco. L'odore delle mele. Le mele. La legge. Newton. L'alchimia. Newton. La forza. Newton. Pantocrator. Lo Spiritus Mundi. Pantocrator... Pantocrator!

Si precipitò verso il telefono gridando:

"L'Hòtel-Dieu, Marie! L'Hòtel-Dieu! Sono da lui!"

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