Copertina
Autore Andrew Hsiao
Titolo Il libro del dissenso
EdizioneFandango, Roma, 2011 , pag. 504, cop.fle., dim. 13,6x20,5x2,6 cm , Isbn 978-88-6044-247-5
OriginaleThe Verso Book of Dissent [2010]
CuratoreAndrew Hsiao, Andrea Lim
PrefazioneTariq Ali
TraduttoreChiara Piovan, Francesco Peri
LettoreGiorgia Pezzali, 2012
Classe movimenti , politica , biografie , storia sociale , storia criminale
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Indice


Il libro del dissenso                         3


Elogio del dissenso
Postfazione di Tariq Ali                    453

Fonti                                       461

Indice dei nomi                             489

Ringraziamenti                              501



 

 

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Pagina 27

MARTIN LUTERO 1517


Discussione del dottor Martin Lutero
sul potere e l'efficacia delle indulgenze



28. È sicuro che con il tintinnio della moneta nella cassetta possono crescere i guadagni e l'avidità, mentre il suffragio della Chiesa riposa sulla decisione solo di Dio.

45. Ai cristiani bisogna insegnare che chi vede un bisognoso e, trascuratolo, spende per acquistare le indulgenze, si compra non le indulgenze del Papa, ma l'indignazione di Dio.


Scritte per condannare la vendita delle indulgenze della Chiesa cattolica, le Novantacinque Tesi del sacerdote e teologo tedesco Martin Lutero si diffusero rapidamente in tutta Europa e rappresentarono una delle scintille all'origine della Riforma protestante.

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Pagina 46

TUPA AMARU II 1781


Ultime parole al generale José Antonio de Areche

Qui non ci sono complici all'infuori di te e di me. Tu sei l'oppressore e io il liberatore. Entrambi meritiamo di morire.


Tupa Amaru II fu un capo Quechua, nipote di Tupa Amaru, ultimo membro della famiglia reale Inca. Condusse la leggendaria insurrezione dei nativi contro il dominio spagnolo in Perù.

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Pagina 46

TUPAC KATARI 1781


Ultime parole

Voi mi uccidete adesso, ma tornerò, e allora sarò milioni.


Il leader degli indigeni aymara mise insieme un'armata di 40.000 uomini e tenne sotto assedio La Paz in Bolivia per 184 giorni combattendo contro i colonialisti spagnoli. Fu tradito, catturato e squartato; oggi è diventato un'icona della lotta degli indigeni in Bolivia.

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Pagina 64

SIMÓN BOLÍVAR 1813


Siamo qui per portare gli spagnoli alla rovina, per proteggere gli americani e per ristabilire i governi repubblicani che un tempo formavano la Confederazione del Venezuela.

Gli stati che abbiamo difeso con le nostre armi sono di nuovo governati con le precedenti costituzioni e tribunali, e godono di piena libertà e indipendenza, poiché il nostro compito è solamente quello di rompere le catene della schiavitù che ancora intrappola alcune delle nostre città, e non quello di imporre leggi o esercitare atti di dominio a cui pure le regole della guerra potrebbero autorizzarci.

Ci siamo commossi di fronte alle vostre sventure, e non abbiamo potuto rimanere indifferenti alle afflizioni a cui i barbari spagnoli vi hanno sottoposto, alle violenze, ai saccheggi, alla morte e alla distruzione.

Hanno violato i sacri diritti delle nazioni. Hanno rotto gli accordi e i trattati più solenni. Hanno compiuto ogni genere di crimine, riducendo la Repubblica del Venezuela alla più spaventosa desolazione. La giustizia dunque reclama vendetta ed è giunto il momento di riscuoterla. Che i mostri che infestano il suolo colombiano, che lo hanno inzuppato di sangue, siano scacciati per sempre; possa la loro punizione essere pari all'enormità della loro perfidia, così che possiamo sradicare la macchia della nostra ignominia e dimostrare alle nazioni del mondo che i figli dell'America non possono essere impunemente offesi.

Nonostante il giusto risentimento che proviamo nei confronti degli spagnoli e della loro slealtà, il nostro cuore magnanimo ci comanda di proporre loro per l'ultima volta un percorso di riconciliazione e amicizia; li invitiamo a vivere pacificamente tra noi, a patto che abiurino i loro crimini, cambino onestamente le proprie abitudini e sappiano cooperare per la rovina del governo spagnolo che continua a intromettersi, per ristabilire la Repubblica del Venezuela.

[...]

Spagnoli, abitanti delle isole Canarie, morirete, anche rimanendo neutrali, a meno che non sposiate attivamente la causa della liberazione americana. Americani, voi invece continuerete a vivere, anche qualora foste già passati a miglior vita.


Conosciuto in tutta l'America Latina come El Libertador, Simón Bolívar condusse all'indipendenza dalla Spagna la Bolivia, la Colombia, l'Ecuador, Panama e il Perù, oltre al Venezuela in cui era nato. La sua controparte nel sud dell'America Latina, José de San Martin, sconfisse con successo le forze realiste in Cile con la sua armata delle Ande. Un anno dopo la dichiarazione d'indipendenza del Perù, nel 1821, Bolívar assunse la leadership della campagna d'indipendenza e San Martin si ritirò dalla vita politica.

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Pagina 80

SARAH GRIMKÉ 1838


Lettere sull'uguaglianza dei sessi



Durante la prima parte della mia vita, ho dovuto condividere il destino delle farfalle della società alla moda; e su questa classe di donne devo dire, sia per esperienza personale sia per averle osservate, che la loro istruzione è penosamente inadeguata; che viene insegnato loro che il matrimonio è l'unica cosa indispensabile, l'unica via per distinguersi; attirare l'attenzione ed essere notate dagli uomini, grazie al proprio fascino esteriore, è quindi l'occupazione principale delle ragazze alla moda.

[...]

C'è poi un'altra classe molto più numerosa in questo paese, composta da donne che per educazione o circostanza restano escluse dai circoli dei divertimenti alla moda, ma che sono state educate con l'idea pericolosa e assurda che il matrimonio sia una specie di promozione; e che occuparsi della casa del marito e accudirlo sia il fine ultimo della loro esistenza. Molto di ciò che questo tipo di donna fa e dice e pensa dipende da questa situazione e il matrimonio è spesso presentato alle ragazze come una conditio indispensabile per la felicità e l'esistenza umana.

[...]

C'è un'altra classe di donne in questo paese, che non posso nominare senza provare dolore e la più profonda vergogna. Alludo alle nostre donne schiave. Le nostre città del sud sono sopraffatte da un'ondata di corruzione morale; la virtù delle schiave è completamente alla mercé di tiranni incoscienti e queste donne vengono condotte e vendute nei nostri mercati di schiavi per gratificare la lussuria brutale di quanti, pure, continuano a definirsi cristiani.

[...]

Come può una donna americana assistere a queste scene di sconvolgente e brutale promiscuità e congiungere le mani indifferente, dicendo: "Non ho nulla a che fare con la schiavitù"? Non può, senza diventare lei stessa colpevole.

[...]

I nostri fratelli possono rifiutare la mia dottrina, perché contraria alla comune opinione, e perché ferisce il loro orgoglio; ma io credo che anch'essi "beneficerebbero del servizio" risultante dall'Uguaglianza dei sessi e scoprirebbero che quella donna, loro uguale, vale incredibilmente di più di una donna da considerare inferiore, sia come essere morale che intellettuale.


Nata in una famiglia di ricchi proprietari di schiavi, Sarah Grimké fu, insieme alla sorella Angelina, una convinta abolizionista e un'attivista per i diritti femminili.

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Pagina 83

PIERRE-JOSEPH PROUDHON 1840


Che cos'è la proprietà?

Se dovessi rispondere alla seguente domanda: Che cos la schiavitù? e rispondessi con una sola parola: È un assassinio, il mio pensiero sarebbe subito compreso. Non avrei bisogno d'un lungo discorso per dimostrare che il potere di privare un uomo del pensiero, della volontà, della personalità, è un potere di vita e di morte, e che rendere schiavo un uomo significa assassinarlo. Perché dunque a quest'altra domanda: Che cos'è la proprietà? non posso rispondere allo stesso modo: È un furto senza avere la certezza di non essere compreso, benché questa seconda proposizione non sia che una trasformazione della prima?


Il rivoluzionario francese Pierre-Joseph Proudhon fu il primo a definirsi "anarchico" In Che cos'è la proprietà definiva l'anarchia come "l'assenza di un capo, di un sovrano". Stampatore e in seguito parlamentare, amico e poi avversario di Marx, partecipò alla rivoluzione del 1848 in Francia.

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Pagina 86

KARL MARX E FRIEDRICH ENGELS 1844


Manifesto del partito comunista


Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa – il papa e lo zar, Metternich e Guizot, i radicali francesi e i poliziotti tedeschi – si sono unite nella santa, spietata caccia a questo spettro.

[...]

La storia di ogni società esistita sinora è la storia di lotte di classi.

Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri di corporazione e garzoni, in breve, oppressori e oppressi sono sempre stati in conflitto tra loro, hanno sostenuto una lotta incessante, a volte occulta, a volte palese, una lotta che si è sempre conclusa o con una trasformazione rivoluzionaria dell'intera società o con la comune rovina delle classi in lotta.

Nelle prime epoche della storia troviamo quasi dovunque una completa divisione della società in caste diverse, una varia e minuta gradazione delle posizioni sociali. Nell'antica Roma incontriamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba e, in quasi ognuna di queste classi, ulteriori particolari gradazioni.

La moderna società borghese, scaturita dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i conflitti fra le classi. Essa ha solo posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta al posto di quelle antiche.

La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si caratterizza tuttavia per il fatto che essa ha semplificato i conflitti fra le classi. Sempre più l'intera società si va scindendo in due grandi campi avversi, in due grandi classi direttamente contrapposte: borghesia e proletariato.

[...]

Ognuna di queste fasi di sviluppo della borghesia fu accompagnata da un corrispondente progresso politico di questa classe. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, associazione armata e autonoma nel Comune, qui repubblica cittadina autonoma come in Italia e in Germania, là terzo stato con obblighi fiscali sotto la monarchia come in Francia, poi, al tempo della manifattura, sia contrappeso alla nobiltà nella monarchia assoluta sia in quella con poteri limitati, principale fondamento della grande monarchia in genere, la borghesia si è infine conquistata, con l'affermazione della grande industria e del mercato mondiale, un dominio politico esclusivo nel quadro del moderno Stato rappresentativo. Il potere politico dello Stato moderno è soltanto un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.

[...]

Tutte le classi che finora si impadronirono del potere cercarono di consolidare le posizioni acquisite sottomettendo l'intera società alle condizioni del loro modo di appropriazione. I proletari, invece, possono impadronirsi delle forze sociali produttive solo abolendo il modo della loro appropriazione finora vigente, e quindi tutto il precedente sistema di appropriazione. I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare, essi hanno invece da distruggere tutte le sicurezze private e tutte le private garanzie finora esistite.

Sino a ora, tutti i movimenti sono stati movimenti di minoranze o nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il movimento indipendente della stragrande maggioranza nell'interesse della stragrande maggioranza. Il proletariato, che è lo strato più basso dell'attuale società, non può sollevarsi, non può insorgere senza che vengano fatti saltare in aria tutti i sovrapposti strati che formano la società ufficiale.

[...]

La condizione più essenziale per l'esistenza e il dominio della classe borghese è l'accumulazione della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e l'aumento del capitale: condizione del capitale è il lavoro salariato. Quest'ultimo poggia esclusivamente sulla concorrenza tra gli operai. Il progresso dell'industria, di cui la borghesia è l'agente involontario e passivo, sostituisce all'isolamento degli operai, dovuto alla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria mediante l'associazione. Lo sviluppo della grande industria toglie quindi di sotto i piedi della borghesia il terreno sul quale essa produce e si appropria dei prodotti. Prima di ogni altra cosa essa produce i suoi becchini. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono egualmente inevitabili.

[...]

I comunisti lottano per realizzare gli obiettivi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento attuale rappresentano allo stesso tempo il futuro del movimento stesso.

[...]

I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro obiettivi possono essere raggiunti solo con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale sinora esistito. Tremino le classi dominanti dinanzi a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere tranne le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare.


Karl Marx aveva trent'anni ed Engels ventotto quando collaborarono alla stesura del Manifesto del Partito Comunista, pubblicato dalla Lega dei comunisti a Londra poco prima che scoppiassero le rivoluzioni del 1848. Nonostante in giovinezza fosse stato espulso dall'università di Bonn per lo scarso rendimento, Marx sarebbe poi diventato corrispondente a Londra per il New York Tribune, un membro del consiglio della Prima Internazionale e il fondatore della Nuova gazzetta renana a Colonia, pubblicazione soppressa dopo un breve periodo. Marx fu quindi costretto all'esilio.

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Pagina 95

FREDERICK DOUGLASS 1852


"Il significato del 4 luglio per il nero"


Che cos'è per lo schiavo americano il 4 di luglio? Io rispondo: un giorno che gli rivela, più di tutti gli altri giorni dell'anno, la rozza ingiustizia e la crudeltà di cui è continuamente vittima. Per lui, la vostra festa è una mistificazione; la libertà di cui vi vantate, un arbitrio profano; la vostra grandezza nazionale, solo gonfia vanità; le vostre grida di gioia risuonano per lui vuote e senza cuore; le vostre denunce contro i tiranni sono sfacciata impudenza; le vostre grida di libertà e uguaglianza, beffe senza senso; le vostre preghiere, i vostri inni, i vostri sermoni e ringraziamenti, e tutte le vostre solenni parate religiose, sono, per lui, nient'altro che magniloquenza, frode, inganno, empietà, e ipocrisia — un velo sottile per coprire crimini che getterebbero disonore su una nazione di selvaggi. In questo preciso momento, non c'è una nazione sulla terra colpevole di usanze più sconvolgenti e sanguinose di quanto non sia il popolo di questi Stati Uniti.

Andate ovunque, cercate dove volete, vagate fra tutte le monarchie e i dispotismi del vecchio mondo, viaggiate in Sud America, scovate ogni abuso, e quando li avrete trovati tutti, mettete ciò che avete trovato accanto alle pratiche quotidiane di questa nazione, e converrete con me che in quanto a barbarie disgustosa e vergognosa ipocrisia, l'America regna senza rivali.

[...]


Frederick Douglass divenne famoso come scrittore e oratore quando ancora era uno schiavo; scappato dal suo padrone all'età di vent'anni, aveva scritto Storia della vita di Frederick Douglass prima che i suoi amici inglesi lo aiutassero a comprarsi la libertà. Douglass fece causa comune con le femministe e fu il solo afroamericano a partecipare alla Seneca Falls Convention del 1848. Arrivò a una rottura con il suo primo mentore, William Lloyd Garrison, sulla Costituzione americana: Douglass riteneva, al contrario di Garrison, che il testo del documento fosse contro la schiavitù. Negli anni successivi Douglass ricevette incarichi diplomatici dal governo federale americano, e altri incarichi politici.

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Pagina 102

GIUSEPPE GARIBALDI 1860


Discorso ai compagni d'armi


All'armi tutti! – tutti! e gli oppressori, – i prepotenti sfumeranno come la polvere.

Voi donne, rigettate lontani i codardi: – essi non vi daranno che codardi; – e voi figlie della terra della bellezza volete prole prode e generosa!

Che i paurosi dottrinari se ne vadano a trascinare altrove il loro servilismo, le loro miserie.

Questo popolo è padrone di sé. Egli vuol essere fratello degli altri popoli, ma guardare i protervi colla fronte alta: non rampicarsi, mendicando la sua libertà; – egli non vuol essere a rimorchio d'uomini a cuore di fango. No! no! no!


Giuseppe Garibaldi fu uno dei fautori dell'unificazione italiana; si offrì di comandare le forze dell'Unione durante la Guerra civile americana a patto che Lincoln dichiarasse l'abolizione della schiavitù tra gli obiettivi della guerra (Lincoln rifiutò). Ormai avanti con gli anni, Garibaldi fondò la Lega della Democrazia che rivendicava il suffragio universale, l'emancipazione femminile e l'abolizione della proprietà ecclesiastica.

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Pagina 176

EUGENE DEBS 1918


"Discorso alla giuria"


Quando nella storia si verificano grandi cambiamenti, quando in gioco ci sono i grandi principi, di regola la maggioranza sbaglia. È la minoranza di solito ad avere ragione. Ogni epoca ha avuto poche anime eroiche in anticipo sui tempi, e sono state fraintese, criticate, perseguitate, a volte messe a morte. Solamente molto tempo dopo il loro martirio, sono stati eretti monumenti in loro onore e intrecciate ghirlande per le loro tombe.

[...]

La schiavitù è scomparsa. Ma non siamo ancora liberi. Siamo impegnati oggi in un'altra imponente battaglia. È estesa a tutto il mondo. Segna l'ascesa delle masse dei lavoratori che stanno gradualmente prendendo coscienza dei propri interessi, del proprio potere e della propria missione di classe, che si stanno organizzando industrialmente e politicamente e che, in maniera lenta ma inesorabile, stanno sviluppando quel potere economico e politico che li condurrà alla libertà. Questi lavoratori si stanno destando, sono ancora una minoranza, ma hanno imparato a lavorare insieme per raggiungere la libertà e a essere pazienti e aspettare il loro momento.


Eugene Debs, fondatore dell'American Railway Union (il sindacato dei ferrovieri), leader del Partito socialdemocratico ed eroe popolare della sinistra americana, fu processato per sedizione a causa di un suo discorso pacifista con cui attaccava la coscrizione nell'esercito. Debs si opponeva a "tutte le guerre tranne una; sono a favore di una sola guerra con il cuore e con l'anima ed è la guerra mondiale della rivoluzione socialista". Arrestato e poi condannato a dieci anni di prigione, Debs si candidò ugualmente alla carica di presidente degli Stati Uniti per i socialisti, raccogliendo quasi un milione di voti.

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Pagina 177

GAREGIN PASDERMADJIAN 1918


Perché l'Armenia dovrebbe essere libera


Non manca più molto al giorno in cui, radunati attorno al grande tribunale della giustizia, i rappresentanti di tutte le nazioni del globo – colpevoli o innocenti – riceveranno la loro punizione o ricompensa. [...] Ma attenzione! Nel salone del Congresso di Pace entra una donna anziana, coperta di sangue, vestita di stracci, il viso solcato da rughe vecchie di tremila anni, completamente stremata. Con gli occhi pensosi, la venerabile Madre Armenia scruterà i volti di tutti i presenti, e si rivolgerà così ai potenti del mondo:

"Nel corso dei secoli i miei figli hanno sempre preso parte a tutte le guerre in difesa della giustizia e della libertà dell'umanità sofferente. Tremila anni fa i miei figli hanno combattuto per settecento anni contro il dispotismo di Babilonia e di Ninive, che sono crollate sotto il peso dei loro stessi crimini. Quindici secoli fa gli Armeni hanno resistito per cinquecento anni alle persecuzioni del potente Impero persiano pur di proteggere la loro fede cristiana. Fin dal Settecento i miei figli sono stati l'avamposto della civiltà cristiana in Oriente contro le invasioni musulmane che hanno minacciato per un certo periodo l'esistenza della stessa Europa. [...]

Qui dinanzi a voi sono presenti i rappresentanti delle tre nazioni che hanno cercato di distruggere i miei figli... Prendete questo turco; voleva cancellare il nome dell'Armenia dalla faccia della terra; ma ora che il suo tentativo è stato sventato, se ne sta lì come un criminale ad aspettare la sua sentenza. E dov'è oggi lo zar di Russia, che aveva progettato di occupare l'Armenia senza gli armeni – dov'è il rappresentante di quell'impero di fronte al quale tutto il mondo tremava? E che cosa è rimasto delle politiche dell'Impero tedesco, oggi padrone della ferrovia di Baghdad, che fu costruita al prezzo del sangue di centinaia di migliaia di donne e bambini armeni? Ebbene, questi tre moderni imperi del male, che hanno cercato di ottenere la felicità grazie al sangue dei miei figli, hanno ricevuto la giusta punizione. Questo sarà il destino di chi in futuro tenterà simili crimini contro l'Armenia. Signori, questo è il messaggio che ci hanno lasciato tremila anni di storia. Non ho null'altro da aggiungere. Aspetterò con fiducia il vostro verdetto.


Garegin Pasdermadjian fu membro della Federazione rivoluzionaria armena che combatté per l'indipendenza dell'Armenia dall'Impero ottomano e partecipò alla resistenza del 1914-18. Risale a quegli anni il massacro della popolazione armena: le forze ottomane uccisero tra i 600.000 e il milione e mezzo di uomini.

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Pagina 215

ANTONIO GRAMSCI 1933-1934


"Volontarismo e garibaldinismo"


Le "avanguardie" senza esercito di rincalzo, gli "arditi" senza fanteria e artiglieria, sono anch'esse trasposizioni del linguaggio dell'eroismo retorico; non così le avanguardie e gli arditi come funzioni specializzate di organismi complessi e regolari. Così è della concezione delle élites di intellettuali senza massa, ma non degli intellettuali che si sentono legati organicamente a una massa nazionale-popolare. In realtà, si lotta contro queste degenerazioni di falsi eroismi e di pseudo-aristocrazie, stimolando la formazione di blocchi sociali omogenei e compatti, che esprimono un gruppo di intellettuali, di arditi, un'avanguardia loro propria, che reagiscono nel loro blocco per svilupparlo e non solo per perpetuare il loro dominio zingaresco. La bohème parigina del romanticismo è stata anch'essa alle origini intellettuali di molti modi di pensare odierni che pure pare deridano quei bohémiens.


Fondatore e leader del Partito comunista italiano, Antonio Gramsci fu imprigionato dal governo fascista nel 1926; durante il processo, il pubblico ministero pronunciò la famosa frase: "Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare". Gramsci scrisse dal carcere più di trenta quaderni che avrebbero rivoluzionato il pensiero marxista, in particolare attraverso la teoria dell'egemonia e del ruolo dell'intellettuale organico e attraverso la critica del materialismo. Morì poco dopo il suo rilascio, all'età di quarantasei anni.

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Pagina 305

BETTY FRIEDAN 1963


La mistica della femminilità


C'è un problema che per molti anni è rimasto sepolto, inespresso, nella mente delle donne americane. È una strana inquietudine, un senso di insoddisfazione. Le casalinghe dei quartieri residenziali, ciascuna per conto suo, ne hanno sentito il peso mentre rifacevano i letti, andavano al supermercato, sceglievano fodere copridivano intonate al colore del salotto, mangiavano sandwich al burro d'arachide con i loro bambini, accompagnavano i piccoli boy-scout ai raduni e si coricavano accanto al marito la sera. Avevano paura di formulare la domanda muta che le rodeva: "È davvero tutta qui la vita?". [...] Non è più possibile ignorare la disperazione di un così gran numero di donne americane. Essere donna non può ridursi a questo, anche se certi esperti sostengono il contrario. [...]

Oggi non è più possibile riportare il problema alla mancanza di femminilità: sostenere che l'istruzione e l'indipendenza e la parità con gli uomini hanno reso poco femminili le donne americane. [...]

Il problema che agita oggi la mente di tante donne americane non si riferisce alla perdita della femminilità o a un'eccessiva istruzione. È una questione di gran lunga più importante di quanto si creda. Potrebbe perfino essere la chiave del nostro futuro come nazione e civiltà. Non possiamo più ignorare quella voce interiore che parla nelle donne e dice: "Voglio qualcosa di più del marito, dei figli e della casa".


La mistica della femminilità di Betty Friedan fu il punto di riferimento del femminismo di seconda generazione, che lottava contro i processi di condizionamento sociale e le pressioni che costringevano le donne della media borghesia a sacrificare la loro identità individuale alla struttura famigliare. Cofondatrice dell'Organizzazione nazionale per le donne, Friedan lottò inoltre per il diritto all'aborto.

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Pagina 307

KURT VONNEGUT 1963


Un uomo senza patria


Non c'è motivo per cui il bene non possa trionfare sul male: basterebbe che gli angeli si organizzassero come la mafia.


Nel corso della sua carriera letteraria il romanziere americano Kurt Vonnegut tornò spesso sui temi dell'antiautoritarismo, del libero arbitrio e della tecnologia, riletta in chiave umanistica. Alcuni dei suoi personaggi prendono i loro nomi di Eugene Debs e Lev Trockij.

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Pagina 307

NELSON MANDELA 1964


"Un ideale per cui sono pronto a morire"


Non nego [...] di aver progettato un'azione di sabotaggio. Non l'ho fatto per sconsideratezza, o perché io ami la violenza in qualunque forma. L'ho fatto sulla base di una valutazione ponderata e sobria della situazione politica prodotta da lunghi anni di tirannia, sfruttamento e oppressione inflitti dai bianchi al mio popolo. [...] È un fatto incontestabile: in cinquant'anni di nonviolenza il popolo africano ha guadagnato soltanto leggi sempre più repressive, anzi ha perso uno alla volta quasi tutti i suoi diritti. [...]

Vogliamo gli stessi diritti politici dei bianchi, perché in caso contrario le nostre invalidità si cronicizzeranno. [...] Non è vero che estendere a tutti il diritto di voto porterà al dominio razziale dei neri. La discriminazione politica basata sul colore della pelle è artificiale e arbitraria, e quando sparirà quella sparirà anche il dominio di un gruppo razziale sull'altro. Da mezzo secolo il Congresso nazionale africano lotta contro il razzismo. La vittoria non ci farà cambiare idea.

Il razzismo è il nemico contro cui il Cna combatte. La sua lotta è una lotta autenticamente nazionale. È la lotta del popolo africano, e si nutre delle sue sofferenze e della sua esperienza. La posta in gioco di questa lotta è il diritto di vivere. Ho consacrato tutta la mia vita alla lotta del popolo africano. Ho combattuto la dominazione bianca esattamente come ho combattuto la dominazione nera. Ho coltivato in me l'ideale di una società democratica e libera nella quale tutti sarebbero vissuti fianco a fianco in armonia, godendo delle stesse opportunità. È un ideale al quale voglio consacrare anche il resto della mia esistenza, nella speranza di giungere alla meta. È un ideale per cui sono pronto anche a morire, se necessario.


Nelson Mandela, che ha trascorso quasi trent'anni della sua vita in carcere, pronunciò queste parole in apertura del processo per sabotaggio intentatogli dallo stato. Il Congresso nazionale africano aveva cercato di opporsi all'apartheid con strumenti pacifici fino al Massacro di Sharpeville del 1960, che aveva portato all'uccisione di 69 manifestanti neri. Mandela era a capo del suo braccio armato, Umkhonto we Sizwe (la "Lancia della nazione"), fondata proprio all'indomani dell'incidente.

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Pagina 309

MARIO SAVIO 1964


"Discorso pronunciato al sit-in del
Movimento per la libertà di parola"


Presto o tardi arriva il momento in cui far funzionare la macchina diventa qualcosa di talmente odioso, di così intimamente ripugnante, che non puoi più stare al gioco, neanche in modo passivo. A quel punto non puoi che scagliare il tuo corpo contro gli ingranaggi, contro le ruote, contro le leve, contro l'intero meccanismo, per cercare di fermarlo. E devi far capire alla gente che la controlla, alla gente che la possiede, che la macchina resterà bloccata finché non sarai libero.


Mario Savio, uno dei principali leader del movimento studentesco americano degli anni sessanta, fu uno dei protagonisti del Movimento per la libertà di parola dell'Università della California di Berkeley. Al termine del discorso, pronunciato sulla scalinata della Sprout Hall di fronte a una folla di 4000 persone, venne arrestato insieme a 800 altri studenti e condannato a 120 giorni di carcere.

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Pagina 335

ANDREJ SACHAROV 1968


"Libertà intellettuale"


La libertà intellettuale è indispensabile per la società umana: libertà di procurarsi e distribuire informazioni; libertà di promuovere dibattiti aperti senza timore di rappresaglie; libertà dalle pressioni dell'establishment e dai pregiudizi. Questa triade di libertà di pensiero è la sola garanzia capace di tutelare il popolo dal contagio dei miti di massa, che nelle mani degli ipocriti calcolatori e dei demagoghi possono trasformarsi in una dittatura sanguinaria. Solo la libertà di pensiero rende possibile e garantisce un approccio scientifico e democratico alla politica, all'economia e alla cultura.


Andrej Sacharov divenne celebre in tutto il mondo come dissidente grazie al suo saggio Riflessioni sul progresso, la coesistenza pacifica e la libertà intellettuale, che circolò in forma di samizdat prima di venire pubblicato al di fuori dell'Unione Sovietica. Sacharov sarà uno dei fondatori del Comitato moscovita per i diritti umani, e nel 1975 venne insignito del premio Nobel per la pace. Arrestato per aver protestato contro l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica, venne condannato all'esilio interno e trascorse sei anni sotto stretta sorveglianza. Morì nel 1989, a pochi mesi dall'inizio della dissoluzione dell'Urss.

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Pagina 343

INDIANI D'AMERICA DI TUTTE LE TRIBÙ 1969


Proclama di Alcatraz


Noi sottoscritti, indiani d'America, abitanti indigeni di queste terre, rivendichiamo a nome di tutti gli indiani d'America la proprietà dell'isola di Alcatraz, invocando il diritto che tutela gli scopritori.

È nostra intenzione comportarci in modo retto e onorevole nei confronti della popolazione bianca, e pertanto proponiamo il seguente patto:

compreremo la suddetta isola di Alcatraz al prezzo di ventiquattro (24) dollari da corrispondere in perline di vetro e stoffe rosse, secondo il precedente stabilito dall'uomo bianco con l'acquisto di un'isola analoga trecento anni or sono. Concederemo agli abitanti dell'isola una porzione di terra in cui vivere, gestita per loro conto dal Governo degli indiani d'America e dall'Ufficio per i rapporti con l'uomo bianco, concessione da intendersi come un diritto a perpetuità, finché il sole sorgerà e i fiumi scorreranno verso il mare. Ci riserveremo inoltre di avviare gli abitanti del posto a uno stile di vita più decoroso. Li inizieremo alla nostra religione, alla nostra cultura, ai nostri costumi, e ci sforzeremo così di aiutarli a raggiungere il nostro stesso grado di civiltà, sollevando loro e tutti i loro fratelli bianchi dalla loro miserevole condizione di selvaggi.

Ci sembra che l'isola detta di Alcatraz sia una scelta più che consona per una riserva indiana secondo gli standard definiti dall'uomo bianco. Vogliamo dire con questo che il luogo ricorda la maggior parte delle riserve indiane, nel senso che:

È a mille miglia da ogni servizio moderno e manca di mezzi di trasporto adeguati.

È priva di acqua corrente.

I servizi igienici sono carenti.

Non ci sono concessioni petrolifere o minerarie.

Non ci sono industrie, e quindi il tasso di disoccupazione è stratosferico. [...]

La popolazione è sempre stata tenuta prigioniera e costretta a dipendere da altri.

Ci sembra una cosa giusta e un simbolo eloquente, inoltre, che le navi di tutto il mondo, entrando nel Golden Gate, scorgano per prima cosa una terra indiana: una visione che indurrà a ricordare la vera storia di questo paese. L'isoletta di Alcatraz verrebbe così a simboleggiare le grandi terre che un tempo appartenevano al libero e nobile popolo indiano.


Tra il 1969 e il 1971 gli Indiani di tutte le tribù occuparono l'isola di Alcatraz, annunciando l'intenzione di fondare centri per l'istruzione, l'ecologia e la cultura. Il progetto non venne realizzato, ma l'occupazione riuscì a fare cattiva pubblicità alle politiche del governo volte all'estinzione della cultura indiana. Adottate negli anni quaranta, queste misure avevano per obbiettivo l'assimilazione degli indiani d'America agli standard sociali correnti. Richard Nixon fu costretto ad abrogarle.

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Pagina 349

LE TRE MARIE 1971


"Seconda lettera IV"


E sarà giudicata ingrata la donna che si rifiuta di amare colui che la ama, destinata com'è dalla nascita all'attesa senza nemmeno conquistarsi il diritto alla volontà e alle collere forti che sarebbero subito considerate armi. Quindi saremo accusate di ingratitudine, sembreremo strane e così le nostre guerre selvagge verranno declassate a schermaglie letterarie sebbene abbiano radici più profonde, tessute e cresciute e rafforzate nel nostro prendere maggiore coscienza ed essere vigne parsimoniose per gli uomini.

Defloriamo i miti e abbiamo permesso di essere deflorate. Prendetemi. Prendimi. Si prenda da sola Mariana che scriveva in clausura conquistandosi, così, la sua misura di libertà e realizzazione attraverso la scrittura; donna che scriveva vantandosi di essere femmina mentre era suora, sfidando la legge, le usanze, l'abito che indossava.


Nel 1972 le femministe portoghesi note come le Tre Marie — Maria Velho da Costa, Maria Isabel Barreno e Maria Teresa Horta — vennero arrestate per aver condannato il maschilismo della società portoghese nel libro Nuove lettere portoghesi. La monaca alla quale si allude nell'ultima frase era Mariana Alcoforado, una giovane portoghese costretta a entrare in convento nel XVII secolo che ebbe una relazione con un ufficiale francese. Le Tre Marie si ispirarono al modello delle sue lettere d'amore, le celebri Lettere di una monaca portoghese.

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Pagina 357

SALVADOR ALLENDE 1973


Discorso di addio


Questa è certamente l'ultima occasione che ho per rivolgermi a voi. L'aeronautica ha bombardato le antenne di radio Magallanes. Non c'è amarezza nelle mie parole, solo delusione. Vorrei che fossero un castigo morale per tutti quelli che hanno tradito il loro giuramento. [...] Data la situazione, l'ultima cosa che mi resta da fare è dire ai lavoratori: non darò le dimissioni!

In questo momento di transizione storica pagherò la lealtà del popolo con la mia vita. Vorrei aggiungere che sono certo che i semi che abbiamo piantato nelle coscienze sane di migliaia e migliaia di cileni non resteranno sterili per sempre. I nemici sono potenti e hanno la forza per dominarci, ma né i crimini né la violenza possono fermare i processi sociali. La storia appartiene a noi, ed è il popolo a fare la storia.

Lavoratori di questo paese, del mio paese: voglio ringraziarvi per la vostra lealtà di sempre. [...]

Il popolo deve difendersi, ma non deve sacrificarsi. Il popolo non deve permettere al nemico di distruggerlo, di crivellarlo di colpi, ma non deve neppure cedere all'umiliazione.

Lavoratori del mio paese, io ho fiducia nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento buio e amaro in cui il tradimento si impone con la forza. Non dimenticate che presto o tardi, ma piuttosto prima che poi, verranno nuovamente aperte grandi strade per le quali l'uomo libero transiterà per costruire una società migliore.

Lunga vita al Cile! Lunga vita al popolo! Lunga vita ai lavoratori!


Salvador Allende, il presidente socialista del Cile, pronunciò questo discorso in diretta alla radio dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet, spalleggiato dalla Cia. Sullo sfondo si odono chiaramente spari ed esplosioni. Sarebbe morto nel giro di pochi minuti.

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Pagina 391

WIJI THUKUL 1986


"Monito"


Se la gente se ne torna a casa
Mentre chi governa tiene discorsi
Bisogna stare attenti
Forse hanno perso la speranza.
Se la gente si nasconde
E mormora
Quando discute dei suoi problemi
Chi governa dovrebbe capirlo e imparare ad ascoltare
Se la gente non ha il coraggio di protestare
La situazione è pericolosa
E se non c'è modo di sbugiardare
Le chiacchiere di chi governa
La verità è certamente in pericolo
Quando le proposte vengono respinte
Senza essere state prese in considerazione
Le voci messe a tacere, le critiche proibite senza motivo
Con il pretesto della sovversione e della minaccia alla sicurezza
Resta una sola cosa da fare: contrattaccare!



Wiji Thukul è stato un poeta, conducente di risciò, falegname e sindacalista indonesiano. È scomparso nel 1998, probabilmente rapito e assassinato da forze legate al governo per aver preso parte a manifestazioni antigovernative. Negli anni del regime di Suharto il testo di Monito conobbe una grande popolarità, tanto che l'ultimo verso venne adottato come slogan dal movimento anti-Suharto.

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Pagina 392

EDUARDO GALEANO 1986


Memoria del fuoco


Con due scariche di fucileria gli inglesi si impadroniscono della bandiera che sventola sulla fortezza e strappano l'isola di Manhattan agli olandesi, che l'avevano comprata dagli indiani Delaware per sessanta fiorini.

Rievocando a sessant'anni di distanza l'arrivo degli olandesi, i Delaware dicono: "Il grande uomo voleva solo un fazzoletto di terra per coltivare verdure per la minestra, quanta ne avrebbe coperta una pelle di manzo. Avremmo dovuto capire già allora che parlavano per ingannarci".

Nuova Amsterdam, il principale mercato di schiavi del Nord America, diventava così New York. Wall Street prende il nome da un muro eretto per impedire ai neri di fuggire.


Eduardo Galeano venne arrestato all'indomani del colpo di stato militare che nel 1973 aveva preso il potere in Uruguay, il suo paese natale. Si rifugiò in Argentina, ma quando il suo nome venne inserito nelle famigerate liste nere degli squadroni della morte dopo il colpo di stato del 1976 dovette fuggire di nuovo. La sua opera più celebre, Memoria del fuoco, una storia delle Americhe, fu scritta in esilio. L'intenzione dichiarata del libro era "contribuire al riscatto della memoria sequestrata di tutta l'America, ma soprattutto dell'America Latina, terra disprezzata e adorata", dalle dittature militari, dagli uomini che ne reggevano le fila a Washington e dai tirapiedi che le appoggiavano in patria.

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Pagina 404

WANGARI MAATHAI 1991


"Finché non avrete scavato una buca"


Finché non avrete scavato una buca, non ci avrete piantato un albero, non l'avrete annaffiato e non l'avrete tenuto in vita non avrete combinato un bel nulla: avrete soltanto parlato per dare aria ai denti.


Nel 1977 l'attivista keniota Wangari Maathai ha fondato il movimento Green Belt ("Cintura verde"), un'organizzazione non-profit che lottava per la difesa dell'ambiente e si sforzava di dare nuovi strumenti alle donne delle campagne povere: da allora non ha smesso di impegnarsi per far crescere il movimento. Maathai è stata in prigione per due volte ed è stata malmenata dalla polizia, mentre il governo ha fatto chiudere gli uffici di Green Belt. Nel 2004 è stata insignita del premio Nobel per la pace. È morta nel settembre del 2011.

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Pagina 416

ABDULLAH ÖCALAN 1998


"Riusciremo a diventare uno stato"


Ecco che cosa ci ha insegnato la nostra storia: quando ce ne siamo andati da Ankara siamo diventati un partito; quando ci siamo espansi in Medio Oriente siamo diventati un esercito; quando raggiungeremo il mondo diventeremo uno stato.


Abdullah Öcalan è un rivoluzionario socialista e il fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) attivo in Turchia, il cui obbiettivo è la creazione di uno stato curdo indipendente, e che da quarant'anni è impegnato in una campagna armata contro la Turchia. La Turchia ha risposto con una politica di controinsurrezione che ha fatto terra bruciata nella regione curda. 0calan è stato catturato nel 1999 e condannato a morte. La sentenza è stata più tardi commutata in ergastolo.

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Pagina 417

ANGELA DAVIS 1998


"Razzismo mascherato"


Le prigioni non fanno sparire i problemi, fanno sparire gli esseri umani. E la pratica di far sparire sempre più persone dalle comunità dei poveri, degli immigrati e degli emarginati per motivi razziali si è letteralmente trasformata in un lucroso giro d'affari.


Angela Davis, già militante del Comitato di coordinazione studentesca non violenta, del Partito comunista e delle Pantere nere, è stata tra le altre cose la terza donna della storia a comparire sulla lista dei dieci latitanti più ricercati stilata dall'Fbi, accusata di sequestro di persona, di attività sovversive e dell'omicidio di un giudice (imputazioni che più tardi verranno lasciate cadere). Ha contribuito a fondare Critical Resistance, un'organizzazione animata da comuni cittadini con l'obbiettivo di smantellare il complesso carcerario-industriale e si è candidata per due volte alla vicepresidenza con il Partito comunista americano.

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Pagina 418

AHARON SHABTAI 1999


"Il nuovo ebreo"


Il nuovo ebreo,
Der neue Jude,
Si alza di notte,
Indossa l'uniforme,
Dà un bacio alla moglie e al figlio,
E di lì a due o tre ore distrugge
Un quartiere in un ghetto di Gaza.
Riesce a rincasare
In tempo per il caffè con le brioche.
Sul giornale,
La foto recente di donne e bambini
Che frugano tra mucchi di macerie,
Come galline spaventate,
E impallidiscono in confronto
Al gesto professionale
Di quei pendolari.
Intanto, lassù, un elicottero
Osserva l'umanità inchiodata a terra
Quelli che ridono
Quando li si solletica,
E sanguinano quando
Un cecchino spara,
E nei cieli della memoria –
Pieni di cliché
E giochi di parole –
Disegna una spirale indolente
Mettendo una volta per tutte
L'identità tra parentesi.
Che si tratti di filo spinato
O di un anello di posti di blocco,
L'identità diventa il ghetto
E il ghetto diventa identità



Aharon Shabtai è uno dei principali poeti israeliani di lingua ebraica, nella quale ha tradotto tra le altre cose diverse tragedie greche. Nato a Tel Aviv negli anni del Mandato britannico della Palestina, è da sempre un critico severo delle scelte politiche e delle politiche sociali di Israele.

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Pagina 428

TREVOR NGWANE 2003


"Scintille tra la gente"


Il punto è che dobbiamo costruire dove siamo, sul territorio. Abbiamo organizzato seminari sulla Banca mondiale, sul Fmi, sul Wto, e messo al lavoro persone di talento. Abbiamo avviato strutture per la Campagna contro il neoliberismo in Sudafrica. Alla fine, però, ci siamo dovuti confrontare con le questioni di base, domandarci: tra i problemi che la gente affronta sul terreno, quali sono quelli che ci accomunano di più? Nel Soweto è l'elettricità. In un'altra zona l'acqua. Abbiamo imparato che bisogna organizzare davvero: parlare con la gente, porta a porta, creare legami con le masse. Senza un progetto di fondo, però, non si può costruire. Fin dal primo giorno abbiamo sostenuto che i cali di tensione elettrica erano dovuti alla privatizzazione. La privatizzazione è una conseguenza del piano Gear. Il piano Gear, a sua volta, rispecchia le esigenze del capitale globale, che l'Anc si fa in quattro per imporre. Non possiamo dire di aver vinto questa sfida locale prima di aver vinto la grande sfida globale. Al tempo stesso, però, è mantenendo giorno per giorno il contatto con il problemi della gente, senza mediazioni, che si manda avanti la storia.


Trevor Ngwane, attivista sudafricano, è il fondatore del Forum antiprivatizzazione e dell'organizzazione Soweto Electricity Crisis. Fino al 1999, anno della sua espulsione, è stato membro del Congresso nazionale africano (Anc). L'acronimo Gear sta per "Growth, Employment and Redistribution" (Crescita, occupazione e ridistribuzione), una strategia economica di matrice neoliberista adottata dal governo sudafricano nel 1996 per creare nuovi posti di lavoro e potenziare il Pil grazie a investimenti esteri.

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Pagina 433

HAROLD PINTER 2005


Discorso di accettazione del premio Nobel


Come tutti i presenti sanno, l'invasione dell'Iraq è stata giustificata dandoci a bere che Saddam Hussein disponesse di un devastante arsenale di armi di distruzione di massa, alcune delle quali in grado di entrare in funzione in soli quarantacinque minuti e annientare ogni bersaglio. Ci avevano assicurato che era tutto vero. Di vero non c'era nulla. Ci avevano detto che l'Iraq era in combutta con Al Qaeda e che il suo governo era coinvolto nell'atroce attacco dell'11 settembre 2001 a New York. Ci avevano assicurato che era tutto vero. Di vero non c'era nulla. Ci avevano detto che l'Iraq era una minaccia per la sicurezza mondiale. Ci avevano assicurato che era tutto vero. Di vero non c'era nulla. La verità è un'altra. La verità ha a che vedere con l'idea che gli Stati Uniti si fanno del loro ruolo nel mondo, e con i mezzi di cui si servono per concretizzarla. [...]

Dal secondo dopoguerra in avanti gli Stati Uniti hanno spalleggiato, e in molti casi addirittura contribuito a instaurare, tutte le dittature militari di destra del mondo. Penso all'Indonesia, alla Grecia, all'Uruguay, al Brasile, al Paraguay, a Haiti, alla Turchia, alle Filippine, al Guatemala, a El Salvador e naturalmente al Cile. Gli orrori che gli Stati Uniti hanno inflitto al Cile nel 1973 non potranno mai venire espiati e non saranno mai dimenticati. In tutti questi paesi sono state assassinate centinaia di migliaia di persone. Queste persone sono morte davvero? Si tratta senza eccezione di morti direttamente imputabili alla politica estera degli Usa? La risposta è sì: queste persone sono morte davvero e i fatti sono direttamente imputabili alla politica estera americana. Però queste cose non vengono a dirvele. È come se non fossero mai accadute. Non è successo niente. Queste cose non accadevano neppure mentre stavano accadendo. Non contavano nulla. Non interessavano a nessuno. L'attività criminosa degli Stati Uniti è stata sistematica, ininterrotta, perversa, spietata, ma erano in pochissimi a parlarne. Bisogna darne atto all'America. È stata capace di manipolare con perfetto cinismo il potere mondiale indossando i panni di una forza che lottava per il bene di tutti. Un perfetto capolavoro di ipnosi, un numero brillante e perfino spiritoso. Anzi, sentite qua: gli Stati Uniti sono senza ombra di dubbio il più grande show itinerante che abbia mai aperto i battenti.


Drammaturgo, regista e attore inglese, autore di ventinove opere teatrali e di ventisette sceneggiature cinematografiche, Harold Pinter ha intitolato il discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Nobel per la letteratura Arte, verità e politica. Alle accuse di antiamericanismo ha risposto che la sua critica era rivolta alla politica degli Stati Uniti, e che gli stessi americani sono sempre più "visibilmente disgustati, umiliati e irritati dalle azioni del loro governo". In gioventù Pinter è stato obiettore di coscienza, ha aderito fin dai primi tempi alla Campagna per il disarmo nucleare, ha sostenuto la lotta contro l'apartheid e nell'arco della sua lunga carriera non è mai venuto meno al suo impegno politico.

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Pagina 448

MUNTAZER AL-ZAIDI 2009


"Perché ho lanciato quella scarpa"


Io sono tornato in libertà, ma il mio paese è ancora prigioniero di guerra. Si è parlato tanto del gesto in sé e della persona che l'ha compiuto, dell'eroe e dell'atto eroico, e poi del simbolo e dell'atto simbolico. La mia risposta, invece, è molto semplice: sono stato indotto ad agire dall'ingiustizia che il mio popolo ha subito, dal modo in cui le forze occupanti hanno voluto umiliare la mia patria calpestandola con il tacco dello stivale. [...]

A chi mi biasima rispondo: sapete in quante case devastate era entrata la scarpa che ho lanciato? Quante volte aveva calpestato il sangue di vittime innocenti? Può darsi che di fronte alla violazione di tutti i valori quella scarpa fosse l'unica risposta giusta.

Scagliando la mia scarpa in faccia al criminale, George Bush, volevo esprimere il mio rifiuto nei confronti delle sue menzogne, dell'occupazione del mio paese, il mio rifiuto nei confronti dei massacri a cui sottoponeva la mia gente. Il mio rifiuto nei confronti dei saccheggi che portano via la ricchezza del mio paese e distruggono le sue infrastrutture, condannando i suoi figli alla diaspora.


Muntazer Al-Zaidi è un giornalista iracheno. Il suo gesto ha incoraggiato gli attivisti di tutto il mondo a lanciare scarpe in segno di protesta politica. Ironia della sorte, Al-Zaidi stesso è stato colpito da una scarpa scagliata da un giornalista a Parigi. Si calcola che tra il 2003 e il 2010 il numero dei civili vittime di morti violente a causa dell'occupazione dell'Iraq sia compreso tra alcune centinaia di migliaia e oltre un milione.

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Pagina 453

Postfazione

Elogio del dissenso


                                        L'ape grande vola alto
                                        L'ape piccola fa il miele;
                                        I neri piantano il cotone
                                        I bianchi fanno i soldi.
                                                         Leadbelly



Le voci di dissenso e le rivolte contro l'autorità costituita – sia essa pagana, tribale, religiosa, civile, feudale, borghese o comunista – disegnano un motivo ricorrente che si ritrova ai quattro angoli del mondo. Sono sempre esistite, in una forma o nell'altra. A volte si crede per una sorta di pregiudizio che i conflitti antichi o medievali, e perfino le rivoluzioni inglese, olandese e francese, manchino di quella coerenza, consapevolezza e chiarezza di intenti che caratterizzano le lotte sociali del XX secolo, ma questo non è sempre vero. Non per nulla la ribellione degli schiavi capeggiata da Spartaco ha lasciato un segno indelebile nella storia, entrando di diritto negli annali della memoria collettiva, tanto da influenzare la teoria e la pratica della rivoluzione in Europa (ma non solo) per tutto l'arco del XIX e XX secolo. Non è certo un caso se i rivoluzionari tedeschi del primo Novecento, uomini istruiti e dalla solida preparazione, avevano battezzato la loro organizzazione "Spartacusbund", prima di finire schiacciati dal pugno di ferro dello stato tedesco proprio come aveva fatto secoli addietro lo stato romano, riducendo all'impotenza gli schiavi che avevano osato affrancarsi.

Oppure prendiamo Sparta nel III secolo a.C.: una profonda frattura sociale si era venuta disegnando nel corso dei due secoli successivi alla guerra del Peloponneso, una novità assoluta per una città-stato in cui tradizionalmente i cittadini maschi si erano dedicati senza distinzione alle stesse mansioni militari. Il divario tra ricchi e poveri era accresciuto a tal punto da rendere inevitabile una rivoluzione dall'alto con l'appoggio dei contadini. La divisione di classe servì così da catalizzatore di una serie di riforme sociali, politiche ed economiche che prefiguravano quasi senza eccezione le lotte del mondo moderno. Sparta divenne una città-stato politicamente all'avanguardia, ben più avanzata, per esempio, della Gran Bretagna dei nostri giorni.

Tre sovrani radicali uniti in un triumvirato – Agide IV, Cleomene III e Nabide – diedero vita a una struttura che doveva ricostruire lo stato su fondamenta nuove: i nobili furono mandati in esilio, la dittatura dei magistrati fu abolita, gli schiavi furono liberati, il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini e le terre confiscate ai ricchi furono distribuite ai poveri.

La giovane Repubblica romana, sentendosi minacciata da un simile esempio, inviò contro Sparta le sue legioni al comando di Quinto Flaminio. Secondo Livio, il grande storico romano dell'antichità, Nabide reagì con rabbiosa freddezza ma con grande dignità:

Non dovete pretendere — dichiarò — che ciò che si fa a Sparta si uniformi alle vostre leggi e alle vostre istituzioni. [...] Voi prendete i cavalieri secondo il censo, secondo il censo i fanti, e volete che pochi emergano per potenza e che la plebe sia soggetta a essi; il nostro legislatore non volle che lo stato fosse in mano di pochi, quelli che voi chiamate Senato; non volle che nella nostra città preponderasse questa o quella classe: ma giudicò che con un livellamento di ricchezze e posizione sociale, molto numerosi fossero coloro che impugnassero le armi per la patria.

Se Carlo I, Luigi XVI e Abdul Mejid I avessero seguito l'esempio dei reggenti spartani la storia dell'Europa moderna sarebbe molto diversa da quella che conosciamo. Sarebbero bastati questi episodi, debitamente contestualizzati e approfonditi, a riempire da soli un mezzo volume, ma si sa, nessuna antologia ha il potere di mettere tutti d'accordo. È il pregio e il difetto di questa forma.

Il libro del dissenso non fa eccezione, ma si distingue per almeno un dettaglio importante: a differenza di quanto accade in molte antologie di lingua inglese pubblicate nel corso degli anni, abbiamo tentato di documentare l'intera storia mondiale. Il libro è stato curato e compilato nei nostri uffici di New York e Londra con l'aiuto di autori e amici della casa editrice Verso sparsi in ogni continente. Per rendere giustizia a un tema così vasto avremmo avuto bisogno di intere squadre di redattori dislocati in diverse parti del globo e di tempo e risorse illimitati, e il risultato sarebbe stato un'enciclopedia in tre volumi. Problemi logistici e vincoli materiali, però, hanno reso impraticabile questa soluzione. Era indispensabile rispettare i tempi, perché il volume esce per celebrare il quarantesimo anniversario di New Left Books/Verso, una casa editrice che è riuscita a sopravvivere alla caduta del muro di Berlino perché ha sempre saputo interrogare le verità ufficiali di ciascuno dei diversi mondi di cui era composta la realtà del 1970, il suo anno di fondazione: gli Stati Uniti e i suoi vassalli, l'Unione Sovietica e i suoi sottoposti, senza risparmiare la Cina e l'India, fatte oggetto di indagini critiche. I nostri autori hanno analizzato e rimesso in discussione interi sistemi di pensiero, strutture statali, economie capitaliste e non capitaliste. Il contrasto tra la visione del socialismo difesa da Marx e la realtà degli stati post-capitalisti era troppo stridente per venire ignorato, tanto che le voci dissidenti che provenivano dall'Europa dell'Est e dalla Cina hanno sempre trovato posto nel catalogo Verso.

È stata una fortuna che il gruppo di persone che ha dato vita al progetto New Left Books/Verso fosse costituito in gran parte da figure legate all'esperienza della New Left Review: le affinità intellettuali che univano i collaboratori e gli interlocutori della rivista sono state il fondamento della casa editrice New Left Books, alla quale nel 1975 si affiancò Verso come suo prolungamento nel settore dei tascabili: Perry Anderson curava i libri; Anthony Barnett preparò il primo business plan annotando a mano le entrate e le uscite con una matita bicolore. Soprattutto, però, Barnett comprese l'importanza cruciale di una strategia del mercato unico, rifiutandosi di cedere o riacquistando i diritti per il mercato americano: in questo modo permise a Verso di affermarsi come casa editrice transcontinentale, almeno dieci anni prima che molte altre illustri imprese editoriali seguissero l'esempio. Il nome "Verso" – che designa la facciata di sinistra, il "retro" di una pagina – fu suggerito da Francis Mulhern, e uscì vincitore da uno spietato processo di selezione che coinvolse l'intero comitato editoriale della New Left Review, finendo per prevalere su alternative di maggiore richiamo come October, Salamander e Arcades. Abbiamo un grosso debito nei confronti di Mulhern.

Nel 1970 New Left Books mandò in stampa il suo primo libro: Europe vs America: The Contradictions of Imperialism di Ernest Mandel, una graffiante e polemica risposta a un pamphlet del politico liberale francese Jean-Jacques Servan-Schreiber, Le défi américain, che sembrava voler fare dell'Europa la spalla fissa degli Stati Uniti e chiedeva alla Francia di mettere da parte la sua ossessione di marca gaullista per l'indipendenza. Bisogna purtroppo riconoscere che sotto molti aspetti il libro di Servan-Schreiber si è rivelato profetico. Nel 2010 Perry Anderson è tornato sull'argomento con The New Old World, che descrive e analizza le conseguenze dell'atlantismo europeo. Le élite europee si sono trovate a fronteggiare una crisi profonda: una politica interna caratterizzata da un sempre maggiore deficit di democrazia, le conseguenze disastrose dell'adozione del sistema finanziario di Wall Street e la necessità di appoggiare le guerre e le politiche americane nel mondo, in molti casi andando contro l'espresso parere dei cittadini europei.

I contenuti di questa antologia, insomma, non sorprenderanno più di tanto i lettori dei libri Verso. Ci siamo concentrati su dissidenti e ribelli che si sono sforzati di smuovere le montagne e fin dai tempi antichi hanno tentato di migliorare, cambiare e trasformare il mondo. Ci sono, certo, anche forme di dissenso che si sviluppano all'interno di strutture che esistono allo scopo di consolidare lo status quo, per esempio cercando di prevenire errori troppo evidenti che potrebbero portare a forme di dissenso più estreme, come le rivoluzioni dal basso. Abbiamo deciso di lasciare da parte questa tipologia, anche se la tentazione era forte. Un buon esempio potrebbe essere una lettera scritta (e mai spedita) dall'imperatore Giuseppe II d'Austria alla volubile sorella Maria Antonietta, chiusa nel bunker di Versailles, una lettera molto più dura nei toni e molto più illuminante di certe recenti biografie pseudo-femministe, che inneggiano alla regina nel nome di una simpatia di genere, ma perdono del tutto di vista il quadro generale. Giuseppe II conosceva sua sorella molto meglio di quanto si possa dire del suo odierno fan club, tanto che la lettera è degna di essere citata per esteso (a volte le prefazioni non possono fare a meno di tradire lo spirito di un libro):

Permettetemi, cara sorella, che io vi parli con tutta la franchezza, che la mia amicizia giustifica. Per quanto io so, voi vi occupate di una infinità di affari che non vi riguardano, che non conoscete, e nei quali siete trascinata da intrighi e da adulazioni, che eccitano in voi l'amor proprio, il desiderio di brillare, la gelosia, il malumore. Questi intrighi possono turbare la felicità della vostra vita, e debbono prima o poi provocare necessariamente dei dissidi tra voi e il Re, diminuire l'amicizia e la stima di vostro marito, farvi perdere il favore del pubblico. Di che vi occupate voi, mia cara sorella, di cambiar ministri, [...] far dare il tal ministero a questo o a quello, far guadagnare un processo a uno, creare una nuova carica dispendiosa a corte? [...] Vi siete mai domandata con qual diritto vi mescolate voi negli affari del governo e della monarchia francese? Che studi avete fatti? Quali conoscenze avete acquistate per osar d'immaginare che il vostro parere debba esser buono a qualcosa, specialmente in affari che richiedono conoscenze così vaste? Voi, amabile giovane, che non pensate se non alle frivolezze, alla vostra acconciatura, ai vostri divertimenti; che non leggete né sentite ragionare più di un quarto d'ora al mese; che non riflettete né meditate mai, né vi preoccupate delle conseguenze di quel che dite e fate? [...] Ascoltate la voce di un amico, abbandonate tutti questi intrighi, non impicciatevi assolutamente d'affari [...]. E del resto fate qualche lettura, istruitevi.

Alcuni dei più compiaciuti e miopi leader europei e le loro compagne – per esempio Sarkozy e Carla Bruni, Berlusconi e le sue prostitute – farebbero bene a meditare su queste sagge parole.

Se avessimo avuto più spazio e tempo a disposizione avremmo senz'altro aggiunto anche una sezione illustrata con una scelta di copertine di riviste satiriche come il vecchio Private Eye e i più recenti Charlie Hebdo, Le Canard Enchainé, Titanic ecc. Qualche mese fa, a Zagabria, ho parlato con un gruppo di giovani dissidenti, alcuni dei quali avevano lavorato a un foglio satirico che non avevo mai sentito nominare prima, il Feral Tribune. I collaboratori e i vignettisti, sfidando la rigida dottrina nazionalista propugnata dai media di stato, avevano descritto i crimini di guerra commessi dai militari croati e avevano denunciato le opinioni ultranazionaliste di Franjo Tudman, che giustificavano la collaborazione degli ustascia con i fascisti tedeschi durante il primo esperimento di indipendenza controllata in Croazia. I loro bersagli erano la corruzione, i rapporti tra stato e chiesa e la propaganda militare e xenofoba. Un numero del Feral Tribune, oggi praticamente introvabile, è diventato un autentico pezzo da collezione: il fotomontaggio in copertina ritraeva Tudman e Milosevic a letto insieme mentre la Bosnia-Erzegovina veniva divisa.

A Sarajevo la maggior parte della gente rimpiange la divisione del paese. Ci sono ritratti di Tito appesi un po' dappertutto, e giornalisti, studenti e veterani di guerra parlano apertamente di corruzione dilagante e fragilità diffusa. In Serbia ho parlato con i coraggiosi giornalisti di B92, una stazione radio che ha preso posizione contro il proprio governo e contro gli aerei militari Nato che sganciavano bombe su Belgrado e sul ponte di Novi Sad. Il dissenso è vivo e vegeto anche nella ex-Jugoslavia. Molti critici della svolta di vent'anni fa e gli osservatori della crisi odierna stanno ricominciando ad attraversare le frontiere nazionali per incontrarsi alle fiere del libro e ai festival cinematografici, e alcuni hanno proposto di trasformare l'isola di Korkula in Croazia uno spazio virtuale pan-jugoslavo, in cui i dissidenti dell'intera regione balcanica possano riunirsi una volta all'anno per scambiare idee ed esperienze.

Per garantire al volume un minimo di equilibrio geografico e storico abbiamo dovuto tralasciare moltissimo materiale. Prima che i lettori esigenti si mettano a fargli le pulci, lasciatemi giustificare almeno una delle lacune. C'erano dissidenti politici nel Paleolitico? Non abbiamo prove certe, ma è probabile che siano esistite forme primitive di dissenso (come oggi ne esistono in alcuni segmenti del regno animale). Prima che si sviluppasse il linguaggio, le divergenze venivano esplicate a gesti – come accade ancora oggi a Napoli, a Lahore e altrove (Sraffa lo fece notare a Wittgenstein negli anni di Cambridge: il filosofo austriaco aveva affermato che qualunque proposizione sottintende una forma logica, e Sraffa, replicando con un gesto sprezzante, gli domandò: "E questo, che forma logica ha?") – oppure attraverso grugniti, o in casi estremi ricorrendo alla violenza, anche se è probabile che tali manifestazioni fossero molto meno frequenti che nelle più tarde civiltà agricole. Con buona pace dei cliché da fumetto, inoltre, non abbiamo alcun motivo di credere che le società del Paleolitico fossero organizzate su base patriarcale o matriarcale. Dato però che mancavano ancora diverse centinaia di secoli all'invenzione del più rudimentale alfabeto, e che nemmeno l'arte delle caverne si era ancora sviluppata, in questa antologia non abbiamo potuto includere, ahimè, nemmeno una singola voce di dissenso o un'immagine di quei tempi. Se un lettore avveduto dimostrerà che abbiamo peccato di ignoranza, aggiungeremo l'anello mancante nella prossima edizione.

Andrew Hsiao e Audrea Lim degli uffici di New York hanno lavorato sodo e a lungo per preparare questo volume: a loro e a tutte le persone che ci hanno assistito vanno i nostri più sentiti ringraziamenti.

Tariq Ali

agosto 2010

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