Copertina
Autore Robert B. Laughlin
Titolo Crimini della ragione
SottotitoloStrategie occulte di protezione della conoscenza
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2009, Presente storico , pag. 154, cop.fle., dim. 15,5x23x1,1 cm , Isbn 978-88-6159-317-6
OriginaleThe Crime of Reason and the Closing of the Scientific Mind
EdizioneBasic Books, New York, 2008
TraduttoreGiuseppe Barile
LettoreGiangiacomo Pisa, 2010
Classe copyright-copyleft , diritto , universita' , beni comuni
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Indice


  1    1.  La fine dell'innocenza

  9    2.  Conoscenza pericolosa

 23    3.  Il maestro crittografo

 35    4.  Giochi di sorte

 47    5.  Assurdo brevettato

 59    6.  Il precedente nucleare

 73    7.  I fatti della vita

 85    8.  La guerra dei cloni

 99    9.  Spam spam spam spam

113   10.  L'utopia inquieta


125   Note

145   Indice dei nomi e degli argomenti


 

 

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Pagina 1

1. La fine dell'innocenza



Da giovani impariamo che la conoscenza è una cosa logica e magnifica che ognuno può usare a proprio piacimento purché, ovviamente, abbia la pazienza di leggere e di pensare. In parte questa idea ci viene trasmessa dai nostri genitori, che non si stancano mai di inventare ragioni per indurci a studiare di più, a distinguerci negli esami e così via, ma è anche una riflessione alla quale arriviamo da soli. La maggior parte di noi, quando giunge all'età adulta, decide che la capacità di ragionare e capire è naturale, umana e ci appartiene di diritto.

Disgraziatamente, questa conclusione è erronea. Benché qualche informazione sia disponibile gratuitamente e persino inculcataci dalla scuola, la maggior parte della conoscenza dotata di valore economico è privata e segreta.

I proprietari di questa conoscenza non vogliono che sia resa pubblica e certamente non gradiscono che lo Stato paghi qualcuno per "scoprirla". Si può discutere all'infinito se nelle biblioteche e nelle scuole la "proprietà privata" sia giustificata, ma è un dibattito puramente accademico. Nella realtà, i nostri diritti di apprendere sono già circoscritti.

Spesso si fa fatica a parlare di questo problema perché si tratta di una questione concreta – come fare bambini –, di cui le persone educate non desiderano discutere in modo esplicito. Invece, si preferisce sorridere e insistere nel dire che l'istruzione è importante e che i vari modi di sottrarre conoscenza – creando intenzionalmente confusione, ostruzionismo, menzogna e disinformazione – sono nocivi ma non al servizio di una cospirazione. Poi si devia la discussione in una nuova direzione e chi esprime preoccupazione finisce per essere considerato paranoico.

Questo atteggiamento negatorio è estremamente irresponsabile. Stiamo parlando della criminalizzazione dell'apprendimento. È una questione importante che richiede riflessione.

La nostra tendenza a sottovalutare il pericolo del sequestro della conoscenza è in parte un effetto collaterale della pratica, sotto altri aspetti sensata, di distinguere la conoscenza secondo le categorie di "tecnica" e "non tecnica", un po' come le divisioni in classi sociali, e quindi di considerare irrilevante il sequestro della prima. Purtroppo, il ragionamento che sta dietro questa pratica è esattamente l'opposto. Non è vero che accettiamo il sequestro della conoscenza perché è tecnica. In realtà, ridefiniamo come tecnica la conoscenza che viene sequestrata. In altre parole, quando acquista valore sufficiente per essere comprata e venduta, l'attività intellettuale cambia natura. Il proprietario non si premura di spiegarcelo e noi non ci preoccupiamo di chiedergli i dettagli. Ci limitiamo a comprare o non comprare il prodotto, a nostra scelta. Ecco perché riparare l'auto è tecnico ma guidarla non lo è. Entrambe le attività implicano la conoscenza di come funzionano le auto, ma la riparazione è qualcosa che possiamo acquistare relativamente a buon prezzo sul mercato, mentre andare dove vogliamo è costoso a meno che non siamo noi stessi a guidare. Sul piano puramente intellettuale, tuttavia, non c'è nessuna differenza tra conoscenza tecnica e non tecnica.

Una volta ammesso che la questione potrebbe essere più economica che culturale, siamo costretti a ripensare i suoi fondamenti giuridici. Rifiutare di applicare le tradizioni di libertà di espressione e di indagine a qualcosa perché questo è proprietà privata è diverso dal farlo perché lo si ritiene irrilevante.

Una discussione noiosa su dettagli tecnici diventa subito una discussione estremamente seria sul conflitto tra libertà personale e proprietà privata. La libertà in questione non è quella consueta dell'espressione di posizioni politiche, istituita da parte dei governi per scoraggiare il consolidamento del potere, ma la libertà di acquisire e di comprendere conoscenze importanti per farsi strada nella vita. In passato, nessuno si preoccupava di tutelare questa libertà perché i problemi correnti più rilevanti erano politici e le questioni relative alla proprietà tecnica non ostacolavano il miglioramento economico personale.

Ma oggi siamo nell'Età dell'informazione, un'epoca in cui l'accesso al sapere è diventato per molti aspetti più importante dell'accesso ai mezzi fisici. Lo sforzo crescente di governi, grandi imprese e individui per impedire ai concorrenti di venire a conoscenza di alcune informazioni in loro possesso ha condotto a una sbalorditiva espansione dei diritti di proprietà intellettuale e al rafforzamento del potere di secretazione degli Stati. Il Digital Millennium Copyright Act del 1998 e la Direttiva europea sul copyright del 2001, per esempio, rendono un reato penale aggirare le misure antipirateria (decodificare la comunicazione criptata) e distribuire dispositivi per decifrare i codici di protezione (comunicarli ad altre persone). Le disposizioni contenute nel Bayh-Dole Act e nello Stevenson-Wydler Act del 1980 hanno ridefinito la mission della ricerca finanziata con denaro pubblico in vista della creazione della proprietà intellettuale. Le decisioni assunte dall'antitrust nei confronti di Microsoft istituzionalizzano la monopolizzazione della comunicazione da parte della corporation. Oggi i tribunali riconoscono le richieste di brevetto per le strategie di assunzione, le tecniche di vendita degli immobili, la scoperta di correlazioni chimiche nel corpo e le sequenze geniche. Ampie aree di due scienze, la fisica e la biologia, sono attualmente sottratte al dibattito pubblico perché determinano rischi per la sicurezza nazionale. La nostra società sta sequestrando conoscenza più estesamente, rapidamente e totalmente di qualsiasi epoca precedente della storia. L'Età dell'informazione, in realtà, dovrebbe probabilmente essere chiamata l'età dell'amnesia, perché ha significato un brusco declino dell'accesso pubblico alle informazioni che contano. La faccenda diventa particolarmente ironica con l'ascesa di Internet, che sembra aumentare a dismisura l'accesso all'informazione, mentre la realtà è completamente diversa.

Gli atteggiamenti a proposito della conoscenza impliciti in questa evoluzione sollevano problematiche inquietanti circa i diritti fondamentali degli esseri umani a porre domande e a sapere. Sempre più spesso, il "lampo di genio" che abbiamo così tanto ammirato in Galileo e in Newton – la comprensione improvvisa di qualcosa e delle sue implicazioni – risulta essere una violazione di brevetto o un pericolo per la sicurezza nazionale. Molte volte, ragionare con la propria testa equivale potenzialmente a un crimine.

L'interpretazione giuridica sempre più conservativa dell'invenzione come furto echeggia la crescente ambiguità della nostra società sul modo di recepire il potere tecnico. Noi simpatizziamo con il giovane genio che, in un impetuoso atto della ragione, si apre un varco nella confusione e dà uno splendido contributo alla conoscenza. Ma abbiamo paura della manipolazione genetica, del conflitto nucleare, dei dirottamenti aerei da parte di terroristi, dell'esportazione del lavoro ecc. che il suo contributo potrebbe facilitare. Incapaci di decidere che cosa sia più importante per noi, una volta osservate le conseguenze del suo contributo, etichettiamo i suoi gesti come criminali o non criminali secondo principi che cambiano nel tempo e dei quali il genio, come il soldato che prende decisioni eroiche sul campo di battaglia senza sapere se riceverà una decorazione o finirà davanti alla corte marziale, non poteva rendersi conto nel momento in cui realizzava la sua opera. Rispettiamo ciò che rappresenta ma non gli concediamo affatto piena licenza creativa. La posta in gioco è troppo alta. La pubblicazione irresponsabile di un segreto industriale o di una tecnologia militare "scoperti" casualmente per una società potrebbe significare la fine, il caos nelle strade o la perdita di vite in guerra.

Così, all'alba dell'Età dell'informazione ci troviamo ad affrontare il bizzarro concetto di "crimine della ragione", la natura asociale o l'assoluta illegalità dell'apprendere certe informazioni. Le assemblee legislative, con il nostro tacito consenso, hanno cominciato a emanare leggi che criminalizzano la conoscenza e il ragionamento essendo ciò più facile che criminalizzare il comportamento che essi generano. La giustificazione avanzata, che echeggia quelle di epoche precedenti, è che la crescente restrizione della libertà è un ragionevole prezzo da pagare per continuare ad avere sicurezza e prosperità. «Regoleremo e censureremo alcune conoscenze per il vostro bene. Non preoccupatevi dei dettagli. Si tratta di aspetti tecnici.» Ma chi saranno i censori? A chi dovranno rispondere?"

Purtroppo, la risposta istintiva e semplicistica delle persone tecnicamente informate, "libertà o morte", trova orecchie da mercante. Ed è del tutto impraticabile. La nostra società ha già deciso con discreta fermezza che un corpus crescente di conoscenze tecniche non debba essere accessibile a chiunque. Non abbiamo altra opzione che sederci a tavolino e programmare quanto meglio è possibile quali saranno le regole della limitazione della conoscenza. Ciò richiede informazione e attenta riflessione sui fatti, poiché ciò che comprendiamo in modo incompleto viene facilmente accantonato in quanto confuso, noioso e irrilevante, anche quando non lo è. La conoscenza epurata è anche deliberatamente pensata per apparire proprio così.

Nel frattempo, le persone più consapevoli sono afflitte e silenziose perché colgono il pieno significato di questo momento: è l'abbandono definitivo, tragico, dell'ottimismo dell'Età dei lumi. L'audace dichiarazione di Cartesio, «Penso, dunque sono», è volta in satira. Abbiamo deciso collettivamente di rinunziare ai nostri diritti intellettuali, di rimuoverli dalla nostra esistenza sulla base del fatto che sono una compagnia troppo scomoda e allarmante. La natura "tecnica" della conoscenza messa al bando è irrilevante. La conoscenza è la conoscenza. Una volta accettato che una sua parte è troppo importante per essere a disposizione della gente comune, non siamo più sotto casa di Orwell ma siamo seduti insieme a lui nel suo salotto, impegnati a discutere l'opportuna sistemazione dell'arredamento. Non è quello che molti di noi vorrebbero, ma è così.

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3. Il maestro crittografo



Albert Einstein, per una ripicca nei confronti delle sfrenate libertà teoriche di alcuni suoi colleghi, affermò che Dio non gioca a dadi con l'universo. Intendeva dire che la meccanica quantistica, una teoria che si stava sviluppando all'epoca, non poteva essere soddisfacente perché presumeva che dai tentativi di misurazione emergesse la casualità. Per lui non aveva senso osservare un piccolo pezzo di domino cadere in una direzione che non si poteva determinare in anticipo. Successivamente la controversia si rivelò dovuta a un difetto di comunicazione sul significato da attribuire al termine "misura" e quindi divenne una specie di curiosità relegata nelle note a piè di pagina dei libri sulla meccanica quantistica. Ma l'affermazione di Einstein divenne anche un'autorevole espressione della convinzione, fatta propria dai fisici fino a oggi, secondo la quale l'universo si dispiega logicamente.

Ciò, ovviamente, non è vero. Dio gioca a dadi con l'universo e lo ha fatto regolarmente fin dall'inizio. Ha creato le galassie con un'enorme, disordinata esplosione. Ha sparpagliato casualmente le stelle nel cielo. Ha assegnato alle acque il compito di scendere dal cielo come pioggia o neve in moltitudini indisciplinate. Ha ordinato alla terra ferma di incontrare í mari in spiagge composte di granelli di sabbia di straordinaria varietà. Ha persuaso le onde a infrangersi sulla riva in gradevoli configurazioni di forma e suono, mai due volte le stesse. Ha fatto in modo che le brezze estive soffino a casaccio e che, nei momenti di calma, le mosche sfreccino da ogni parte in modo imprevedibile, rendendo difficilissimo schiacciarle. E, con un ispirato colpo di genio, ha inventato gli uomini, che hanno costruito i dadi per lui e ci hanno giocato. Poi si sono messi a lavorare e hanno redatto documenti scientifici dove si dichiara che Dio non gioca a dadi con l'universo.

Einstein deve essersi preoccupato, perché non aveva considerato l'ovvia difficoltà per cui il lancio dei dadi non è realmente casuale bensì caotico: perfettamente deterministico e logico eppure così turbolento da essere effettivamente casuale. La turbolenza dei dadi deriva dalla loro occasionale inclinazione sugli angoli, dove piccole differenze di posizione possono cambiare la direzione di caduta e di conseguenza avere un profondo effetto sull'intera storia successiva. Se cerchiamo di predire il risultato di un lancio usando il computer, scopriamo che gli errori che immancabilmente compiamo in quei momenti, per quanto piccoli, dopo pochi ruzzoloni crescono fino a dimensioni catastrofiche. Ciò accade perché essi, allo stesso modo degli interessi composti delle banche, si espandono percentualmente piuttosto che per semplice sommatoria. Se facciamo rotolare i dadi abbastanza a lungo, oltrepasseremo la capacità di qualsiasi computer o gruppo di computer costruito per prevedere correttamente il risultato. In altre parole, il caos è impredicibile in senso letterale, per cui gli esseri umani non possono predirlo. Dopo che i dadi hanno lasciato la mano del giocatore, il loro destino è noto, ma non a noi.

Il caos non è solo un fenomeno fisico: possiamo trovarlo anche nella matematica pura. Prendete la vostra calcolatrice tascabile. Componete il numero ?. Estraete la radice quadrata. Moltiplicate per 10.000. Azzerate tutte le cifre alla sinistra della virgola. Estraete di nuovo la radice quadrata. Moltiplicate di nuovo per 10.000. Azzerate di nuovo tutte le cifre alla sinistra della virgola. Continuate a farlo per cento cicli e genererete una serie di cento numeri decimali tra O e 1 che è, per tutti gli scopi pratici, casuale. Ovviamente, non è veramente casuale. L'avete generata logicamente e sistematicamente, usando la calcolatrice, e quindi sapete esattamente in ogni momento quale sarà il prossimo numero della sequenza. Uno spettatore non informato, però, non lo sa, perché non conosce il trucco.

Questi semplici esempi e altri analoghi - foglie che fluttuano nel vento, acqua che sciaborda sulla riva, palline da ping pong che rimbalzano insieme giù per scale di legno – sono qualcosa di più che curiosità tecniche. Sono eleganti prototipi della sparizione della conoscenza. Mostrano come ciò che documenta la condizione di qualcosa, estremamente valido nell'istante in cui viene acquisito, possa degradarsi nel tempo. Mostrano come teorie perfettamente logiche possano diventare sbagliate al 100% se estrapolate dal loro contesto e applicate troppo in là nel futuro. O come alcuni tipi di conoscenza possano essere più importanti di altri: l'incapacità di ottenere informazioni chiave, quali che siano, può impedirci di completare un puzzle, indipendentemente dalla quantità di dati inferiori che riusciamo ad accumulare. In altre parole, mostrano che la sparizione della conoscenza non è un fatto immaginario o una conseguenza infausta della nostra stupidità ma un banale fenomeno naturale.

La versione non tecnica della degradazione della conoscenza è tristemente noto alla maggior parte di noi. È la base del famoso gioco di società in cui sussurriamo un pettegolezzo nell'orecchio di qualcuno, lo lasciamo viaggiare da una persona all'altra e alla fine scopriamo come cambia l'informazione trasmessa. Dopo circa trenta trasferimenti di questo tipo, solitamente la versione finale del pettegolezzo ha scarsa somiglianza con l'originale.

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Le conclusioni scientifiche sono così spesso sbagliate che gli scienziati non possono resistere alla tentazione di scherzare sul problema. Ricordiamo, per esempio, il famoso articolo pubblicato in "Annals of Improbable Research", che documentava con precisione come negli Stati Uniti i tornado avvengano frequentemente in Stati con un gran numero di case mobili (mobile homes) e concludeva che le case mobili causano i tornado. Nello stesso filone burlesco troviamo incisive satire della ricerca attuale e idee del tutto demenziali quale quella di usare un costoso spettrometro per confrontare mele e arance. Ma niente batte i tornado, quando si tratta di puro divertimento. Il pregevole Chicken Plucking as a Measure of Tornado Speed ("Lo spennamento dei polli come misura della velocità dei tornado") di Bernard Vonnegut gli ha meritato l'assegnazione del premio Ig Nobel, la nota parodia harvardiana del Premio Nobel.

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La conoscenza sequestrata che al momento ci interessa di più non può essere documentata con altrettanta affidabilità, per l'ovvia ragione che è ancora invisibile. Ciò nonostante, la possiamo riconoscere facilmente attraverso i segni rivelatori dei tagli operati. Prendiamo un importante sviluppo tecnologico innovativo come i diodi che brillano di luce blu sui cruscotti delle auto, la memoria flash delle macchine fotografiche digitali o la clonazione, e troveremo che i fatti chiave, i dettagli specifici su come costruire e far funzionare qualcosa, sono stranamente difficili da trovare o completamente assenti. Il nostro primo pensiero è quello di trascurare le omissioni come irrilevanti e di tornare sui dettagli più tardi solo se ci sarà indispensabile. È vero esattamente il contrario: i dettagli mancanti sono quelli importanti, mentre le descrizioni generali e vaghe che ci sembrano preferibili non hanno alcun valore economico. Inoltre, se cercassimo di ricostruire questi dettagli, scopriremmo di non poterlo fare senza spendere tempo e denaro per riscoprire fatti decisivi non documentati. Analoghe strane omissioni si riscontrano anche nella documentazione scientifica della fisica nucleare e, oggi sempre più spesso, nella genetica.

In questo modo, la sparizione della conoscenza moderna è facile da sottovalutare o negare perché è straordinariamente sottile e avviene proprio sotto i nostri occhi. Si compie non attraverso il tipo di censura maldestra che sappiamo come combattere, ma piuttosto convincendoci che le cose importanti sono irrilevanti e inducendoci con l'inganno a gettarle via. Questa strategia funziona oggi più efficacemente che mai, perché il flusso di informazione-spazzatura è grandemente aumentato. In questo senso, le tecnologie elettroniche come Internet non sono strumenti di divulgazione della conoscenza ma, al contrario, agenzie di distruzione della conoscenza. Ciò che rende possibile questo bizzarro stato di cose è il fatto che Dio gioca a dadi con l'universo.

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Un'implicazione importante di questo comportamento è che l'accesso universale alla conoscenza è fondamentalmente incompatibile con l'economia di mercato. Non si tratta solo del fatto che la conoscenza gratuita è vista come inopportuna dalle più avide imprese del software e dell'intrattenimento. Il punto è che la libera conoscenza è nemica delle pratiche dello scambio di beni e della fissazione dei prezzi, essenziali per la vita economica. Tanto è vero che imporre il libero accesso alla conoscenza per legge ha il solo effetto di indurre le persone a inventare modi più astuti per renderla inaccessibile. Imparare a leggere e a scrivere, per esempio, oggi è gratuito nella maggior parte dei paesi, ma imparare a leggere e a scrivere bene è costoso. I computer che connettono a Internet sono a buon mercato, ma quelli che connettono a Internet in modo sicuro hanno un costo extra. L'accesso alla conoscenza, in fondo, è come la vitamina A: in piccole quantità è essenziale ma in grandi quantità intossica.

Molte persone, comprese quelle abbastanza intelligenti da saperne di più, non riescono a capire che l'ordinaria attività economica è causa di sequestro di conoscenza piuttosto che il contrario. Così, la guru di Internet Esther Dyson continua a predicare che la tecnologia del web presto renderà la proprietà intellettuale obsoleta, anche quando Bill Gates risponde che restringere i diritti di proprietà intellettuale è l'equivalente del comunismo e James E. Rogan, ex direttore del Patent and Trademark Office statunitense, definisce i diritti di proprietà intellettuale «la base su cui poggia l'economia di libero mercato». Nel frattempo i cittadini comuni, ignari di queste controversie, continuano a circuirsi e frustrarsi l'un l'altro come se questo fosse naturale, cosa che in effetti è, e a usare l'apparentemente rivoluzionaria Internet per acquistare penny stock (azioni che valgono meno di un dollaro), monitorare i tassi di interesse di rimborso dei prestiti ipotecari e incoraggiare la proliferazione dei siti web di poker texano.

L'idea illogica secondo la quale sono i segreti a fare l'economia, piuttosto che il contrario, diventa particolarmente seria quando i legislatori la usano per giustificare la criminalizzazione del sapere. Il ragionamento procede più o meno così: nella società moderna alcune conoscenze devono essere segrete, perciò: la conoscenza è proprietà, acquistare tale conoscenza senza pagare è un furto, le persone che apprendono informazioni senza pagare devono essere sanzionate con multe e pene detentive. Ecco come siamo arrivati, per esempio, all' Economic Espionage Act del 1996, che considera un reato federale trasferire al di là delle frontiere di Stato segreti industriali per scopi economici (sezione 1832) e un reato federale ancora più grave trafugare segreti industriali all'estero (sezione 1831). Si tratta di una legge di portata molto ampia perché, praticamente, un segreto industriale è qualsiasi cosa sia conosciuta dalla vittima e da nessun altro, almeno prima che lo spionaggio abbia luogo. Sebbene non siamo certi che questa legge raggiungerà l'effetto desiderato, sappiamo però che sarà massicciamente violata. La ragione è che le parti interessate sono impegnate in un poker con poste elevate, un gioco in cui vedere al di là degli inganni dell'avversario e mentire meglio di lui conta molto di più delle carte che abbiamo in mano. Nessuna delle parti crede che rubare idee sia immorale o che criminalizzare il sapere sia positivo per la società. L'idea stessa è assurda.

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In passato queste contraddizioni erano tollerabili perché non interferivano granché nella vita di ogni giorno. Si poteva sentir dire che sì, era una vergogna terribile che il maggiore Armstrong non fosse riuscito a trarre profitto dalle sue invenzioni e una vergogna ancora più grande che la disperazione lo avesse indotto al suicidio, ma guardiamo al florido settore delle radio commerciali! Nessuno si è preoccupato che il brevetto proteggesse i veri inventori. Ci si è preoccupati soltanto che assegnasse efficacemente diritti di monopolio a individui capaci di fare impresa, migliorando in tal modo la vita di tutti gli altri. Ma la recente transizione all'Età dell'informazione ha fatto sì che l'indeterminatezza logica delle norme sui brevetti cominciasse a interferire con materie intellettuali che molti ritenevano inviolabili e profondamente coinvolgenti: per esempio nozioni comunemente accolte di giusto e sbagliato, la sacralità del corpo umano e il fatto che due più due fa quattro.

Le invasioni di campo delle norme sui brevetti sono spesso dissimulate nel linguaggio tecnico. Ecco un esempio. La Corte suprema degli Stati Uniti ha recentemente emesso la decisione paradossale secondo la quale i processi chimici del nostro corpo non sono leggi naturali. A ciò è arrivata in due passaggi. In un primo tempo ha stabilito che le leggi di natura non possono essere oggetto di brevetto. Poi ha stabilito che le sequenze dei geni possono essere brevettate. La conclusione ineludibile è che le sequenze geniche non sono leggi di natura. Ecco un altro esempio. La Corte ha prima stabilito che gli algoritmi o le formule matematiche, come le leggi di natura, non possono essere brevettati. Poi ha stabilito che il software per computer può essere brevettato. Conseguentemente ha deliberato che il software non consiste di algoritmi o di formule matematiche! Questa rivelazione suscita le fragorose risate degli ingegneri informatici che interrompono lietamente il loro lavoro, consistente nello scrivere formule matematiche fino a tarda notte, e scoprono che "algoritmo" non è un sinonimo di "programma per computer" come avevano sempre pensato.

La fonte di queste incongruenze logiche non sono i funzionari dell'ufficio brevetti o i giudici, per la maggior parte persone motivate e ben intenzionate, ma i legislatori, che li hanno addestrati a concedere brevetti con liberalità, a seguire le tradizioni dei precedenti legali e, in particolare, a non prendere decisioni sulla base dei principi scientifici o del buon senso. Lo scopo apparente dell'ultima ingiunzione è quello di guardarsi dagli abusi. Di conseguenza, non è motivo di sorpresa che i brevetti spesso violino sia i principi scientifici stabiliti sia il buon senso. Per esempio, continua a esserci un flusso costante di riconoscimenti per macchine del moto perpetuo, anche se esse violano la seconda legge della termodinamica. Una di queste proposte chiama in causa anche inesistenti principi di antigravità. Recentemente è stato concesso un brevetto per la compressione di dati, non importa quanto casuale, senza perdita di informazione, il che costituisce violazione del primo teorema di Shannon. Poi c'è la lunga lista dei brevetti divertenti quali i coni gelato motorizzati, i cuscini con ombrello retrattile, bare che si inclinano, metodi per allenare i gatti, freezer per escrementi canini, la centrifuga che facilita le nascite, i metodi per far oscillare l'altalena. Questi, tuttavia, non sono motivo di grande preoccupazione.

La funzione della legge sui brevetti, disgraziatamente, è quella di stabilire non soltanto barriere monopolistiche artificiali ma anche vincoli a ciò che possiamo dire o fare. La ragione immediata è che le cause legali, anche quelle vane, possono danneggiare finanziariamente una persona, attraverso spese e tempo di lavoro perduto, al punto da funzionare come ammende prelevate privatamente. Un celebre esempio di questo problema è la serie di cause intentate da Uri Geller, che sosteneva di piegare cucchiai con i suoi poteri psichici, contro il prestigiatore James Randi, che lo aveva accusato di frode. Le cause finirono in nulla, ma Randi fu così gravemente taglieggiato dalle spese legali che, per fronteggiarle, ebbe bisogno di ricorrere al contributo di donazioni. Lo stesso principio si applica ai brevetti. James Grody, genetista dell'UCLA, ha dovuto fermare la ricerca sulla sordità congenita collegata al gene Connessione 26 perché il proprietario del suo brevetto, Athena Diagnostics, aveva preteso un pagamento a titolo di diritti che egli non era stato in grado di sostenere. Bob Jacobsen, esperto di modellismo ferroviario, ha ricevuto lettere intimidatorie e una fattura da 203.000 dollari da KAM Industries per una presunta violazione di brevetto dopo che aveva scritto e pubblicato un software che consentiva a un computer di controllare i trenini elettrici. Stephanie Cox, proprietaria di un piccolo negozio chiamato Pufferbelly Toys, è stata visitata da agenti del Department of Homeland Security e gentilmente invitata a cessare di vendere il Cubo Magico, un articolo che si presumeva violasse il brevetto del Cubo di Rubik, presunzione che più tardi si è rivelata errata perché il brevetto del Cubo di Rubik era scaduto. Il programmatore Avery Lee ha dovuto smettere di distribuire il suo programma open source VirtualDub perché Microsoft ha sostenuto che la sua compatibilità con i propri protocolli di pacchetto ne violava i brevetti.

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7. I fatti della vita



È difficile immaginare qualcosa di più meraviglioso o naturale della comprensione dei principi della vita. Le cose viventi non solo sono belle e interessanti ma sono parte del nostro ambiente, anzi, noi siamo parte del loro, poiché l'ecosfera potrebbe sopravvivere benissimo senza esseri umani ma non viceversa. Conodonti, trilobiti e foreste carbonifere sono apparsi e scomparsi prima che gli esseri umani fossero anche solo un barlume nell'occhio del loro creatore, e così pure i dinosauri. Gli umani potrebbero avere annientato la megafauna mammifera, la tigre tasmaniana e il dodo, ma non hanno certamente creato questi animali? Inoltre, i processi vitali sono per noi di estrema importanza economica. Gli esseri viventi ci nutrono, ci vestono, ci danno una casa. Creano il nostro ambiente. Generano l'aria che respiriamo. Ci minacciano fisicamente, oppure con predazione e malattie. Regolano il nostro corpo e ci concedono – o non ci concedono – tempo sulla Terra. È sensato voler apprendere su di loro tutto ciò che è possibile.

Questa conclusione, ovviamente, è del tutto semplicistica. La conoscenza della vita, come ogni altro tipo di conoscenza, può superare i limiti. Versioni quotidiane di questo problema sono fonti di battute scherzose. Non è gentile discutere di che cosa mangiano i gatti a colazione. Quelle più serie sono tutto fuorché materia di barzellette. Una persona che abbia una grande familiarità con le malattie potrebbe infettare intenzionalmente una popolazione di umani o di piante agricole o di animali, in modo da causare un'epidemia. Un individuo profondamente esperto nella manipolazione genetica potrebbe creare pericolose forme di vita, come lucertole ermafrodite giganti, nuove malattie virulente o esseri umani espressamente destinati a diventare schiavi o soldati. Una persona ben informata sul funzionamento del meccanismo della cellula potrebbe usare la microchirurgia per usurpare il normale sviluppo dell'embrione e creare mostri per divertimento o per disporre di pezzi di ricambio. Come potremmo desiderare che qualcuno apprenda come fare queste cose?

Esistono, naturalmente, anche ragioni commerciali per mantenere alcuni principi essenziali della vita al di fuori del dominio pubblico. Per prima cosa, ciò aumenta i costi di ricerca per i concorrenti che tentano di copiare o migliorare i vostri prodotti agricoli o medici. Ecco una delle ragioni per cui non è possibile che chiunque produca semi di soia, cotone o cereali transgenici resistenti agli insetti, frumento, riso e tabacco resistenti alle siccità o semi di colza resistenti al sale, anche se si presume che farlo sia facile. Una base di conoscenza che resti oscura agli altri vi consente di compiere rischiosi investimenti tecnologici — maiali che apportano vantaggi al cuore, salmoni che crescono rapidamente, polli terapeutici e così via — con ragionevoli aspettative di profitto. Ciò ha l'ulteriore salubre effetto di alzare i costi per coloro che desiderano criticare i vostri prodotti con motivazioni scientifiche, per esempio asserendo che intossicano involontariamente gli esseri umani, che contaminano il naturale pool genetico o che causano danni collaterali a benefiche popolazioni di insetti.

Disgraziatamente, la conclusione apparentemente di buon senso secondo la quale alcune conoscenze biologiche devono essere tenute al di fuori del dominio pubblico ha implicazioni enormi. Per conseguire questo risultato non basta censurare la disseminazione di certi risultati: occorre anche scoraggiare la loro successiva scoperta da parte di qualcuno che non sia possibile censurare! Ciò non può essere ottenuto se non interrompendo le tradizioni intellettuali della scienza stessa, in particolare in una disciplina con solo modeste esigenze di attrezzature di laboratorio. Si devono sradicare non soltanto le idee ma anche i semi di quelle idee e i processi per sintetizzarle logicamente in un complesso più grande. È come combattere contro le erbacce infestanti o contro un cancro. Il dilemma, naturalmente, è identico a quello affrontato limitando la diffusione della conoscenza nucleare: un'analogia che, comprensibilmente, mette a disagio molti biologi di professione. Tuttavia, i fatti parlano da soli. Com'era prevedibile, la soluzione che sta per essere implementata in biologia è simile a quella già implementata in fisica, così come sono simili i rispettivi difetti. Al momento in nessun paese esiste un analogo biologico dell' Atomic Energy Act, ma ciò è del tutto irrilevante perché nel tempo l'esperienza della legge ha rivelato che le sue norme penali non erano sufficienti ad arrestare la diffusione di conoscenza. La misura veramente efficace è stata l'autocensura "volontaria" applicata mediante minacce di licenziamento, perdita del sostegno delle donazioni e ostracismo pubblico per volonterosi interessi di ricerca verso direzioni "sbagliate" o per discorsi pubblici su argomenti che ciascuno sa essere tabù. Questo è quanto oggi sta accadendo in biologia. Il problema centrale di questa pratica, però, è che essa blocca i nostri progressi e quelli degli aspiranti terroristi ma non quelli della concorrenza più determinata e dotata di adeguate risorse finanziarie.

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10. L'utopia inquieta



L'idea che il sapere possa essere criminale è estranea al pensiero della maggior parte delle persone e, di primo acchito, le colpisce come una bizzarria. C'è molta strada da fare tra lo spam e Armageddon e, francamente, la maggior parte di noi ha cose migliori da fare che investire il proprio tempo in teorie cospirative. Se vogliamo occuparci della questione, tanto vale andare al cinema. Là possiamo vedere – preferibilmente in una galassia molto, molto lontana – una vita quotidiana piena di meraviglie tecnologiche che la gente usa ma non capisce, le minacce costituite da potenti megalomani, un controllo del pensiero freddamente efficiente, governi oppressivi supportati da eserciti di robot. È divertente e dura solo due ore, dopodiché possiamo tornare a costruire i nostri grafici di marketing, a fare la coda ai check-in degli aeroporti, ad accompagnare i bambini all'asilo e alle altre cose pratiche. Usufruiamo di questa catarsi senza subire spese e, ovviamente, ci conviene di più.

Ma le nostre azioni rivelano che siamo profondamente interessati al potere della conoscenza, anche se a parole lo neghiamo. Siamo stati in molti a pagare per vedere quei film. In moltissimi li abbiamo visti in copie piratate, pienamente consapevoli dell'illegalità della pratica. Molti di noi sono rimasti svegli la notte pensando a ciò che potrebbe accadere se le persone sbagliate imparassero a fabbricare armi atomiche o aerosol di malattie mortali. Questi temi occupano la nostra mente per gran parte del tempo e sono oggetto di reale preoccupazione.

Purtroppo, le nostre azioni rivelano anche una vergognosa ambivalenza verso la libertà intellettuale. Molti di noi denigrano le conoscenze tecniche come un male, chiunque sia chi le produce e quale che sia la sua motivazione. Molti di noi applaudono con convinzione quando gli editoriali dei giornali invocano il sequestro di varie forme di conoscenza pericolosa. Solitamente giustifichiamo questi applausi sostenendo che vi è una differenza tra conoscenza tecnica e non tecnica e che la prima è una minaccia mentre la seconda non lo è. Ma la distinzione che facciamo in realtà è tra conoscenza che rende potenti e conoscenza che non lo fa. Ciò che non aumenta le potenzialità umane può essere benigno, ma solitamente non ha alcuna importanza. La triste verità è che la maggior parte di noi non trova la criminalizzazione della conoscenza particolarmente inquietante, salvo, naturalmente, quando si applica proprio a noi e ai nostri parenti stretti. Quando si applica agli stranieri la troviamo del tutto ragionevole, benché talvolta imbarazzante da discutere in pubblico, il che spiega la nostra ansia di cambiare argomento.

Diversa è la questione quando si tratta del nostro diritto di apprendere. Non solo ci sentiamo giustificati a istruire noi stessi e i nostri figli nel modo che ci sembra più appropriato, ma sentiamo di avere il dovere di assumere il controllo della situazione e di trasmettere questo atteggiamento combattivo ai nostri figli.

Eppure il nostro diritto di apprendere è attualmente piuttosto problematico. Tale diritto non è garantito dalle leggi di nessun paese, nemmeno di quelli che si vantano della propria apertura e dell'esplicita codificazione dei diritti umani. La ragione originaria fu probabilmente che nessuno poteva immaginare di aver bisogno di una tale legge. Ma una ragione più nuova e più sinistra è che i paesi hanno bisogno di forti controlli spionistici per scoraggiare l'"apprendimento" di segreti militari decisivi per la sicurezza dello Stato. Ciò include non solo informazioni logistiche e tecnologiche ma, in misura crescente, conoscenze scientifiche di base che potrebbero aiutare Stati esteri o terroristi nella fabbricazione di armi. I governi non vogliono che il diritto a conoscere sia codificato perché vogliono poter limitare questo diritto ogni volta che sia necessario per proteggere lo Stato. Essi vogliono anche poterlo limitare qualora sia necessario per proteggere l'economia mondiale. Questa seconda pratica è sempre stata importante, ma la nostra transizione all'Età dell'informazione le ha conferito un nuovo rilievo. Il diritto di conoscere è oggi aggressivamente contrastato dai fautori della proprietà intellettuale, per i quali le idee dovrebbero essere elevate alla condizione dei terreni, delle auto e di altre attività fisiche di modo che la loro acquisizione non autorizzata possa essere perseguita come furto.

La nostra ambivalenza nei confronti della criminalizzazione del sapere tradisce dunque un profondo conflitto irrisolto, nelle nostre menti e nelle nostre società, tra stabilità economica e sicurezza da una parte e diritti umani dall'altra. Pretendiamo forti principi di tutela della proprietà per il benessere economico e una forte censura statale su determinati argomenti per ragioni di sicurezza. Nello stesso tempo, comprendiamo che circoscrivere l'accesso alla conoscenza da parte di un giovane, specialmente quando le sue origini sono umili, è immorale. Questa è la ragione per cui le tesi secondo le quali apprendere è un furto, o comunismo, terrorismo e cose simili ci colpisce come qualcosa di indegno. Le possiamo comprendere, ma sappiamo che non dovremmo perché travisano una posizione morale semplice, trasparente e corretta in una parodia.

Il dilemma dell'Età dell'informazione presenta allarmanti analogie con quello della schiavitù. Negli anni che precedettero la guerra civile negli Stati Uniti, molte persone che comprendevano l'immoralità della schiavitù, nondimeno la sostenevano energicamente poiché le conseguenze economiche e militari del suo abbandono sembravano impensabili.

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