Autore Giorgio Lulli
Titolo L'esperimento più bello
SottotitoloL'interferenza di elettroni singoli e il mistero della meccanica quantistica
EdizioneApogeo, Milano, 2013, L'avventura della ricerca , pag. 148, ill., cop.fle., dim. 13,7x21x1,2 cm , Isbn 978-88-3878-858-1
LettoreCorrado Leonardo, 2014
Classe fisica












 

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Indice


Prologo                                                    vii
Ringraziamenti                                               x

Capitolo 1 — Perché il più "bello"?                          1

Capitolo 2 — Onde e interferenza                             9

2.1 Che cos'è un'onda?                                       9
2.2 Principali proprietà delle onde                         10
2.3 Principio di sovrapposizione                            13
2.4 Interferenza                                            15
2.5 Sorgenti estese (coerenti)                              22
2.6 Diffrazione                                             24
2.7 Le due fenditure                                        27
2.8 Diffrazione e interferenza: "vedere" le onde            32

Capitolo 3 — All'inizio fu la luce                          35

3.1 L'esperimento delle due fenditure di Young              35
3.2 Einstein ribalta le carte in tavola                     38

Capitolo 4 — Elettroni: il dualismo conquista la materia    45

4.1 La scoperta dell'elettrone                              45
4.2 L'elettrone nell'atomo                                  46
4.3 De Broglie e le "onde di materia"                       50
4.4 La prova sperimentale                                   52

Capitolo 5 — L'esperimento mentale                          55

5.1 Solvay 1927                                             55
5.2 La versione di Feynman                                  56
5.3 Bello e... impossibile!                                 80

Capitolo 6 – Dalla mente al laboratorio:
             come l'esperimento più bello divenne realtà    83

6.1 L'interferenza di fotoni singoli                        84
6.2 Interferenza di elettroni: i problemi pratici           87
6.3 Interferenza di molti elettroni                         91
6.4 Interferenza di elettroni singoli                      102

Capitolo 7 – Pensare classico, pensare quantistico         117

7.1 Si può capire la meccanica quantistica?                117
7.2 Vedere, pensare, interpretare                          119
7.3 Visioni e divisioni dei padri fondatori                121
7.4 I radicali: Heisenberg e Bohr                          122
7.5 Un innovatore moderato: Schrödinger                    129
7.6 Il colpo di mano di Born                               130
7.7 Quale percorso?                                        132
7.8 Esperimenti which path e il punto di vista statistico  135
7.9 Il senso del mistero                                   137
7.10 Il mistero svelato?                                   138

Appendice                                                  141

Riferimenti e approfondimenti                              143


 

 

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Pagina 1

CAPITOLO 1
Perché il più "bello"?



Lo vidi durante un corso di ottica all'Università di Edimburgo. Il professore non ci spiegò cosa stava per succedere e l'impatto fu tremendo. Sinceramente, non ricordo più i dettagli dell'esperimento — mi ricordo però la distribuzione dei puntini che vidi ad un tratto distribuiti in una figura di interferenza [...] Vedere l'esperimento delle due fenditure realizzato è come guardare una eclissi totale di sole per la prima volta. Cristo — pensi — allora questa cosa della particella-onda è proprio vera.

Allison Campbell, St. Andrew University, GB


Nel maggio 2002 Robert P. Crease, filosofo della scienza, lanciò un sondaggio sulla rivista Physics World. Ai lettori chiese quale fosse, secondo loro, l'esperimento di fisica più bello mai realizzato nella storia.

Ecco gli esperimenti più citati nelle oltre duecento risposte pervenute, elencati dalla decima alla prima posizione.

• Posizione 10: prova della rotazione della Terra con il pendolo di Foucault (L. Focault, 1851)

• Posizione 9: scoperta del nucleo atomico (E. Rutherford, 1911)

• Posizione 8: esperimenti di rotolamento dei corpi lungo un piano inclinato (G. Galilei, 1600 circa)

• Posizione 7: misura della circonferenza della Terra (Eratostene, III secolo a.C.)

• Posizione 6: misura della costante gravitazionale con la bilancia a torsione (H. Cavendish, 1798)

• Posizione 5: esperimento di interferenza della luce (T. Young, 1801)

• Posizione 4: scomposizione della luce solare tramite un prisma (I. Newton, 1665-1666)

• Posizione 3: misura della carica dell'elettrone (A. Millikan, 1910 circa)

• Posizione 2: esperimenti sulla caduta dei gravi (G. Galilei, 1600 circa)

• Posizione 1: esperimento della doppia fenditura di Young applicato all'interferenza dei singoli elettroni.


Sono certo che molti lettori avranno sentito parlare almeno di qualcuno degli esperimenti citati, vuoi per la fama degli autori, vuoi per quella degli esperimenti stessi. Ma so per esperienza che pochi, a differenza dei lettori di Physics World che parteciparono al sondaggio, conoscono l'esperimento classificatosi al primo posto.

Ovviamente ci torneremo sopra a sufficienza per farvelo conoscere: è lo scopo di questo libro! Ma, perché si sappia subito, anche solo vagamente, di che cosa stiamo parlando, proviamo a descrivervelo in modo semplice e sintetico.

L'esperimento riguarda gli elettroni, tradizionalmente noti come microscopiche particelle che, assieme a protoni e neutroni, costituiscono gli atomi. Al momento, e per buona parte di questo libro, non ci interesseremo dei dettagli concreti di questo esperimento, per esempio come sono fatti gli strumenti con il quale si può condurre in un laboratorio. Useremo una schematizzazione "concettuale", molto semplificata, che basta però a evidenziare gli strani fenomeni che accadono: nel Capitolo 6 racconteremo poi come i fisici riuscirono a realizzare questo esperimento nella pratica.

Immaginiamo di avere un "fucile" caricato a elettroni e di spararli a caso, uno alla volta, verso un rivelatore (nel nostro caso si tratta di uno schermo fluorescente estremamente sensibile), davanti al quale abbiamo collocato una barriera che gli elettroni non possono attraversare. Nella barriera abbiamo però ritagliato due sottilissime aperture (che chiameremo fenditure). La presenza delle fenditure permetterà che qualcuno degli elettroni sparati raggiunga il rivelatore. Quando accade un evento come questo, vedremo apparire un puntino luminoso nella posizione dove l'elettrone che ha attraversato le fenditure colpisce il rivelatore.

I puntini che vediamo apparire ci fanno naturalmente pensare agli elettroni come microscopiche palline. Man mano però che i puntini si accumulano, scopriamo con sorpresa che non si raggruppano in due strisce, posizionate più o meno di fronte alle due fenditure, come farebbero appunto delle palline molto piccole.

Essi si distribuiscono sullo schermo del rivelatore in modo più complicato: formano una figura composta da molte strisce. Ci sono cioè strisce luminose in cui troviamo molti puntini, segno che qui sono arrivati molti elettroni, alternate a strisce scure in cui i puntini arrivano molto poco o quasi mai. Chi conosce un po' di fisica, sa che la figura a strisce che si forma sullo schermo è l'indizio di un fenomeno, l' interferenza, che riguarda le onde (come le onde nell'acqua o le onde sonore). Un fenomeno, cioè, sostanzialmente diverso da quelli a cui sono soggette semplici palline, grandi o piccole che siano.

Nell'esperimento vediamo quindi gli elettroni comportarsi come palline, perché quando uno di essi colpisce lo schermo rivelatore produce un puntino luminoso, ma in un certo senso anche come onde, perché tanti puntini si distribuiscono in una figura di interferenza. Questo comportamento, definito in genere, anche se non molto propriamente, dualismo onda-particella, è uno degli aspetti più sorprendenti previsti dalla meccanica quantistica, teoria che ebbe origine dall'ipotesi formulata nel 1900 da Max Planck (1858-1947) dei quanti di energia, e si affermò nella comunità scientifica durante i primi tre decenni del ventesimo secolo.

La fisica cosiddetta "classica", nota alla fine dell'Ottocento, non era in grado di spiegare i fenomeni sorprendenti e contrari all'intuito comune a cui gli elettroni e la luce davano luogo, e che si venivano via via scoprendo in quegli anni. Fu quindi elaborata una nuova teoria, quella quantistica, che con la teoria della relatività costituisce il corpo principale della fisica "moderna". È stata una vera rivoluzione scientifica, che ha trasformato profondamente il modo di concepire la realtà da parte degli scienziati.

Ma come mai, in mezzo ai grandi capolavori dell'ingegno scientifico menzionati dai lettori di Physics World, proprio l'interferenza di elettroni singoli, certamente meno famoso di tanti altri, è stato giudicato il più bello?

Riportiamo anzitutto quello che scrisse il promotore del sondaggio, Robert P. Crease:

L'esperimento illustra la dualità onda-corpuscolo e permette di capire immediatamente il significato fisico della funzione d'onda associata all'elettrone. Esso contiene l'essenza della meccanica quantistica. Ha tutte le caratteristiche che permettono di definire un esperimento bello. È di importanza strategica, nel senso che è capace di convincere anche il più scettico sui fondamenti della meccanica quantistica. È semplice, facile da capire, nonostante i suoi risultati siano rivoluzionari. Il mondo della meccanica quantistica è e rimarrà assolutamente lontano dal nostro intuire, indipendentemente da quanto si conosca la teoria. L'esperimento di interferenza con elettroni singoli pone la realtà dinanzi ai nostri occhi in modo semplice, chiaro e coinvolgente. È quindi presumibile che rimarrà nel pantheon degli esperimenti meravigliosi per molti anni a venire.

Le osservazioni di Crease insistono su alcuni aggettivi (convincente, semplice, facile da capire...) che tendono ad avvicinare l'esperimento di interferenza di elettroni singoli ai grandi esperimenti della fisica classica presenti nella classifica di Physics World.

Ma esso presenta anche alcuni aspetti del tutto particolari.

Questo esperimento, a differenza di altri, non ha in effetti "scoperto" un fenomeno nuovo o misurato in modo ingegnoso una quantità fisica fondamentale. Sin da quando, verso la fine degli anni 1920, esso fu ideato "sulla carta" (all'epoca non esistevano i mezzi tecnici per realizzarlo in pratica) i fisici erano sicuri di quello che sarebbe stato il suo risultato. Il comportamento sorprendente che abbiamo visto sopra è infatti una naturale conseguenza del modo in cui gli elettroni sono descritti dalla meccanica quantistica. Nonostante ciò, realizzarlo in un laboratorio quasi cinquanta anni dopo che era stato pensato, rendendo visibili, verificabili con mano, le previsioni della teoria, ha avuto un impatto notevole, tanto da farlo considerare il più bello dai lettori che parteciparono al sondaggio del Physics World.

Per cercare di approfondire le motivazioni particolari di questo successo, partirei da un ragionamento fatto da uno dei protagonisti, Gian Franco Missiroli, in una chiacchierata sulla storia dell'esperimento più bello.

Se consideriamo i risultati dei grandi esperimenti classici, come quelli che compaiono nella classifica del Physics World – dice Missiroli – non c'è nulla che rende difficile alle persone accettarli. Prendiamo l'esempio dell'esperimento che è anche il progenitore del "più bello": quello dell'interferenza della luce, realizzato da Thomas Young (1773-1829) nei primi anni dell'Ottocento. A quei tempi esso sembrò risolvere definitivamente una controversia che si trascinava da quasi due secoli: la luce era costituita da uno sciame di microscopiche particelle o si trattava invece di un'onda?

L'esperimento di Young dimostrò che con la luce si poteva produrre interferenza, un fenomeno tipico delle onde ma non delle particelle, e sembrò dunque dare una risposta chiara e apparentemente definitiva al quesito. Vedremo che, in realtà, questo esperimento non fu l'ultima parola sulla natura della luce. Quasi esattamente cento anni dopo la sua realizzazione, Albert Einstein (1879-1955) dimostrò infatti che la luce, in determinate circostanze, poteva comportarsi anche come uno sciame di microscopiche particelle. Ma non anticipiamo; ci occuperemo di questo cruciale punto di svolta della fisica nel Capitolo 3.

Tornando invece all'interferenza dei singoli elettroni, l'esperimento, sempre secondo Missiroli, non chiarisce "che cosa sia" un elettrone, e cioè a quale categoria di oggetti della nostra esperienza (per esempio particelle, o onde) appartiene. Al contrario ci mostra che l'elettrone può avere comportamenti sia da particella sia da onda. Ma siccome, secondo la logica comune, queste due nature si escludono a vicenda, che cosa si può concludere? Potremmo dire che l'elettrone è tutte e due le cose. Oppure che non è nessuna delle due, ma qualcosa d'altro, e cioè un "oggetto quantistico", che, in quanto tale, ha un comportamento molto diverso da quello degli "oggetti classici" (palline da tennis, onde in uno stagno e così via).

Tutto ciò, dimostrato da un esperimento vero e non semplicemente dedotto dalle equazioni di una teoria, ha una forza di impatto notevole e riesce a convincere anche i più scettici della radicale diversità del mondo microscopico, descritto dalla meccanica quantistica.

Accanto a questa positiva forza di convinzione, coesiste comunque un senso di sconcerto, perché questa diversità, non spiegabile con il buon senso, ci lascia con l'impressione che quel mondo funzioni in modo bizzarro e razionalmente inspiegabile.

A mio parere questa capacità di rendere evidente il "mistero" della meccanica quantistica, come lo definì Feynman , fa parte del fascino, e dunque della bellezza, dell'esperimento. Un altro aspetto caratteristico è la storia lunga e piuttosto complessa dell'esperimento, con la conseguente difficoltà a identificarne gli autori.

L'interferenza di elettroni singoli nacque inizialmente come "esperimento mentale", concepito da Einstein durante il famoso Congresso Solvay del 1927. La sua realizzazione pratica avvenne poi in varie tappe, alle quali contribuirono diversi gruppi di ricerca. L'esperimento che Pier Giorgio Merli, Gian Franco Missiroli e Giulio Pozzi realizzarono nel 1974 e pubblicarono nel 1976 rappresentò una pietra miliare di questo percorso. Fu infatti il primo esperimento di interferenza in grado di visualizzare contemporaneamente il comportamento da particella e quello da onda dell'elettrone. Dopo quell'esperimento ne vennero altri che, grazie ai progressi tecnici, hanno permesso ulteriori perfezionamenti e affinamenti.

La storia articolata dell'esperimento più bello, che ripercorreremo nel capitolo 6, spiega perché, una volta noto il risultato del sondaggio di Physics World, vi sia stata qualche difficoltà nell'individuare chi lo avesse fatto per primo. Inizialmente l'editore della rivista ne attribuì la paternità a un gruppo di ricercatori giapponesi diretto da Akira Tonomura (1942-2012). Questi avevano realizzato effettivamente un esperimento di interferenza di elettroni singoli, ma nel 1989, e cioè ben 13 anni dopo quello di Merli Missiroli e Pozzi. A chiarire definitivamente la situazione fu l'intervento di un ricercatore inglese, John Steeds, il quale, grazie al film "Interferenza di elettroni", aveva conosciuto fin dall'inizio il lavoro dei tre italiani.

La vicenda del sondaggio di Physics World è l'epilogo del viaggio che vogliamo raccontarvi. Per partire dal punto in cui esso inizia è necessario fare un lungo salto indietro nel tempo.

Abbiamo visto che l'esperimento di interferenza di elettroni singoli viene denominato dal Physics World "l'esperimento delle due fenditure di Young applicato all'interferenza di singoli elettroni". Quindi esiste un "antenato" del nostro esperimento, bello anch'esso, visto che compare nella stessa classifica al quinto posto. Risale al 1800 circa e il suo fine era quello di risolvere un dilemma scientifico che all'epoca di Young tormentava gli scienziati da quasi due secoli, ovvero: che cos'è la luce?

Prima di scoprire la risposta a questa domanda e iniziare il viaggio che ci porterà all'esperimento più bello della fisica, dedicheremo il prossimo capitolo a introdurre, in modo semplice e sostanzialmente privo di matematica, i concetti principali che riguardano le onde e i fenomeni ondulatori. Ciò sarà utile per apprezzare meglio le sorprendenti conseguenze dell'esperimento di interferenza dei singoli elettroni. Chi ha una certa familiarità con la fisica delle onde può sorvolare il Capitolo 2 e passare direttamente al Capitolo 3.

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CAPITOLO 5
L'esperimento mentale



[...] un fenomeno che è impossibile, assolutamente impossibile spiegare in modo classico e che sta al cuore della meccanica quantistica. In realtà contiene l'unico mistero. Non possiamo eliminare il mistero raccontando come l'esperimento funziona. Nel raccontarvelo dovremo raccontarvi le caratteristiche fondamentali di tutta la meccanica quantistica.

Richard Feynman, The Feynman Lectures on Physics 3. Quantum mechanics


Nei tre-quattro anni che precedettero il 1927, lo sforzo principale dei fisici fu rivolto a unificare in un unico linguaggio matematico-formale i risultati teorici e sperimentali ottenuti fino a quel momento dallo studio dei fenomeni del mondo microscopico. Il risultato di quello sforzo fu la formulazione della cosiddetta meccanica quantistica, i cui fondamenti furono discussi durante la conferenza Solvay "Elettroni e fotoni", tenutasi a Bruxelles nel settembre 1927.


5.1 Solvay 1927

In realtà quel congresso fu preceduto di appena un mese da un altro, svoltosi in Italia, a Como. Lì Bohr aveva enunciato per la prima volta la sua visione della meccanica quantistica basata sul principio di complementarità. Però a Como mancavano due grandi protagonisti: Einstein, che si era rifiutato di recarsi nell'Italia fascista, e Erwin Schrödinger (1887-1961), assente per motivi personali. Entrambi furono invece presenti a Bruxelles per il congresso Solvay.

Fu dunque questa la sede ufficiale in cui i cosiddetti "padri fondatori" elaborarono l'interpretazione della meccanica quantistica che a tutt'oggi è considerata quella "ortodossa". Da allora in poi ci sarebbero stati altre scoperte e altri sviluppi, ma si può dire che i caposaldi fondamentali uscissero da quel congresso già tutti ben delineati.

Molti scienziati contribuirono alla formulazione della meccanica quantistica che passa sotto il nome di interpretazione di Copenhagen, ma i principali artefici (almeno fino al 1927) furono indubbiamente il già ricordato Niels Bohr , Werner Heisenberg (1901-1976) e Max Born (1882-1960) – anche se storici e filosofi della scienza da tempo non vedono di buon occhio l'accomunarli sotto un'unica etichetta, poiché (come vedremo meglio nel Capitolo 7) ebbero anche posizioni assai diverse su alcuni problemi importanti.

Per il momento il congresso Solvay ci interessa perché proprio lì Einstein inventò la versione "mentale" dell'esperimento di interferenza dell'elettrone/fotone singolo. Si trattò, in buona sostanza, di una versione quantistica dell'esperimento della doppia fenditura di Young. Einstein immaginò di inviare un solo elettrone/fotone alla volta dalla sorgente al rivelatore, attraverso le fenditure.

Abbiamo detto elettrone/fotone non a caso. In quel momento era infatti già chiaro che siccome il "dualismo" onda-particella riguardava allo stesso modo luce e elettroni, l'esperimento dovesse dare gli stessi risultati in entrambi i casi. Racconteremo quei risultati nel prossimo paragrafo facendo in parte riferimento alla famosa rielaborazione didattica che nel 1963 Richard Feynman fece dell'esperimento mentale di Einstein.


5.2 La versione di Feynman

Il premio Nobel Richard Feynman ha un ruolo importante nella storia dell'esperimento più bello. Nel capitolo di introduzione alla meccanica quantistica del terzo volume de La Fisica di Feynman, pubblicato nel 1963, propose un ragionamento che aveva come filo conduttore l'esperimento delle due fenditure. Questo venne descritto in tre varianti: la prima trattava di pallottole sparate da un fucile, la seconda di onde sull'acqua e l'ultima di elettroni. Quest'ultima non era altro che l'esperimento mentale inventato da Einstein nel 1927. La stessa descrizione fu riproposta anche in un capitolo del suo libro divulgativo Sei pezzi facili.

Feynman riteneva che l'esperimento di interferenza di elettroni singoli fosse l'esempio migliore da un punto di vista didattico con cui iniziare gli studenti allo studio della meccanica quantistica. La sua personale formulazione, poi, mettendo a confronto fenomeni classici e quantistici, evidenziava molto efficacemente problemi che si affrontano nel passaggio dagli uni agli altri. Per questo è diventata un classico, ed è stata e viene tuttora riproposta in moltissimi libri o siti web che si occupano di didattica e divulgazione della meccanica quantistica.

Noi abbiamo preso spunto da quella versione, l'abbiamo parzialmente rielaborata e ve la proporremo per raccontarvi in dettaglio come funziona l'esperimento mentale.

Dato che racconteremo un esperimento mentale, non ci preoccuperemo di descrivere un apparato che assomigli a un apparato sperimentale reale. Nella realtà gli elementi principali che lo compongono (sorgente, fenditure e schermo rivelatore), dovrebbero essere molto diversi, per dimensioni, forma, materiali utilizzati, nei differenti casi che affronteremo. Ma noi li schematizzeremo sempre allo stesso modo, visto che per il momento ci interessa solo la loro funzione concettuale.

Per concentrare l'attenzione solo sugli aspetti essenziali, ogni volta che parleremo dell'esperimento delle due fenditure, non considereremo particelle o onde riflesse dallo schermo in cui sono praticate le due fenditure o dallo schermo rivelatore. Possiamo assicurarvi che trascurare questo fenomeno ne semplifica la trattazione, senza cambiare la sostanza delle conclusioni che ne possiamo trarre.

Inizieremo dunque immaginando di lanciare palline da tennis contro un muro in cui sono state praticate due aperture lunghe e strette. Vedremo che qui non è necessario possedere particolari nozioni di fisica per prevedere e spiegare il risultato dell'esperimento.

Cominciamo con una situazione che si può facilmente immaginare (e visualizzare), ovvero palline da tennis sparate ad alta velocità contro un muro sul quale sono stati praticati due tagli (fenditure), diciamo larghi 20-30 centimetri ciascuno. Le palline sono inviate verso il muro con direzioni casuali, non esattamente uguali una all'altra.

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La figura di interferenza delle onde, composta da molte strisce di liquido oscillante, è qualcosa di decisamente diverso da quella che formano le palline da tennis. Quest'ultima, infatti, è costituita da due sole strisce, centrate in corrispondenza della proiezione geometrica delle fenditure. Notate anche che nella figura di interferenza c'è una montagnola che sta esattamente nel mezzo rispetto alla posizione proiettata delle fenditure. Qui i fronti d'onda provenienti dalle fenditure, avendo percorso la stessa distanza, arrivano sempre in fase e generano quindi un massimo di interferenza.

Passiamo ora alla luce. Questo è in sostanza l'esperimento delle due fenditure "classico" di Young. Abbiamo già visto in precedenza la sua importanza storica come prova sperimentale che la luce si comporta come un'onda. Inizialmente prenderemo in esame il caso in cui l'esperimento viene condotto con un fascio di luce intenso. Questo va detto, perché, come vedremo poi, lo stesso esperimento, fatto usando una sorgente di luce estremamente debole e un rivelatore estremamente sensibile, svela aspetti che la versione classica di Young non è in grado di mostrare.

La sorgente è in questo caso un emettitore di luce. Anche se non strettamente necessario per la sua riuscita, per rendere più semplice l'esperimento useremo luce monocromatica, cioè composta di una unica lunghezza d'onda, come ad esempio quella di un laser.

La luce investe le fenditure...

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Fin qui abbiamo visto che palline da tennis e onde (sull'acqua o luminose) si comportano in modo diverso quando sono sottoposte all'esperimento delle due fenditure. Qualora avessimo dei dubbi, abbiamo ora in mano un metodo per capire se una "cosa" è onda oppure particella. Se nell'esperimento delle due fenditure la "cosa" in questione produce due strisce, saremo portati a dire che è una particella; se produce le frange di interferenza, che è un'onda.

A questo punto passiamo all'oggetto che qui ci interessa di più: l'elettrone.

In questo caso la larghezza delle fenditure dovrebbe essere estremamente piccola perché l'esperimento, come schematizzato nelle nostre figure, funzioni bene, diciamo qualcosa dell'ordine di un nanometro (miliardesimo di metro!) il che ci dà l'idea di quale sia la difficoltà a realizzarlo. Per ora non ci preoccuperemo di questo aspetto eminentemente pratico; ci torneremo sopra nel prossimo capitolo.

Prima di tutto immaginiamo di fare, come appena visto per la luce, un esperimento con un fascio intenso di elettroni, usando come rivelatore una lastra fotografica. Una lastra non ha una sensibilità molto elevata e per poterla impressionare è necessario irradiarla con un numero elevatissimo di elettroni. Per questo motivo parleremo di interferenza di molti elettroni. Questo è il modo in cui furono effettivamente realizzati i primi esperimenti di interferenza con elettroni.

Una volta conclusa l'esposizione e sviluppata la lastra, che figura vedremo su di essa?

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In definitiva, è come se l'elettrone, nello stesso esperimento, mostrasse proprietà sia delle particelle che delle onde. Particella quando il segnale del suo arrivo appare sul rivelatore, onda quando osserviamo la distribuzione di tanti segnali accumulati nel tempo. Inutile dire che nessun comportamento simile è riscontrabile negli oggetti con cui abbiamo abitualmente a che fare nella realtà quotidiana.

Torneremo più avanti su alcuni dei passaggi visti sopra per parlare dei problemi interpretativi di questo esperimento e delle diverse risposte che a questi si è tentato di dare.

Per completare il quadro facciamo ora un passo indietro e torniamo al caso della luce. Per quanto è stato raccontato nei capitoli precedenti, sappiamo che il dualismo onda-particella era stato scoperto per la luce molto prima che per gli elettroni. Bene, se ora ripetessimo l'esperimento di Young con una sorgente debolissima di luce e un rivelatore estremamente sensibile, avremmo un risultato simile a quello che abbiamo visto per gli elettroni. Osserveremmo cioè la comparsa di puntini luminosi che, accumulandosi uno dopo l'altro, formano le frange di interferenza. In questo caso l'evento rivelato dalla comparsa del singolo pallino luminoso corrisponde all'emissione e all'arrivo al rivelatore di un singolo fotone o quanto di luce. Tutti i passaggi e le considerazioni fatte descrivendo l'esperimento di interferenza di elettroni singoli valgono ugualmente nel caso dei fotoni singoli.

Possiamo quindi concludere che l'esperimento di interferenza di elettroni singoli e quello di fotoni singoli, a prescindere dalla differenza fisica di queste due "entità", sono concettualmente analoghi. Il cosiddetto dualismo onda-particella è una proprietà generale degli oggetti quantistici, come sono la luce e gli elettroni. In realtà non solo di questi. Infatti, anche le altre particelle elementari, nonché gli atomi fino ad arrivare addirittura ad agglomerati di decine e decine di atomi mostrano, in condizioni sperimentali appropriate, un comportamento simile a quello che abbiamo visto nel caso degli elettroni.

È importante sottolineare, e su questo torneremo nei prossimi capitoli, come l'aspetto sorprendente, la potenza e, in definitiva, la bellezza dell'esperimento di interferenza con fotoni e elettroni singoli, siano messe in evidenza proprio dalla possibilità di inviare e visualizzare gli elettroni o fotoni uno a uno. In queste circostanze emerge chiaramente quello che Feynman definisce il "mistero" della meccanica quantistica. Le frange di interferenza, che si spiegano con un comportamento ondulatorio, risultano dall'accumularsi nel tempo di singoli eventi, indipendenti uno dall'altro, ciascuno dei quali si spiega invece con un comportamento corpuscolare.


5.3 Bello e... impossibile!

Nel corso del suo ragionamento, Feynman, dopo aver illustrato l'esperimento delle due fenditure con le pallottole (noi abbiamo preferito le più innocue palline da tennis...) e con le onde nell'acqua, scrisse a riguardo dell'esperimento con elettroni:

Vi avvertiamo subito di non cercare di montare questo esperimento (come invece avreste potuto fare con i due che abbiamo già descritti). Esso non è mai stato fatto nel modo qui descritto. Il guaio sta nel fatto che, per rivelare gli effetti che ci interessano, l'apparato dovrebbe essere costruito su una scala talmente piccola da rendere impossibile la cosa. Noi stiamo quindi compiendo un "esperimento concettuale" e lo abbiamo scelto così perché è facile ragionarci su. Noi sappiamo quali sono i risultati che si otterrebbero, perche sono stati fatti molti esperimenti, in cui la scala e le proporzioni erano state scelte in modo da mettere in luce gli effetti che ora descriveremo.

Sappiamo già che, in una configurazione come quella che aveva schematizzato Feynman, occorrerebbe avere fenditure larghe meno di un nanometro per far funzionare l'esperimento. Il che appare decisamente al di fuori delle possibilità tecnologiche, non solo del tempo di Feynman, ma anche attuali. Da questo punto di vista l'opinione che non si possa fare "nel modo qui descritto" è condivisibile.

In realtà, come vedremo tra breve, esistono modi che consentono di realizzare nella pratica l'esperimento, superando la difficoltà tecniche del "troppo piccolo". Questo sarà l'oggetto del prossimo capitolo.

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6.3.3 Le fenditure di Jönsson

Torniamo ora alla cronaca degli eventi, facendo un breve salto in avanti, al 1959. Qui ci imbattiamo in un altro esperimento con le fenditure, condotto presso l'Università tedesca di Tübingen da un giovane dottorando, Carl Jönsson, sotto la direzione di Gottfried Möllenstedt (1913-1997).

Jönsson usò tecniche di microincisione molto avanzate per il suo tempo, simili a quelle che vengono ancora oggi utilizzate per la fabbricazione dei microchip. Su un sottilissimo foglio di rame riuscì a ritagliare fenditure con bordi regolari, larghe pochi decimi di micrometro e distanti tra loro 2 micrometri. Ne produsse serie di due, tre, quattro e cinque vicine, per realizzare esperimenti di interferenza con due (e anche più) fenditure. Gli esperimenti fu- rono condotti usando un sistema simile a quello della Figura 6.5. Non si trattava in realtà di un microscopio elettronico, ma di un prototipo costruito appositamente per gli esperimenti di interferenza. L'esperimento di Jönsson, in quanto ad accuratezza tecnica, controllo delle condizioni sperimentali e qualità delle figure di interferenza ottenute, rappresentò un notevole passo avanti rispetto al precedente esperimento di Faget e Fert.


6.3.4 Come semplificarsi la vita, ovvero l'invenzione del biprisma elettronico

Nel 1956, a Tübingen, tre anni prima dell'esperimento di Jönsson, G. Möllenstedt e H. Düker avevano inventato uno speciale dispositivo elettro-ottico: il biprisma elettronico. Il dispositivo funziona per gli elettroni come un biprisma ottico funziona per la luce. Vediamo di che si tratta.

Il biprisma ottico, utilizzato per primo da Fresnel, è composto da due prismi di vetro uguali, con sezione a triangolo rettangolo, attaccati tra loro lungo una base. Le cose funzionano come illustrato schematicamente nella parte sinistra della Figura 6.6. Una sorgente di luce S illumina il biprisma. La rifrazione, prodotta dalle due superfici diversamente inclinate, devia una verso l'altra le due parti del fascio che incidono sulle due metà del biprisma. Come conseguenza, esse si sovrappongono parzialmente al centro, producendo frange di interferenza su uno schermo posto a una certa distanza dal biprisma.

Se dallo schermo prolunghiamo all'indietro le direzioni dei raggi luminosi rifratti dal biprisma, quelli deviati da una delle due metà si incontrano in un punto diverso da quelli deviati dall'altra metà. Nei due punti di incontro si trovano due immagini (V1 e V2 nella figura) della sorgente primaria. Tutto avviene come se fossero quelle le sorgenti secondarie da cui provengono in linea diretta i fasci che interferiscono. Le immagini che il biprisma forma, "sdoppiando" otticamente la sorgente reale, svolgono quindi la stessa funzione delle due fenditure dell'esperimento di Young.

Il biprisma elettronico (Figura 6.6, a destra) è un dispositivo semplice e ingegnoso, costituito da un filo molto sottile conduttore di elettricità, posto trasversalmente alla direzione di propagazione del fascio elettronico, e collegato ad un generatore di potenziale elettrico. Applicandogli un potenziale positivo, esso genera un campo che devia una verso l'altra le porzioni del fascio che passano dai due lati del filo. Anche qui si formano due sorgenti-immagine e una zona di sovrapposizione sul rivelatore, al cui interno si osserva la figura di interferenza.

A questo punto possiamo pensare di sostituire un biprisma alle fenditure nell'esperimento schematizzato nella Figura 6.5. La sorgente, che viene "sdoppiata" in copie virtuali, è qui l'immagine reale della punta del filamento, rimpicciolita fino a dimensioni di pochi nanometri dalle lenti che stanno tra la sorgente e il biprisma. Le sorgenti V1 e V2 avranno dunque le stesse dimensioni di quella immagine.

Non siamo ancora vicini alla lunghezza d'onda degli elettroni, ma di certo sarebbe estremamente arduo, anche con le tecnologie odierne, fabbricare fenditure tanto sottili.

Per ottenere le necessarie condizioni di coerenza, il diametro del filo del biprisma deve essere piuttosto piccolo, non più di pochi micrometri. La sua fabbricazione, pur non essendo banale, è tuttavia notevolmente più semplice di quella delle fenditure.

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6.4.3 Colpo di fortuna

Nel 1974 il microscopio Siemens Elmiskop 101 del CNR-LAMEL era attrezzato e calibrato per le esperienze di interferenza. Nonostante ciò, non sarebbe stato realistico pensare di acquistare uno strumento costoso come il rivelatore di Hermann solo per fare un bell'esperimento di fisica fondamentale.

Caso volle che il laboratorio di microscopia elettronica dell'Istituto di Anatomia Umana dell'Università di Milano, diretto dal Professor Angelo Bairati, ne acquistasse un esemplare e lo installasse su uno dei microscopi elettronici che aveva in dotazione, dello stesso identico modello di quello del CNR-LAMEL.

Merli colse al volo la possibilità che si apriva con questa fortunata coincidenza e propose a Missiroli e Pozzi di imbarcarsi nell'ultimo passo dell'impresa: chiedere cioè a Bairati di poter utilizzare il microscopio elettronico del suo laboratorio e recarsi là, con il biprisma messo a punto a Bologna, per completare l'esperimento di interferenza di elettroni singoli.

Merli fu molto determinato nel perseguire questo obbiettivo. Giovane ricercatore quale egli era, non ebbe né timori né esitazioni a contattare il più anziano e titolato Bairati e a proporgli il progetto. E Bairati, verosimilmente convinto dall'entusiasmo di Merli, concesse l'uso del suo laboratorio.

Dario Nobili, responsabile del gruppo di ricerca di cui Merli faceva parte, e Antonio Laghi, allora direttore del CNR-LAMEL, manifestarono interesse per il progetto e, dando prova di ampiezza di vedute e sensibilità culturale, sostennero l'iniziativa con i fondi del laboratorio. Un tale sostegno non era affatto scontato. L'interferenza di elettroni singoli era infatti un esperimento sicuramente bello e interessante, ma di tipo fondamentale, e poteva apparire piuttosto lontano dalle attività istituzionali di ricerca del CNR-LAMEL, centrate sui dispositivi microelettronici al silicio.


6.4.4 "Interferenza di elettroni": l'esperimento e il film

A quell'epoca collaborava con il CNR-LAMEL Lucio Morettini, un ricercatore che aveva da poco iniziato a occuparsi di cinematografia scientifica. Merli gli chiese di collaborare per filmare il risultato dell'esperimento di interferenza di elettroni. Quello che ci si aspettava di vedere era la formazione della figura a frange per effetto dell'accumulo di singoli puntini luminosi. La ripresa cinematografica avrebbe potuto catturare in tempo reale l'evoluzione del fenomeno. Sarebbe stato il modo più efficace di mostrare il risultato dell'esperimento, anziché mettere una dietro l'altra una serie di immagini scattate con una macchina fotografica. Le tecnologie digitali di oggi renderebbero ovvia e di facile realizzazione la documentazione video di un esperimento del genere, ma allora le apparecchiature necessarie e le competenze per usarle non erano alla portata di tutti. Le sequenze che furono filmate costarono perciò molto lavoro e molta pazienza agli sperimentatori bolognesi, e non si sarebbero potute ottenere senza la collaborazione di un esperto di cinematografia come Morettini.

Ma ne valse la pena. Le sequenze filmate mostrarono in modo evidente il fenomeno, a partire dalle condizioni in cui sullo schermo del rivelatore si vedevano uno o pochi punti luminosi, distribuiti in modo apparentemente casuale, fino alla situazione in cui se ne potevano vedere un migliaio, chiaramente distribuiti nelle frange di interferenza. Per la prima volta in un esperimento di interferenza era possibile distinguere i segnali dei singoli elettroni, caratteristici di un comportamento da particelle e, al tempo stesso, si poteva vedere come questi formassero una distribuzione tipica dell'interferenza delle onde.

Di queste belle riprese solamente 6 fotogrammi scelti comparvero sull'articolo che venne pubblicato dall' American Journal of Physics nel 1976.

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CAPITOLO 7
Pensare classico, pensare quantistico



Noi ora conosciamo come si comportano gli elettroni e la luce. Ma come posso dire? Se dico che si comportano come particelle, do l'impressione errata, e lo stesso se dico che si comportano come onde. Essi si comportano nel loro modo inimitabile, che tecnicamente potrei chiamare quantistico, che non è simile a nulla di quanto avete visto finora. La vostra esperienza basata sugli oggetti che avete visto finora è incompleta, perché il comportamento delle cose su una scala molto piccola è semplicemente diverso.

R. Feynman, La legge fisica, Boringhieri, 1971, pp. 144-146


Abbiamo raccontato l'esperimento più bello nella versione mentale di Einstein-Feynman e le vicende attraverso le quali diventò un vero esperimento di laboratorio. L'ultima parte del nostro viaggio sarà sul tema della sua interpretazione. Vedremo cosa si intende per "interpretazione" e come mai questo argomento sia stato, e continui a essere, fonte di tante controversie tra i fisici.


7.1 Si può capire la meccanica quantistica?

"[...] è prudente dire che nessuno capisce realmente la meccanica quantistica." L'affermazione è di Feynman e, di primo acchito, appare paradossale. Sappiamo che i fenomeni del mondo microscopico, per quanto bizzarri, sono tuttavia descrivibili con le equazioni della teoria. Sappiamo inoltre che i microchip, che stanno dentro televisori, computer, tablet, telefoni cellulari e via elencando, funzionano proprio in base alla meccanica quantistica. Eppure, nonostante ciò, Feynman sosteneva che questa disciplina non si può "comprendere".

Ma, anzitutto, cosa significa comprendere? Ecco un esempio, dalle parole dello stesso Feynman: "Ora, nel successivo sviluppo della scienza, vogliamo qualcosa di più che una semplice formula. Prima di tutto abbiamo una osservazione, poi tanti numeri che misuriamo, poi una legge, che sintetizza tutti i numeri. Ma la vera gloria della scienza è il poter trovare un modo di pensare dal quale la legge risulti evidente" (i corsivi sono dell'autore).

Ma ha poi senso voler comprendere la meccanica quantistica? Secondo la scuola di pensiero pragmatica, abbastanza diffusa tra i fisici, la risposta è no. Quello che conta è saper usare le equazioni per risolvere problemi, prevedere risultati, progettare dispositivi ecc. Sarebbe invece inutile speculare su che tipo di realtà fisica quelle equazioni rappresentino.

Interpretare significa fare proprio ciò che i pragmatici disdegnano, ovvero tentare di costruire un'immagine della realtà microscopica dalla quale i fenomeni quantistici risultino evidenti.

Sul come dipingere quell'immagine i fisici si sono divisi fin dall'inizio, adottando posizioni differenti e spesso contrapposte. Tale situazione, che si protrae fino ai giorni nostri, può dare l'idea che non si sia ancora giunti al livello di comprensione che intende Feynman.

Prima di procedere, dobbiamo mettere in guardia i lettori dalle generalizzazioni, sempre rischiose su un terreno così controverso e accidentato concettualmente come quello della meccanica quantistica. Per esempio, è bene sapere che non tutti i fisici concordano con Feynman sul fatto che questa disciplina sia incomprensibile e "misteriosa". Qualcuno, pur riconoscendo che i fenomeni del mondo microscopico sono "strani" rispetto a quelli della nostra esperienza quotidiana, ritiene che siano tuttavia comprensibili, a patto di adottare un modo di pensare basato sui principi quantistici, anziché sull'intuizione e sul senso comune.

Le difficoltà concettuali e le riserve dei pragmatici non hanno dissuaso i fisici, primi fra tutti i padri fondatori, dal cimentarsi nell'interpretazione della meccanica quantistica. In questo capitolo proveremo a tracciare a grandi linee il percorso delle loro idee, focalizzando l'attenzione sull'esperimento di interferenza dell'elettrone/fotone singolo.

Diciamo subito che dal punto di vista concettuale si tratta di un percorso piuttosto insidioso. Non potendo farci guidare dall'intuito o dal buon senso, che funzionano spesso per la realtà quotidiana, ma molto raramente per quella quantistica, potremmo facilmente perderci per strada. Per procedere è quindi utile avere qualche criterio che guidi il ragionamento. Quello principale che seguiremo qui sarà di tenere sempre ben distinti i fatti che si possono vedere, o misurare con uno strumento, da tutto ciò che il nostro pensiero elabora per spiegare quei fatti.

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