Copertina
Autore Giovanni Madonna
Titolo La psicoterapia attraverso Bateson
SottotitoloVerso un'estetica della cura
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003, Saggi Psicologia , pag. 226, cop.fle., dim. 148x220x14 mm , Isbn 978-88-339-1490-9
LettoreCorrado Leonardo, 2004
Classe psicologia , psichiatria
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Indice

  9 Prefazione di Giuseppe O. Longo
 17 Ringraziamenti

 23 1. Introduzione

    1.1. Verso un modello psicoterapeutico batesoniano
    1.2. L'avversione di Bateson per la psicoterapia
    1.3. L'azione possibile.
    1.4. Le linee generali del modello

 35 2. La teoria di Bateson e la terapia di Whitaker

    2.1. Fecondare l'impianto teorico batesoniano
    2.2. Il metodo della giustapposizione
    2.3. Le giustapposizioni

 46 3. Azione formale e azione processuale

    3.1. L'azione spontanea
    3.2. L'esitazione e la non-esitazione
    3.3. L'azione formale e l'azione processuale

 58 4. Il sacro in psicoterapia

    4.1. La hybris e l'umiltà
    4.2. Azione processuale e sacro in psicoterapia
    4.3. Il rito
    4.4. La ritualità in psicoterapia

 70 5. Diagnosi e terapia nell'azione processuale

    5.1. L'azione processuale in psicoterapia
    5.2. La sensibilità estetica
    5.3. Cogliere isomorfismi
    5.4. Provare empatia
    5.5. Cogliere e produrre una metafora
    5.6. Metafora
    5.7. La famiglia delle somiglianze
    5.8. Intrecci fra diagnosi e terapia nell'azione
         processuale
    5.9. Azione processuale e «doppia descrizione»
         in psicoterapia

 90 6. Anche la somiglianza è informazione

    6.1. Una costellazione di idee
    6.2. La differenza è informazione
    6.3. Differenze e somiglianze nelle mappe e fra le mappe
    6.4. Differenza e somiglianza fra mappa e territorio: la
         mappa non è il territorio ma probabilmente gli
         somiglia
    6.5. Un errore necessario ovvero un rimedio
         epistemologico
    6.6. La preferenza di Bateson
    6.7. Informazioee per differenza e informazione
         per somiglianza
    6.8. Connessioni per differenza e connessioni
         per somiglianza
    6.9. Pertinenza e impertinenza
    6.10. Una formulazione teorica sintetica

124 7. Diagnosi e terapia nell'azione formale

    7.1. Codificazione, descrizione e spiegazione
    7.2. Diagnosi e classificazione
    7.3. Quando fare ricorso alle tecniche
    7.4. Usare le tecniche con finalità introversa
    7.5. Alcune tecniche ulteriori, ovvero il lavoro
         epistemologico nell'azione formale
    7.6. Giustapporre i sogni

163 8. Verso una psicoterapia batesoniana

    8.1. Psicoterapia delle combinazioni
    8.2. Risonanze e dissonanze
    8.3. Cura e formazione
    8.4. Vaghezza e precisione
    8.5. Due livelli di responsabilità
    8.6. Resistenza come parte di un processo stocastico

177 9. Verso una teoria batesoniana della personalità

    9.1. Utilità e mancanza di una teoria della personalità
         teoricamente coerente
    9.2. Il fondamento
    9.3. Personalità come sistema delle premesse
         epistemologiche
    9.4. Personalità come processo interpersonale
    9.5. Un doppio processo stocastico combinato
    9.6. Descrizioni di stabilità e cambiamento
         della persona
    9.7. La psicoterapia come possibilità di ampliamento
         delle premesse epistemologiche

195 10. Verso una formazione batesoniana

    10.1. Il coraggio dei formatori
    10.2. Il coraggio di partire da lontano:
          i fondamenti biologici della conoscenza
    10.3. Il coraggio di attraversare territori inconsueti:
          esperienze e pratiche fluidificanti
    10.4. Il coraggio di andare lontano:
          il ponte fra l'epistemologia e l'etica

211 Bibliografia
219 Indice degli autori
221 Indice degli argomenti

 

 

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Capitolo I

Introduzione


1.1. Verso un modello psicoterapeutico batesoniano

Come è noto, il pensiero di Gregory Bateson vola molto alto e, per quanto egli abbia influenzato e sia destinato a influenzare i più disparati campi dello scibile umano, le sue idee non hanno finora avuto molte ricadute immediate in questo o quel settore delle umane attività. Sarei stato - e credo di non essere il solo - molto lieto del contrario. Come psicoterapeuta e come profondo estimatore di Bateson mi sarebbe piaciuto moltissimo, infatti, poter fare riferimento a un modello psicoterapeutico definibile senza ombra di dubbio «batesoniano». Gregory Bateson, purtroppo, non ha prodotto questo modello, o per meglio dire non lo ha intenzionalmente formalizzato. Ciò non toglie che nell'ambito dell'approccio sistemico-relazionale alla psicoterapia egli sia universalmente riconosciuto come uno dei padri fondatori del modello a cui si richiamano - nella teoria e nella prassi - gli psicoterapeuti sistemico-relazionali. Tuttavia le enormi possibilità del contributo teorico di Bateson sono rimaste finora in gran parte inespresse. Tale contributo, infatti, o è stato considerato soltanto come un vago punto di riferimento - perché troppo «astratto» e non specifico, generico - o è stato banalizzato da chi, nel richiamarsi a Bateson, fa riferimento soltanto ad alcune sue idee non collegandole al contesto generale del suo pensiero: una situazione, questa, che ho sempre avvertito come uno spreco, come un'occasione mancata. Da qui, il proposito, maturato alcuni anni orsono, di dedicarmi al difficile tentativo di elaborare un modello psicoterapeutico batesoniano. Nel realizzare questo progetto sono stato sostenuto dalla speranza di contribuire a mettere a disposizione della psicoterapia il pensiero di Gregory Bateson senza sacrificarne la complessità e l'eleganza. Non si è trattato naturalmente di «applicare» le teorie di Bateson al campo della psicoterapia, per quanto lo stesso Bateson sia stato attraversato da un'esperienza vissuta in qualità di psicoterapeuta e anche di questa esperienza abbia naturalmente nutrito alcune sue idee. Come ha ben sostenuto Rosalba Conserva (1996, p. 193) a proposito dell'idea di applicarle al campo delle attività scolastiche, le teorie di Bateson, infatti, «non possono avere né facile né difficile applicazione, per il semplice motivo che Bateson non le ha pensate né scritte perché fossero poi applicate». Si è trattato invece di acquisire, attraverso lo studio di Bateson, nuove idee per pensare alla psicoterapia. Questo libro - che si colloca sull'interfaccia fra i modelli epistemologici batesoniani e la psicoterapia - è il risultato del tentativo di compiere questa operazione e di porre in tal modo le fondamenta per l'elaborazione di un modello psicoterapeutico batesoniano. Non è dunque un'«applicazione» delle teorie di Bateson né una presentazione del suo pensiero; si fonda sul pensiero di Bateson e ne propone, per certi aspetti, uno sviluppo.


1.2. L'avversione di Bateson per la psicoterapia

Bateson era molto diffidente rispetto al tentativo di fare scienza sociale applicata. Anche per questa diffidenza di ordine generale, oltre che per motivi più particolari, prese le distanze dal lavoro che il gruppo di ricerca, che pure egli aveva guidato e dal quale si era successivamente staccato, effettuò a partire dal suo concetto di «doppio vincolo». Sua figlia Mary Catherine a questo proposito riferisce: «Gli sforzi deliberati di certe persone di creare doppi vincoli in terapia, di apportare una soluzione ai problemi del doppio vincolo o di cambiare le persone, nella situazione terapeutica, agendo su di esse, gli sembravano inquietanti perché egli riteneva che, quali che fossero le intenzioni su cui si fondano questi tentativi, questo genere di interventi e di manipolazioni sfociassero alla fin fine nell'aggravare la situazione di partenza» (1988, p. 9). Subito dopo, afferma di ritenere che la convinzione del padre scaturiva dalla sua esperienza di «guerra psicologica» vissuta quando, nel corso della seconda guerra mondiale, gli era stato richiesto proprio di lavorare per aggravare la situazione di qualcuno: l'incarico che gli era stato affidato dall'esercito era infatti quello di manipolare i processi di comunicazione, per disinformare e confondere il nemico e non certo per svolgere un'azione terapeutica. Quale che fosse l'origine della convinzione di Bateson, resta il fatto che egli, benché si fosse sottoposto a un'analisi junghiana, nutriva una certa avversione per la psicoterapia. In Un'ombra ostinata, l'ultimo metalogo di Dove gli angeli esitano, è possibile trovarne testimonianza in una battuta pronunciata dal Padre: «Pensa a quell'orribile faccenda che è la terapia familiare con i terapeuti che fanno "interventi paradossali" per modificare le persone e le famiglie» (Bateson e Bateson, 1987, p. 307).

Mi è sembrato dunque, inizialmente, che ci fossero tutte le premesse per considerare velleitario il mio tentativo di lavorare all'elaborazione di un modello psicoterapeutico batesoniano. Tuttavia io sono un profondo estimatore di Bateson e sono anche uno psicoterapeuta, e mettendo questi due pensieri uno accanto all'altro... mi è sembrato del tutto naturale cimentarmi in questa difficile impresa. Sono stato incoraggiato, d'altra parte, dalla considerazione di quel che diceva Bateson nel 1974: «Se il terapeuta cerca di prendere un paziente, di assegnargli degli esercizi, di sottoporlo a propaganda, di farlo ritornare nel nostro mondo per i motivi sbagliati, insomma se cerca di manipolarlo, allora sorge un problema: la tentazione di confondere l'idea di manipolazione con l'idea di cura» (in Bateson, 1991, p. 404). Riflettendo su quest'ultimo passo e alla luce anche delle considerazioni di Dal Lago (1992, p. 23), mi è sembrato evidente che l'avversione di Bateson fosse rivolta alla terapia manipolativa e tecnicistica fondata sul primato della finalità cosciente, che si propone di cambiare le persone intervenendo su di esse, più che all'idea stessa di psicoterapia.

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1.4. Le linee generali del modello

Credo che nelle linee generali di una teoria dell'azione che, a ben guardare, possono essere colte nell'opera di Bateson e a cui ho fatto qui riferimento - linee certamente incompiute, anche se già sufficientemente definite nel loro tratteggio fondamentale - ben si possa inscrivere, sia pure in maniera cauta e provvisoria, il progetto di una teoria dell'azione psicoterapeutica, capace, all'interno di un modello coerente con l'insegnamento di Gregory Bateson, di definire e sostenere una pratica professionale di psicoterapia - e di formazione alla psicoterapia - e, interattivamente, di nutrirsi di tale pratica professionale, lasciandosi da essa modificare nell'ambito di un processo coevolutivo.

Penso a una teoria dell'azione psicoterapeutica in cui, in coerenza con l'impostazione batesoniana relativa alle linee generali di una teoria dell'azione, l'intervento terapeutico sia da considerarsi possibile, ma necessariamente cauto, non precipitoso e non arrogante. L'immagine che mi viene in mente se penso a un tal genere di intervento psicoterapeutico è quella whitakeriana relativa al growing edge, il margine che cresce: per Carl Whitaker infatti la psicoterapia consisteva nell'intervenire su una ferita semplicemente detergendone i tessuti in modo che i suoi margini potessero generare da soli nuove cellule in grado di muovere l'una verso l'altra per raggiungersi e consentire la cicatrizzazione. Si tratta dunque di un'azione psicoterapeutica non invasiva e rispettosa delle capacità di autoregolazione e autoguarigione degli organismi, capacità che tutte le creature hanno in comune con la Creatura, vale a dire con il complessivo mondo dei processi mentali che Bateson (1979, p. 272) ha definito come «una tautologia capace di guarire lentamente da sola». Propongo dunque l'idea di un'azione psicoterapeutica che rifugga dalle scorciatoie rappresentate dal ricorso a tecniche, tattiche e strategie da «applicare» all'altro per modificarlo, e che nasca, invece, dalla quieta, feconda passività dello psicoterapeuta e, come ci insegna Whitaker nel suo ultimo libro, dal suo coraggio «di aspettare che emerga qualcosa di spontaneo dalla [sua] creatività» (1989, p. 207). Una siffatta azione psicoterapeutica non è, dunque, sottoposta al primato della finalità cosciente di tipo estroverso, ma nasce spontanea in seguito all'esercizio e alla disciplina, che sono espressione della finalità introversa: un'idea che è bene accompagni in maniera costante i percorsi formativi degli psicoterapeuti. L'esercizio e la disciplina formano lo psicoterapeuta e fanno in modo che egli non applichi tecniche ma sia terapeuta, e curi dunque l'altro «attraverso l'incontro» (vedi Giat Roberto, 1991, p. 412): in questa cornice, quindi, anche il semplice «tenere puliti i margini» di una ferita è essere detergenti più che - finalisticamente detergere i tessuti infetti.

Ma il paziente si rivolge allo psicoterapeuta con lo scopo di farsi aiutare a risolvere i suoi problemi, e lo psicoterapeuta accetta di occuparsi di lui con lo scopo di aiutarlo; e questa è finalità cosciente. Come si concilia questa considerazione con il tipo di azione psicoterapeutica descritta? La risposta a questa domanda può essere data solo considerando un altro aspetto importante del modello psicoterapeutico proposto con questo testo e di cui presento qui le linee generali: il fatto di fare riferimento alla teoria dei Tipi logici (Whitehead e Russell, 1910-13).

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Pagina 30

La psicoterapia è infatti parte del mondo dei processi mentali, che Bateson descriveva, appunto, come organizzato sulla base dell'interazione tra forma e processo (vedi Bateson, 1979, pp. 251-68). La forma (o struttura), nell'uso che Bateson fa della parola (pattern), si riferisce alle caratteristiche di un sistema che definiscono le sue risposte agli eventi ambientali e regolano i suoi equilibri interni, e che corrispondono alle soglie e ai limiti del suo funzionamento (processo) così come in un disegno i contorni definiscono i solidi raffigurati. In particolare, per quel che riguarda la psicoterapia, essa è data dal contratto terapeutico iniziale, dalle regole del setting e, più in generale, da tutte le regole che governano il lavoro psicoterapeutico e che riguardano l'insieme, ovvero la classe delle interazioni psicoterapeutiche. All'interno di questa forma può svolgersi il processo terapeutico, che è considerato non finalistico, imprevedibile, largamente inconsapevole e caratterizzato da linguaggi non finalistici, e che si snoda fino a modificare la forma del rapporto fra le persone coinvolte, il quale, a un certo punto, quando la terapia si conclude, diventa non più il rapporto fra un professionista e il suo cliente, ma un rapporto fra persone, non centrato sulla relazione d'aiuto. In quest'ottica, il fine rimane pertanto collocato al livello della forma (il contratto terapeutico e le regole che governano il lavoro psicoterapeutico) e rappresenta quindi, per il terapeuta e per il paziente, un fine non perseguibile nello snodarsi del processo terapeutico.

La forma, vale a dire la classe delle interazioni psicoterapeutiche, è dunque caratterizzata dalla finalità cosciente (un terapeuta incontra un paziente con lo scopo di aiutarlo, il paziente lo incontra con lo scopo di farsi aiutare); non finalizzate né coscienti sono invece le singole interazioni psicoterapeutiche, che istante per istante vanno svolgendosi nel processo terapeutico. Bateson ci insegna che «forse in tutti i casi in cui la scorciatoia provoca inconvenienti, alla radice vi è un errore di tipologia logica. In qualche punto della sequenza di azioni e di idee ci si può aspettare di scoprire che una classe è trattata come uno dei suoi membri, oppure che un membro è trattato come se coincidesse con la classe: un'unicità trattata come una generalità oppure una generalità trattata come un'unicità. MADONNA-G P=1998 T=Il primato dell'etica E=Laveglia, Salerno

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