Copertina
Autore Ian Marchant
Titolo Isole, incontri, pub, soprattutto pub
EdizioneDe Agostini, Novara, 2010 , pag. 480, ill., cop.fle., dim. 14x21,5x3 cm , Isbn 978-88-418-6261-2
OriginaleThe Longest Crawl
EdizioneBloomsbury, London, 2006
TraduttoreClaudio Silipigni
LettoreGiorgia Pezzali, 2010
Classe paesi: Gran Bretagna , viaggi , alimentazione
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Indice


Vigilia di San Marco                11

Venerdì 2 aprile                    22

Sabato 3 aprile                     46

Domenica 4 aprile                   60

[...]


 

 

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Pagina 11

Vigilia di San Marco



Stasera non avevo sonno, perciò, sotto le stelle, mi sono incamminato lungo i viottoli per andare a bere qualcosa nel paese vicino con il mio amico Bob. Volevo offrirgli da bere perché di recente ha avuto un infarto. Abbiamo la stessa età e siamo entrambi fumatori, la nostra estrazione socioeconomica è simile e abbiamo quasi lo stesso codice postale, perciò il suo infarto ha statisticamente diminuito le probabilità che in futuro capiti anche a me. Me l'ha detto un assicuratore, e io ci credo. Devo proprio un favore a Bob.

Mi piace camminare nell'oscurità delle notti serene e senza luna, ma è difficile vedere con le sole stelle finché gli occhi non si adattano al buio. Giunto alla prima curva dopo le ultime case del villaggio, sono riuscito ad andare avanti dritto e a imboccare un sentiero in salita tra i campi, finché ho sentito cambiare il terreno sotto i piedi, e ho realizzato di essermi sbagliato. Ripresa la strada maestra, ho avuto difficoltà a capire su quale lato mi trovavo; ho proseguito a tentoni, talvolta rasentando le siepi. Poco più avanti, sotto gli alberi, sul ponte degli spiriti, il buio era persino più fitto e solo lo sciabordio del fiume in piena alla mia sinistra mi aiutava a mantenere la direzione. Ma appena sono risalito dal fondo della valle lungo una collina spoglia, mi sono ritrovato di nuovo sotto le stelle, e ho potuto vedere la via.

In città, in una notte serena, siete già fortunati se riuscite a individuare Orione, o il Gran Carro, a causa dell'illuminazione stradale. Qui, invece, si fa fatica a scorgerle per via della luce delle altre stelle. Sono così tante che le costellazioni non si distinguono più. È quasi banale il cielo notturno, come un biglietto natalizio disegnato da un bambino: brillantini incollati su un pezzo di cartone nero, uno spruzzo di Vinavil per la Via Lattea e una perlina di plastica per Venere, troppo grossa, troppo luminosa, quasi dovesse staccarsi da un momento all'altro.

Poi, la sommità della collina, e le luci di un villaggio a valle.

Questa è terra di nessuno, abitata solo dai cervi, dalle volpi e dalle lontre. Queste colline tondeggianti, accavallate l'una sull'altra tra i fiumi Torridge e Taw, sono la patria di Ted Hughes, sono il Devon di Moortown. Di giorno è il classico paesaggio inglese, per il quale gli uomini si facevano ammazzare in guerra, pur avendolo visto soltanto sulle scatole dei cioccolatini. Di notte non ha più nulla di familiare, e gli unici esseri umani a piedi sono i bracconieri e gli ubriaconi.

Il guizzo improvviso di un tasso mi ha fatto trasalire. Sono sceso dalla collina accelerando il passo, ansioso di tornare al riparo delle luci artificiali, oltre la chiesa, oltre il negozio e finalmente nel pub. Tre pinte più tardi, non avevo nessuna intenzione di tornare a casa a piedi. Ma siamo pazzi? Se avevo esitato tanto da sobrio, come avrei potuto ritrovare la strada nell'oscurità dopo una bevuta del genere? Così ho rimediato un passaggio, da un amico di Bob che aveva bevuto quasi quanto me.

Bere e guidare è un binomio endemico delle campagne. Tanto, chi vuoi che ti fermi? La polizia del Devon e della Cornovaglia ha soltanto due auto, una per il Devon e una per la Cornovaglia, e la prima è quasi sempre parcheggiata davanti a Nero, a Okehampton.

Da giovane mi facevo tranquillamente a piedi, sia all'andata che al ritorno, i dieci chilometri scarsi fino al pub più vicino, quasi tutte le sere della settimana, attraverso una campagna ben più selvaggia di questa, alle pendici dei Monti Cambrici. Che vergogna non esserne più capace; è il segno che sto invecchiando, e che gli eccessi del passato iniziano a presentarmi il conto. Checché ne pensino gli assicuratori con i loro calcoli, se ti muovi solo per andare fino al pub o per fare un salto a comprare le sigarette non puoi mica tirare avanti in eterno. Anche guidare dopo aver bevuto non è cosa di cui andare fieri, ma qui lo facciamo tutti, di tanto in tanto, sedotti dalla comodità dell'auto.

Se non avessi trovato un passaggio, se avessi avuto più tempra morale e bevuto meno, sarei tornato a casa a piedi, mi piace pensare. Se non fosse stato così lontano. O così buio.

Tutti, in città, tornano dal pub a piedi. Ci si unisce a quelli che diventeranno in breve i nostri amanti e abbracciati si scivola sull'asfalto ghiacciato: gruppi di amici che, tra le risate, passeggiano verso casa sul finire della notte, contenti di stare insieme; ubriaconi barcollanti nell'aria stagnante di agosto, con le pozze di vomito a indicarne il passaggio, tutti a percorrere strade ben note e scorciatoie segrete tra vicoli e viuzze. Prima che arrivasse l'auto, si faceva così anche in campagna. Nei prati ci sono ancora i sentieri, ora battuti dagli escursionisti.

Ho vissuto per molto tempo in un cottage sulle colline del Radnorshire, alla fine degli anni Ottanta. Ogni sera alle sette il contadino dell'ultima cascina della valle, un uomo sull'ottantina, passava davanti a casa nostra per andare all'Eagle di New Radnor, a otto chilometri di distanza. Spesso a quell'ora tagliavo la legna o lavoravo in giardino, e quando passava lo salutavo.

«M'ortré t'mojell'err' aaaalt'» rispondeva lui, e io ogni volta sorridevo e annuivo. La sua parlata non era definibile in alcun modo, se non come un forte accento; non era gallese, vicini comeravamo al confine, ma più simile al dialetto dell'Herefordshire con una punta di swahili. Non capivo una parola di quello che diceva.

Talvolta, passata la mezzanotte, risaliva la collina urlando e cantando. I primi tempi svegliava sempre la bambina. Ma quel vecchio non perdeva mai una sera al pub, fosse anche con la pioggia, la neve o la grandine, perciò alla fine la piccola ci fece l'abitudine e dormiva nonostante gli ululati. Non riuscimmo mai a capire che cosa gridasse o rantolasse, anche perché era tutt'altro che intonato. Ma quello era il suo modo di esprimersi, ed era pur sempre una bella cosa.

Ad ogni modo, dopo qualche mese iniziai a capire che cosa mi diceva mentre andava al pub.

«M'ortrei tu' mojell'erb' alta».

«M' portrei tu' moj nell'erb' alta».

«Mi porterei tua moglie nell'erba alta».

Io continuai a sorridergli, ma smisi di annuire. In campagna si fa qualunque cosa pur di legare con la gente del posto, ma a tutto c'è un limite.

Secondo G.K. Chesterton, in The Rolling English Road, il fatto stesso di andare e tornare dal pub è fondamentale per capire la topografia inglese, ma anche la vita inglese:

Prima che i Romani giungessero a Rye o marciassero fino al Severn,
fu il barcollare dell'ubriacone inglese a tracciar le strade d'Inghilterra.
Vie tortuose e ondeggianti che vagan per le contee
e, dopo di lui soltanto, il conte, il prete e il sagrestano;
strade festose, strade intricate, come quella che percorremmo
la notte in cui andammo a Birmingham passando per Beachy Head.

Nulla di male sapevo di Bonaparte, e molto del nobile Signore,
e di combattere il francese molta voglia non avevo;
ma le loro baionette affrontai poiché tutti loro eran schierati
per raddrizzar la tortuosa via segnata da un ubriacone inglese,
quella che voi e io facemmo coi boccali in mano,
la notte in cui andammo a Glastonbury passando per Goodwin Sands.

I peccati suoi son perdonati; altrimenti, perché mai seguirebbero i fiori
il suo cammino, e le siepi che prosperano al sole?
Quel selvaggio andava da sinistra a destra senza l'una distinguere dall'altra,
ma la rosa selvatica pendeva su di lui quando lo trovarono nel fosso.
Dio ci perdoni e con noi non s'adiri; ma non vedevamo così chiaro
la notte in cui andammo a Bannockburn passando per il Brighton Pier.

Amici miei, più non cammineremo né imiteremo l'antico furore,
né mai ripeteremo le follie di gioventù per la vergogna della vecchiaia,
ma con occhi e orecchie più sobrie percorreremo questa strada senza meta,
e a mente lucida, al tramonto, vedremo l'onesta locanda della morte;
perché avremo ancora buone nuove da ascoltare e cose belle da vedere,
prima di andare in Paradiso passando per Kensal Green.



Naturalmente i nostri amati francesi, oggi in versione Mercato Comune, come ancora nei pub ci si ostina a chiamare l'Unione Europea, pretendono tuttora di venire qui a raddrizzare le nostre strade (per non parlare dei cetrioli), almeno secondo il Daily Mail e l'Independence Party, che passano insieme le giornate nel salotto buono della vita pubblica, a dire cazzate davanti a una birra ormai stantia mentre il mondo va avanti. Sono certo che al vecchio beone della poesia di Chesterton, scivolato nel fosso mentre tornava a casa sotto il cielo stellato, tutti i peccati siano stati rimessi. In fondo, è stato Dio a creare organismi che mangiano zucchero e pisciano alcool, ed è sempre lui che ci ha dato l'erba perché ne godessimo in compagnia. E le auto si lasciano dietro pure i mazzi di fiori, legati ai lampioni, sul ciglio della strada, dai parenti in lutto.

Forse Chesterton aveva ragione, la strada era gremita di ubriachi, e i fiori di quegli antichi cespugli ne segnano il passaggio. Ho detto poco fa che io vivo nella terra di Ted Hughes. Ma c'è un'altra terra di Ted Hughes nel West Yorkshire, proprio accanto alla terra delle Brontë. Anzi, la nostra terra di Ted Hughes si contende aspramente con quell'altra i natali del poeta. A un tiro di schioppo da qui si trova la Cornovaglia di Betjeman. Al di qua del Canale di Bristol abbiamo l'Exmoor di Lorna Doone, e dalla sponda opposta il Galles di Dylan Thomas. Un'ora di macchina più a est e siamo nel Wessex di Hardy. Ancora una volta, e con tutto il rispetto per la mia casa editrice, vorrei rivendicare per la valle del fiume Ouse, nel Sussex, il nome di Terra di Bloomsbury. A noi piace mescolare il paesaggio con la letteratura e la poesia. Amiamo le storie, e amiamo tracciare mappe per scoprire da dove vengono.

La storia delle strade e la storia dei pub sono legate indissolubilmente. Mi piace pensare a questo continuum strada-pub come alla Terra di Chesterton. È un luogo di conservatori, refrattario al cambiamento, il naturale punto d'incontro dei "Personaggi Segreti" di Chesterton, convinti in fondo che non ci sia niente di meglio di una birra, dopotutto. Non sono solo gli ideali d'un tempo a trovare sostegno nella Terra di Chesterton: i pub britannici sono l'ultimo avamposto di certe emozioni ormai fuori moda, che il bere porta all'esasperazione. I pub sono sentimentali. I pub sono esuberanti, gonfi di quell'autocompiacimento fatto di pacche sulla spalla e di «Salute a te, fratello»; sono anche un vivaio di nostalgie e teatro di tristi rimpianti. Gli autori che scrivono bene dei pub spesso sono gli stessi che ora ci appaiono sentimentali, oppure boriosi ed esagerati: come Chesterton.

Mi piacerebbe disegnare una mappa alcolica della Gran Bretagna, con le sue strade ebbre che vacillano lungo i campi e i confini comunali, le strade che i viaggiatori tracciavano da un pub all'altro e da una locanda all'altra. I campi d'orzo e i filari di luppolo, i vigneti e i frutteti. All'orizzonte si stagliano le ciminiere in mattoni rossi delle birrerie, le distillerie stanno accanto alle torbiere, mentre gli essiccatoi per il luppolo, ora riconvertiti in pensionati per studenti, fanno capolino tra le siepi di tasso. Nelle città e nei paesi ci si orienta con i pub: allo Star a sinistra, dopo il Sun a destra. Gli zoccoli dei cavalli da tiro calcano la South Circular, e il Black Country sfrigola nelle pork scratchings; Islay ha l'alito che sa di whisky, Plymouth di gin e Burton di ale leggera.

Se, come sostengono Paul Shepheard in The Cultivated Wilderness e Simon Schama in Paesaggio e memoria, è impossibile separare il paesaggio dalla percezione umana, allora anch'io mi permetto di sostenere che alterando la nostra percezione si altera anche il paesaggio. Se ci mettiamo sulla strada tutta curve di Chesterton, forse possiamo constatare come il paesaggio inglese sia alticcio quanto gli individui che l'hanno modellato. L'alcool lo impregna fino alla radice.

Da un punto di vista matematico, ogni singola parte del paesaggio somiglia al suo intero. È ciò che si definisce "autosimilitudine". Una foglia somiglia a un albero. I rivoli d'acqua su una spiaggia sabbiosa ricordano i canali di un fiume alla foce. Molti fenomeni sono autosimili. Monitorando le oscillazioni del mercato azionario o l'incidenza dei terremoti nel tempo, il grafico mostrerà nello spazio di un anno un andamento simile a quello che si registra nel giro di ore o di minuti. Tutto ciò che è autosimile opera secondo le medesime, semplici leggi matematiche. I matematici dell'Università di Stoccarda hanno dimostrato come anche i sentieri interni al campus obbediscano alle leggi di autosimilitudine, dato che gli studenti usano scorciatoie dall'aula delle lezioni al laboratorio e alla Bierkeller. Il Barcollante Ubriacone Inglese poteva non saperlo mentre cadeva nel fosso, ma anche nel suo vacillare esisteva un intrinseco ordine matematico, un ordine simile a quello leggibile nella forma dei rami. Non importa quanto ti allontani o ti avvicini al soggetto con la macchina fotografica, se la lente è nitida la forma rimane la stessa.

Anche la vita è autosimile: se la scomponessimo in tutti i suoi anni, giorni, ore e minuti in un grafico, ci accorgeremmo che i suoi ritmi si assomigliano, di momento in momento e di anno in anno. Viviamo giornate buone e giornate pessime, gli alti e bassi sono la regola, e ogni tanto capitano grossi e inspiegabili colpi di fortuna. A volte arriviamo a toccare il fondo, per poi magari vederci proiettati in un periodo d'incontrollabile crescita e cambiamento. E se siete britannici, c'è il bere che vi aiuta a risalire la china o accompagna la discesa a valle. In Gran Bretagna il consumo pro capite di alcool è più alto che in qualunque altro luogo della Terra, a eccezione della Repubblica d'Irlanda, che Dio la benedica. Beviamo champagne ai rinfreschi di nozze, battezziamo i figli con l'alcool e, quando arriva il nostro turno all'"onesta locanda della morte", le persone care si ritrovano nel nostro bar preferito ad affogare il dispiacere. Se io sono qui è solo grazie al Babycham con cui mio padre fece prendere una piccola sbronza a mia madre, a Margate, un lunedì di vacanza.

Esattamente due anni fa sono stato a St Agnes nelle Scilly, l'isola abitata più a sudovest del Regno Unito. Vi si trovano tombe neolitiche, antichi labirinti avvolti dalle ginestre, e bianche spiagge deserte spazzate dal vento. Con la bassa marea si può percorrere la striscia di sabbia che porta all'isola di Gugh, risalirne il versante e guardare a nord e a est, immaginando di avere di fronte tutte le isole britanniche, una dopo l'altra, fin quasi al Circolo Polare Artico. Se guardate giù, potete vedere il peschereccio solitario che vi ha portato fin lì, ormeggiato presso il pontile. E poco più su del molo d'attracco c'è il Turk's Head, il primo pub della Gran Bretagna. E un ottimo pub, per giunta.

La prima volta che ho pensato al binomio alcool e paesaggio ero seduto al Turk's Head di St Agnes con in mano una pinta e un pacchetto di pork scratchings di maiale. Furono proprio loro a dare inizio a tutto. Erano semplicemente divine: da un lato una crosticina di pelle meravigliosamente croccante, dall'altro un estasiante strato di grasso che si squagliava in bocca. Una spolverata di glutammato monosodico le rendeva irresistibilmente appetitose.

Girai svogliatamente il pacchetto e lessi gli ingredienti e il nome e l'indirizzo della ditta. Erano prodotte in un piccolo stabilimento di Tipton, nel Black Country.

Fu come un'illuminazione. All'improvviso mi tornarono in mente tutte le confezioni di noccioline, patatine e pork scratchings che mi era capitato di leggere nel corso degli anni. A partire dagli anni Sessanta, quando me ne stavo seduto in auto davanti ai pub di campagna ad aspettare i miei, senza nulla da leggere oltre agli ingredienti di un sacchetto di patatine Salt'n' Shake della Smith's, oppure quando, in attesa che la mia ragazza tornasse dalla lavanderia, ingannavo il tempo rispondendo alle domande di un quiz su un pacchetto di Nik Naks. Quel giorno a St Agnes si trattò di una vera Gestalt: tutti gli indirizzi dei produttori di pork scratchings riemersero dal mio inconscio a formare una mappa mentale. Mi resi conto che TUTTE le pork scratchings di maiale sono prodotte in piccoli stabilimenti del Black Country. Dovunque andiate, ne troverete di diverse marche, di ditte sempre diverse. Ma tutte queste piccole aziende si trovano a Tipton, a Dudley o a Walsall. Tutte.

Perché?

Al mio ritorno ripensai al viaggio a St Agnes, a quei minuscoli campi divisi da muri altissimi, l'ideale per coltivare fiori in primavera e marijuana in autunno. E i bird-watchers nascosti dietro ogni cespuglio di ginestra, con attrezzature costosissime e incredibilmente ingombranti appese al collo, contenti di procurarsi un'ernia pur di avvistare un tacchino selvatico dal collo rosso.

E poi ripensai a quel pub. Per vocazione sono un giocatore di quiz da pub. Ho una mente da quiz. E pongo sempre domande da quiz.

«Se il Turk's Head è il pub più a sud,» mi domandavo «allora quale sarà quello più a nord?».

L'ultimo baluardo della Gran Bretagna è l'isola di Unst, la più settentrionale delle Shetland, dove si trova l'unica miniera di talco ancora attiva in tutto il Paese. Mi serviva sapere quanti pub si trovavano lì, e qual era il più a nordest. Doveva pur esserci qualche pub, pensavo, anche perché estrarre il talco deve mettere una tale sete. Perciò, cercai una dritta in rete. A Unst c'è soltanto un pub, ed è il Baltasound Hotel di Baltasound, il posto più a nordest, il più lontano, per bere qualcosa se si arriva dal Turk's Head di St Agnes.

E se io, poniamo un venerdì sera, uscito dal Turk's Head e non trovando un posto decente, cominciassi a vagare fino a ritrovarmi al Baltasound Hotel? Sapeste quante volte avrei voluto farlo.

Be', niente male, pensai. Poteva nascerne un'altra questione. Il più lungo giro dei pub delle Isole Britanniche. Per il momento lasciai perdere. Ma quella piccola, banale ideuzza non mi dava tregua: continuavo ad arrovellarmi sulle pork scratchings e sulle loro origini, e più ci riflettevo e più mi interrogavo su che cosa avessero significato la birra, il vino, il gin, il whisky, le pork scratchings, le uova in salamoia e le patatine per il popolo e per il paesaggio britannico, più mi convincevo che questo viaggio andasse fatto. Avrei seguito le orme di Chesterton, avrei vagato per il suo paesaggio alcolico e percorso la sua ancor più alcolica strada inglese tra i due pub più lontani del Paese. Un viaggio in auto, dopo tutto quel tempo trascorso sui treni. E una sorta di dizionario del bere, da "AA" a "zimasi":

Ci sarei andato col mio amico Perry Venus, fotografo e consulente per problemi legati all'alcolismo. Saremmo partiti da St Agnes il primo aprile del 2004, sperando di arrivare un mese dopo a Unst. Aprile è da sempre il mese più adatto ai pellegrinaggi. Come Steven Earnshaw fa notare in The Pub in Literature, la letteratura inglese ha inizio proprio in un pub, il Tabard di Southwark: è da lì che i pellegrini di Chaucer partirono per Canterbury una mattina di aprile.

È molto frequentato, il tragitto che va da un pub all'altro. Un paio di settimane prima della partenza, mi telefonò Venus. Durante la conversazione mi chiese quali libri avrei portato. Non tanti, gli risposi. Non avremmo avuto molto tempo per leggere. Avrei preso con me un capolavoro trovato su eBay, In Praise of Ale di W.T. Marchant, scritto nel 1887, perché... be', ci stava, no? Poi qualche guida, l'atlante stradale dell'Inghilterra e del Galles, con il volume gemello sulla Scozia. Pubblicati tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, contengono schizzi a matita, un eccellente dizionario geografico e mappe di cinquant'anni fa che sembravano fatte apposta per perdersi. Avrei portato anche un bel malloppo di vere carte stradali dell'Ordnance Survey, per poter poi ritrovare la strada.

«E tu, Perry? Quali libri metterai in valigia?».

«Oh... La scoperta dell'Irlanda di bar in bar di McCarthy... Raw Spirit di Iain Banks... Man Walks into a Pub di Peter Brown».

«Bene, grazie tante... Saranno interessantissimi, scommetto».

«Certo! E anche divertenti».

«Sicuro. Che altro?».

«Sì. Notizie da un'isoletta. E Mister Fridge: l'Irlanda in autostop con un frigo».

«Perché non Cunt di Stewart Home? Dovresti portarlo».

«No. Però ho in serbo qualche altro psicogeografo. London Orbital di Iain Sinclair e Gli anelli di Saturno di Winfried G. Sebald. Pensi che basteranno?».

Appena ti metti in viaggio sul territorio britannico, ti rendi conto che non puoi pretendere di scoprire chissà quali nuovi orizzonti. La Gran Bretagna è come una mappa in rilievo, costellata di linee già impresse da altri scrittori. Puoi solo sperare che le tue aggiungano qualcosa di nuovo al quadro, per quanto non sempre tracciate con mano ferma.

Dunque questo sarà un racconto di viaggio, la storia rocambolesca di un vagabondaggio. Siamo andati dalle Scilly alle Shetland, ma passando per Glastonbury, Birmingham, Skegness Pier e Kensal Green, dove il paradiso è diventato un pub, il Paradise appunto.

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