Copertina
Autore Giuseppe Montalenti
Titolo Charles Darwin
EdizioneMuzzio, Monte San Pietro (BO), 2009 [1982], Scienza , pag. 150, ill., cop.fle., dim. 14x21x1,4 cm , Isbn 978-88-96159-12-5
LettoreGiovanna Bacci, 2010
Classe biografie , evoluzione , storia della scienza
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Introduzione                                        7

1. I giovani anni                                  13

2. La grande avventura                             21

3. Creazionisti ed evoluzionisti. I precursori     43

4. Gli anni della meditazione                      55

5. La grande opera: L'origine delle specie         67

6. Le opere successive.
   I riflessi nell'Inghilterra vittoriana          81

7. Darwinisti e antidarwinisti                     93

8. La sintesi moderna                             113

Chi è?                                            129

Opere di Charles Darwin                           139

Il Montalenti che ci manca
di Enrico Alleva                                  143


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

Introduzione


Siamo nel 1859. Ancora non si sono spenti i clamori delle rivoluzioni liberal-democratiche che appena undici anni prima avevano scosso i troni di tutta Europa. Parecchie nazioni, dall'Italia alla Germania, stanno faticosamente cercando la loro unificazione. La Francia, che primeggia in tutti i campi dell'attività scientifica e intellettuale, conosce con Napoleone III gli splendori del secondo impero. La Germania, non ancora unita, conquista sempre maggiore prestigio politico e soprattutto scientifico, grazie ai grandi studiosi che danno lustro alle sue università. L'Italia, dove le forze intellettuali più vive partecipano al moto risorgimentale, è ancora lontana dal dibattito e dal movimento scientifico internazionale. Sotto il regno prospero e austero della regina Vittoria, l'Inghilterra, apparentemente distante le mille miglia dal continente europeo, fiorisce nel suo splendido isolamento. Le sue conquiste coloniali sono in piena espansione.

La crisi della rivoluzione industriale è superata. Si è formata una ricca classe borghese che si è imposta una sua norma di vita, una sua morale alquanto chiusa e bigotta. L'Inghilterra sembrava un'isola felice, destinata ad avanzare verso mete sempre più serene e gloriose, in cui il progresso scientifico, ben fondato sulla ragione e illuminato dalla religione tradizionale, avrebbe sciolto tutte le difficoltà e le contraddizioni che ancora affliggevano la società.

Un fulmine improvviso, seguito da un vero e proprio temporale, venne improvvisamente a scuotere la buona società vittoriana: quella, per intenderci, in cui non era opportuno nominare le gambe, nemmeno quelle del tavolo, e in cui non era ammesso parlare di affari o di denaro di fronte alle signore. Il 24 novembre 1859 l'editore londinese Murray pubblicava un libro: L'origine delle specie per opera della selezione naturale, di un certo Charles Darwin. L'intera tiratura, di 1.250 copie, fu esaurita in un giorno.

Era un successo editoriale veramente strepitoso, tanto più se si tiene conto che la pubblicità era appena agli inizi, che si trattava di un libro specialistico, un mattone, come si dice, e non certo di un testo divulgativo o alla moda. Per un libro di questo tipo, un'intera edizione venduta nel giorno stesso del suo lancio era un fatto straordinario. Dopo appena due mesi, nel gennaio 1860 uscì la seconda edizione, a cui fecero seguito molte altre. La sesta e definitiva è del 1872. Nel 1885, dopo venticinque anni, soltanto in Inghilterra ne erano state stampate ventottomila copie, a cui vanno aggiunte le traduzioni in tutte le principali lingue.

Che cosa affermava da appassionare tanto i lettori d'Europa e del mondo questo signor Darwin, prima conosciuto soltanto in una cerchia ristretta e che d'improvviso acquistava fama mondiale? Le sue posizioni erano in verità piuttosto audaci e non potevano non scandalizzare l'Inghilterra vittoriana e i benpensanti europei. Darwin contraddiceva addirittura la Bibbia, il racconto della creazione avvenuta in sei giorni, secondo la quale il mondo, cielo, terra e abitanti, sarebbero usciti dalle mani del Creatore tali e quali li vediamo adesso. Nel libro di Darwin si affermava invece che la nostra terra ha una storia lunga molti milioni di anni, e che le specie di animali e piante che vivono sul nostro pianeta non sono le stesse prodotte al momento della creazione, ma sono le discendenti di quelle vissute in epoche lontanissime. Il punto centrale del ragionamento era dunque che le specie di animali e piante non sono fisse, non sono immutabili, non si ripetono sempre uguali a se stesse, ma si modificano lentamente nel tempo e nelle successive generazioni, cioè si "evolvono".

Come si intuisce, da qui a dire che anche l'uomo discende da antenati scimmieschi, il passo è breve. Darwin vi accenna già nell' Origine delle specie. Dieci anni dopo, nel 1871, pubblica un libro completamente dedicato a questo argomento; ma fin dal 1863 il suo discepolo Thomas H. Huxley aveva trattato il tema in un libro dal titolo Il posto dell'uomo nella natura.

Per molti, soprattutto per i giovani, il libro di Darwin fu come una vera e propria folgorazione. In quel periodo le scienze naturali si limitavano a raccogliere e accumulare dati e descrizioni. Mancava però un filo conduttore che li collegasse in una visione teorica generale. La teoria di Darwin forniva appunto questa visione: limpida, elegante, perfettamente razionale. Trovavano finalmente spiegazione osservazioni e constatazioni prima isolate e frammentarie. Alla luce della nuova teoria si potevano capire somiglianze e differenze tra le numerose varietà delle forme degli organismi viventi, la successione di animali e piante nelle varie età della terra di cui erano rimaste tracce fossili, fatti curiosi, come la presenza di organi rudimentali, quasi che a una certa fase dello sviluppo di una determinata specie fossero caduti in disuso, ecc. Per chiarire certi presunti fatti misteriosi non c'era più bisogno di ricorrere a spiriti vitali o a entità metafisiche, fuori dell'esperienza sensibile. La biologia, la scienza che ha per oggetto la vita, poteva finalmente trovare posto accanto alle altre scienze della natura. Aveva un suo metodo che le permetteva di indagare l'organizzazione e lo sviluppo degli organismi, dai più semplici ai più complessi. Anch'essa poteva in tal modo contribuire al travolgente diffondersi delle correnti di pensiero meccanicistiche e materialistiche che in quei tempi spazzavano via oscurantismi e pregiudizi. Era un altro trionfo della scienza, della ragione.

C'erano dunque tutti gli elementi per far sì che il darwinismo sostituisse all'atto di fede della credenza nella creazione secondo la Bibbia un ragionamento scientifico ben documentato. E difatti trovò subito propagandisti entusiasti e fedeli che si dettero da fare per diffondere la nuova dottrina, spesso completandola, rielaborandola e anche modificandola più o meno consapevolmente.

I benpensanti, fedeli al passato, non potevano non preoccuparsi delle nuove teorie e del fervore con cui erano propagandate. Erano in gioco gli stessi fondamenti della loro morale, della loro società, della loro cultura. Era pur vero che Darwin era un signore molto per bene, che viveva del proprio denaro nella sua bella villa nel Kent. Era pur vero che aveva studiato e riflettuto più di venti anni prima di scrivere e pubblicare la sua opera. Era pur vero che era stato molto prudente nelle sue affermazioni, assai più dei suoi seguaci o dei suoi critici. Era pur vero che non si era mai proclamato ateo; anzi, aveva discusso in varie occasioni il problema religioso... Però, la sua dottrina era veramente pericolosa, eversiva, e, riguardo all'origine dell'uomo, addirittura indecente.

Gli uomini preferiscono considerarsi come i discendenti caduti in disgrazia di esseri più nobili, anziché di creature più umili e semplici: basta andare a vedere molte leggende dei vari popoli sull'origine dell'umanità per convincersene.

Nella buona società vittoriana la teoria della derivazione dell'uomo dalla scimmia venne rifiutata innanzitutto per una questione di gusto. Lo statista Benjamin Disraeli (1804-1881) dichiarò che preferiva di gran lunga avere angeli anziché scimmie come antenati. E perfino il grande geologo e amico di Darwin, Charles Lyell, rimaneva attaccato all'ideale dell'uomo come "arcangelo decaduto". E dire che Darwin si era basato anche sugli studi di Lyell per elaborare la sua teoria. Il conformismo della borghesia vittoriana si manifesta nell'esclamazione di una signora messa alle strette dai ragionamenti di un darwiniano: "Sarà pur vero che l'uomo deriva dalle scimmie, ma almeno non diciamolo; che non lo si venga a sapere!".

Chi era dunque Darwin e quali documenti portava a sostegno della sua sconcertante teoria dell'evoluzione?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 113

8. La sintesi moderna


Nonostante tutto, nonostante le difficoltà scientifiche e le tentazioni dell'idealismo, nella maggior parte dei biologi rimase ben radicata la convinzione che la teoria evoluzionistica fosse ancora viva e non avesse ancora dato tutti i suoi frutti. Gli sviluppi della genetica dimostrarono la verità di questa convinzione.

Come abbiamo più volte affermato, la genetica nacque dall'esigenza posta dall'evoluzionismo di indagare i meccanismi dell'eredità biologica. Darwin stesso aveva sentito vivamente questa necessità e aveva tentato di formulare una teoria dell'eredità.

Leggiamo dalla sua Autobiografia: "Verso la fine del libro [ Variazioni degli animali e delle piante allo stato domestico (1868)] presento la mia denigrata ipotesi della pangenesi. Un'ipotesi non verificata ha un valore scarso o nullo, ma se in futuro qualcuno sarà condotto a fare osservazioni che possano dar fondamento a qualche ipotesi del genere la mia opera non sarà stata inutile, perché un'enorme quantità di fatti isolati potranno essere l'un l'altro collegati e diventeranno comprensibili".

In realtà l'ipotesi della pangenesi non fu confermata. Il meccanismo della trasmissione dei caratteri ereditari è diverso da quello supposto da Darwin. Ma intanto si sviluppavano altre ricerche e indagini. Francis Galton cercava per altra via di risolvere il problema. Molti altri indagavano sul problema dell'eredità che divenne così uno dei problemi centrali della biologia.

In verità la soluzione era stata già trovata e espressa con chiarezza fin dal 1866 dal biologo boemo Gregor Mendel (1822-1884), che lavorava nella solitudine del suo convento a Brünn in Moravia. Ma il suo lavoro, che ha dato un contributo fondamentale alla biologia moderna, passò inosservato a tutti i biologi del tempo. Fu scoperto e fatto conoscere soltanto nel 1900, quando i botanici C. Correns, tedesco, H. de Vries, olandese, e E. Tschermak, ungherese, indipendentemente l'uno dall'altro, riscoprirono quelle leggi che noi oggi conosciamo appunto come "leggi di Mendel".

Gregor Mendel scoprì che alla base dei meccanismi ereditari stanno unità di dimensioni microscopiche che in seguito furono chiamate "geni". Ogni individuo possiede un patrimonio ereditario costituito da geni indipendenti gli uni dagli altri che si trasmettono e si combinano secondo le leggi che Mendel stesso ha formulato.

La ricerca delle leggi sull'eredità e del modo in cui è organizzato il patrimonio ereditario, il pacchetto di istruzioni, potremmo dire, che ogni individuo possiede e trasmette a tutti quelli della sua specie proseguí rapidamente. Nel 1906 fu dato il nome di genetica alla scienza che studia l'eredità biologica. Verso il 1910 iniziarono le fondamentali ricerche del biologo americano Thomas Hunt Morgan (1866-1945) e della sua scuola. Intorno al 1920 si scoprì che i geni si trovano localizzati in bell'ordine nei "cromosomi" (elementi del nucleo di una cellula). Nel 1927 fu pubblicata la scoperta di Hermann Joseph Muller che era riuscito a provocare sperimentalmente, per mezzo dei raggi X, le variazioni ereditarie dei geni, per le quali fu riesumato il nome di mutazioni introdotto da de Vries. Nel 1934 l'analisi dei cromosomi giganti delle ghiandole salivari delle larve del moscerino Drosophila aprì nuove possibilità per lo studio della struttura dei cromosomi e della localizzazione dei geni.

Nei primi tre decenni del Novecento ci si dedicò allo studio dell'eredità come fenomeno individuale, o meglio, familiare. Il contributo più importante, in questo campo, dei ricercatori del secolo precedente era quello della non ereditarietà dei caratteri acquisiti, la negazione cioè della teoria di Lamarck.

La genetica, su questa base, divenne una disciplina assai viva e importante, fece notevoli conquiste di carattere generale e si dimostrò capace di fornire indicazioni per il miglioramento delle razze animali che hanno interesse pratico per l'uomo.

Darwin e la teoria dell'evoluzione sembravano dimenticati. Nei trattati di genetica scritti prima del 1930 se ne trovano pochi accenni. Sembrava dunque che questa disciplina, la genetica, non potesse portare alcun contributo originale all'ormai annoso problema evoluzionistico. Anzi, dal momento che le ricerche accertavano una notevole costanza del patrimonio ereditario, sembrò a qualcuno che la genetica fosse addirittura antievoluzionistica. Ma non era così. Soltanto che, prima di poter considerare l'evoluzione da un punto di vista nuovo, che non fosse la ripetizione di vecchie argomentazioni, bisognava aver risolto il grande problema dell'ereditarietà. Quando furono raccolti i dati sufficienti sulle basi fisiche dell'eredità (geni e cromosomi), sulla variabilità ereditaria (mutazioni) e le leggi che regolano la trasmissione dei caratteri ai discendenti, allora, sulla base di queste informazioni, il problema dell'evoluzione fu affrontato in termini nuovi. Intorno al 1930 ebbe così inizio quel ramo della genetica che oggi viene chiamata "genetica delle popolazioni".

A più di un secolo di distanza dalla pubblicazione dell'opera di Darwin, calmate le polemiche, le adesioni entusiastiche e i dissensi radicali, è più facile ai biologi moderni dare un giudizio oggettivo sull'evoluzionismo.

| << |  <  |