Copertina
Autore Mark Ridley
Titolo Evoluzione
SottotitoloLa storia della vita e i suoi meccanismi
EdizioneMcGraw-Hill, Milano, 2005 , pag. 704, ill., cop.fle., dim. 195x264x27 mm , Isbn 978-88-386-6196-9
OriginaleEvolution
EdizioneBlackwell, Oxford, 2004 [1993]
PrefazioneMarco Ferraguti
TraduttoreIsabella C. Blum
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe evoluzione , biologia , zoologia , botanica , ecologia
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Indice

Presentazione dell'edizione italiana                     xix
Prefazione                                               xxi


PARTE I  INTRODUZIONE                                      1


1.  L'ascesa della biologia evoluzionista                  3

1.1 Negli esseri viventi, "evoluzione" significa
    cambiamento per discendenza con modificazione          4
1.2 Esseri viventi e adattamento                           5
1.3 Breve storia della biologia evoluzionista              6
    1.3.1 L'idea di evoluzione prima di Darwin             6
    1.3.2 Charles Darwin                                   8
    1.3.3 L'accoglienza riservata a Darwin                10
    1.3.4 La sintesi moderna                              13
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

2.  Genetica molecolare e mendeliana                      19

2.1 Le molecole di DNA, trasmesse fisicamente dai genitori
    alla prole, sono la base fisica dell'eredità          20
2.2 L'informazione necessaria per sintetizzare
    le proteine dell'organismo è codificata nel DNA       21
2.3 L'informazione contenuta nel DNA è decodificata
    nel corso della trascrizione e della traduzione       23
2.4 In alcune specie esistono grandi quantità di DNA
    non codificante                                       24
2.5 Errori mutazionali possono verificarsi durante
    la replicazione del DNA                               25
2.6 I tassi di mutazione possono essere misurati          28
2.7 Gli organismi diploidi ereditano un doppio corredo
    di geni                                               30
2.8 I geni sono ereditati secondo i caratteristici
    rapporti mendeliani                                   32
2.9 Probabilmente, se il meccanismo dell'eredità seguisse
    un modello non mendeliano di rimescolamento, la
    teoria di Darwin non funzionerebbe                    35
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

3.  Le prove dell'evoluzione                              39

3.1 Tre possibili teorie distinte della storia della vita 40
3.2 Su piccola scala, è possibile osservare l'evoluzione
    in atto                                               41
3.3 L'evoluzione può anche essere prodotta
    sperimentalmente                                      43
3.4 Interbreeding e somiglianza fenotipica sono alla base
    di due concetti di specie                             44
3.5 Le "specie" ad anello dimostrano che la variazione
    intraspecifica può essere abbastanza estesa da
    produrre una nuova specie                             46
3.6 Nuove specie riproduttivamente distinte possono
    essere prodotte per via sperimentale                  48
3.7 Le osservazioni su piccola scala possono essere
    estrapolate sul lungo periodo                         49
3.8 Gruppi di esseri viventi hanno somiglianze omologhe   50
3.9 Omologie diverse sono correlate e possono essere
    classificate gerarchicamente                          56
3.10 Esistono prove fossili della trasformazione delle
     specie                                               58
3.11 L'ordine in cui i principali gruppi compaiono nella
     documentazione fossile indica l'esistenza di una
     relazione evolutiva                                  59
3.12 Le prove dell'evoluzione: una sintesi                60
3.13 Il creazionismo non offre alcuna spiegazione
     dell'adattamento                                     61
3.14 Il moderno «creazionismo scientifico» è
     scientificamente insostenibile                       61
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

4.  Selezione naturale e variazione                       65

4.1 In natura ha luogo una lotta per l'esistenza          66
4.2 Per poter operare, la selezione naturale necessita
    di alcune condizioni                                  68
4.3 La selezione naturale spiega evoluzione e adattamento 69
4.4 La selezione naturale può essere direzionale,
    stabilizzante o divergente                            69
4.5 Nelle popolazioni naturali la variazione è diffusa    74
4.6 All'interno di una popolazione il successo
    riproduttivo presenta una variazione interindividuale 78
4.7 La nuova variazione è generata dalla mutazione e
    dalla ricombinazione                                  79
4.8 La variazione introdotta dagli eventi di
    ricombinazione e mutazione è casuale rispetto alla
    direzione dell'adattamento                            81
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso


PARTE II  GENETICA EVOLUZIONISTA                          85


5.  La teoria della selezione naturale                    87

5.1 La genetica delle popolazioni si interessa di
    frequenze geniche e genotipiche                       88
5.2 Un modello elementare di genetica delle popolazioni
    prevede quattro passaggi fondamentali                 89
5.3 In assenza di selezione, le frequenze genotipiche
    tendono verso l'equilibrio di Hardy-Weinberg          90
5.4 Con la semplice osservazione è possibile verificare
    se i genotipi presenti in una popolazione si trovino
    nelle condizioni dell'equilibrio di Hardy-Weinberg    93
5.5 Il teorema di Hardy-Weinberg è importante dal punto
    di vista concettuale e storico, come pure nella
    ricerca pratica e nei calcoli implicati dai modelli
    teorici                                               95
5.6 Il più semplice modello di selezione prevede un solo
    locus con un allele favorito                          96
5.7 Il modello della selezione può essere applicato
    alla falena delle betulle                             99
    5.7.1 Nelle falene, il melanismo industriale si è
          evoluto per selezione naturale                  99
    5.7.2 Una stima dei valori della fitness viene
          ottenuta usando il tasso di cambiamento delle
          frequenze geniche                              101
    5.7.3 Una seconda stima della fitness viene effettuata
          a partire dai dati sulla sopravvivenza dei
          diversi genotipi in esperimenti di marcatura
          e ricattura                                    102
    5.7.4 La natura del fattore selettivo operante nelle
          popolazioni naturali di Biston betularia è
          controversa, ma probabilmente la predazione
          da parte degli uccelli è stata importante      103
5.8 La resistenza ai pesticidi negli insetti è un esempio
    di selezione naturale                                105
5.9 La fitness è un parametro importante nella teoria
    evolutiva e può essere stimata con tre metodi
    principali                                           109
5.10 La selezione naturale operante a livello di un unico
     locus su un allele favorito non deve essere
     considerata un modello generale dell'evoluzione     111
5.11 Una mutazione svantaggiosa ricorrente evolverà fino
     a raggiungere una frequenza di equilibrio
     calcolabile                                         112
5.12 Il vantaggio dell'eterozigote                       113
     5.12.1 La selezione può mantenere un polimorfismo
            quando, in termini di fitness, l'eterozigote
            è superiore a entrambi gli omozigoti         113
     5.12.2 L'anemia falciforme è un polimorfismo con
            vantaggio dell'eterozigote                   115
5.13 La fitness di un genotipo può dipendere dalla sua
     frequenza                                           117
5.14 Le popolazioni suddivise richiedono particolari
     principi di genetica delle popolazioni              119
     5.14.1 Effetto Wahlund: una popolazione suddivisa
            contiene una proporzione di omozigoti più
            elevata rispetto a una popolazione
            equivalente non suddivisa                    119
     5.14.2 La migrazione tende a unificare le frequenze
            geniche fra popolazioni                      120
     5.14.3 La popolazione umana statunitense illustra
            la convergenza delle frequenze geniche
            indotta dal flusso genico                    122
     5.14.4 Un equilibrio fra selezione e migrazione può
            conservare le differenze genetiche fra
            sottopopolazioni                             122
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

6.  Eventi casuali nella genetica delle popolazioni      127

6.1 Nel corso del tempo, la frequenza degli alleli può
    cambiare in modo casuale attraverso un processo
    denominato deriva genetica                           128
6.2 Una piccola popolazione fondatrice potrebbe
    contenere un campione di geni non rappresentativo
    della popolazione ancestrale                         130
6.3 Un gene può sostituirne un altro per effetto della
    deriva genetica                                      132
6.4 L'"equilibrio" di Hardy-Weinberg presuppone
    l'assenza di deriva genetica                         135
6.5 La deriva neutrale si traduce, nel tempo, in una
    marcia verso l'omozigosi                             135
6.6 Un polimorfismo calcolabile causato dalle mutazioni
    neutrali è presente nelle popolazioni                139
6.7 Dimensioni effettive della popolazione               141
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

7.  La selezione naturale e la deriva casuale
    nell'evoluzione molecolare                           145

7.1 In linea teorica, l'evoluzione molecolare può essere
    spiegata ricorrendo sia alla deriva casuale, sia
    alla selezione naturale                              146
7.2 I tassi di evoluzione molecolare e l'entità della
    variazione genetica possono essere misurati          150
7.3 I tassi di evoluzione molecolare sono forse troppo
    costanti per un processo controllato dalla selezione
    naturale                                             154
7.4 L'orologio molecolare dimostra un effetto del tempo
    di generazione                                       157
7.5 La teoria quasi neutrale                             160
    7.5.1 La teoria neutrale "pura" si scontra con
          diversi problemi empirici                      160
    7.5.2 La teoria quasi neutrale dell'evoluzione
          molecolare postula una classe di mutazioni
          quasi neutrali                                 161
    7.5.3 La teoria quasi neutrale può spiegare i fatti
          osservati meglio della teoria neutrale pura    162
    7.5.4 Dal punto di vista concettuale, la teoria quasi
          neutrale è molto vicina alla teoria neutrale
          pura di Kimura                                 164
7.6 Tasso evolutivo e vincolo funzionale                 165
    7.6.1 Nelle molecole proteiche, le regioni soggette
          a maggiori vincoli funzionali evolvono più
          lentamente                                     165
    7.6.2 Nel caso delle proteine, la tendenza può
          essere spiegata sia dalla selezione naturale,
          sia dalla deriva neutrale, ma in quello del
          DNA solo la deriva è plausibile                166
7.7 Conclusione e commento: il cambiamento del
    paradigma neutralista                                168
7.8 Il sequenziamento dei genomi ha consentito nuovi
    approcci allo studio dell'evoluzione molecolare      169
    7.8.1 Le sequenze di DNA forniscono solide prove
          dell'influenza della selezione naturale sulla
          struttura delle proteine                       169
    7.8.2 Un elevato rapporto fra mutazioni non sinonime e
          sinonime rappresenta una prova della selezione 170
    7.8.3 La selezione può essere rilevata confrontando i
          rapporti dN/dS nella stessa specie e fra specie
          diverse                                        172
    7.8.4 Il gene codificante il lisozima è evoluto in
          modo convergente nei mammiferi che digeriscono
          la cellulosa                                   175
    7.8.5 Tendenze preferenziali nell'uso di codoni
          sinonimi                                       177
    7.8.6 La selezione, positiva o negativa che sia,
          lascia il suo segno nelle sequenze di DNA      178
7.9 Conclusioni: 35 anni di ricerca sull'evoluzione
    molecolare                                           179
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

8.  Genetica delle popolazioni per caratteri controllati
    da due o più loci                                    183

8.1 Il mimetismo in Papilio è controllato da più di un
    locus genico                                         184
8.2 In Papilio memnon i genotipi di loci diversi sono
    coadattati                                           186
8.3 In Heliconius il mimetismo è controllato da più loci,
    che tuttavia non sono strettamente concatenati       186
8.4 La genetica di caratteri controllati da due loci ha
    a che fare con le frequenze aplotipiche              187
8.5 Le frequenze aplotipiche possono essere o non essere
    in equilibrio di concatenazione                      188
8.6 I geni umani HLA sono un sistema genico multilocus   191
8.7 Il disequilibrio di concatenazione può esistere per
    diverse ragioni                                      192
8.8 Sistemi a due loci e selezione naturale: possibile
    costruzione di modelli                               194
8.9 Modelli di selezione a due loci ed effetto "autostop"197
8.10 La "scopa selettiva" (selective sweep) può fornire
     le prove della selezione nelle sequenze di DNA      197
8.11 Il disequilibrio di concatenazione può essere
     vantaggioso, neutrale o svantaggioso                199
8.12 Wright e il fondamentale concetto di topografia
     adattativa                                          200
8.13 L'evoluzione e la teoria dello shifting balance     202
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

9.  Genetica quantitativa                                209

9.1 In uno dei fringuelli di Darwin, l'evoluzione delle
    dimensioni del becco è stata guidata dai cambiamenti
    climatici                                            210
9.2 La genetica quantitativa studia caratteri
    controllati da numerosi geni                         213
9.3 Prima di tutto si riconoscono gli effetti genetici
    e ambientali sulla variazione                        215
9.4 La varianza di un carattere può essere scomposta in
    effetti genetici e ambientali                        217
9.5 I parenti hanno genotipi simili, il che produce la
    correlazione fra parenti                             219
9.6 L'ereditabilità è la proporzione additiva della
    varianza genotipica                                  221
9.7 L'ereditabilità di un carattere determina la sua
    risposta alla selezione artificiale                  222
9.8 La forza della selezione è stata stimata in numerosi
    studi sulle popolazioni naturali                     225
9.9 Le relazioni fra genotipo e fenotipo possono essere
    non lineari, producendo cospicue risposte alla
    selezione                                            227
9.10 La selezione stabilizzante riduce la variabilità
     genetica di un carattere                            230
9.11 Nelle popolazioni naturali, i caratteri soggetti
     alla selezione stabilizzante presentano variazione
     genetica                                            231
9.12 I livelli di variazione genetica nelle popolazioni
     naturali non sono ben compresi                      231
9.13 Conclusioni                                         234
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso


PARTE III  ADATTAMENTO E SELEZIONE NATURALE              237


10.  Spiegazioni adattative                              239

10.1 La selezione naturale è l'unica spiegazione nota
     dell'adattamento                                    240
10.2 Il pluralismo è appropriato nello studio
     dell'evoluzione ma non in quello dell'adattamento   243
10.3 In linea di principio la selezione naturale può
     spiegare tutti gli adattamenti conosciuti           243
10.4 I nuovi adattamenti evolvono in modo continuo
     attraverso stadi successivi da adattamenti
     preesistenti; la continuità, tuttavia, assume
     forme diverse                                       247
     10.4.1 Nella teoria di Darwin non esiste un processo
            speciale per produrre novità evolutive       247
     10.4.2 La funzione di un adattamento può cambiare
            grazie a una piccola modificazione della sua
            forma                                        248
     10.4.3 Un nuovo adattamento può evolvere combinando
            componenti in precedenza indipendenti        249
10.5 Genetica dell'adattamento                           250
     10.5.1 Fisher propose un modello e un'analogia
            microscopica per spiegare come mai,
            nell'evoluzione adattativa, le modificazioni
            genetiche siano di piccola entità            250
     10.5.2 Quando un organismo non si trova nei pressi
            di un picco adattativo occorre una teoria
            di più ampio respiro                         252
     10.5.3 Sono in corso studi sperimentali sulla
            genetica dell'adattamento                    252
     10.5.4 Conclusioni: la genetica dell'adattamento    254
10.6 Tre sono i metodi principali per studiare
     l'adattamento                                       254
10.7 In natura, gli adattamenti non sono perfetti        256
     10.7.1 Gli adattamenti possono essere imperfetti
            a causa di ritardi temporali                 256
     10.7.2 Gli adattamenti possono essere imperfetti
            a causa di vincoli genetici                  258
     10.7.3 Gli adattamenti possono essere imperfetti
            a causa di vincoli ontogenetici              259
     10.7.4 Gli adattamenti possono essere imperfetti
            a causa di vincoli storici                   265
     10.7.5 Il progetto di un organismo può essere un
            compromesso fra esigenze adattative diverse  267
     10.7.6 Conclusioni: vincoli imposti all'adattamento 268
10.8 Come riconoscere gli adattamenti?                   270
     10.8.1 Occorre distinguere la funzione di un organo
            dai suoi possibili effetti                   270
     10.8.2 Gli adattamenti possono essere definiti in
            termini di progetto ingegneristico o di
            fitness riproduttiva                         270
Riassunto
Letture consigliate
Domande per lo studio e il ripasso

11.  Le unità della selezione                            275

[...]

12.  Adattamenti nella riproduzione sessuale             295

[...]


PARTE IV  EVOLUZIONE E DIVERSITΐ                         327


13.  I concetti di specie e la variazione intraspecifica 329

[...]

14.  Speciazione                                         361

[...]

15.  La ricostruzione della filogenesi                   401

[...]

16.  Classificazione ed evoluzione                       445

[...]

17.  Biogeografia evoluzionista                          465

[...]


PARTE V  MACROEVOLUZIONE                                 491


18.  La storia della vita                                493

[...]

19.  Genomica evoluzionista                              525

[...]

20.  Biologia evolutiva dello sviluppo                   541

[...]

21.  Tassi di evoluzione                                 559

[...]

22.  Coevoluzione                                        583

[...]

23.  Estinzione e radiazione                             613

[...]

Glossario                                                651
Risposte alle domande per lo studio e il ripasso         659
Bibliografia                                             667
Indice analitico                                         697

 

 

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Pagina XIX

Presentazione dell'edizione italiana


Nella prefazione del libro sul quale molti di noi hanno imparato l'evoluzione c'è una frase che mi è rimasta impressa: "La continua espansione del paradigma evoluzionista ha raggiunto un livello tale che nessun autore può dirsi competente a trattare con autorità tutti i suoi aspetti. Per questa ragione questo libro è stato scritto da quattro autori, con interessi e competenze marcatamente diversi, ma complementari. [...] Forse questa è l'ultima volta che un resoconto ragionevolmente comprensivo della teoria dell'evoluzione può essere compreso in un unico volume." (Dobzhanky et al., 1977). Di fronte a una frase come questa, scritta da quattro fra i maggiori evoluzionisti del secolo, molti si sarebbero scoraggiati. Non così Mark Ridley, grande didatta che ha insegnato a Cambridge, Emory e Oxford, e che ha dedicato gli ultimi trent'anni del suo lavoro a scrivere libri sull'evoluzione.

Persino in Italia, un Paese nel quale la cultura scientifica non può certo dirsi avanzata, fu tradotto un suo libro divulgativo qualche anno fa (Ridley, 1987). Gli argomenti dei libri di Ridley spaziano dall'etologia alla lettura di Darwin, dalla sistematica alla genetica, all'antologia di testi evoluzionisti. Tale vastità di orizzonti si riflette in questo libro, traduzione della terza edizione inglese, completamente rinnovata, nel quale gli argomenti trattati sono veramente moltissimi: dalla zoologia alla botanica, dalla microbiologia alla paleontologia, dalla genetica alla biologia della cellula, all'embriologia, tutti visti alla luce della grande spiegazione che unifica e permette di comprendere la storia della vita sulla Terra: l'evoluzione ("nulla in Biologia ha senso se non alla luce dell'evoluzione" scriveva Dobzhansky nel 1973).

Lo studio dell'evoluzione e dell'evoluzionismo non sono molto diffusi in Italia. Basti pensare che, a fronte dei molti libri "di studio" sull'evoluzione che escono ogni anno nel mondo, sul mercato italiano è presente il solo libro di Futuyma, che risale all'ormai lontano 1985. Abbondano invece i libri popolari sull'evoluzione, di valore assai difforme e spesso di taglio polemico. Il fatto che esista questa letteratura, se da un lato è positivo, dall'altro genera nel lettore italiano l'idea che i dibattiti sull'evoluzione siano come certe diatribe teologiche medievali, nelle quali dal pulpito si affrontavano sostenitori di opposte visioni. Molti sono convinti che il dibattito sulla natura e i meccanismi dell'evoluzione sia così, pieno di Dawkins, e Dennett, e Lewontin, e Gould, che discutono da pulpiti diversi le loro visioni della vita. Questa visione è parziale: il mondo di coloro che studiano l'evoluzione è popolato di ricercatori che faticano ogni giorno su molecole, piante, animali, batteri e fossili e pubblicano i loro affascinanti risultati su riviste specialistiche. Questo aspetto più "terra terra" dell'evoluzionismo è in Italia assai trascurato, ma a mio avviso è terribilmente affascinante. Lo scopo di questo libro è quello di colmare questa lacuna: il lettore vi troverà sì i grandi dibattiti teorici sull'evoluzione e i suoi meccanismi, ma anche, riportati in modo chiaro, comprensibile da qualsiasi persona di cultura, i mille esperimenti e le mille osservazioni su iris, uccelli del paradiso, trilobiti, molecole di ogni genere, e dati sull'ecologia e la biodiversità, sui quali poi sono state costruite le teorie.

Nella traduzione italiana del testo abbiamo privilegiato una scelta "controcorrente": nella scienza moderna è invalso l'uso di usare parole inglesi, scelta giustificata dal fatto che l'inglese è la lingua franca della scienza di oggi; tuttavia, dal momento che questa è una traduzione in italiano, ci siamo sforzati di trovare, dove fosse ragionevole, gli equivalenti italiani di ogni parola. Così, se da un lato abbiamo conservato gli ormai classici fitness, test o range in inglese, abbiamo invece introdotto la traduzione dove ciò si presentava possibile. Alcune di queste parole saranno quindi "nuove"; se così si può dire. Così selective sweep sarà "scopa selettiva", sibling species saranno "specie gemelle", mentre sister species saranno "specie sorelle". Speriamo che i lettori non ce ne vogliano e anzi apprezzino il tentativo.

Per ridurre la già notevole mole del libro, inoltre, è stato utilizzato un corpo minore per le parti non essenziali alla comprensione dei temi di fondo. In Bibliografia abbiamo infine segnalato alcuni siti di potenziale interesse per il lettore italiano di questo libro.

Marco Ferraguti

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Pagina XXI

Prefazione


La teoria dell'evoluzione è di gran lunga la più importante teoria biologica, ed è sempre un piacere essere fra i fortunati che la studiano. In biologia, nessun'altra idea si è rivelata scientificamente altrettanto potente, né così stimolante sul piano intellettuale. L'evoluzione può aggiungere ulteriore interesse agli aspetti più affascinanti della storia naturale; i moderni biologi evoluzionisti, per esempio, tendono a sostenere che l'esistenza del sesso sia l'enigma più profondo di tutti: con ogni probabilità un errore senza il quale metà delle creature che vivono su questo pianeta starebbe meglio. L'evoluzione dà anche significato ai fatti più aridi della vita, ed uno dei grandi piaceri riservati da questa materia è proprio quello di scoprire, in mezzo al disorientante tecnicismo di un laboratorio di genetica, l'esistenza di idee che vanno oltre ai dati nudi, o di capire come la misura di una regione denominata prodissoconca II nella conchiglia di una larva di gasteropode, o anche il numero di segmenti della coda di un trilobite, possano far da cardine ad alcune profonde teorie sulla storia della vita. La complessità e l'estensione della biologia evoluzionista sono tali che chi studia qualsiasi altra materia si sentirà necessariamente relegato a lavorare su argomenti più superficiali ed effimeri.

La teoria dell'evoluzione, nella forma in cui l'ho esposta in questo libro, ha quattro componenti principali. La genetica delle popolazioni fornisce la fondamentale base teorica della materia. Se conosciamo il modo in cui una qualsiasi proprietà della vita è controllata dai geni, potremo applicarle direttamente la genetica delle popolazioni. Possediamo tali conoscenze in modo particolare per le molecole e anche per alcune proprietà, in prevalenza morfologiche, degli organismi interi; pertanto l'evoluzione molecolare e la genetica di popolazioni sono discipline ben integrate che saranno prese in considerazione, unitamente, nella Parte Seconda del libro. La teoria dell'adattamento, che è il tema della Parte Terza di questo volume, è la seconda componente. L'evoluzione è, fra l'altro, la chiave per comprendere la diversità della vita; nella Parte Quarta prenderemo in considerazione interrogativi quali: che cosa è una specie? come si originano nuove specie? come classificare i viventi e ricostruire la storia della vita? Infine, nella Parte Quinta ci occuperemo dell'evoluzione su grande scala – una scala temporale che va dalle decine alle centinaia di milioni di anni. Analizzeremo la storia della vita dal punto di vista genetico e paleontologico, come pure i tassi di evoluzione e le estinzioni di massa.

Affrontare temi controversi è sempre difficile in un libro introduttivo, e nella biologia evoluzionista ce ne sono a bizzeffe. Ogni volta che mi sono imbattuto in un argomento controverso, il mio primo obiettivo è stato quello di spiegare le idee in competizione in modo che il lettore possa comprenderle nei loro termini. In alcuni casi (come quello della classificazione cladistica) ritengo che ormai la controversia sia quasi ricomposta, e quindi ho preso posizione in merito. In altri (come quello dell'importanza empirica relativa fra modificazione graduale e punteggiata nei fossili) mi sono invece astenuto dal farlo. Sono ben consapevole del fatto che non tutti saranno d'accordo con me: né con le posizioni che ho preso, né con la mia decisione, in qualche caso, di non prendere posizione; d'altra parte, questi sono, in un certo senso, problemi secondari. Il successo del libro dipende soprattutto dalla misura in cui, leggendolo, un lettore che non abbia alle spalle studi approfonditi sulla materia riuscirà a comprendere le diverse idee che vi sono esposte e a farsene un'opinione sensata.

Mentre sto lavorando alla terza edizione del libro, il grande evento (o per lo meno uno dei grandi eventi) nel campo della biologia evoluzionista è che la genetica sta diventando una materia attinente non solo alla microevoluzione, ma anche alla macroevoluzione. Dal punto di vista storico, è stata operata una distinzione – funzionale ai fini operativi – fra la ricerca evoluzionista su scala temporale breve e lunga: in altre parole, fra la ricerca nel campo della micro- e della macro-evoluzione. La distinzione non riguardava semplicemente la scala temporale, ma anche i metodi della ricerca e perfino le discipline accademiche che se ne occupavano. La genetica (e in genere i metodi sperimentali) veniva usata per studiare l'evoluzione su una scala temporale al massimo di qualche anno, la stessa dei progetti di ricerca. Questi studi erano eseguiti principalmente nei dipartimenti di biologia. L'evoluzione a lungo termine, su una scala temporale approssimativamente di 10-1000 milioni di anni, veniva studiata invece dalla morfologia comparata, analizzando forme di vita viventi ed estinte. Più che dai biologi, questo tipo di lavoro era effettuato nei musei e nei dipartimenti di geologia e di scienze della terra.

La distinzione fra ricerca micro- e macro-evoluzionista sta disintegrandosi sotto i miei occhi, probabilmente attraverso tre diversi processi. Il primo di essi è l'uso della filogenetica molecolare. Una filogenesi è l'albero genealogico di un gruppo di specie, e tradizionalmente veniva inferito a partire da dati di ordine morfologico. I dati molecolari cominciarono a entrare in queste ricerche negli anni Sessanta, ma rimasero come intrappolati (sto esagerando un po') da circa vent'anni di comportamento ossessivo, nel corso dei quali un piccolo numero di studi – in particolare sull'evoluzione umana - fu riciclato all'infinito. La filogenetica molecolare venne alla luce solo negli anni Ottanta, e il risultato fu un enorme aumento nel numero di specie delle quali oggi conosciamo le relazioni filogenetiche o per le quali disponiamo comunque di dati in merito.

Il programma di ricerca della filogenetica molecolare è stato probabilmente fissato per quasi una generazione di studiosi, e sebbene questa disciplina sia ancora solo agli albori, gode certamente di ottima salute. Una stima recente è che solo 50.000 specie, delle circa 1.750.000 descritte, siano state collocate in un qualsiasi tipo di "minialbero" – ossia, un albero filogenetico in cui sono mostrati i rapporti di parentela più stretti. Come ha sottolineato Sydney Brenner, i biologi della prossima generazione hanno davanti a sé l'emozionante prospettiva di tracciare l'albero della vita: un obiettivo che i biologi post-darwiniani di tutte le generazioni precedenti potevano solo sognare. Nel Capitolo 15, vedremo come viene eseguito questo tipo di lavoro. D'altra parte, le nuove conoscenze filogenetiche non sono interessanti solo di per se stesse: stanno infatti rendendo possibili molti altri tipi di ricerca che in precedenza non lo erano. Vedremo come le filogenesi siano utilizzate, fra l'altro, negli studi sulla coevoluzione e la biogeografia.

Gli altri due campi in cui la genetica molecolare sta trovando applicazione nella ricerca macroevoluzionista sono più recenti. Ho aggiunto infatti a questa edizione del libro due nuovi capitoli, uno sulla genomica evoluzionista (Capitolo 19) e uno sull'"evodevo" (Capitolo 20). L'aggiunta di questi due capitoli alla Parte Quinta è, nel suo piccolo, emblematica di come lo studio della macroevoluzione sia diventato, oltre che paleo-biologico, anche genetico: nelle prime due edizioni di Evolution, la Parte Quinta aveva un taglio quasi esclusivamente paleontologico. Di per se stessa, l'introduzione di nuove tecniche nello studio della macroevoluzione suscita un grande entusiasmo; essa ha anche innescato numerose dispute, là dove i due metodi (quello della genetica molecolare e quello della paleontologia) sembrano portare a conclusioni conflittuali. Analizzeremo alcune di quelle controversie, compresa quella sulla natura dell'esplosione del Cambriano e sul significato dell'estinzione di massa del Cretaceo-Terziario.

Questo libro si occupa dell'evoluzione come di una scienza "pura"; d'altra parte essa ha anche alcune applicazioni pratiche – nelle questioni sociali, nell'industria e in medicina. Stephen Palumbi ha recentemente stimato che il cambiamento evolutivo indotto dall'azione dell'uomo costi all'economia statunitense circa 33-50 miliardi di dollari l'anno (Palumbi 2001a). Tali costi derivano dal fatto che i patogeni diventano farmacoresistenti, gli organismi nocivi alle nostre attività economiche sviluppano resistenze ai pesticidi, le popolazioni ittiche reagiscono alle nostre procedure di pesca evolvendo in modo economicamente sfavorevole. La stima di Palumbi è approssimata e preliminare, ma probabilmente si rivelerà un calcolo per difetto. Quale che sia la cifra esatta, le conseguenze economiche dell'evoluzione devono comunque essere immense. In proporzione, i benefici economici comportati dalla comprensione dell'evoluzione potrebbero esserlo altrettanto. In questa edizione ho aggiunto, all'interno dei vari capitoli, numerosi box di approfondimento sul tema "Evoluzione e attività umane". Gli esempi da me discussi non sono che un campione, scelto in modo da corrispondere ai temi trattati nel testo. Bull e Wichman (2001) discutono molti altri esempi di "evoluzione applicata", spaziando dall'evoluzione direzionale degli enzimi alla computazione evoluzionista.

[...]

Mark Ridley

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Pagina 5

1.2 Esseri viventi e adattamento

Quello di adattamento è un altro concetto fondamentale della teoria evolutiva. In effetti, uno dei principali scopi della moderna biologia evoluzionista è proprio quello di spiegare le forme di adattamento osservabili nel mondo dei viventi. Il termine adattamento si riferisce alla presenza, nella vita, di un "progetto" - fa cioè riferimento a tutte quelle proprietà che, in natura, mettono gli esseri viventi in condizioni di sopravvivere e di riprodursi. Sarà più facile comprendere il concetto servendosi di qualche esempio. Per illustrare l'idea di adattamento possiamo ricorrere a molti attributi di un organismo, giacché numerosi dettagli strutturali, metabolici e comportamentali sono ben "progettati" per la vita.

Uno degli esempi preferiti di Darwin era quello del picchio. Il suo adattamento più palese è il becco potente dalla forma caratteristica, che gli consente di praticare fori nel legno degli alberi. In tal modo questi uccelli possono nutrirsi per tutto l'anno sia attingendo alla linfa dell'albero, sia prelevando gli insetti che vivono sotto la corteccia e scavano gallerie nel legno. Le cavità scavate nei tronchi, inoltre, offrono loro siti sicuri nei quali nidificare. Oltre al becco, i picchi hanno molte altre caratteristiche ben "progettate". All'interno del cavo orale l'animale possiede una lunga lingua che usa come una sonda per estrarre insetti dai fori praticati nel legno. I picchi hanno anche una coda particolarmente rigida che usano come un puntello, zampe corte e piedi con lunghe dita ricurve per aggrapparsi alla corteccia; vanno incontro a uno speciale tipo di muta, in modo che le due robuste penne centrali della coda (essenziali per puntellarsi sui tronchi) siano conservate e mutate per ultime. Il becco e tutto il disegno del corpo del picchio sono dunque caratteristiche adattative. Grazie al fatto di possederle, il picchio ha maggiori probabilità di sopravvivere nel suo habitat naturale.

Il mimetismo criptico è un altro esempio molto chiaro di adattamento. Le specie criptiche hanno colorazione e peculiarità morfologiche e comportamentali tali da renderle meno appariscenti nel loro ambiente naturale. Questo tipo di mimetismo favorisce la sopravvivenza dell'organismo rendendolo meno visibile ai suoi nemici naturali e pertanto ha un valore adattativo. L'adattamento, tuttavia, non è un concetto isolato che si riferisce solo ad alcune particolari proprietà degli esseri viventi: esso si applica invece quasi a ogni parte del corpo. Nella nostra specie, le mani sono adattate ai movimenti di presa, gli occhi alla funzione visiva, il canale alimentare alla digestione del cibo, le gambe alla deambulazione: tutte queste funzioni ci aiutano a sopravvivere. Sebbene la maggior parte delle caratteristiche osservabili in un organismo siano adattative, non tutti i dettagli morfologici e comportamentali sono necessariamente tali (Capitolo 10). D'altra parte, gli adattamenti sono così comuni che devono essere spiegati. Darwin vedeva nell'adattamento il problema fondamentale che qualsiasi teoria dell'evoluzione avrebbe dovuto risolvere. Nella sua teoria – come del resto nella moderna biologia evoluzionista – la chiave per risolvere quel problema sta nella selezione naturale.

Il concetto di "selezione naturale" implica che, in una popolazione, alcuni tipi di individui tendano a contribuire alla generazione successiva generando una prole più numerosa rispetto ad altri. Se si ammette che la prole assomigli ai genitori, col passare del tempo qualsiasi attributo consenta a un organismo di lasciare dietro di sé una prole più numerosa della media diventerà più frequente nella popolazione. La composizione di quest'ultima, pertanto, andrà automaticamente modificandosi. Questa è l'idea – immensamente potente nella sua semplicità – le cui molteplici conseguenze ci accingiamo a esplorare in questo libro.


1.3 Breve storia della biologia evoluzionista

Cominceremo con una breve descrizione storica dell'ascesa della biologia evoluzionista, suddividendola in quattro periodi principali.

1. Prima di Darwin: idee pro e contro il concetto di evoluzione

2. La teoria di Darwin (1859)

3. L'eclissi di Darwin (1880-1920 circa)

4. La sintesi moderna

1.3.1. L'idea di evoluzione prima di Darwin

La storia della biologia evoluzionista inizia senza dubbio nel 1859, con la pubblicazione dell' Origine delle specie di Charles Darwin.

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Pagina 13

1.3.4. La sintesi moderna

Nel periodo approssimativamente compreso fra il 1910 e il 1920, la ricerca sulla genetica mendeliana aveva ormai assunto proporzioni importanti, concentrandosi su molti problemi che nella maggior parte dei casi hanno a che fare più con la genetica che con la biologia evoluzionista. All'interno della teoria dell'evoluzione, tuttavia, il problema principale consisteva nel riuscire a conciliare la genetica mendeliana, ossia una teoria atomistica, con la descrizione di una variazione continua osservata nelle popolazioni reali, descrizione che rappresentava il contributo dei biometristi. Questa riconciliazione fu raggiunta da diversi autori in molti stadi; un articolo di R.A. Fisher, pubblicato nel 1918, ebbe tuttavia un'importanza particolare nel processo. Fisher vi dimostrava infatti che tutti i risultati noti ai biometristi potevano essere ricavati dai principi mendeliani.

Il passo successivo consistette nel dimostrare che la selezione naturale poteva operare con la genetica mendeliana. Il lavoro teorico fu eseguito soprattutto da R.A. Fisher, J.B.S. Haldane e Sewall Wright (Figura 1.8), che lo affrontarono in modo indipendente. La sintesi da essi operata fra la teoria della selezione naturale darwiniana e la teoria dell'ereditarietà mendeliana stabilì quello che è oggi noto come neodarwinismo, o anche teoria sintetica dell'evoluzione o sintesi moderna, da un libro di Julian Huxley intitolato Evolution: the Modern Synthesis (1942). La vecchia disputa fra mendeliani e darwiniani era finita. La teoria di Darwin possedeva finalmente ciò che per mezzo secolo le era mancato: una solida base, fondata su una teoria dell'eredità ben verificata.

Le idee di Fisher, Haldane e Wright sono note principalmente dalle grandi opere – compendi di carattere generale – che essi scrissero intorno agli anni Trenta. Fisher pubblicò il suo The Genetical Theory of Natural Selection nel 1930. Due anni dopo uscì un libro di taglio più divulgativo, The Causes of Evolution di Haldane, corredato di una lunga appendice "A mathematical theory of artificial and natural selection" in cui l'autore riassumeva una serie di articoli pubblicati dal 1918 in poi. Nel 1931, Wright pubblicò un lungo articolo intitolato "Evolution in Mendelian Populations"; a differenza di Fisher e Haldane, Wright visse abbastanza a lungo da riuscire a pubblicare, alla fine della sua carriera, un trattato in quattro volumi (1968-1978). Questi classici sulla genetica delle popolazioni teorica dimostravano che la selezione naturale può funzionare con il tipo di variazione osservabile nelle popolazioni naturali e con le leggi dell'eredità di Mendel, senza che si debbano chiamare in causa altri processi. Non occorre postulare l'ereditarietà dei caratteri acquisiti, la variazione orientata o le macromutazioni. Questa intuizione è stata incorporata in tutto il pensiero evoluzionista successivo, e il lavoro di Fisher, Haldane e Wright rappresenta la base concettuale di gran parte del materiale qui presentato nei Capitoli 5-9.

La riconciliazione fra mendelismo e darwinismo ispirò ben presto nuove ricerche genetiche, tanto sul campo quanto in laboratorio. Theodosius Dobzhansky (Figura 1.9), per esempio, dopo essersi trasferito dalla Russia negli Stati Uniti, nel 1927, intraprese classiche ricerche sull'evoluzione delle popolazioni di drosofila. Dobzhansky era stato influenzato dal più insigne studioso russo di genetica delle popolazioni, Sergei Chetverikov (1880-1959), il quale diresse un importante laboratorio moscovita fino a quando, nel 1929, fu arrestato. Giunto negli Stati Uniti, Dobzhansky lavorò sia sulle proprie teorie, sia in collaborazione con Sewall Wright. Il suo libro più importante, Genetics and the Origin of the Species, fu pubblicato nel 1937; le sue edizioni successive (fino a quella del 1970, uscita con un titolo diverso) sono state fra le opere più influenti della sintesi moderna. Nei capitoli che seguono ci imbatteremo a più riprese in diversi esempi del lavoro di Dobzhansky sulle drosofile.

E.B. Ford (1901-1988) inaugurò negli anni Venti un programma di ricerca analogo nel Regno Unito. Ford studiò la selezione nelle popolazioni naturali, soprattutto quelle delle falene, e denominò la sua materia "genetica ecologica". Pubblicò un compendio del suo lavoro in un libro intitolato Ecological Genetics, la cui prima edizione vide la luce nel 1964 (Ford 1975). H.B.D. Kettlewell (1901-1979) studiò il melanismo nella falena delle betulle Risma betularia, e questo lavoro rappresenta l'esempio più celebre di ricerca nel campo della genetica ecologica (Paragrafo 5.7). Ford lavorò in stretta collaborazione con Fisher. Il loro studio congiunto più conosciuto fu un tentativo di dimostrare che i processi casuali enfatizzati da Wright non potessero render conto dei cambiamenti evolutivi osservati nella falena Panaxia dominula. Julian Huxley (Figura 1.10a) esercitò la sua influenza soprattutto attraverso una grande abilità nel sintetizzare ricerche afferenti a diversi campi di indagine. Nel suo libro – Evolution: the Modern Synthesis (1942) – fece conoscere a molti biologi i concetti teorici di Fisher, Haldane e Wright, applicandoli a problemi evolutivi di ampio respiro.

Muovendo dalla genetica di popolazioni, la sintesi moderna si estese poi anche ad altre aree della biologia evoluzionista. Il problema di come una specie originaria potesse scindersi generando due nuove specie – l'evento denominato speciazione – fu uno dei primi esempi. Prima che la sintesi moderna fosse penetrata a fondo in questa materia, la speciazione era stata spesso spiegata ricorrendo alle macromutazioni o invocando l'ereditarietà dei caratteri acquisiti. Un libro fondamentale, The Variation of Animals in Nature, scritto da due sistematici, G.C. Robson e O.W. Richards (1936) non accettava né il mendelismo, né il darwinismo. I due autori ipotizzavano che le differenze interspecifiche non fossero adattative e non avessero nulla a che fare con la selezione naturale. Nel suo libro The Material Basis of Evolution (1940) Richard Goldschmidt (1878-1958) sostenne una tesi divenuta poi famosa – e cioè che la speciazione fosse prodotta dalle macromutazioni e non dalla selezione di piccole varianti.

Il problema dell'origine delle specie è strettamente legato ai temi della genetica delle popolazioni e Fisher, Haldane e Wright – tutti e tre – lo avevano affrontato. Dobzhansky e Huxley lo enfatizzarono ulteriormente. Secondo tutti questi scienziati, i cambiamenti del tipo studiato dalla genetica delle popolazioni, purché comparissero in popolazioni geograficamente isolate, potevano indurre queste ultime dapprima a divergere e poi a evolvere in specie distinte (Capitolo 14). L'opera classica sull'argomento, comunque, fu il libro di Ernst Mayr: Systematics and the Origin of Species (1942). Come molti classici della scienza, fu scritto per polemizzare contro un particolare punto di vista, quello sostenuto da Goldschmidt in Material Basis. D'altra parte, nella sua critica a Goldschmidt, Mayr non si limitò a confutarne le tesi, ma mosse dalla prospettiva di una teoria completa e diversa – la sintesi moderna; il suo libro ha pertanto un'importanza assai più vasta. Nati e formatisi entrambi in Germania, Goldschmidt e Mayr (Figura 1.10b) erano poi emigrati negli Stati Uniti. Mayr partì nel 1930, da giovane; quanto a Goldschmidt, nel 1936, quando lasciò la Germania nazista, aveva ormai 58 anni e si era già costruito un'importante carriera scientifica.

Uno sviluppo legato a queste vicende è quello spesso denominato "nuova sistematica", dal titolo di un libro curato da Julian Huxley (1940). Esso si riferisce al declino di quello che Mayr chiamava "concetto tipologico di specie" e alla sua sostituzione con qualcosa di più adatto alla moderna genetica di popolazioni (Capitolo 13). I due concetti differiscono nell'interpretazione della variazione interindividuale in seno a una specie. La specie era stata definita dai tipologi come un insieme di organismi di aspetto più o meno simile, dove la somiglianza era misurata rispetto a una forma ritenuta standard (il "tipo") della specie. Una specie contiene pertanto alcuni individui conformi allo standard e altri individui da esso devianti. Gli individui conformi sono concettualmente privilegiati, mentre quelli devianti rappresentano una sorta di errore.

Nella genetica delle popolazioni teorica, tuttavia, il concetto di specie come forma tipo alla quale vanno ad aggiungersi le forme devianti non era appropriato. I cambiamenti delle frequenze geniche analizzati dai genetisti di popolazione hanno luogo all'interno di un "pool genico" — si verificano cioè in un gruppo di organismi interfecondi che si scambiano geni al momento della riproduzione. L'unità fondamentale, adesso, è l'insieme delle forme interfeconde, indipendentemente da quanto esse appaiano simili le une alle altre. L'idea che esista un "tipo" della specie è priva di significato in un pool genico contenente numerosi genotipi. Nei confronti della specie, un particolare genotipo non è una forma standard più di quanto lo sia qualsiasi altro. Un pool genico non contiene uno o alcuni genotipi corrispondenti alle forme standard della specie, a fronte di altri genotipi che rappresentano deviazioni da quegli standard. Non esiste, insomma, alcuna forma "tipo" utilizzabile come punto di riferimento per definire la specie. Pertanto, gli studiosi di genetica delle popolazioni arrivarono a definire i membri di una specie in base alla loro capacità di incrociarsi – e non in base alla loro somiglianza morfologica a una forma tipo. La moderna sintesi aveva ormai permeato di sé la sistematica.

George Gaylord Simpson (Fig. 1.11) intervenne in modo simile sulla paleontologia nel suo Tempo and Mode in Evolution (1944). Negli anni Trenta, molti paleontologi insistevano ancora a spiegare l'evoluzione osservabile nei fossili con quelli che sono denominati "processi ortogenetici" — ossia, invocando una qualche tendenza intrinseca (e non spiegata) della specie a evolvere in una certa direzione. L'ortogenesi è un'idea legata al concetto premendeliano di mutazione orientata e alle forze interne di natura più mistica presenti nell'opera di Lamarck. Secondo Simpson, nessuna osservazione effettuata sulla documentazione fossile imponeva che si postulassero tali processi. Tutti i dati erano perfettamente compatibili con i meccanismi della genetica di popolazioni discussi da Fisher, Haldane e Wright. Simpson dimostrò anche la possibilità di analizzare argomenti quali i tassi di evoluzione e l'origine di nuovi grandi gruppi mediante tecniche ricavate dagli assunti della sintesi moderna (Capitoli 18-23).

A metà degli anni Quaranta, pertanto, la sintesi moderna era penetrata in tutte le aree della biologia. I trenta membri di una "commissione sui problemi comuni della genetica, della sistematica e della paleontologia", riunitisi insieme a qualche altro esperto a Princeton nel 1947, rappresentavano tutti i campi della biologia. Essi tuttavia condividevano una prospettiva comune, quella del mendelismo e del neodarwinismo. Prima di quella data, una simile unanimità di posizioni fra trenta protagonisti della genetica, della morfologia, della sistematica e della paleontologia avrebbe rappresentato un obiettivo ben difficile da raggiungere. Gli atti del simposio di Princeton furono pubblicati con il titolo Genetics, Paleontology, and Evolution (Jepsen et al. 1949) e mostrano bene in quale misura la sintesi si fosse diffusa nella biologia. Naturalmente, all'interno della sintesi rimanevano delle controversie, e al suo esterno resisteva una controcultura. Nel 1959 due insigni biologi evoluzionisti – il genetista Muller e il paleontologo Simpson – potevano ancora celebrare entrambi il centenario dell' Origine delle specie scrivendo saggi che avevano (pressappoco) lo stesso titolo: "Cent'anni senza darwinismo sono abbastanza" (Muller 1959; Simpson 1961a).

In questo libro, analizzeremo in dettaglio le principali idee della sintesi moderna, e vedremo come esse si stiano sviluppando nelle ricerche più recenti.

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13.7 Fra i vari concetti di specie — fenetico, biologico ed ecologico — esistono alcuni punti controversi

Nel Paragrafo 13.2 abbiamo visto come i concetti di specie fenetico, biologico ed ecologico siano strettamente collegati. Probabilmente nella maggior parte dei casi le specie esistono in senso fenetico, ecologico e biologico (ossia i loro membri sono capaci di incroci interfecondi). Tuttavia, in natura, i tre fattori non sono esattamente coincidenti. Possiamo servirci dei casi in cui essi non coincidono come banco di prova per verificare l'eventuale superiorità di un concetto rispetto a un altro. Le controversie sono sorte principalmente fra il concetto biologico da una parte e, a seconda dei casi, quello fenetico o quello ecologico, dall'altra.


13.7.1 Il concetto fenetico di specie presenta gravi difetti teorici

Dal punto di vista fenetico, una specie è definita come un particolare insieme o raggruppamento di forme fenotipiche. Ma perché bisognerebbe riconoscere come specie un insieme di forme fenotipiche invece di un altro? La versione classica del concetto fenetico di specie era quella tipologica: essa definiva una specie facendo riferimento al suo "tipo". Come abbiamo visto nel Paragrafo 13.5, il problema insito in questa idea è che nella teoria darwiniana non esistono tipi. In massima parte, le teorie tipologiche della specie sono oggi rifiutate. Una versione più moderna del concetto fenetico fu sviluppata dai seguaci della tassonomia numerica. Essi cercarono di definire la specie semplicemente come raggruppamento fenetico. Come vedremo nel Paragrafo 16.5, in questo caso il problema è che i metodi statistici per riconoscere i raggruppamenti fenetici sono diversi e possono divergere a proposito di che cosa vada considerato come raggruppamento. La definizione di specie richiede allora una scelta arbitraria fra procedure statistiche diverse. Il problema è che non sempre in natura esistono specie fenetiche distinte. Alcune specie formano evidenti unità fenetiche, ma altre no, e allora ci troviamo nella necessità di ricorrere a qualche altro criterio.

D'altra parte, i criteri ai quali il concetto fenetico potrebbe far ricorso non sono in grado di salvarlo conservandogli il ruolo di unico concetto di specie autonomo e generale. Il concetto fenetico potrebbe, per esempio, fare appello al concetto biologico, nel quale la specie è definita come un insieme di organismi interfecondi. Spesso, un insieme così definito forma effettivamente un raggruppamento fenetico: spesso, ma non sempre. Se un insieme di organismi interfecondi evolvesse sempre fino a differire di x unità fenetiche dal successivo insieme di organismi interfecondi, potremmo riconoscere le specie, in termini fenetici, come quei raggruppamenti che differiscono di x unità dalle specie più vicine. In realtà però la differenza fenetica fra due specie definite in termini biologici potrebbe essere praticamente di qualsiasi entità. Le specie gemelle sono un caso in cui l'unità fenetica e quella riproduttiva non coincidono. Le specie gemelle differiscono sul piano riproduttivo ma non su quello morfologico. Il classico esempio è quello della coppia Drosophila persimilis e Drosophila pseudoobscura. Se si considera la possibilità di incroci fecondi, le due specie sono entità separate: se alcune drosofile appartenenti a una linea persimilis sono messe insieme a drosofile di una linea pseudoobscura, non si ibridano. Dal punto di vista fenetico, però, le due specie sono quasi indistinguibili. Le specie gemelle sono un esempio estremo per illustrare un concetto generale, e cioè che in natura le unità identificate con criteri fenetici o riproduttivi non sono la stessa cosa. Ben lungi dal salvare il concetto fenetico di specie fornendo una misura della distinzione fenetica, il concetto biologico dimostra invece come l'approccio fenetico stia cercando di fare qualcosa di impossibile. Considerati da soli, i raggruppamenti fenetici non sono in grado di suddividere tutti gli esseri viventi in specie in modo soddisfacente.

Possiamo illustrare lo stesso punto con esempi collocabili all'estremo opposto: singole specie (nel senso biologico) contenenti una gamma vastissima di forme fenetiche distinte. Alcune specie altamente "politipiche" contengono molte forme, ciascuna delle quali, in base alla classica definizione tipologica, sarebbe abbastanza distinta da poter contare come specie separata. Alcune specie di farfalle, per esempio Heliconius herato (Paragrafo 8.3) contengono al proprio interno un certo numero di forme fra le quali esistono differenze intraspecifiche maggiori di quelle, interspecifiche, riscontrabili fra molte specie di farfalle. Tuttavia, tali forme possono incrociarsi e generare una prole feconda, e pertanto sono tutte incluse nella stessa specie. Specie come H. herato sono denominate "politipiche": non possono essere definite facendo riferimento a un unico esemplare-tipo in quanto presentano numerose forme distinte. Nel caso delle specie gemelle e in quello delle specie altamente politipiche, la prassi tassonomica segue il concetto biologico di specie, in base al quale suddivide le specie gemelle in specie che ricevono una denominazione ufficiale, e attribuisce un unico nome specifico a tutte le numerose forme che costituiscono le specie politipiche come H. herato. Molte specie – forse la maggior parte – formano raggruppamenti fenetici. D'altra parte, non tutte lo fanno, e le procedure fenetiche per la definizione delle specie può essere giustificata solo nel momento in cui si rifa al concetto biologico di specie. Il ricorso al concetto biologico come ultima necessaria risorsa è ben esemplificato da casi che rappresentano una sorta di banco di prova, come quello delle specie gemelle e delle specie altamente politipiche.


13.7.2 L'adattamento ecologico e il flusso genico possono fornire teorie complementari, o in qualche caso rivali, dell'integrità delle specie

Con ogni probabilità, in natura, gli aspetti riproduttivi ed ecologici delle specie sono solitamente correlati. Come abbiamo visto nel Paragrafo 13.2.2, l'incrocio fra i membri di una specie dà luogo a un insieme di organismi che condividono gli stessi adattamenti a una particolare nicchia ecologica. Di solito, pertanto, il concetto ecologico e quello biologico di specie non sono in conflitto. Tuttavia esistono alcuni casi in cui i due concetti portano a formulare previsioni diverse. Per esempio, se la selezione è debole, il flusso genico (migrazione) può rapidamente uniformare le frequenze geniche di popolazioni separate (Paragrafo 5.14.4). D'altro canto, in presenza di potenti forze selettive, è teoricamente possibile mantenere distinte due popolazioni, a dispetto del flusso genico. L'importanza relativa (i) dell'adattamento alle condizioni ecologiche locali e (ii) del flusso genico è un problema empirico che si presenta in tutti quei casi in cui le due forze sono in conflitto.

La selezione può produrre divergenza nonostante il flusso genico

Bradshaw (1971) eseguì un fondamentale studio di genetica ecologica sulle piante, in particolare sulla pianta erbacea Agrostis tenuis, che cresce nel Regno Unito sulla cima e nelle vicinanze delle collinette formate da materiali di sterro. Questi piccoli rilievi vengono depositati dalle attività di estrazione dei metalli e contengono elevate concentrazioni di metalli pesanti tossici come il rame, lo zinco o il piombo. Solo alcune piante sono state in grado di colonizzarli, e fra queste Agrostis tenuis è quella che è stata studiata più attentamente. Essa ha colonizzato queste aree particolari con varianti genetiche capaci di crescere dove la concentrazione di metalli pesanti è più elevata: nell'area dei rilievi, pertanto, esiste una classe di genotipi che cresce sul rilievo stesso e un'altra classe che cresce nell'area immediatamente circostante. La selezione naturale opera penalizzando fortemente i semi delle forme adattate alle aree circostanti quando si spingono sul rilievo vero e proprio: questi semi vengono praticamente avvelenati. La selezione penalizza anche le forme tolleranti ai metalli qualora esse si trovino lontano da queste colline ad alto tenore di inquinanti. La ragione qui è meno chiara, ma è probabile che il meccanismo di detossificazione comporti dei costi. Là dove esso non è necessario, la pianta prospera meglio se non lo possiede.

Le popolazioni di A. tenuis presentano il fenomeno della divergenza, in quanto la frequenza dei geni codificanti la tolleranza ai metalli è marcatamente diversa sui terreni inquinati e lontano da essi. Il modello è chiaramente favorito dalla selezione naturale – ma che cosa possiamo dire del flusso genico? Il concetto biologico di specie prevede che il flusso genico sia basso, altrimenti la divergenza non avrebbe potuto aver luogo. In realtà, però, il flusso genico è cospicuo. Il polline forma vere e proprie nuvole ai margini delle collinette formate dai materiali di sterro e l'incrocio fra genotipi è esteso. In questo caso, la selezione è stata sufficientemente forte da superare il flusso genico.

La situazione descritta in A. tenuis si colloca meglio nel contesto del concetto ecologico di specie, che in quello biologico. La divergenza fra l'erba che cresce sulle collinette inquinate e quella che vive lontano da esse si spiega con l'adattamento ecologico, e non con una riduzione del flusso genico. Tuttavia, le condizioni esistenti in questi particolari ambienti sono eccezionali e si sono affermate solo in tempi recenti. Le condizioni selettive potrebbero essere rapidamente rimosse, per esempio bonificando queste aree. Se esse invece persistessero, il conflitto fra flusso genico e adattamento ecologico potrebbe scomparire con il passare del tempo. L'erba potrebbe evolvere un genotipo flessibile in grado di attivare o disattivare il meccanismo di tolleranza verso i metalli, a seconda del luogo in cui cresce. Oppure potrebbe evolvere un meccanismo di detossificazione che non comporti costi (proprio come è accaduto nel caso della resistenza ai pesticidi negli insetti nocivi; Paragrafo 10.7.3). In alternativa, il flusso genico potrebbe essere ridotto. Già ora i tempi di fioritura del tipo tollerante ai metalli e di quello normale differiscono in A. tenuis, il che ridurrà il flusso genico fra di essi. In futuro, le due forme potrebbero evolvere in due specie distinte. In un modo o nell'altro, il conflitto fra flusso genico e selezione avrà vita breve: o le modalità di flusso genico, o il regime di selezione, cambieranno. A. tenuis è una parziale eccezione alla regola secondo la quale il concetto biologico e quello ecologico di specie solitamente coincidono; tuttavia, l'eccezione è probabilmente di lieve importanza e avrà breve durata se considerata sulla scala dei tempi evolutivi.

La selezione può produrre uniformità in assenza di flusso genico

In altri casi, popolazioni diverse di una stessa specie hanno frequenze geniche simili anche se fra di esse non sembra aver luogo alcun tipo di flusso genico. Ochman et al. (1983), per esempio, studiarono, nei Pirenei spagnoli, la chiocciola Cepaea nemoralis. A causa del freddo, questa chiocciola vive solo raramente al di sopra dei 1400 metri, e non la si trova mai sopra i 2000. Nei Pirenei, essa vive in valli fluviali vicine, separate da montagne: là dove queste ultime sono più alte di 1400 metri, il flusso genico fra le valli è assente – e probabilmente sarà scarso anche fra valli separate da montagne più basse. Se per conservare l'integrità della specie (ovvero, la somiglianza delle frequenze geniche) fosse necessario il flusso genico, le popolazioni che vivono in valli diverse sarebbero dovute andare incontro a divergenza.

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15.1 Le filogenesi esprimono le relazioni ancestrali fra specie diverse

L' albero filogenetico, la filogenesi o l' albero di un gruppo di specie è uno schema ramificato che mostra le relazioni esistenti fra le specie stesse, individuandone l'antenato comune più recente. Per ogni specie (o gruppo di specie) una filogenesi mostra la specie (o il gruppo di specie) con cui essa condivide il suo antenato più recente. Implicitamente, una filogenesi ha una dimensione temporale, e di solito il tempo scorre dal basso verso l'alto della pagina. Nella Figura 15.la, per esempio, le specie A e B condividono un antenato comune più recente fra di loro che non con qualsiasi altra specie (o gruppo di specie) raffigurata/o. Esistono molte possibili filogenesi per le quattro specie A, B, C e D rappresentate nella Figura 15.1. La specie A potrebbe condividere il suo antenato comune più recente con B (Figura 15.la). Oppure, potrebbe darsi che A condivida il suo antenato comune più recente con C (Figura 15.1c). La Figura 15.1d mostra un'altra possibilità. Complessivamente, qualsiasi insieme di quattro specie ha 15 possibili filogenesi. Il problema con cui si scontra l'inferenza filogenetica è quello di calcolare quale di quelle 15 possibilità sia corretta — o, quanto meno, quale abbia maggiori probabilità di esserlo. Più che attraverso l'osservazione diretta o l'esperimento, la risposta deve essere trovata per deduzione. Gli eventi di divisione fra le linee filetiche ebbero luogo in passato, ed è nel passato che vissero gli antenati comuni delle specie o dei gruppi che ci interessano. Pertanto, non è possibile osservarli direttamente.

Le filogenesi sono inferite avvalendosi dei caratteri condivisi dalle specie in questione. I caratteri possono essere aspetti dell'anatomia macroscopica. Gli esseri umani e gli scimpanzé, per esempio, condividono caratteri tipici dei vertebrati, quali il cervello e la colonna vertebrale; caratteri mammaliani come l'allattamento dei piccoli; e caratteri peculiari delle grandi antropomorfe, per esempio i tipici molari e l'assenza di coda. In alternativa, è possibile utilizzare caratteri a livello cromosomico: per esempio si possono prendere in considerazione il numero o la struttura dei cromosomi delle specie in studio. Oggi, in biologia, gran parte delle inferenze filogenetiche sono effettuate servendosi delle sequenze molecolari, in particolare di quelle nucleotidiche del DNA. In questo capitolo dapprima analizzeremo il modo in cui le filogenesi sono inferite a partire dai dati morfologici, e poi passeremo a esaminare il caso in cui ci si avvalga di dati molecolari. A livello astratto, i metodi usati dai due approcci fanno entrambi affidamento sulla stessa logica. Tuttavia, le peculiarità del modo in cui i due metodi – morfologico e molecolare — attuano quella logica sono talmente diverse che conviene studiarle separatamente. Prenderemo anche in esame alcuni casi in cui i due tipi di dati sono entrati in conflitto.


15.2 Le filogenesi sono inferite dai caratteri morfologici utilizzando le tecniche della cladistica

L'inferenza filogenetica che si avvale di caratteri morfologici procede nello stesso modo con le specie viventi e con quelle estinte. Nel caso di specie fossili, di solito i dati disponibili sono limitati alle parti dure, per esempio le ossa dei vertebrati o le conchiglie dei molluschi. Quando si ha a che fare con specie tuttora viventi, disponiamo di ulteriori dati relativi anche alle parti molli. In tal caso possiamo avvalerci anche di dati provenenti da caratteri che non sono morfologici in senso stretto, ma che possono essere inclusi insieme a quelli nella ricerca filogenetica. I mammiferi, per esempio, sono vivipari (generano figli vivi) e allattano i piccoli, mentre gli uccelli sono ovipari (depongono uova). Caratteri riproduttivi e fisiologici di questo tipo sono tutti adatti a essere utilizzati nell'inferenza filogenetica. In questo capitolo, quando parleremo di dati "morfologici" faremo riferimento a tutti i caratteri osservabili nell'intero organismo, contrapponendoli a quelli molecolari.

Le tecniche impiegate nel trattamento dei caratteri morfologici sono denominate cladistiche. (Il termine "cladistica" proviene da un parola greca che significa "ramo".) Tali tecniche furono formalizzate principalmente in un libro, Phylogenetic Systematics, scritto dall'entomologo tedesco Willi Hennig (1966). Il libro di Hennig non è di facile lettura, ma è stato di grandissima importanza, e per buoni motivi. Hennig aveva riflettuto sul problema dell'inferenza filogenetica più approfonditamente della maggior parte di coloro che l'avevano preceduto. La ricerca successiva (eseguita sui caratteri morfologici) ha principalmente seguito la via da lui tracciata.

Per l'analisi cladistica, le prove consistono in un certo numero di caratteri, ciascuno dei quali con un certo numero di stati discreti. Un carattere, per esempio, potrebbe essere "modalità di riproduzione" e potrebbe presentare gli stati "viviparità" o "oviparità". Un altro carattere potrebbe essere "struttura dell'arto anteriore" e i suoi stati potrebbero essere "ala" e "braccio". I caratteri particolari e i relativi stati dipenderanno dalle specie in studio. Essi potranno anche essere corretti nel corso della ricerca: lo stato di carattere "ala" potrebbe dover essere sostituito da "ala di uccello" e "ala di pipistrello" se nello studio si comprenderanno sia uccelli che pipistrelli. La suddivisione della morfologia di un organismo in caratteri, e poi l'ulteriore suddivisione dei caratteri in stati discreti, può essere di per se stessa problematica. In questo capitolo, tuttavia, prenderemo i caratteri e gli stati di carattere come punto di partenza acquisito. Di solito essi sono rappresentati da simboli come a e a' (dove a potrebbe rappresentare l'oviparità e a' la viviparità); a e a' sono dunque due stati di un determinato carattere. Gli stati di un secondo carattere potrebbero essere simbolizzati con b e b'.

L'inferenza filogenetica non è un'operazione semplice, soprattutto perché non tutti i caratteri per i quali disponiamo di dati generano la stessa filogenesi. Nel caso più semplice, tutti i caratteri saranno concordi. Supponiamo, per esempio, di voler conoscere la filogenesi di tre specie: gli esseri umani, lo scimpanzé e una specie di vermi. Alcuni stati di carattere saranno condivisi dagli esseri umani e dagli scimpanzé; molti stati di carattere saranno condivisi da tutte e tre le specie; praticamente nessuno stato di carattere sarà condiviso dai vermi e dagli scimpanzé (ma non dagli esseri umani) o dai vermi e gli esseri umani (ma non dagli scimpanzé). Ne concluderemo che gli esseri umani e gli scimpanzé condividono fra di loro un antenato comune più recente di quello che ciascuno di essi, singolarmente, condivide con i vermi. Se tutti i casi fossero così semplici, potremmo limitarci a interpretare le relazioni filogenetiche a partire dagli stati di carattere. Non ci sarebbe stato alcun bisogno di inventare la cladistica.

Ora, però, supponiamo di essere alle prese con lo studio della filogenesi degli esseri umani, di un pipistrello e di un uccello. Uccelli e pipistrelli presentano alcuni stati di carattere simili: entrambi hanno ali e altri adattamenti scheletrici al volo. Altri stati di carattere, tuttavia, sono più simili fra esseri umani e pipistrelli, giacché entrambi sono vivipari e allattano la prole. Su quali dati faremo affidamento? La Figura 15.2 mostra un altro esempio famoso per la sua problematicità, riguardante i rapporti fra rettili e uccelli. Supponiamo di essere impegnati con la filogenesi di un coccodrillo, un uccello e una lucertola. Il coccodrillo e la lucertola presentano molte somiglianze: hanno squame e camminano su quattro zampe — mentre gli uccelli sono coperti di penne e camminano usando due soli arti, giacché riservano gli altri due al volo. D'altra parte, uno studio dettagliato del cranio mostrerà che uccelli e coccodrilli presentano importanti somiglianze là dove le lucertole hanno un'anatomia differente. Su quali dati faremo dunque affidamento? Questi due esempi illustrano un problema di portata generale. Nella maggior parte delle ricerche filogenetiche, caratteri diversi puntano verso filogenesi diverse. (Dovrei sottolineare la parola ricerca nella frase precedente. I casi facili – come quello fra esseri umani, scimpanzé e vermi; o fra esseri umani, gorilla e querce – sono stati tutti risolti. Conosciamo la filogenesi di questi gruppi. I casi rimasti aperti alla ricerca sono quelli non altrettanto facili. Fondamentalmente, essi non sono facili per due motivi: o perché praticamente non abbiamo conoscenza alcuna sugli stati di carattere nelle specie in studio e la ricerca filogenetica deve quindi ancora cominciare; o perché fra i caratteri esiste un conflitto.)

Quando caratteri diversi indicano filogenesi diverse, possiamo esser certi che almeno alcuni dei caratteri presi in esame sono fuorvianti. Un insieme di specie ha un'unica filogenesi: quella che rappresenta le sue relazioni ancestrali. Un insieme di specie non può avere relazioni filogenetiche numerose e diverse – non più di quanto un essere umano possa avere più di un albero genealogico. Se una famiglia umana avesse due alberi genealogici in conflitto, almeno uno dei due dovrebbe essere sbagliato. Allo stesso modo, se due caratteri indicano filogenesi incompatibili, c'è qualcosa che non va almeno in uno di essi.

Le tecniche della ricerca cladistica operano distinguendo fra caratteri attendibili e non attendibili. Questi ultimi, una volta identificati, possono essere scartati. L'entità del conflitto fra i caratteri che rimangono nell'elenco (più breve) dei caratteri attendibili, dovrebbe essere almeno ridotta; nel migliore dei casi, poi, il conflitto sarà ridotto a zero, e tutti i caratteri attendibili concorderanno nell'indicare la medesima filogenesi. L'analisi dei caratteri, effettuata per discriminare quelli attendibili da quelli che non lo sono, procede in due stadi: dapprima distinguiamo le omologie dalle omoplasie, e poi procediamo a discernere le omologie derivate da quelle ancestrali.

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18.4 L'esplosione del Cambriano

La documentazione fossile relativa a piante e animali pluricellulari decolla davvero solo nel Cambriano, circa 540 milioni di anni fa. In effetti, i principali periodi della documentazione fossile cominciano con il Cambriano (Figura 18.1). Fino agli anni Quaranta, non erano conosciuti fossili pre-Cambriani e ai tempi di Darwin si dava per scontato che non ne esistessero. Oggi sappiamo che invece esistevano; e infatti il quadro che si osserva nei fossili è quello di un'improvvisa proliferazione della vita, poco più di 500 milioni di anni fa – e non di un suo brusco inizio.

La Figura 18.5 schematizza l'esplosione del Cambriano. Essa mostra, per tutti i nove phyla animali dei quali abbiamo una documentazione fossile, la datazione delle testimonianze più antiche. La maggior parte di esse risale all'inizio del Cambriano, o comunque a un'epoca vicina. Un'interpretazione superficiale dei dati paleontologici potrebbe essere raccontata, un po' ad effetto, come segue. La vita si evolve da circa 4000 milioni di anni e oggi le varie forme sono raggruppate in alcuni phyla principali: cordati, molluschi, artropodi, eccetera. Potremmo aspettarci che questi phyla abbiano avuto origine procedendo a un ritmo abbastanza costante; invece, sembra che quasi tutti siano comparsi a intervalli di meno di 40 milioni di anni l'uno dall'altro (Figura 18.5), ovvero nell'arco di un periodo che copre meno dell'1% della storia della vita.

L'orologio molecolare, tuttavia, suggerisce un'interpretazione radicalmente diversa. Se misuriamo la distanza molecolare fra i principali gruppi animali, e calibriamo l'orologio, scopriamo che i principali raggruppamenti cominciarono a divergere da un antenato comune vissuto in un'epoca più vicina ai 1200 milioni di anni fa. Sono stati effettuati diversi studi molecolari, e fra di essi quello di Wray et al. (1996) è stato particolarmente importante. Questi autori hanno dedotto che i Metazoi Bilateri condividono tutti un antenato comune vissuto circa 1200 milioni di anni fa. L'antenato comune di tutti gli animali, quindi, dev'essere collocato ancor prima (i Bilateri comprendono tutti i gruppi animali mostrati in Figura 18.5, tranne i Poriferi e gli Cnidari).

Come possiamo riconciliare i dati ottenuti dalle ricerche paleontologiche e quelli forniti dagli studi molecolari? Gli uni o gli altri (o forse entrambi) potrebbero essere in qualche modo sbagliati. Molti biologi, d'altra parte, sospettano che siano entrambi corretti. I dati molecolari ci informano sulla data dell'antenato comune, mentre i fossili indicano il momento in cui ciascun gruppo animale comparve nella sua forma moderna. Può darsi che dovesse trascorrere un certo periodo di tempo prima che gli antenati di ciascun gruppo – che già esistevano ma erano troppo rari o troppo fragili – riuscissero a depositare dei fossili; oppure può darsi che quelle creature si trovassero nel luogo sbagliato, per poter lasciare una traccia fossile di sé. (Figura 18.6). Per usare un'immagine di Cooper e Fortey (1998), l'esplosione del Cambriano fu preceduta da un "fuso filogenetico".

Perché mai avrebbe dovuto esserci un così lungo periodo – 500 milioni di anni o più – nel corso del quale gli antenati dei moderni phyla animali, pur esistendo, non lasciarono fossili? L'esplosione del Cambriano è, appunto, un evento legato al reperimento di fossili, e probabilmente segue a ruota il momento dell'origine delle parti anatomiche dure. Gli animali con scheletri duri o dotati di conchiglia fossilizzano molto più spesso di quelli costituiti solo da parti molli. Ma se le parti dure originarono circa 540 milioni di anni fa, ecco affiorare un interrogativo: perché le parti dure divennero improvvisamente vantaggiose in moltissimi gruppi all'incirca nello stesso periodo?

Un'ipotesi è quella dei predatori – e i predatori che cacciano a vista sono, in particolare, una seconda ipotesi. In seguito all'evoluzione dei predatori, le parti dure divennero vantaggiose per motivi difensivi. Un altro fattore è che verso la fine del Precambriano i livelli di ossigeno probabilmente aumentarono. Questo potrebbe essere stato causato da un aumento della produttività delle piante – ovvero, del fitoplancton (Knoll e Carroll 1999). La maggior produzione vegetale (se avvenne) avrebbe sostenuto una maggior biomassa animale e una maggiore diversità. L'aumentata disponibilità di prede potenziali potrebbe aver creato un'opportunità, portando così all'evoluzione dei predatori.

L'ipotesi della Terra come di una "palla di neve" indica un ulteriore fattore ambientale potenzialmente in atto. Almeno per una parte del periodo che precedette il Cambriano, la Terra potrebbe essere stata quasi completamente coperta di ghiaccio e ghiacciai. In quelle condizioni, la vita sarà stata rara, confinata in aree vicine alle sorgenti di acqua calda e alle bocche vulcaniche, o in località circoscritte dove una quantità sufficiente di ghiaccio si era fuso consentendo il passaggio della luce solare e la fotosintesi.

Questo aiuterebbe a spiegare la scarsità di fossili risalenti a epoche pre-Cambriane. Gli antenati di artropodi, molluschi e cordati, poi, saranno stati creature minuscole, abbastanza piccole da poter essere sostenute dalla limitatissima produttività ecologica di quei tempi.

Attualmene, l'esplosione del Cambriano è materia di intense ricerche. Gli studi di biologi e paleontologi sono volti a comprendere esattamente quanto improvviso fu l'evento rispecchiato nei fossili: forse lo fu meno di quanto suggerito dalla Figura 18.5. Altri scienziati stanno studiando i dati molecolari utilizzando altre molecole e nuove procedure di calibrazione. Se, come sembra probabile, circa 540 milioni di anni fa ebbe davvero luogo un qualche fondamentale evento evolutivo, la domanda essenziale è: che cosa lo causò? Attualmente le ipotesi stanno prendendo in considerazione un cambiamento dell'ambiente esterno, innovazioni biologiche interne o una miscela dei due fattori. Finora, però, non è stato ancora raggiunto alcun consenso in merito.

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