Copertina
Autore Gino Roncaglia
Titolo La quarta rivoluzione
SottotitoloSei lezioni sul futuro del libro
EdizioneLaterza, Roma-Bari, 2010, i Robinson / Letture , pag. 288, ill., cop.fle., dim. 14x21x2,2 cm , Isbn 978-88-420-9299-5
LettoreRenato di Stefano, 2011
Classe libri , copyright-copyleft , scrittura-lettura , informatica: sociologia , informatica: storia , informatica: reti , informatica: linguaggi
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Indice


       Introduzione                                                 VII

I.     Il libro e il cucchiaio                                        3

    1. Straniero, fermati e leggi: l'importanza del supporto, p. 3
    2. Interfacce: la dolce voluttà, p. 5
    3. Interfacce fisiche, interfacce logiche, p. 9
    4. Le situazioni di fruizione del testo: «lean forward»,
       «lean back», fruizione secondaria, mobilità, p. 14
    5. Cos'è un libro?, p. 18

II.    Il libro magico del cancelliere Tusmann                       25

    1. Un sogno o un incubo per il bibliofilo?, p. 25
    2. Cos'è un libro elettronico?, p. 31
    3. Alcuni requisiti e un tentativo di definizione, p. 38

III.   Dalla carta allo schermo (e ritorno?)                         52

    1. Alla ricerca dell'e-book perfetto, p. 52
    2. Le origini, p. 58
    3. Gli anni '80 e '90, p. 68
    4. A cavallo del nuovo millennio: la prima generazione
       di dispositivi di lettura dedicati, p. 75
    5. Protagonisti nascosti: il ruolo dei computer palmari, p. 81
    6. Interludio: la lezione di un fallimento, p. 87
    7. L'e-paper al potere: la seconda generazione
       di dispositivi dedicati, p. 96
    8. Dall'iPhone all'iPad, passando per Android:
       verso la terza generazione?, p. 111

IV.    Problemi di forma                                            123

    1. La rappresentazione del testo, p. 123
    2. Se il testo è nudo..., p. 131
    3. PDF: quando la pagina è tutto, p. 138
    4. Ci prova anche la Microsoft (o forse no...), p. 143
    5. I francesi e gli Yankee: da Mobipocket al Kindle,
       passando per Amazon, p. 147
    6. Formati aperti e mobili Ikea: da OEB a ePub, p. 154

V.     Da Kant a Google: gestione dei diritti
       e dei contenuti digitali                                     164

    1. Quali diritti e quali interessi tutelare?, p. 164
    2. Professioni a rischio?, p. 168
    3. Proteggere a tutti i costi? DRM, pirateria e i rischi
       della balcanizzazione, p. 175
    4. Google Books: le ragioni di un progetto, p. 183
    5. Entrano in scena gli avvocati, p. 186
    6. Quale ruolo per l'Europa e l'Italia?, p. 193
    7. Google e la concorrenza, p. 197
    8. La questione dei formati e della qualità, p. 199
    9. Uno sguardo al futuro
       (e al problema della conservazione), p. 203

VI.    Quali libri ci aspettano?                                    207

    1. Volta la pagina, e premi 'play', p. 207
    2. Un libro per Platone?, p. 210
    3. Ipertesti, p. 213
    4. Il mondo è diventato un posto migliore?, p. 226
    5. Libri che si aggiornano da soli, p. 229
    6. L'e-book a scuola, p. 233


    Conclusioni: falsi pretendenti e legittimi eredi                238

    Note                                                            247

    Bibliografia e risorse di rete                                  269

    1. Bibliografie generali e risorse di riferimento in rete, p. 269
    2. Alcuni testi di riferimento, p. 271
    3. Opere e lavori citati o utilizzati, p. 272

    Fonti delle illustrazioni                                       287


 

 

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Pagina VII

Introduzione



Nel 1951 Isaac Asimov – forse il più noto scrittore di fantascienza del secolo scorso – pubblicava su una rivista per ragazzi, «The Boys and Girls Page», un breve racconto che sarebbe diventato un piccolo classico del genere: Chissà come si divertivano! Nel racconto, ambientato nel 2157, due bambini trovano un vecchio libro su carta che parla della scuola, e riflettono con una certa nostalgia sulle differenze fra la didattica di un tempo, quando studenti e insegnanti si ritrovavano insieme nelle aule scolastiche, e quella – completamente individuale e computerizzata – che l'autore immagina alla base dell'educazione nel XXII secolo.

Il racconto si apre con una descrizione stupita del libro a stampa, residuo di un'epoca ormai superata e quasi dimenticata:


Margie lo scrisse perfino nel suo diario, quella sera. Sulla pagina che portava la data 17 maggio 2157, scrisse: "Oggi Tommy ha trovato un vero libro!"

Era un libro antichissimo. Il nonno di Margie aveva detto una volta che, quand'era bambino lui, suo nonno gli aveva detto che c'era stata un'epoca in cui tutte le storie e i racconti erano stampati su carta.

Si voltavano le pagine, che erano gialle e fruscianti, ed era buffissimo leggere parole che se ne stavano ferme invece di muoversi, com'era previsto che facessero: su uno schermo, è logico. E poi, quando si tornava alla pagina precedente, sopra c'erano le stesse parole che loro avevano già letto la prima volta.

– Mamma mia, che spreco – disse Tommy. – Quando uno è arrivato in fondo al libro, che cosa fa? Lo butta via, immagino. Il nostro schermo televisivo deve avere avuto un milione di libri, sopra, ed è ancora buono per chissà quanti altri. Chi si sognerebbe di buttarlo via?

— Lo stesso vale per il mio — disse Margie. Aveva undici anni, lei, e non aveva visto tanti telelibri quanti ne aveva visti Tommy.


Nel 1951 il nuovo medium per eccellenza era la televisione, e i 'telelibri' immaginati da Asimov sostituivano lo schermo televisivo alla carta. Poco più di un decennio dopo venne effettivamente fatto un tentativo di questo tipo: il VERAC 903, un prototipo sviluppato dalla AVCO Corporation nel 1964, una curiosa 'macchina per la lettura', di cui parleremo brevemente in seguito, che la scomodità e la scarsa resa visiva non permisero di commercializzare.

In un certo senso, il 'teletext', e la sua incarnazione italiana, rappresentata dal televideo, si sono mossi nella stessa direzione; ma oggi, a sessant'anni di distanza dal racconto di Asimov, possiamo ragionevolmente ipotizzare che a sostituire la carta come supporto per la lettura non sarà — fortunatamente — lo schermo della televisione, nel frattempo assai cambiato ma oggi come allora scomodo, ingombrante e difficile da trasportare. Tuttavia, se nel brano di Asimov cancelliamo la parola 'televisivo' e sostituiamo 'libri elettronici' a 'telelibri', ci troviamo improvvisamente davanti a una situazione assai simile a quella promessa dallo sviluppo degli e-book. Una situazione in cui, proprio come immaginava Asimov, il testo si separa dal tradizionale supporto cartaceo e viene letto sullo schermo di dispositivi capaci di visualizzare senza problemi milioni di libri diversi.

È questo il futuro che ci aspetta? E che conseguenze può avere uno sviluppo di questo tipo sul libro come oggetto culturale, strumento per eccellenza di conservazione e trasmissione del sapere?

Il mondo in cui viviamo è, per molti versi, un prodotto della cultura del libro. Il nostro vivere sociale è basato non solo sulla scrittura, ma sulla scrittura organizzata in libri. I libri sono onnipresenti, come oggetti (non solo nel campo dell'editoria tradizionale) e come metafore. Per fare solo qualche esempio, la nostra educazione scolastica è ancora largamente basata sui libri di testo. Galileo considera la natura come un libro scritto in linguaggio matematico, e il bel libro di Hans Blumenberg sulla leggibilità del mondo mostra in quanti modi e in quante forme l'idea del mondo come libro e del libro come rappresentazione del mondo abbia attraversato la nostra cultura. Il Dio delle grandi religioni monoteiste parla attraverso un libro, e non a caso il Corano chiama "Ahl al-Kitab", "genti del libro", i seguaci non solo delle tre 'religioni del libro', che condividono la fede nell'origine divina di almeno parte dell'Antico Testamento, ma anche induisti e zoroastriani, le cui religioni sono comunque guidate da testi ritenuti di origine divina. La rivoluzione gutenberghiana e la diffusione della stampa sono fra i fattori alla base della diffusione della Riforma protestante, che propone l'idea 'scandalosa' della lettura individuale della Bibbia. La nostra legislazione prevede fra i primi obblighi di una società per azioni la tenuta dei libri sociali (libro dei soci, libri delle adunanze, libri degli strumenti finanziari...). I libri contabili sono alla base dell'evoluzione del nostro sistema economico, a partire almeno dalle scritture contabili dei mercanti medievali e dall'introduzione della partita doppia nella seconda metà del XV secolo. E si potrebbe continuare a lungo.

Se i libri, nella nostra storia e nel nostro panorama sociale e culturale, compaiono ovunque, capire cosa si intenda esattamente con il termine 'libro' è, come vedremo, assai più complesso. Il libro per eccellenza, la Bibbia, è nato quando supporti per la scrittura erano ancora le tavolette di argilla e i rotoli, ed ha assunto la forma di 'codex', di libro rilegato, solo molti secoli dopo. Ma oggi, qualunque accezione si dia al termine, nel pensare al libro non possiamo fare a meno di richiamare — come fa Asimov nell'apertura del suo racconto — non solo una forma testuale ma anche e forse soprattutto una forma fisica. Un insieme di fogli (le pagine) scritti e rilegati, a comporre un oggetto dalle caratteristiche e dalle dimensioni certo variabili, ma di norma abbastanza facilmente riconoscibile. Molti di noi potrebbero aver problemi nel riconoscere che un certo insetto è un carabide, o che una certa nuvola è un cumulonembo, ma ci aspettiamo tutti di saper riconoscere che un certo oggetto è un libro, quando ne vediamo uno.

Il libro è dunque un oggetto familiare, di cui conosciamo storia, scopi, natura. Un oggetto che sappiamo come selezionare e produrre (ci pensano gli editori con l'aiuto delle tipografie), che sappiamo come promuovere (pubblicità, recensioni, premi letterari...), che sappiamo dove acquistare (librerie, edicole), che – se è in una lingua che conosciamo – sappiamo come leggere (non solo perché sappiamo decodificare il testo scritto, ma anche perché sappiamo usare una matita per sottolinearlo o un segnalibro per ritrovare la pagina alla quale ci eravamo fermati), che sappiamo come conservare e rendere accessibile anche a chi non può o non desidera acquistarlo, o quando il libro non è più in commercio (è compito delle biblioteche).

Ma negli ultimi anni la situazione sembra essere improvvisamente e radicalmente cambiata. L'introduzione e la diffusione del personal computer prima e delle reti poi offrono ai testi supporti diversi da quelli tradizionali, diversi in primo luogo dalla carta stampata e dai libri. La pagina è sostituita dallo schermo, i caratteri stampati si trasformano in bit. E il libro – o almeno, il libro al quale siamo abituati – sembra minacciato su più fronti. Nuove forme di testualità (siti web, ipertesti...) si propongono come alternative alla struttura fondamentalmente lineare che di norma lo caratterizza. Nuovi meccanismi di selezione e produzione mettono in crisi procedure e consuetudini radicate del mercato editoriale. Nuovi canali di distribuzione via rete saltano completamente i punti-vendita fisici e dunque le librerie tradizionali. La facilità di duplicazione e diffusione – anche pirata – dei testi elettronici sembra rappresentare un pericolo mortale per le forme tradizionali di gestione dei diritti e dei ricavi economici. Nuovi supporti e strumenti di lettura richiedono competenze nuove sia agli editori, sia ai lettori, sia alle biblioteche e ai bibliotecari.

Stiamo insomma vivendo una vera e propria rivoluzione, che molti ritengono, per ampiezza e importanza, paragonabile a quella gutenberghiana, e che alcuni – ad esempio Roger Chartier – considerano addirittura più radicale:

La rivoluzione che viviamo ai giorni nostri è, con ogni evidenza, più radicale di quella di Gutenberg, in quanto non modifica solo la tecnica di riproduzione del testo, ma anche le strutture e le forme stesse del supporto che lo comunica ai lettori.

Se consideriamo il passaggio da oralità a scrittura come la prima, fondamentale rivoluzione nella storia dei supporti e delle forme di trasmissione della conoscenza, il passaggio dal volumen al codex, dalla forma-rotolo alla forma-libro, come una seconda tappa essenziale di questo cammino, e la rivoluzione gutenberghiana come suo terzo momento, si tratta della quarta rivoluzione che interessa il mondo della testualità. Una rivoluzione al cui interno non è però affatto facile orientarsi. Dove sta andando il libro? È veramente minacciato? Le nuove tecnologie rappresentano per la cultura del libro un pericolo o un'opportunità (o entrambe le cose)? Di quali competenze abbiamo o avremo bisogno, per poter continuare a scrivere, a pubblicare e soprattutto a leggere?

È a questi interrogativi – e a questa esigenza di orientamento – che il testo che avete in mano vorrebbe cercare di dare qualche risposta.

Nel farlo, mi farò guidare da una tesi che credo debba essere assunta come punto di partenza per ogni riflessione sul futuro del libro: il supporto del testo, quella che chiameremo 'interfaccia di lettura', ha un ruolo centrale nell'evoluzione dei modi e delle forme della lettura. Si tratta di una tesi non certo originale – ne troviamo ad esempio traccia nelle riflessioni di Harold Innis sulle differenze fra media orientati alla permanenza nel tempo, come la pietra, e media orientati al movimento nello spazio, come la carta – ed espressa con grande chiarezza da Guglielmo Cavallo e Roger Chartier nell'introduzione alla loro Storia della lettura:

Contro la rappresentazione, elaborata dalla letteratura stessa e ripresa dalla più quantitativa delle storie del libro, secondo la quale il testo esiste di per sé, svincolato da ogni materialità, bisogna ricordare che non vi è testo senza il supporto che lo offre alla lettura (o all'ascolto), senza la circostanza in cui esso viene letto (o ascoltato). Gli autori non scrivono libri: essi scrivono testi che diventano oggetti scritti – manoscritti, incisi, stampati, e, oggi, informatizzati – maneggiati in maniere diverse da lettori in carne ed ossa le cui modalità di lettura variano secondo i tempi, i luoghi, i contesti.

E il supporto non è neutrale, non si limita a veicolare indifferentemente qualunque contenuto e qualunque forma di organizzazione testuale. Al contrario, le caratteristiche del supporto, e più in generale gli strumenti e il contesto materiale della lettura, costituiscono l'orizzonte al cui interno certe forme di testualità e certe tipologie di lettura risultano possibili e più o meno facili. Discutere delle caratteristiche e dell'evoluzione delle interfacce di lettura vuol dire discutere anche di quali tipologie di testi leggeremo in futuro, e di come li leggeremo.

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Pagina XIV

Per quanto riguarda l'organizzazione e la successione degli argomenti, partirò dal tema che, come si è accennato, costituisce a mio avviso la base di tutta la trattazione: il concetto di interfaccia di lettura, accompagnato dall'esame del rapporto fra interfacce di lettura e situazioni di fruizione del testo. Il passo successivo sarà costituito dalla discussione di cosa siano i libri elettronici, seguita da un esame della loro storia e dalla considerazione sia del loro aspetto fisico (i dispositivi di lettura esistenti e quelli che possiamo aspettarci nel prossimo futuro) sia delle loro caratteristiche software (formati e modalità di rappresentazione del testo). Dedicherò quindi un'attenzione specifica alla delicata tematica della gestione dei diritti, soffermandomi sia sul fenomeno della pirateria, sia sui progetti di digitalizzazione libraria, e in particolare sul principale e più discusso di tali progetti, quello avviato da Google. Infine, parlerò del futuro della forma libro (libri interattivi, integrazione fra scrittura e contenuti multimediali) e degli strumenti di promozione e supporto alla lettura – in particolare attraverso la cosiddetta 'lettura sociale' (social reading) – disponibili in rete.

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Pagina 3

I
Il libro e il cucchiaio



1. Straniero, fermati e leggi: l'importanza del supporto

Una delle più famose (e delle più belle) epigrafi funebri romane, risalente al II secolo a.C., recita così:

Straniero, ciò che ho da dirti è poco: fermati e leggi. Questo è il sepolcro non bello di una donna che fu bella. I genitori la chiamarono Claudia. Amò il marito con tutto il cuore. Mise al mondo due figli: uno lo lascia sulla terra, l'altro l'ha deposto sotto terra. Amabile nel parlare, onesta nel portamento, custodì la casa, filò la lana. Ho finito, vai pure.

Il testo si rivolge direttamente al passante e lo invita alla lettura, promettendogli che sarà breve. Per leggere l'epigrafe, incisa su pietra, il passante deve fermarsi. A lettura finita, può riprendere il cammino.

Formule di questo tipo sono abbastanza diffuse nell'epigrafia antica. "Salve, passanti. Io riposo morto qui sotto. Tu che ti avvicini, leggi chi è l'uomo qui sepolto. Uno straniero di Egina, di nome Mnesiteo". Anche qui, l'epigrafe — in questo caso greca — chiede al passante di avvicinarsi e leggere.

Perché? La risposta è ovvia: la lapide sulla quale è inciso il testo non può spostarsi. Il testo inciso su pietra è di norma legato al luogo in cui la pietra viene collocata. La lettura richiede un avvicinamento fisico del lettore al supporto del testo, e non del supporto del testo al lettore, come avviene invece nel caso del libro.

Ancora oggi scriviamo su pietra, e i testi incisi su pietra sono legati al luogo in cui la pietra viene collocata: lapidi, monumenti, targhe con il nome della strada o con il numero civico di un portone. Nonostante la nascita e la diffusione di altri supporti e di altre tecnologie per la scrittura, la pietra continua dunque ad essere usata, in determinate occasioni e per determinati contenuti. Nessuno inciderebbe su pietra un romanzo, o le notizie di un giornale, ma d'altro canto nessuno utilizzerebbe la carta per una targa stradale o per un monumento.

Il supporto usato per la scrittura (e la lettura) risulta dunque funzionale rispetto a certi tipi di testo e di situazioni, e non rispetto ad altri: non è neutrale, ma anzi contribuisce a determinare uno spazio di possibilità, sia per quanto riguarda la tipologia del testo sia per quanto riguarda i modi della sua fruizione (il passante deve fermarsi, non può leggere la lapide se continua a camminare).

Non si tratta, si badi, di una lettura deterministica del rapporto fra supporto e testo, o, se volessimo spingerci verso un vocabolario dalle connotazioni comunque in parte diverse, fra medium e messaggio. Il supporto non determina il testo, il medium non determina il messaggio. A essere determinato – o meglio, ad essere aperto – è uno spazio di possibilità, che può essere riempito in modi e forme diverse ma che ha una sua specificità, un po' come una funzione matematica che ammette certi valori ma non altri.

Certo, il rapporto fra le caratteristiche specifiche dei diversi supporti del testo (e in generale dell'informazione) e le diverse tipologie di testi o di informazioni non è sempre così evidente o così stretto. In linea generale, i libri d'arte sono di grandi dimensioni, perché le tavole e le illustrazioni che vi compaiono garantiscono una migliore resa grafica se stampate più grandi, ma esistono anche libri d'arte in edizione tascabile (li riconosciamo però immediatamente come meno funzionali rispetto al loro contenuto, e giustifichiamo la scelta rispetto ad altri fattori: il prezzo più basso, o la maggiore facilità di trasporto e di consultazione). I testi di riferimento – ad esempio vocabolari, dizionari, enciclopedie – sono spesso voluminosi e scritti in caratteri piccoli, perché sono libri da consultazione e 'da scrivania' (di norma non li leggiamo in poltrona, o al bagno, o in viaggio), ed è comodo averli sul tavolo o nello scaffale dietro la scrivania, senza doverli spostare troppo spesso. D'altro canto, dimensioni e peso eccessivi sono scomodi per un romanzo (ma alcuni romanzi sono comunque assai voluminosi, e si stampano in unico volume per risparmiare e per i vantaggi rappresentati dall'avere tutto il testo su un unico supporto). La carta patinata è più adatta a testi accompagnati da molte immagini, quella opaca è più adatta a testi senza immagini (ma anche in questo caso possono esserci eccezioni). Le pagine di un quotidiano, che dispone le notizie per rilevanza e tematicamente e non presuppone una lettura strettamente lineare, sono più grandi di quelle di un libro, e questo permette anche di semplificare la procedura di stampa e di fascicolazione, che – non richiedendo una rilegatura – è assai più adatta a una produzione e distribuzione quotidiana realizzata in tempi veloci.

Quel che questi esempi ci mostrano è l'importanza del supporto in una sua funzione specifica: quella di interfaccia fra noi e il testo. Prima di vedere insieme in che modo queste considerazioni si applichino da un lato al libro, dall'altro ai diversi supporti dell'informazione in formato digitale, può essere allora opportuno dire qualcosa di più proprio sul concetto di interfaccia.

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Pagina 12

Una differenza, quella fra interfacce hardware e interfacce software, che sembra riferita specificamente al settore dei nuovi media, ma che a ben vedere è ancora una volta collegata a una distinzione più generale. La differenza fra interfaccia fisica, supporto fisico dell'informazione, e interfaccia logica, modo e forma di organizzazione dell'informazione sul suo supporto, è infatti chiaramente presente anche nel caso del libro, e in generale della scrittura. Certo, il libro a stampa unisce in modo indissolubile testo e supporto (la fotocopia permette infatti di riprodurre un testo su un diverso supporto, ma il testo viene meramente duplicato, e non effettivamente trasferito dal supporto originario). E il testo stesso – composto di particelle di inchiostro applicate sul supporto cartaceo attraverso il processo di stampa – ha una sua innegabile fisicità. Ma la scelta di organizzare la scrittura (e la lettura) da sinistra a destra o da destra a sinistra (o dall'alto in basso, o dal basso in alto) non è, ad esempio, strettamente legata al supporto usato, né alla nostra conformazione sensoriale, ma a fattori storici e culturali. Nelle Storie, Erodoto esplora addirittura l'altro verso di questa relazione, attribuendo le differenze di comportamento fra greci ed egiziani proprio alla differenza nella direzione della scrittura! E proprio come considerazioni estetiche avevano un grande rilievo nella cura con la quale gli antichi egizi scrivevano i loro geroglifici (che peraltro potevano essere scritti da sinistra a destra o da destra a sinistra – nel leggerli, la direzione del becco degli uccelli costituisce un indizio del verso della scrittura – e dall'alto in basso o dal basso in alto), l'arte tipografica si manifesta anche nel modo di presentare e organizzare il testo all'interno della pagina, nella scelta dei caratteri e dei formati.

Vedremo nella terza lezione, parlando delle caratteristiche dei programmi di visualizzazione e delle modalità di organizzazione del testo sullo schermo, come considerazioni legate all'impaginazione abbiano un ruolo di estremo rilievo anche nel caso della testualità elettronica. È bene però anticipare subito una distinzione importante, che riguarda proprio l'organizzazione del testo ma ha immediate conseguenze anche sull'interfaccia fisica utilizzata: la differenza fra testo paginato, organizzato cioè in pagine separate, com'è quello dei normali libri a stampa, e testo continuo o a scorrimento. Una differenza che troviamo già nel mondo dei rotoli: i rotoli greci erano scritti per lo più in maniera continua (come accade oggi nel caso delle schermate del computer, che vengono fatte scorrere in verticale), ed erano quindi letti srotolandoli in verticale, reggendoli con una mano in alto e una mano in basso. I rotoli romani (ma anche, ad esempio, i famosi rotoli del Mar Morto) erano invece per lo più scritti suddividendoli in 'pagine' orizzontali organizzate in colonne, un po' come i fotogrammi di una pellicola, ed erano dunque srotolati in orizzontale, aiutandosi con una mano a sinistra e una a destra.

Riassumendo possiamo dunque distinguere, in forma generale nel caso dell'informazione e più in particolare per quanto riguarda i testi, una duplice dimensione dell'interfaccia: interfaccia fisica, e organizzazione logica dell'informazione sull'interfaccia. Tali dimensioni sono peraltro in stretto rapporto e si influenzano reciprocamente: così, le caratteristiche fisiche del supporto suggeriscono o al contrario escludono determinate modalità di organizzazione dei contenuti, e viceversa la scelta di organizzare i contenuti in un certo modo suggerisce o esclude l'impiego di determinati supporti, e dunque di determinate interfacce fisiche.

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Pagina 14

4. Le situazioni di fruizione del testo: «lean forward», «lean back», fruizione secondaria, mobilità

La situazione fin qui descritta può apparire già abbastanza complicata, ma è arrivato il momento di aggiungere alla nostra equazione – e dunque al complesso rapporto fra interfaccia fisica, contenuto informativo e modi e forme di organizzazione di tale contenuto sul supporto – un nuovo elemento di grande importanza: la situazione di fruizione del testo.

Anche in questo caso, facciamo un salto di astrazione e partiamo innanzitutto dalle situazioni di fruizione dell'informazione in generale: non necessariamente scritta, ma anche sonora, visiva e multimediale.

Il problema è quello di classificare in qualche modo le situazioni di fruizione dell'informazione, in base alle loro diverse caratteristiche. E, almeno a un primo livello, la distinzione più utile e immediata è quella fra situazioni di fruizione (e relative interfacce): a) lean forward, b) lean back, c) secondaria e d) in mobilità.

La fruizione lean forward è quella che si ha quando siamo 'protesi in avanti' verso l'informazione, come facciamo scrivendo, studiando un libro seduti alla scrivania (contemporaneamente sottolineiamo, prendiamo appunti...), o lavorando al computer. In genere è caratterizzata da un uso attivo dell'informazione: non ci limitiamo ad assorbire informazione ma la elaboriamo e modifichiamo. Ci aspettiamo dunque contenuti informativi che si prestino a un lavoro di selezione e di elaborazione attiva, in una situazione di fruizione che assorbe completamente la nostra attenzione.

Una situazione di questo genere permette di lavorare bene con informazione fortemente interattiva (ad esempio ipertestuale), come facciamo quando navighiamo in rete, e non è un caso che la modalità di fruizione dei videogiochi sia anch'essa lean forward. Perfino quando usiamo, magari seduti sul divano, un videogioco collegato allo schermo del televisore, la nostra fruizione non è distesa e rilassata: a dispetto del divano, siamo protesi in avanti verso lo schermo, e pienamente attivi.

È la lettura lean forward che, nel mondo dei media digitali, tende a trasformarsi in quella che Derrick De Kerckhove ha battezzato 'screttura', unione di lettura e scrittura. In maniera in parte analoga, George Landow parla dei lettori degli ipertesti caratterizzandoli come wreaders, insieme scrittori e lettori del testo.

La modalità lean back è invece caratterizzata da una fruizione rilassata, 'appoggiati all'indietro' (ad esempio, in poltrona), di una informazione che ci assorbe ma da cui possiamo lasciarci trasportare senza la necessità di interventi attivi di elaborazione e manipolazione. È il modo in cui in genere leggiamo un romanzo, o guardiamo un film. La nostra attenzione è anche in questo caso completamente catturata da quel che vediamo o leggiamo, ma – finché essa resta viva – non ci è richiesto di agire o interagire con l'informazione stessa se non a livello mentale. È solo quando l'attenzione cala – magari perché quel che stiamo guardando non ci piace o non ci interessa – che subentra un intervento attivo per modificare il contenuto del flusso informativo (ad esempio cambiamo canale, e nel farlo spesso, significativamente, ci protendiamo in avanti).

La fruizione lean back è quella tipica della televisione e del cinema, almeno quando stiamo guardando qualcosa che ci interessa e che assorbe tutta la nostra attenzione.

A volte, però, informazione che sarebbe destinata a una fruizione lean back viene invece assorbita in forma di fruizione secondaria, o in background. In questo caso la nostra attenzione non è completamente assorbita dall'informazione che riceviamo, che rappresenta per noi una sorta di background informativo verso il quale ci rivolgiamo solo a tratti. Esempio tipico è quello, assai frequente, in cui la televisione o la radio sono accese in una stanza in cui si chiacchiera o si stanno facendo anche altre cose.

Un'informazione spesso programmaticamente 'pensata' in funzione di situazioni di fruizione secondaria è quella pubblicitaria, almeno quando il suo obiettivo è – più che catturare totalmente l'attenzione del fruitore – quello di far 'passare' un messaggio in forma quasi inconsapevole, ad esempio attraverso meccanismi di ripetizione (come accade nel caso di un jingle pubblicitario ben scelto). Anche la musica usata come sottofondo per altre attività configura una tipica situazione di fruizione secondaria.

Le situazioni di fruizione secondaria sembrano moltiplicarsi anche in relazione al diffondersi di quello che potremmo chiamare 'multitasking informativo': lo studente ascolta una lezione conservando in un orecchio l'auricolare del lettore MP3 dal quale contemporaneamente ascolta musica; leggiamo il giornale ascoltando la radio o la televisione... In questi casi, sempre più frequenti in un mondo in cui gli strumenti di accesso e distribuzione dell'informazione si moltiplicano incessantemente, possiamo in genere distinguere un canale informativo a fruizione primaria e un canale informativo a fruizione secondaria, ma i confini fra le due tipologie sono labili, e la nostra attenzione può spostarsi con estrema facilità da una fonte informativa all'altra, nel momento in cui in qualche messaggio proveniente dal canale in fruizione secondaria supera la nostra soglia di attenzione.

Infine, le situazioni di mobilità determinano una ulteriore tipologia di uso dell'informazione. Si potrebbe essere tentati di considerare la fruizione in mobilità come un caso particolare di fruizione secondaria, ma va osservato che non necessariamente l'informazione ricevuta in mobilità viene fruita in maniera secondaria: quando ascoltiamo il lettore MP3 sull'autobus o nella metropolitana, quando leggiamo un libro in treno, e spesso persino quando telefoniamo camminando o ascoltiamo l'autoradio in macchina, la nostra attenzione cosciente è impegnata solo in minima parte dalle azioni richieste dalla situazione di mobilità e può concentrarsi sul canale informativo, anche se normalmente lo fa per periodi di tempo più brevi e più frequentemente interrotti.

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5. Cos'è un libro?

È arrivato il momento di affrontare, almeno sommariamente, un'altra questione che si rivela centrale nel parlare di libri elettronici e di lettura in ambiente elettronico. Giacché il termine 'libro elettronico' suggerisce immediatamente che un e-book sia anche, e forse in primo luogo, un libro. Ma cos'è un libro? Quali caratteristiche ne definiscono meglio la natura, e possono costituire un po' la cartina di tornasole per verificare se gli e-book siano effettivamente dei libri, e quali siano le loro peculiarità specifiche?

Al termine 'libro', come ben sappiamo, si associano diverse connotazioni. In molte lingue, la radice etimologica della parola usata per designare un libro (il greco biblion, il latino liber e i suoi derivati, l'alto tedesco bokis e i suoi derivati) è legata all'oggetto fisico utilizzato come supporto della scrittura: biblos era il nome usato per il papiro egiziano, liber designava la pellicola compresa fra la corteccia e il tronco di un albero, bokis era il nome alto tedesco del faggio. La storia etimologica del termine rimanda dunque al libro come oggetto fisico, e a un significato la cui componente primaria è quella di supporto fisico per la scrittura. Nel corso del tempo – e in maniera più stabile dopo la rivoluzione gutenberghiana – il termine 'libro' si è così venuto ad associare in primo luogo a una raccolta rilegata di pagine a stampa, caratterizzata da una certa lunghezza e dall'assenza di periodicità nella pubblicazione. L'UNESCO, anche se solo a scopi statistici, ha di fatto suggerito – in maniera inevitabilmente arbitraria – di definire un libro come una pubblicazione a stampa, non periodica, di almeno 49 pagine.

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Chi si occupa dei libri come oggetto fisico, dei libri come interfaccia, privilegia evidentemente definizioni legate alla dimensione del supporto. In un breve e curioso intervento scritto nel 1996 e intitolato The Whatness of Bookness (potremmo provare a tradurre il titolo come La cosità della libritudine, o, assai più liberamente, L'essenza dell'esser-libro), Philip Smith, noto esperto di libri antichi e legature, sostiene che più che definire cos'è un libro occorra considerare la qualità dell'esser-libro, la bookness:

Nel suo significato più semplice, il termine si riferisce al confezionamento (packaging) di più supporti piani tenuti insieme in una sequenza fissa o variabile attraverso qualche meccanismo di incardinamento, o un sostegno, o un contenitore, associati a un contenuto visuale e verbale chiamato testo. Il termine non dovrebbe includere, in senso stretto, supporti del testo precedenti il codice, come i rotoli o le tavolette di argilla, e in effetti niente che sia contenuto su una singola superficie piana, come uno schermo televisivo, un poster o un volantino. [...] Un testo è un testo e non un libro, e potrebbe essere convogliato da qualunque altro oggetto si voglia immaginare. Un testo può essere inscritto su qualunque supporto, ma questo non lo rende un libro, né gli dà la qualità dell'esser-libro, e un rotolo conserva la sua qualità dell'esser-rotolo anche se non vi è scritto alcun testo. Un orsetto di peluche con un testo scritto sopra non è un libro! Il libro non è il testo, anche se è tradizionalmente associato con esso, e questi due elementi sono spesso confusi come se fossero la stessa cosa.

Nel commentare questo intervento, Edward Hutchins, anch'egli rilegatore e 'artista del libro', osserva che discutere di cosa sia un libro in termini di qualità (anziché attraverso una definizione tradizionale) ci dovrebbe portare a individuare un insieme di caratteristiche dell'esser-libro, il cui possesso in misura maggiore o minore avvicini o allontani un oggetto dalla 'libritudine':

Alcune delle caratteristiche che potrebbero costituire l'esser-libro sono le pagine, la copertina, la rilegatura, la sequenza, la narrazione, le illustrazioni, l'indice, la durabilità, la portabilità, la forma, lo scopo, il significato, l'uso, la ricezione, il numero ISBN, l'esser suscettibile di conservazione in uno scaffale, ecc. Più un libro ha queste caratteristiche, più ha 'libritudine'.

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Perché l'idea di libro elettronico abbia un senso, infatti, è innanzitutto il lettore che deve riconoscere il libro elettronico come un libro, e che deve essere disposto ad affiancare – e in alcuni casi addirittura a sostituire – la lettura in digitale alla lettura su carta. Altrimenti, potremo avere un dispositivo nuovo e certo interessante, che ci permetterà forse di 'leggere' nuove forme di testualità nate specificamente per l'ambiente elettronico, ma non un libro.

Ma perché mai un lettore, e soprattutto un lettore 'forte', abituato alla comodità, alle caratteristiche fisiche, visive, tattili, addirittura olfattive di un libro su carta, e cioè di un oggetto che appare, si è detto, ergonomicamente quasi perfetto, dovrebbe cambiare le proprie abitudini di lettura in maniera tanto radicale? Cosa può cercare (e cosa può trovare), un lettore di libri, in un libro elettronico?

Giacché a guidarci è qui in primo luogo il punto di vista del lettore, e di un lettore amante dei libri, non risulterà forse del tutto peregrino cercare di rispondere a questi interrogativi partendo proprio da un libro, e dalle vicissitudini di un lettore piuttosto particolare: un personaggio letterario, nato dalla fantasia del grande scrittore tedesco Ernst Theodor Amadeus Hoffmann.

Nel racconto La scelta della sposa (Die Brautwahl), pubblicato nel 1819, Hoffmann narra le singolari avventure dei tre pretendenti alla mano di una giovane e affascinante fanciulla, Albertina Vosswinkel. Uno di loro – il primo ad esserci presentato da Hoffmann – è proprio il lettore al quale facevamo riferimento: già avanti negli anni, simpaticamente ma irrimediabilmente pedante, appassionato bibliofilo (e, ci informa Hoffmann, incubo dei bibliotecari, costretti a cercare per suo conto volumi dimenticati e introvabili), il segretario di cancelleria Tusmann corteggia Albertina seguendo alla lettera – con scarsa fortuna e con esiti spesso comici – le indicazioni fornite nel capitolo dedicato al corteggiamento e al matrimonio dalla Sapienza politica di Thomasius, un trattato di saggezza pratica e politica molto diffuso nel XVIII secolo.

Date le premesse, è chiaro che non sarà lui il pretendente prescelto: invincibile è la concorrenza di Edmondo Lehsen, giovane pittore romantico di belle speranze, il solo ad amare Albertina di autentico amore e ad esserne ricambiato.

Il terzo pretendente, l'avido e ripugnante barone Beniamino, ha dalla sua potere e denaro, ai quali il padre di Albertina, pur amico di Tusmann e ammiratore dell'arte di Lehsen, non è affatto insensibile.

Dopo una serie di avvenimenti che non possiamo qui seguire in dettaglio, la scelta finale fra i tre pretendenti viene affidata a un sorteggio sapientemente gestito dall'orafo Lorenzo, deus ex machina della storia, personaggio misterioso e in odore di stregoneria, protettore di Edmondo e impegnato ad assicurarne la vittoria.

Il meccanismo del sorteggio è tipicamente fiabesco; ai tre pretendenti sono presentati tre scrigni chiusi: uno solo di essi conterrà il ritratto di Albertina, e chi lo sceglierà avrà la mano della ragazza. Ma i due pretendenti che sceglieranno gli scrigni 'sbagliati', assicura Lorenzo, vi troveranno comunque un dono che ai loro occhi avrà ancor più valore della fanciulla contesa: in tal modo, la felicità di ciascuno sarà garantita.

In effetti, mentre il giovane pittore Edmondo gioisce al prevedibile ritrovamento del ritratto della sua amata, lo scrigno dorato prescelto dall'avido barone Beniamino gli regala una lima fatata capace di limare oro da una moneta senza consumarla mai. Ovviamente, la lima entusiasma il barone ben più di quanto avrebbe potuto fare la mano di Albertina: la sua soddisfazione è così garantita.

Quanto al nostro segretario di cancelleria...

Come allibì il povero Tusmann non trovando affatto l'effige d'Albertina, bensì un libriccino rilegato in pergamena che, aperto, rivelò soltanto delle pagine bianche. V'era unito un foglietto con queste parole:

    Se hai battuto finora, folle, la strada storta
    Ecco che la fortuna or ti compensa appien;
    Scompare l'Ignoranza, e la dorata porta
    Ti spalanca Sapienza, ti dona ogni suo ben.

«Giusto Iddio» balbettò il segretario di cancelleria «soltanto un libro... no, nemmeno un libro, della carta rilegata... invece del ritratto; distrutta ogni speranza!» [...]

Tusmann voleva correr via, ma l'orafo gli sbarrò il passo e ammonì: «Tusmann, siete matto? Nessun tesoro può esservi più prezioso di quello da voi trovato! I versi avrebbero dovuto illuminarvi. Suvvia, fatemi il favore, mettete in tasca il libriccino». Tusmann eseguì.

«Ora» continuò Leonardo «pensate un libro che vi piacerebbe trovarvi in saccoccia in questo momento».

«Ahimè» disse il segretario, sconcertato, «in un impeto sacrilego e sconsiderato ho gettato nello stagno il Breve Compendio di Saggezza Politica del Thomasius!».

«Guardate nella vostra tasca, tirate fuori il libro!» fece l'orafo.

Tusmann obbedì ed ecco il libro era precisamente il Compendio di Thomasius.

«Oh, che è mai questo?» gridò il segretario fuori di sé dallo stupore «mio Dio, il mio beniamino Thomasius è dunque salvo dalle fauci nemiche di vili ranocchi, che non ne avrebbero neppure tratto i preziosi insegnamenti!».

«Zitto», lo interruppe l'orefice «rimettete il libro in tasca». E Tusmann così fece.

«Pensate a un'opera rara, che abbiate magari ricercato a lungo, che non possiate trovare in una biblioteca».

«O Signore», fece il segretario in tono assai mesto «avevo per l'appunto deciso di frequentare talvolta l'Opera per mio diletto, e volevo anzitutto erudirmi nella nobile arte della musica; tentai finora indarno di procurarmi un aureo libriccino che espone allegoricamente tutta l'arte del compositore e del virtuoso. Intendo dire il volume di Giovanni Beer, La guerra musicale [...]».

«Guardatevi in tasca», disse l'orafo; e il segretario di cancelleria gettò alte grida di giubilo aprendo il libro che ora era per appunto La guerra musicale di Beer.

«Come vedete» commentò Leonardo «per mezzo del libro trovato nella cassetta avete ora a disposizione la più ricca, la più completa biblioteca che nessuno abbia mai posseduto, e inoltre ve la potete portar dietro costantemente. Poiché recando in tasca questo curioso libretto esso si converte ogni volta che lo tirate fuori nell'opera che desiderate giusto di leggere».

Senza più badare ad Albertina né al consigliere Vosswinkel, Tusmann si rintanò in un canto, si gettò su una poltrona, intascò il libro, tornò ad estrarlo, e dalla gioia che gli splendeva negli occhi si capiva che quanto l'orafo gli aveva detto avveniva puntualmente.

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Un giudizio perfettamente condiviso da una delle massime autorità nel campo della biblioteconomia, Michael Gorman, che ha altrettanto recisamente affermato:

Credo che, in linea generale, gli e-book rappresentino un vicolo cieco. E l'idea che le edizioni digitali debbano sostituire quelle a stampa è una cretinata. Una cosa è usare una versione digitale delle pagine gialle, tutt'altra cosa è trovarsi a dover leggere Guerra e pace sullo schermo.

Giudizi simili sono talmente numerosi da costituire senz'altro la 'vulgata' delle reazioni all'idea di libro elettronico da parte del pubblico dei lettori colti. Di fatto, la maggior parte degli amanti del libro su carta non vede affatto nel libro elettronico il sogno di un 'libro universale', il libro magico del signor Tusmann, ma l'incubo di un libro impoverito: privo della sua fisicità, della sua individualità, della sua maneggiabilità, costretto nello spazio uniforme e fastidiosamente luminoso di uno schermo. E dietro a questa paura se ne nasconde spesso un'altra, se possibile ancor maggiore: quella di un libro mutante, ibrido, nel quale il primato della parola scritta cede alle lusinghe della multimedialità, suoni e immagini affiancano il testo e lo trasformano in didascalia, l'uso estensivo della forma ipertestuale spezza e decostruisce il ritmo lineare della narrazione e del ragionamento.

Quanto sono fondate queste paure? Noi lettori forti, che guardiamo al libro non solo con amore ma con un atteggiamento spesso assai simile all'adorazione religiosa (abbiamo del resto già ricordato che la nostra è una civiltà del libro, nella quale il Dio stesso si manifesta sotto forma di testo, di sacra scrittura), dobbiamo considerare il libro elettronico come un pericolo o come un'opportunità? Come una profanazione, o come uno strumento prezioso di riscatto della testualità scritta nel mondo insidioso dei nuovi media?

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IV
Problemi di forma



1. La rappresentazione del testo

Nella lezione precedente, abbiamo ripercorso insieme la storia dell'idea di libro elettronico e abbiamo parlato dei dispositivi di lettura che sono stati man mano sviluppati per cercare di dare all'e-book un supporto funzionale. In particolare, abbiamo sottolineato l'importanza di collegare le caratteristiche del supporto alle situazioni di lettura. Rilevando che, mentre il libro ha fra le sue principali virtù quella di essere perfettamente utilizzabile nelle tre situazioni che ci interessano più da vicino – lean forward, lean back e mobilità – i supporti digitali sono stati finora assai meno flessibili: il computer, nella sua incarnazione tradizionale, è uno strumento adatto solo al lean forward; palmari e smartphone sono destinati alla mobilità (e anche in quel caso possono dirsi abbastanza funzionali solo nelle ultimissime generazioni, dall'iPhone in poi); e solo i dispositivi dedicati hanno l'ambizione di avvicinarsi al libro anche nella capacità di adattarsi a più situazioni di lettura. Un'ambizione non ancora coronata da pieno successo, anche se con la seconda (e-paper) e con la terza (iPad e mini-tablet) generazione di dispositivi sono stati fatti notevolissimi passi avanti.

Prima di trarre qualche conclusione più articolata, tuttavia, occorre discutere un altro aspetto della testualità elettronica che ha grande importanza per capire quali siano le reali possibilità di successo dei supporti elettronici nell'avvicinarsi a quelli su carta: non più il supporto fisico, e cioè l'interfaccia hardware, ma la 'resa' del testo, la sua 'messa in pagina', e le funzionalità offerte per il supporto alla lettura: descrizione del libro, ricerca dei termini, annotazioni e sottolineature, segnalibri, e simili.

Bisogna infatti ricordare che, mentre nel libro a stampa il supporto e la 'forma' del testo finiscono per costituire un oggetto unico e inscindibile, nel mondo digitale dispositivo di lettura e testo elettronico sono oggetti separati, che si incontrano nel momento della lettura ma hanno, prima e dopo, vita autonoma. Cosa determina allora la 'messa in pagina' – che in questo caso diventa organizzazione sullo schermo – del testo elettronico, di per sé oggetto fluido e intangibile? Come fare per guidarla e controllarla, adattandola al particolare dispositivo che viene utilizzato?

Di questa dimensione fa innanzitutto parte una componente essenziale, di cui purtroppo si tende spesso a trascurare l'importanza: la rappresentazione del testo e dei fenomeni testuali.

Un libro – come del resto un messaggio di posta elettronica, o un articolo scientifico, o un copione cinematografico – non è una semplice successione di caratteri: alla pura componente testuale si affianca una struttura abbastanza complessa. Ad esempio, nel caso del libro abbiamo di norma una copertina (e talvolta una sovraccoperta con informazioni editoriali sul retro e sui risvolti o 'bandelle'), un frontespizio, un colophon con un'altra tipologia di informazioni editoriali; a volte, perfino il dorso riporta informazioni utili, come il logo della collana di appartenenza. Abbiamo poi un indice, una prefazione, una suddivisione in capitoli e in paragrafi, l'eventuale presenza di illustrazioni...

È anche grazie a queste caratteristiche del testo che si fa 'libro', e alle molte altre che potremmo individuare o che potrebbero essere presenti, che possiamo e sappiamo differenziare un libro da una lettera (la lettera non è solo più breve: è organizzata in modo diverso) o da un articolo.

Quali di queste caratteristiche vogliamo o possiamo rappresentare in un libro elettronico? Quali caratteristiche nuove si aggiungono? E come vengono rappresentate, queste caratteristiche?

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Va detto subito che, al momento, non abbiamo un singolo linguaggio di marcatura adatto a rappresentare in maniera sufficientemente articolata e potente la 'forma libro' in tutte le sue caratteristiche. L'attenzione si è finora indirizzata, in maniera comprensibile ma un po' schizofrenica, verso due direzioni diverse: una è costituita dai fenomeni testuali di interesse soprattutto tipografico-editoriale: se il nostro obiettivo è creare concretamente un libro elettronico, ci interessano in primo luogo le caratteristiche della sua impaginazione, la resa sui dispositivi, la gestione dei diritti, i metadati che permettono di organizzare una biblioteca di titoli e di reperire quelli che ci servono. L'altra direzione è invece quella filologico-critica, attenta ai fenomeni testuali che possono interessare lo studioso: la struttura del testo (più che la sua resa a schermo), il rapporto di un testo con le sue eventuali fonti (manoscritti, edizioni diverse...), la sua storia (revisioni, modifiche...), e così via.

Naturalmente, fra queste due prospettive vi sono larghe sovrapposizioni. Ma al momento la scelta dell'uno o dell'altro approccio suggerisce l'uso di uno fra due diversi schemi: da un lato la marcatura ePub, le cui specifiche sono state prodotte dall'IDPF (International Digital Publishing Forum, il già ricordato consorzio internazionale che comprende autori, editori e aziende informatiche) e che è orientata alla rappresentazione tipografico-editoriale di un testo destinato a essere visualizzato e letto in ambiente elettronico. Dall'altro la marcatura TEI (il nome abbrevia 'Text Encoding Initative', ovvero 'Iniziativa per la codifica testuale'; anche in questo caso si tratta di uno standard prodotto da un consorzio internazionale di organizzazioni e studiosi), che è orientata soprattutto alla rappresentazione filologica di testi di ambito umanistico, e in primo luogo (ma non unicamente) di testi letterari.

In questa sede non ci occuperemo di marcatura TEI, ma è bene che il lettore sappia almeno della sua esistenza, e della prospettiva che essa rappresenta. Ci occuperemo invece, più avanti in questa stessa lezione, di ePub, che è di fatto emerso negli ultimi due o tre anni come standard di riferimento per il mondo degli e-book. Non ce ne occuperemo però dal punto di vista strettamente tecnico: obiettivo di questo lavoro non è infatti fornire istruzioni pratiche sulla realizzazione di libri elettronici (ci sono in rete ottime guide e parecchi strumenti utilizzabili a questo scopo, e nel seguito avremo occasione di menzionarne diversi), ma fornire le informazioni necessarie a riflettere sulla loro natura e sulle loro potenzialità.

ePub, però, non è nato dal nulla, e – anche se c'è chi fin da dieci anni fa aveva visto giusto scommettendo sul formato da cui ePub è nato, denominato all'epoca OEB (Open E-Book, dal primo nome dell'IDPF: Open E-Book Forum) – la sua diffusione, come si è accennato, è solo recente. Come si è arrivati a ePub, come funziona questo formato, e cosa permette di fare? Quali sono, o sono stati, i suoi principali concorrenti? E quali programmi vengono usati per visualizzare i file codificati con questi formati? Si tratta di domande solo apparentemente 'tecniche': come abbiamo rilevato in apertura, dalle caratteristiche dei formati di codifica del testo dipendono i fenomeni testuali che siamo (o non siamo) in grado di rappresentare, e dunque molta parte della 'forma' dei nostri libri elettronici. Vale la pena, dunque, saperne qualcosa di più.


2. Se il testo è nudo...

Come ricorderete, il primo formato in assoluto a essere stato usato per la realizzazione di libri elettronici è il formato .txt. È la scelta che abbiamo visto alla base della biblioteca digitale del progetto Gutenberg, e per l'assoluta portabilità del formato — che può essere letto sostanzialmente da tutti i dispositivi e in ogni ambiente informatico — questa scelta rimane ancora abbastanza popolare.

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3. Proteggere a tutti i costi? DRM, pirateria e i rischi della balcanizzazione

Nel caso degli e-book – o meglio, nel caso dei sistemi implementati dalle aziende leader di mercato nel settore dei dispositivi di lettura e della vendita di contenuti digitali sotto diritti – il DRM ha in genere tre dimensioni fra loro interconnesse: 1) le scelte 'a monte' dell'editore in materia di licenza d'uso e di possibilità offerte all'acquirente dell'e-book. Proteggere o no il testo? Con quali meccanismi? Permetterne o no, ad esempio, il passaggio da un dispositivo all'altro, il prestito, la lettura attraverso sistemi di sintesi vocale? Si tratta di scelte astratte, almeno alcune delle quali dipendono però dalle possibilità offerte dalla piattaforma di distribuzione adottata, e sono dunque connesse a 2) la concreta gestione dei diritti sul server del venditore. Il software installato su tale server deve 'ricordare' l'acquirente, permettergli di scaricare il testo protetto sul suo lettore, attivarlo, conservarlo nel tempo (anche se l'e-book è stato nel frattempo cancellato dal dispositivo di lettura per far posto ad altri contenuti), e – se queste operazioni sono consentite – monitorarne lo spostamento da un dispositivo all'altro, il prestito, e così via. Per svolgere questi compiti, e garantire la protezione dell'e-book, il software del server di distribuzione genera di norma, sulla base delle caratteristiche e delle specifiche del formato finale utilizzato, 3) la 'buccia' protettiva che avvolge il pacchetto ePub, trasformandolo in un file in formato proprietario e rendendolo illeggibile su dispositivi di lettura diversi da quello su cui il libro è stato acquistato e attivato. Questo 'involucro protettivo' viene di norma chiuso attraverso una vera e propria cifratura: il server di distribuzione dialoga con il dispositivo di lettura, e ne usa le particolarità hardware (ad esempio il codice del processore) per generare una chiave di cifratura alla quale l'utente non ha alcun accesso diretto. Tale chiave viene utilizzata per 'attivare' il file particolare scaricato dall'utente.

Apparentemente, lo scopo dei sistemi DRM è chiaro: nel mondo digitale, come si è già detto, copiare un file è semplicissimo, non costa praticamente nulla (tanto più nel caso degli e-book, che 'pesano' in genere assai poco in termini di bit), e la copia è identica all'originale. Senza un meccanismo di protezione, qualunque e-book potrebbe essere copiato e fatto circolare in rete. E gli editori conoscono benissimo il precedente della musica MP3, che ha messo in ginocchio il mercato discografico.

Ma i meccanismi di protezione sopra descritti sono davvero efficaci? E sono l'unica possibilità per proteggere un contenuto? Non esistono meccanismi di protezione meno invasivi? E la protezione dei contenuti deve davvero essere così generalizzata?

Prima di provare a rispondere a queste domande, è utile avere qualche informazione in più sul mondo, le convinzioni, gli strumenti di chi questi meccanismi di protezione cerca di sfidare e scardinare. Muniamoci dunque per un istante di una benda su un occhio e di un cappello da pirata (nonché di un buon antivirus aggiornato e di un buon firewall per il nostro computer: i siti che visiteremo non offrono sempre garanzie di totale affidabilità): per un paio di pagine faremo rotta attraverso mari un po' più avventurosi del solito. Non senza un'avvertenza obbligatoria: non intendo qui promuovere la pirateria dei contenuti, o suggerire comportamenti illegali. I libri – elettronici o su carta – è sempre bene comprarli, e non solo la legge ma anche l'etica e il buon senso suggeriscono che autori ed editori debbano essere adeguatamente compensati per il loro lavoro. A non essere affatto scontata, però, è l'idea che questo compenso debba essere garantito facendo ricorso alle forme spesso inutilmente coercitive e vessatorie (nonché assai costose!) degli attuali sistemi di DRM, o a provvedimenti legislativi che rischiano di limitare diritti fondamentali come quelli all'informazione e alla privacy, senza alcun riguardo verso l'interesse sociale alla diffusione libera e aperta delle conoscenze, e senza alcuna comprensione del fatto che le caratteristiche di un oggetto digitale come un e-book sono diverse da quelle di un oggetto fisico come un libro a stampa e possono suggerire meccanismi assai diversi di tutela.

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Ma la balcanizzazione non è certo negli interessi né degli utenti, né della tutela dell'abitudine alla lettura, in particolare proprio nelle fasce più giovani della popolazione. Come abbiamo già ricordato, è soprattutto tenendo presente il pubblico più giovane che è importante garantire la disponibilità nel mondo digitale anche delle forme di testualità complessa e articolata proprie della cultura del libro. La balcanizzazione dei formati e delle politiche di DRM va dunque combattuta, e la battaglia per avere contenuti ragionevolmente liberi di migrare da una piattaforma a un'altra, di essere usati su computer da scrivania se siamo impegnati in una lettura lean forward attiva, associata ad esempio al prendere note e allo scrivere, ma anche su lettori dedicati per la lettura lean back e in mobilità, è una battaglia non solo di 'comodità' per l'utente, ma anche di rilevanza culturale e sociale.

Modelli alternativi di DRM, che propongono l'uso di standard condivisi, esistono. E proprio per la 'neutralità' di ePub rispetto agli strumenti di protezione dei contenuti, possono essere facilmente implementati utilizzando tale standard. Un esempio è costituito dai cosiddetti modelli di 'social DRM'.

Il loro principio è semplice: incorporare nell'oggetto digitale – e dunque nel nostro caso nell'e-book – alcune informazioni personali relative all'acquirente. Ad esempio il suo nome, o il suo codice fiscale. Ci sono diverse tecniche per farlo: ad esempio, attraverso le cosiddette 'filigrane' digitali.

Questo lascerebbe all'utente un file normale, che può essere spostato senza problemi da un dispositivo all'altro, che non si autodistrugge dopo un certo numero di passaggi di scaffale, che può essere acquistato su qualunque piattaforma (giacché il meccanismo di creazione della filigrana sarebbe unico e standard) e letto su qualunque lettore. Ma l'utente non sarebbe incoraggiato a copiarlo e distribuirlo illegalmente in giro: facendolo, ogni copia si porterebbe dietro anche il suo nome, e nel farlo denuncerebbe il suo crimine.

L'idea, naturalmente, corre subito all'ex-libris: il social DRM si configurerebbe come una sorta di ex-libris (e potrebbe essere addirittura reso 'attraente' associandolo, come nel caso dell'ex-libris, a un'immagine e/o a un motto scelti dall'utente e applicati al frontespizio dell'e-book).

L'uovo di Colombo? No: sicuramente salterebbero fuori programmi per rimuovere la filigrana digitale, o per intestare il libro a utenti fittizi. Il problema delle copie pirata, insomma, non sarebbe risolto. Ma l'ex-libris digitale – se ben realizzato – potrebbe offrire al lettore una ragione 'd'immagine' in più per mantenersi nell'ambito della legalità, e comprare i propri libri. E la semplificazione nella gestione dei contenuti eliminerebbe un forte incentivo alla pirateria, quello rappresentato proprio da politiche di DRM cervellotiche e assai scomode per l'utente.

Certo, si tratta di un palliativo. In prospettiva, probabilmente, è tutto il sistema di gestione dei diritti e di distribuzione dei contenuti che andrà ripensato. È ragionevole ipotizzare che in futuro possa risultare almeno in alcuni casi più sensato prevedere anche per gli utenti finali, un po' come avviene oggi per le collezioni di contenuti legati al mondo della ricerca, abbonamenti a biblioteche di titoli anziché l'acquisto di singoli libri. Ed è possibile che la giusta remunerazione sia della funzione autoriale sia di quella di mediazione editoriale possa richiedere un qualche intervento pubblico, almeno nei casi in cui l'interesse alla libera circolazione dei contenuti sia da considerare prevalente. Una prospettiva certo eretica per i teorici di un mercato che considera con orrore qualunque intervento pubblico, salvo poi richiederlo quando si tratta di evitare le conseguenze di situazioni di crisi che i propri comportamenti hanno contribuito a far nascere. Ma che potrebbe concretizzarsi in una forma aggiornata di meccanismi di sostegno pubblico all'editoria. Meccanismi non certo nuovi, per di più con un ritorno in termini di diffusione dei contenuti assai maggiore di quanto non sarebbe mai possibile attraverso il supporto cartaceo.

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2. Un libro per Platone?

In un celebre passo del Fedro, Platone attribuisce a Socrate una critica del testo scritto che rappresenta un momento cruciale nella storia del rapporto fra oralità e scrittura, ed è stata oggetto nel tempo di innumerevoli interpretazioni e discussioni. Il Socrate platonico, va notato, non condanna di per sé la scrittura ("in sé, lo scrivere discorsi non è un male", Fedro 258d) e ne riconosce la capacità di conservare la parola nel tempo. Lamenta però il carattere esteriore della memoria scritta, che rischia di far perdere la capacità di ricordare "dall'interno di sé stessi" (Fedro 275a), producendo solo una sapienza apparente. Gli insegnanti che deplorano la tendenza dei loro studenti a ripetere a pappagallo il libro di testo, senza capirne realmente il contenuto, non avranno difficoltà a comprendere il senso di questo rimprovero platonico.

Ma quel che in primo luogo Platone lamenta è il principale limite del testo scritto rispetto alla conversazione orale: l'assenza di interattività.


La scrittura è in una strana condizione, simile veramente a quella della pittura. I prodotti cioè della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano le parole scritte: crederesti che potessero parlare, quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono, esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo in iscritto, ogni discorso arriva alle mani di tutti, tanto di chi l'intende tanto di chi non ci ha nulla a che fare; né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato e offeso oltre ragione, esso ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto, perché esso da solo non può né difendersi né aiutarsi.

Il concetto espresso è chiaro: il testo scritto è incapace di interagire col lettore. L'interazione la cui assenza è lamentata da Platone è di tre tipi: il testo scritto non sa rispondere alle domande poste per capirne meglio il contenuto, non è in grado di adattarsi alle diverse tipologie di lettori (parla a tutti allo stesso modo), non è capace di 'reagire' alle interpretazioni sbagliate. A differenza di un testo scritto, una persona in carne e ossa è in grado evidentemente di fare tutte e tre le cose.

L'interattività non va confusa con la multimedialità, di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente. La multimedialità ha a che fare con l'uso contemporaneo di codici comunicativi diversi – testo, immagini, suoni, video – all'interno di uno stesso oggetto informativo (e sarebbe forse più propriamente caratterizzata dal termine 'multicodicalità'); l'interattività ha a che fare con la sua capacità di interagire con l'utente. Possono esserci oggetti informativi che sono multimediali ma non interattivi (ad esempio un libro illustrato), e possono esserci oggetti informativi che sono interattivi ma non multimediali (ad esempio il vecchio televideo RAI). Ma nel mondo digitale, interattività e multimedialità sono spesso compresenti.

L'interattività è dunque spesso considerata una delle caratteristiche principali dei nuovi media digitali. È possibile pensare a libri interattivi in grado di rimediare almeno al alcuni dei limiti segnalati da Platone? E che caratteristiche avrebbero, libri di questo tipo?

Per affrontare questo problema, è innanzitutto opportuno soffermarsi sull'esatto significato termine 'interattività'. In cosa differiscono, i media interattivi da quelli non interattivi?

Come sappiamo, tutta la nostra esperienza nasce dall'interazione con la realtà. Da questo punto di vista, qualunque oggetto e qualunque fenomeno è per noi 'interattivo': nel conoscerlo, interagiamo con esso. A livello di fisica quantistica, il principio di indeterminazione ci dice addirittura che questa interazione non è mai neutrale: l'osservatore e l'oggetto osservato fanno parte di un unico sistema, e alcuni parametri relativi all'oggetto sono influenzati dall'atto di osservazione o di misura.

Qualcosa di simile vale per gli atti di comunicazione, anche quando essi si concretizzano in un 'oggetto comunicativo' dall'apparenza fissa e immutabile. Da questo punto di vista anche un testo scritto, pur essendo fissato sulla pagina, è in un certo senso interattivo: il libro modifica il lettore, e gli studi nel campo della semiotica e della critica letteraria ci hanno spiegato da tempo che, in un senso tutt'altro che banale, il lettore modifica e addirittura crea il libro che sta leggendo.

Non è questo, però, il significato di interattività che aveva in mente Platone. E anche quando parliamo di interattività a proposito dei nuovi media intendiamo probabilmente riferirci a qualcosa di diverso. Ma a cosa, esattamente? Proviamo a proporre una definizione: un oggetto informativo (ad esempio un programma) si dice interattivo se può partecipare a un processo di comunicazione modificando in maniera esplicita l'informazione emessa, in corrispondenza delle scelte degli altri partecipanti a tale processo.

Da questo punto di vista un libro a stampa non è interattivo: come osserva giustamente Platone, il suo testo resta immutabile, indipendentemente dalle caratteristiche del lettore, dalle sue conoscenze, dai suoi interessi, dalle sue eventuali esigenze di chiarimenti o approfondimenti, dalle sue osservazioni o dalle sue critiche. La sola interazione possibile avviene attraverso il supporto del testo: possiamo sottolineare, aggiungere commenti ai margini, oppure – e per un bibliofilo è quasi una profanazione – piegare l'angolo della pagina per tenere il segno o marcare un passaggio importante. Ma in questi casi siamo noi a modificare l'oggetto informativo, che invece, dal canto suo, resta incapace di 'rispondere' alla nostra lettura modificando in maniera esplicita l'informazione emessa, come richiedeva la nostra definizione.

Il libro condivide questa caratteristica con molti altri media: almeno nel mondo precedente la rivoluzione digitale, un film, una fotografia, un canale televisivo o radiofonico sono altrettanto poco interattivi (a meno che la trasmissione non preveda l'intervento diretto del pubblico, che non a caso avviene attraverso un medium naturalmente interattivo come il telefono). Certo, nel caso della radio o della televisione se un programma non ci piace possiamo cambiare canale: l'apparecchio radiofonico o televisivo – a differenza del singolo canale – ha dunque una sua interattività: è in grado, passando da un canale all'altro, di modificare l'informazione emessa in conseguenza di una nostra scelta.

Nel mondo digitale, l'interattività è molto più diffusa e assai maggiore. Il nostro programma di videoscrittura può modificare in un istante le dimensioni e il tipo di carattere utilizzato in un intero testo, e visualizzarlo in modi diversi (paginato, non paginato...). All'interno di un ambiente di realtà virtuale possiamo muoverci e cambiare punto di vista, e la porzione di 'mondo' visualizzata cambierà in maniera corrispondente. Un videogioco reagisce immediatamente ai nostri comandi, e ci consente di fare strage dei suoi abitanti virtuali. In tutti questi casi, le nostre scelte modificano in maniera esplicita l'informazione che riceviamo.

A cosa può servire, l'interattività, nel caso di un libro?

Possiamo, credo, distinguere due scenari: il particolare tipo di interattività che è legato a un'organizzazione ipertestuale dei contenuti, in cui è possibile decidere un proprio specifico percorso di lettura all'interno di una pluralità di percorsi possibili, e l'aggiunta di singoli elementi interattivi all'interno di un testo fondamentalmente lineare (ad esempio, un box in cui compiere un 'esperimento virtuale' all'interno di un testo di fisica). Può essere utile esaminare singolarmente queste due tipologie.

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È nota la distinzione introdotta dai formalisti russi fra fabula e intreccio, dove la fabula è la sequenza degli eventi narrati, nel loro effettivo ordine cronologico e nella loro concatenazione causale, e l'intreccio è la loro riorganizzazione ad opera dell'autore (con anticipazioni, flashback, digressioni, introduzione di elementi che non fanno parte della sequenza principale degli eventi, ecc.). Ebbene, come nota a ragione Rosa Maria Di Natale a proposito di Afternoon, a Story, in molti ipertesti narrativi

è difficile farsi coinvolgere dalla fabula presi come si è dall'intreccio, dal voler seguire una trama difficile da cogliere negli eventi che toccano uno o più personaggi, nelle relazioni tra di essi e nelle finalità delle loro azioni.

Più radicalmente, potremmo dire che gli autori di molti ipertesti letterari sembrano voler mettere in discussione l'idea stessa dell'esistenza di una fabula, o la possibilità di ricostruirla in maniera univoca, e sembrano in realtà considerare l'intreccio stesso come una struttura in qualche modo debole e plurale, risultato dell'interazione fra testo e lettore più che di una costruzione a tavolino da parte dell'autore. Posizione in verità in qualche modo paradossale, dato che è comunque l'autore a 'dare le carte', a stabilire (a tavolino) le regole del gioco: un ipertesto assomiglia certo al borgesiano giardino dei sentieri che si biforcano, ma si tratta di sentieri tracciati comunque dall'autore, anche se il lettore è libero di seguire solo quelli che preferisce.

In ogni caso, la difficoltà di caratterizzazione dei personaggi, la rinuncia alla fabula e la moltiplicazione degli intrecci trasformano la maggior parte degli ipertesti letterari in opere che – nei casi migliori – possono certo essere interessanti dal punto di vista della sperimentazione e della ricerca, ma che difficilmente possono proporsi come 'nuova' forma narrativa egemone o anche solo di larga diffusione. Si aggiunga il fatto che le continue scelte richieste al lettore rischiano di distrarlo dalla narrazione anziché coinvolgerlo maggiormente: gli esperimenti di cinema interattivo, in cui si chiedeva agli spettatori di votare sul seguito dell'azione attraverso pulsanti posti sul bracciolo della poltrona, o gli esperimenti analoghi fatti con alcune serie televisive, sono certo curiosi, ma – a quasi vent'anni dai primi tentativi – non hanno rivoluzionato né il cinema né la televisione: tanto il lettore quanto lo spettatore preferiscono di norma farsi accompagnare in un viaggio e immergersi nella narrazione, piuttosto che esserne continuamente sbalzati fuori per compiere delle scelte. Se si cerca un livello di coinvolgimento e di interattività maggiore, la soluzione sono semmai i videogiochi, in cui la costruzione del personaggio è assai più libera: dotati anch'essi delle loro brave strutture narrative (e si comincia a studiarle con esiti assai interessanti), ma altra cosa rispetto alla forma-libro.

Sui nostri lettori e-book non ci aspetta dunque – credo – un'improvvisa scomparsa delle strutture narrative che ci sono familiari a favore di un genere totalmente nuovo di opere caratterizzate da strutture ipertestuali complesse: anche nel caso di testi che integrassero componenti multimediali (immagini, suoni, filmati), il percorso di lettura resterà a mio avviso nella maggior parte dei casi fondamentalmente lineare, basato sul meccanismo dell'immersione più che su quello dell'interazione continua proprio invece dei videogiochi.

Almeno in parte diverso sembra essere il discorso per quel che riguarda la saggistica. Le opere saggistiche sono in genere caratterizzate da una forte attenzione alla struttura argomentativa (l'autore non vuole semplicemente accumulare descrizioni, ma organizzarle in una struttura coerente, che mira a illustrare e argomentare delle tesi). Ora, in prima istanza si potrebbe pensare che la struttura di un'argomentazione sia comunque fondamentalmente lineare. E quel che sembra ritenere Cartesio, quando individua alla base della nostra conoscenza "lunghe catene" di ragionamenti:

Quelle lunghe catene di ragioni, affatto semplici e facili, di cui i geometri si servono abitualmente per portare in fondo le loro dimostrazioni più difficili, mi avevano fatto immaginare che tutte le cose suscettibili di cadere sotto la conoscenza umana si susseguano allo stesso modo.

Tuttavia, nonostante il fascino e la fortuna dell'immagine dell'argomentazione concepita come catena lineare, i nostri processi argomentativi hanno spesso strutture diverse. Così, ad esempio, una conclusione può spesso essere supportata da premesse indipendenti, ciascuna delle quali richiede una propria argomentazione.

In questi casi, l'ordine nel quale gli argomenti vengono affrontati all'interno di un libro dipende spesso da considerazioni legate all'organizzazione retorica del testo più che alla sua struttura logica. L'autore può trovarsi, anche inconsapevolmente, a trattare per primi argomenti più familiari, o sui quali si aspetta un più facile consenso da parte del lettore. E può essere portato a costruire legami narrativi fra argomenti che non hanno fra loro stretti legami argomentativi.

Cosa succede quando trasportiamo queste situazioni – e questi testi – nel mondo della scrittura e della lettura digitale?

In linea di principio, come abbiamo visto, le interfacce digitali non impongono la struttura intrinsecamente lineare propria di un libro a stampa, organizzato in pagine che si susseguono. Ciò può permettere un'organizzazione dei contenuti più vicina alla struttura logica delle argomentazioni avanzate dall'autore, con una migliore esplicitazione delle dipendenze e indipendenze reciproche delle varie parti del testo. Inoltre, la struttura ipertestuale consente una gestione assai più efficace di apparati e rimandi, spesso fondamentali per la scrittura saggistica e di ricerca. Come nota Pietro Corrao in un intervento dedicato proprio alla possibile evoluzione ipertestuale della forma-saggio,

il ricorso a tecniche – anche semplici – di carattere ipertestuale conferisce al testo una percorribìlità, un'utilizzabilità enormemente più alta di quanto i tradizionali strumenti di indicizzazione, di rimando, di integrazione fra testo e apparato critico non consentissero nella scrittura tradizionale.

Ed è lo stesso Corrao a riassumere con grande chiarezza ed efficacia le caratteristiche che dovrebbero essere proprie della saggistica ipertestuale:

Ma quale ipertestualità? Certamente un'ipertestualità che consenta l'organizzazione del testo su livelli differenti, accessibili indipendentemente, a diversi livelli di approfondimento; che consenta l'uso diversificato del testo in relazione all'esigenza e allo scopo di diverse categorie di lettori o a diverse esigenze dettate dallo specifico interesse del momento da parte dello stesso lettore; che esalti le prospettive comparative; che sia capace di esprimere proposte interpretative, evitando il rischio dello smarrimento in un universo indifferenziato e non gerarchizzato secondo un'idea forte dell'autore.

Un'influente ipotesi di possibile organizzazione di un ipertesto saggistico è stata avanzata da Robert Darnton in un articolo del 1999, discusso e citato in molte sedi e da molti autori (compreso l'intervento appena citato di Corrao), e che lo stesso Darnton ha ripubblicato con poche variazioni nel recente volume The Case for Books. Vale la pena riportarla per esteso:

Non voglio suggerire una mera accumulazione di dati, né sostenere la necessità di link verso banche dati. I cosiddetti link ipertestuali possono trasformarsi facilmente in una forma elaborata di note a piè di pagina. Anziché dilatare il testo, penso sia possibile strutturarlo in livelli organizzati come una piramide. Il livello superiore può consistere di una discussione sommaria dell'argomento, disponibile magari in paperback. Il livello successivo può contenere versioni espanse di diversi aspetti dell'argomentazione, organizzate non sequenzialmente e in forma narrativa, ma piuttosto come unità autosufficienti che si incardinano nel livello superiore. Il terzo strato potrebbe essere composto da documentazione, anche di generi diversi, accompagnata da saggi interpretativi specifici. Un quarto livello può essere teoretico o storiografico, con una selezione di pagine degli studiosi che si sono occupati in precedenza dell'argomento e la loro discussione critica. Un quinto livello può essere pedagogico, costituito da suggerimenti per discussioni in classe, da un modello di programma di studio e da pacchetti didattici. E un sesto livello può contenere le relazioni dei recensori editoriali, gli scambi di messaggi fra autore ed editore, le reazioni dei lettori, che potrebbero costituire un corpus di commenti che cresce progressivamente, man mano che il libro arriva ai suoi diversi pubblici.

Un libro di questo tipo suggerirebbe un nuovo tipo di lettura. Alcuni lettori si accontenterebbero di un rapido sguardo al livello superiore. Altri potrebbero preferire una lettura verticale, seguendo alcuni temi in profondità attraverso i materiali e i saggi di supporto. Altri ancora potrebbero navigare in direzioni impreviste, cercando collegamenti che soddisfino i loro specifici interessi o rielaborando materiali in forme nuove ed autonome. In ogni caso, i testi utilizzati potrebbero essere stampati e rilegati seguendo le indicazioni del lettore. Lo schermo del computer sarebbe utilizzato per ricercare e scorrere i materiali, mentre la lettura concentrata e di largo respiro avverrebbe attraverso il convenzionale volume a stampa.

Potremmo dunque aspettarci che l'evoluzione e la diffusione dell'e-book porti a opere saggistiche e di ricerca caratterizzate da un'organizzazione del testo non necessariamente lineare, modulare e stratificata come ipotizzato da Darnton, e dall'uso di strumenti interattivi (schemi, indici costruiti attraverso diagrammi riorganizzabili) che consentano percorsi diversi di navigazione del testo stesso, a seconda degli interessi e delle esigenze del lettore.

Strutture di questo tipo potrebbero risultare particolarmente utili, ad esempio, in situazioni didattiche, permettendo al docente di organizzare materiali e argomenti indipendenti in funzione delle specifiche esigenze di svolgimento del programma. E, nel caso dei lavori di ricerca, potrebbero aiutare a focalizzare il dibattito di volta in volta sulle singole sezioni e argomentazioni rilevanti. Inoltre, il meccanismo del trackback – che discuteremo più avanti – aiuterebbe a creare il sesto livello ipotizzato da Darnton, quello che raccoglie reazioni e commenti anche successivi alla pubblicazione dell'opera.

Tuttavia, a più di dieci anni dalla pubblicazione del saggio di Darnton, gli esempi di saggistica ipertestuale restano abbastanza pochi, per quanto interessanti, e nella maggior parte dei casi hanno poco a che fare con l'idea di 'libro ipertestuale', avvicinandosi piuttosto a un incrocio fra sito web, database testuale e repertorio di risorse.

Si potrebbe essere tentati di attribuire questa situazione allo stadio di evoluzione dei lettori di e-book, come abbiamo visto ancora lontani dal raggiungere un'effettiva competitività ergonomica con il libro a stampa. Ma questa ipotesi è smentita proprio dalla parte conclusiva del passo di Darnton appena citato: per costruire strutture saggistiche di questo tipo bastano gli strumenti di scrittura e circolazione digitale dei testi di cui siamo già in possesso, e non vi è affatto bisogno di buoni dispositivi digitali di lettura. Anzi, Darnton – che ricordiamo scrive nel 1999, ma non ha modificato in nulla questa sezione del saggio nel ristamparlo dieci anni dopo – non attribuisce ai dispositivi di lettura alcun ruolo particolare e, in perfetto accordo con una tradizione che abbiamo visto ancora largamente maggioritaria fra gli studiosi, ipotizza che la lettura di largo respiro avvenga comunque "attraverso il convenzionale volume a stampa". Nel frattempo, il diffondersi del print on demand ha semmai reso questa procedura più semplice e ancor meno costosa.

Perché, allora, l'idea di una nuova forma-libro ipertestuale di ambito saggistico non sembra per ora decollare, proprio come abbiamo visto non decollare l'idea di una forma-libro ipertestuale in ambito letterario?

Ho l'impressione che – accanto all'indubbia difficoltà della sfida proposta da Darnton, che presupporrebbe un lungo e faticoso lavoro di preparazione e, forse, una più attenta capacità di valutazione accademica per le forme di testualità diverse da quella tradizionale – anche in questo caso giochino un ruolo centrale proprio le ragioni di organizzazione retorica dei contenuti che abbiamo già ricordato. Anche se i lavori saggistici e di ricerca hanno – o dovrebbero avere – una salda e solida struttura argomentativa, la loro componente per così dire 'narrativa' e retorica non è affatto secondaria. E tale componente richiede da parte dell'autore un controllo maggiore del percorso del lettore nel testo, proprio come accade nel caso della narrativa. L'autore non vuole solo convincere il lettore della correttezza formale delle proprie argomentazioni: vuole anche coinvolgerlo e affascinarlo, e questo si può fare assai meglio accompagnandolo lungo un percorso prefissato – e sapientemente organizzato anche a questo scopo – anziché lasciandolo libero di muoversi a proprio piacimento.

Se questa ipotesi è corretta, la forma-libro che abbiamo ereditato dalla tradizione lega fra loro narrativa e saggistica argomentativa in maniera assai più stretta di quanto non si possa ritenere a prima vista: in entrambi i casi, l'elemento affabulatorio ha un ruolo rilevante che rende assai difficile (e assai costoso in termini di efficacia retorica) il passaggio alla forma ipertestuale.

Resta il settore delle opere di documentazione e riferimento, che abbiamo esemplificato nelle pagine precedenti attraverso il caso della guida turistica o museale, ma che comprende evidentemente molte altre tipologie di risorse. In questo caso, la componente narrativa e affabulatoria è minore, e prevale una funzione strumentale assai più efficacemente rappresentata da strutture ipertestuali. Non mi stupirei quindi se, più che da narrativa e saggistica argomentativa, esempi di libri ipertestuali destinati al mondo dei nuovi lettori e-book arrivassero proprio e prevalentemente da questo settore. I prossimi anni permetteranno di confermare – o di smentire – questa ipotesi.

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