Autore Marco Rossari
Coautoreal.
Titolo Racconti da ridere
EdizioneEinaudi, Torino, 2017, Supercoralli , pag. 274, cop.rig.sov., dim. 14x22x2 cm , Isbn 978-88-06-23641-0
CuratoreMarco Rossari
PrefazioneMarco Rossari
LettoreDavide Allodi, 2017
Classe umorismo












 

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Indice


  V Due righe di introduzione. Date retta a Democrito
    di Marco Rossari


    Racconti da ridere


  3 La gentilezza del divertimento - Ridere con stile

  7       P. G. WODEHOUSE   La lotteria dei grassoni

 27     ACHILLE CAMPANILE   Quelli che vanno a letto

 30        DOROTHY PARKER   Freddie

 38          ALAN BENNETT   Una patatina nello zucchero

 53         JAMES THURBER   I Winship si separano


 61 La moderna proposta - Ridere con rabbia

 65         STEFANO BENNI   Papà va in TV

 75          IRVINE WELSH   Dove i rifiuti incontrano il mare

 82         DAVID SEDARIS   Natale significa dare

 92           NORA EPHRON   Della manutenzione

108           MARTIN AMIS   Passaggi di carriera


135 Fu l'ultima volta che le presi - Ridere di sé

139        TIZIANO SCARPA   Come ho preso lo scolo

147      CHARLES BUKOWSKI   Kid polvere-di-stelle


155 Le peripezie del sen - Ridere di te

159           UMBERTO ECO   Nonita

165       MARGARET ATWOOD   C'era una volta

168            MARK TWAIN   Dal diario di Adamo


183 Il nonsenso dell'umorismo - Ridere dell'imperscrutabile

189          MICHELE MARI   Cicoria matta

194       SLAWOMIR MROZEK   La sorte del conte N.

198       ANTON P. CECHOV   La morte dell'impiegato

202         NIKOLAJ GOGOL'  Il naso

231             JORN RIEL   Che ne è poi stato di Emma?

250       JOE R. LANSDALE   Bob il dinosauro va a Disneyland

254      DONALD BARTHELME   La scuola

258         HEINRICH BÖLL   L'uomo che ride


261 Nota biobibliografica


 

 

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Pagina VII

[...]

Cosí è nata l'idea di questa antologia, un'ampia panoramica - personale e selettiva, com'è inevitabile - sui grandi classici e sulle perle minori della letteratura umoristica, a partire da Mark Twain per arrivare fino a oggi, con autori piú e meno noti. E cosí si è preferito raggruppare i racconti in senso tematico, e non cronologico. Parodie, satire, ironie, paradossi, rovesciamenti hanno attraversato le epoche in modo trasversale e hanno lasciato ai lettori avvertiti l'impressione di quanto ampio fosse lo spettro che, da Gogol' a Sedaris, la commedia ha proiettato sul canone letterario e viceversa.

Certo, da quando il cabaret imperversa su tutte le reti non è facile difendere la comicità. Sarà un lavoro sporco, ma qualcuno dovrà pur continuare a farlo: voi smettereste di fare sesso solo perché l'ha fatto anche Donald Trump? Anzi, quanto è importante l'ironia consapevole proprio oggi che ogni battuta - sui social network o su WhatsApp - dev'essere accompagnata da un segno grafico, un emoticon o un emoji, affinché l'interlocutore non dico che la capisca, ma almeno non si offenda? E quanto è decisivo rileggere i classici, acquisirne le basi, adesso che dall'ambiguità dello humour siamo passati alle granitiche collere dei commenti in rete? E cosa ci racconta questo sulle sfaccettature dell'essere umano?


Che cosa sia il riso se lo sono chiesti in tanti, da Pirandello a Bergson a Gregory Bateson. Fino al diciassettesimo secolo la parola «umoristico», come la intendiamo oggi, non esisteva nemmeno. Non c'era un vocabolo per definire il fatto. Eppure c'erano già stati Aristofane, Marziale e tanto altro. Quello comico forse è un linguaggio, innato eppure in fondo accessibile, ereditario ma talvolta assimilabile, diffuso ed elusivo insieme, tale e quale al tempo per sant'Agostino: «Se nessuno mi chiede cos'è, lo so; se devo spiegarlo a chi lo chiede, non lo so piú».

Per chiarirmi le idee, in vista di questa ponderosa introduzione, ho provato ad aprire un saggio di psicologia sull'argomento e ho trovato: «L'ipofisi [P1] che produce l'ACTH [Q1] che stimola la produzione [S1] da parte della corteccia del surrene del composto F, non è mai la stessa ipofisi [P2] che viene a sua volta influenzata dalla conseguente concentrazione [S1] del composto F».

E mi è venuta tristezza.

Ho provato con la biologia e ho scoperto che l'umorismo ossigena il sangue, riduce gli ormoni legati allo stress e rafforza il sistema immunitario grazie a un'accresciuta attività delle cellule T (forse cosí battezzate in onore di Anthony Trollope, che mentre se la rideva leggendo un romanzo umoristico ci rimase secco per un colpo apoplettico), ma insomma non mi bastava.

Ho provato di nuovo con la filosofia.

Voltaire: «Coloro i quali conoscono per quale ragione il tipo di gioia che suscita la risata porti alla trazione del muscolo zigomatico all'indietro verso le orecchie, sono davvero persone sapienti». Grazie tante.

E con Spinoza non migliora. «La risata, - diceva, - è buona di per sé». Eppure, sostengono i suoi amici, rideva solo osservando due ragni che combattevano fino alla morte. Vatti a fidare.

L'umorismo varia secondo l'età, le epoche, le latitudini, il carattere, l'intelligenza e infine l'umorismo stesso. È mercuriale, imprendibile, sfuggente - onnipresente. Una buona battuta rompe il ghiaccio, una storiella risolve una serata, una risata dissipa la malinconia.

Ma il riso è anche sbotto, gaffe, errore, scivolone sulla proverbiale buccia di banana della vita. Cosa c'è di piú divertente - divergente, stavo scrivendo - del lapsus? Se esiste un fool in questo porco mondo, quello è sicuramente il nostro inconscio.

[...]

Perché, allora, dico e scrivo tutte queste scemenze?

Per sopravvivere, credo. E immagino che un po' di questi racconti siano stati scritti per lo stesso motivo. In fondo questa è la mia personale antologia da girare a chi sottovaluta l'umorismo. S'intitola Racconti da ridere ma ridere non è nemmeno necessario. (Avevo un amico che davanti ai film comici non rideva mai. Niente, nemmeno un sorriso. E li amava moltissimo. Quant'era bello - esilarante - il suo riso interiore, cerebrale, morto). Pur mancando tanti nomi che per svariati motivi non è stato possibile inserire, ci sono racconti satirici, ironici, puramente comici, amari, demenziali, intellettualissimi. Esemplari, sorprendenti, inediti, dimenticati. Sagaci, irriverenti, profondi. Qualche premio Strega e perfino un premio Nobel. Tutte queste storie mi hanno fatto ridere ad alta voce o in silenzio, ma anche pensare, riflettere, annuire, ammirato da un lato dell'animo umano a cui non avevo fatto caso o semplicemente dall'arguzia di un personaggio o di una situazione o anche solo dal talento di uno scrittore.

Spero che vi divertano.

[...]

MARCO ROSSARI

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Pagina 65

Stefano Benni

Papà va in TV


È tutto pronto in casa Minardi. La signora Lea ha pulito lo schermo del televisore con l'alcol, c'ha messo sopra la foto del matrimonio, ha tolto la fodera al divano che ora splende in un vortice di girasoli. Ha preparato un vassoio di salatini, un panettone fuori stagione, il whisky albionico e l'aranciata per i bambini. Ha lustrato le foglie del ficus, ha messo sul tavolino di vetro la pansé piú bella. I tre figli la guardano mentre controlla se tutto è in ordine, si tormenta i riccioli della permanente e becchetta coi tacchi sul pavimento tirato a cera. Non l'avevano mai vista in casa senza pantofole.

Anche i tre figli sono pronti.

Patrizio, dodici anni, è sul divano con la tuta da ginnastica preferita, rosso fuoco, e un cappellino degli Strozzacastori di Minneapolis.

Lucilla, sette anni, ha un pigiama con un disegno di triceratopini e tiene in braccio una Barbie incinta.

Pastrocchietto, due anni, è stato imprigionato tra il seggiolone e una tuta superimbottita che gli consente di muovere solo tre dita e un cucchiaio-protesi. È stato drogato con sciroppo alla codeina perché non rompa.

Suonano alla porta. È la vicina di casa, Mariella, col marito Mario, hanno portato i cioccolatini e il gelato che va subito in freezer se no si squaglia.

Mario, in giacca e cravatta per l'occasione, saluta i bambini e stringe con energia la mano a Patrizio.

— Allora, campione, contento del tuo papà?

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Pagina 92

Nora Ephron

Della manutenzione


Sono settimane che cerco di scrivere della manutenzione, ma non è stato facile, e per un motivo molto semplice: la manutenzione mi porta via tanto di quel tempo, che non me ne resta quasi piú per sedermi davanti al computer.

Voi sapete cos'è la manutenzione, ne sono sicura. La manutenzione è quello cui si riferiscono quando dicono «Da un certo punto in avanti, è tutto un rattoppa rattoppa rattoppa». La manutenzione è tutto quello che ti tocca fare per poter uscire dalla porta sapendo che se vai al mercato e incappi in un tizio che un tempo ti ha scaricato, non devi nasconderti dietro a una pila di cibo in scatola. Non che voglia essere troppo letterale al riguardo, ma ci sono un paio di vecchi boyfriend che temo sempre di incontrare per caso, sebbene non ci sia nessuna possibilità - se mai succedesse - che riesca a riconoscerli. Senza contare che vivono in altre città. Ma il punto è che penso ancora a loro ogni volta che sarei tentata di uscire di casa senza mettermi l'eyeliner.

Ci sono due tipi di manutenzione, naturalmente. C'è la manutenzione dello Statu Quo, ovvero le cose che devi fare ogni giorno, o una volta la settimana, o una volta al mese, giusto per restare piú o meno in pari. E poi c'è la manutenzione che devi fare ogni mese, o ogni anno, o ogni due anni circa, ed è la manutenzione che io etichetto come Patetici Tentativi di Tirare Indietro l'Orologio. In questa categoria rientrano il lifting facciale, la liposuzione, il botulino, interventi odontoiatrici e la Rimozione di Cose Orripilanti - le vene varicose, per esempio, le macchie della pelle e quegli irritanti puntini rossi che dopo una certa età proliferano sul tuo décolleté senza una vera ragione. Non intendo affrontare qui questi argomenti. Per ora, mi concentrerò solo sulla routine, le cose di tutti i giorni, quelle che sono necessarie per non sembrare una sciattona che si sta lasciando andare.




I capelli.


Cominceremo, mi spiace dirlo, dai capelli. Mi spiace dirlo perché la cura che richiedono i capelli è decisamente strabordante. A volte penso che non doversi piú preoccupare dei capelli sia il vantaggio segreto della morte.

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Pagina 165

Margaret Atwood

C'era una volta


- C'era una volta una ragazza povera, bella e buona, che viveva con una matrigna malvagia in una casa nel bosco.

- Nel bosco? Bosco è cosí passatista, voglio dire, ne ho fin qua di tutta questa roba legata alla natura. Non è un'immagine adatta alla società di oggi. Proviamo con qualcosa di urbano, una volta tanto.

- C'era una volta una ragazza povera, bella e buona, che viveva con una malvagia matrigna in una casa in periferia.

- Meglio. Ma ho dei seri dubbi per quel che concerne quel povera.

- Ma era povera!

- La povertà è relativa. Viveva in una casa, no?

- Sí.

- Allora, dal punto di vista socio-economico, non era povera.

- Ma i soldi non erano suoi! Il punto della storia è proprio che la matrigna malvagia la costringeva a indossare vestiti vecchi e a dormire nel camino...

- Ah-ah! Avevano un camino! I poveri, lascia che te lo dica, non ce l'hanno un camino. Vieni a farti un giro al parco, o alla stazione, di notte, o dovunque si buttino a dormire coperti solo dai cartoni, e te li faccio vedere io, i veri poveri!

- C'era una volta una ragazza della classe media, bella e buona...

- Fermo lí. Credo che potremmo fare a meno di quel bella, che dici? Già cosí, ora come ora le donne devono vedersela con dei modelli irraggiungibili, con tutte quelle bonazze nelle pubblicità. Non potresti renderla, be', piú normale?

- C'era una volta una ragazza un po' sovrappeso e con i denti un po' sporgenti che...

- Non mi sembra bello prendere in giro qualcuno per il suo aspetto. In piú, incoraggi l'anoressia.

- Non stavo prendendo in giro nessuno! Mi limitavo a descrivere...

- Niente descrizione. Le descrizioni opprimono. Ma puoi dire di che colore era.

- Di che colore?

- Certo. Nera, bianca, rossa, gialla. Puoi scegliere. E lasciatelo dire, ne ho fin qua dei bianchi. Cultura dominante e tutto...

- Non so di che colore fosse.

- Be', facile che sia del tuo colore, allora.

- Ma che c'entro io? Si tratta di una ragazza...

- Tu c'entri sempre.

- Ho come l'impressione che non ti interessi sentirla, questa storia.

- Be', ok, vai avanti. Puoi sempre dire che era un frutto dell'ibridazione interrazziale. Aiuterebbe.

- C'era una ragazza di origini incerte, dall'aspetto normale e buona, che viveva con la sua malvagia...

- Un'altra cosa. Buona e malvagia. Non credi che dovresti trascendere certe categorie puritane e moralistiche? Voglio dire, è tutta una questione di educazione, no?

- C'era una volta una ragazza, dall'aspetto normale e benintenzionata, che viveva con la sua matrigna, che era tutt'altro che disponibile e affettuosa perché lei stessa aveva subito degli abusi nell'infanzia.

- Meglio. Ma questi stereotipi femminili negativi mi hanno stufato! Le matrigne, tocca sempre a loro! Perché non un patrigno, eh, che dici? Avrebbe anche piú senso, se ci pensi, visti i pessimi comportamenti che stai per raccontare. E buttaci dentro delle fruste e delle catene. Sappiamo tutti come sono questi uomini di mezz'età: malati, repressi...

- Hey, calma! Io sono un uomo di mezz'età...

- Oh, piantala, caro il mio impiccione. Nessuno ti ha costretto a ficcarti in questa cosa. È una faccenda tra noi due. Va' avanti.

- C'era una volta una ragazza...

- Quanti anni aveva?

- Non lo so. Era giovane.

- Finisce che si sposano, no?

- Be', non voglio fare spoiler, ma sí.

- Allora piantala con questa terminologia paternalistica. È donna, amico. Donna.

- C'era una volta...

- Cosa sono questi era, una volta? Basta con il passato. Il passato è morto. Raccontami di adesso.

- C'è...

- Quindi?

- Quindi, cosa?

- Quindi, perché non qui?

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Pagina 168

Mark Twain

Dal diario di Adamo


Lunedí

Questa nuova creatura dai capelli lunghi mi sta addosso. Mi ronza sempre intorno e mi segue ovunque. Questa storia non mi piace: non sono molto abituato ad avere compagnia. Perché non se ne resta con le altre bestie? Oggi nuvoloso, vento da est: temo che avremo un temporale... Avremo? Da dove spunta questa parola? Adesso ricordo: è la nuova creatura che la usa sempre.


Martedí

Sono stato a guardare le grandi cascate. Secondo me sono la cosa piú bella di tutta la tenuta. La nuova creatura le chiama Cascate del Niagara: chissà perché, non ne ho idea. Quella dice che somigliano alle Cascate del Niagara. Ma questo non è un buon motivo, questo è solo cocciutaggine e stupidità. A me mica viene mai voglia di dare i nomi alle cose. La nuova creatura, invece, dà un nome a tutto quello che le capita a tiro, prima ancora che io possa aprire bocca per protestare. Inoltre si aggrappa sempre allo stesso pretesto: somiglia a questo, somiglia a quello. Prendiamo l'armadillo. Stando a lei, non appena lo vedi, pensi subito che «somiglia a un armadillo». E che si chiama cosí, poco ma sicuro. Mi stanca pensare a queste cose e oltretutto non ne vedo l'utilità. Armadillo! Non somiglia a un armadillo piú di quanto non gli somigli io.


Mercoledí

Mi sono costruito una capanna per ripararmi dalla pioggia, ma mica sono riuscito a starci in pace. Ci si è subito intrufolata la nuova creatura. Quando ho cercato di farla smammare, lei ha fatto uscire dell'acqua da quei buchi con cui guarda il mondo e se l'è asciugata con il dorso delle zampe, poi ha fatto dei versi tipo quelli degli animali quando soffrono. Che bello se non parlasse... E invece parla di continuo. Sembra un insulto gratuito alla povera creatura, un'offesa, ma non è cosí. È che io una voce umana non l'avevo mai sentita prima e ogni suono insolito che trapela nel silenzio solenne di queste solitudini sognanti, mi ferisce l'udito e risuona come una nota falsa. E questo nuovo suono è sempre cosí vicino a me, alla mia spalla, al mio orecchio, prima di qua e poi di là, mentre io sono abituato a suoni piú distanti da me.


Venerdí

La creatura continua imperterrita ad affibbiare nomi a tutto, qualsiasi cosa io faccia. Avevo dato un bellissimo nome per la tenuta, molto musicale e carino: Giardino dell'Eden. Tra me e me, io continuo a chiamarlo cosí, ma in pubblico no. Lei dice che è fatto di boschi e di rocce e di panorami, e quindi non assomiglia per nulla a un giardino. Al massimo secondo lei assomiglia a un parco, solo e soltanto a un parco. E cosí, senza nemmeno consultarmi, ecco che gli ha dato un nuovo nome: Parco delle Cascate del Niagara. A me sembra una vera prepotenza. E ci ha messo pure un cartello: Non calpestare le aiuole.

La mia vita non è piú felice come un tempo.

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Pagina 254

Donald Barthelme

La scuola


Be', c'erano tutti quei bambini fuori in giardino a piantare alberi, vedi, perché eravamo convinti che... che facesse parte del loro percorso formativo, capire come funzionano, hai presente, gli apparati radicali... e anche il senso di responsabilità, prendersi cura di qualcosa, essere responsabili in prima persona. Non so se mi spiego. E gli alberi sono morti tutti. Forse il terreno aveva qualcosa che non andava, oppure la roba che ci hanno dato al vivaio non era di prima qualità. Abbiamo protestato. E quindi, ci siamo ritrovati con trenta ragazzini, ognuno con il suo alberello da piantare, e trenta alberi morti. Tutti quei bambini che guardavano una serie di stecchi marroni, era una cosa deprimente.

Non sarebbe stato cosí tragico, se non che, solo una settimana prima della faccenda degli alberi, erano morti tutti i serpenti. Ma credo che i serpenti... Be', il motivo per cui i serpenti sono schiattati era che... ti ricordi, la caldaia è rimasta spenta quattro giorni per via dello sciopero, e quello era spiegabile. Era qualcosa che si poteva motivare ai bambini adducendo lo sciopero come causa. Cioè, nessuno dei loro genitori li avrebbe mai lasciati attraversare la linea del picchetto, e loro sapevano che c'era uno sciopero in atto, e quello che significava. Cosí, quando tutto è ricominciato e abbiamo scoperto i serpenti, non erano troppo turbati.

Quanto agli orti, probabilmente sono stati annaffiati troppo: almeno ora sanno che non lo devono fare. I bambini sono stati molto scrupolosi con i loro orti e probabilmente alcuni di loro... sai com'è, gli hanno allungato un po' d'acqua in piú mentre noi non guardavamo. O forse... be', non vorrei fare ipotesi di sabotaggio, anche se ci abbiamo pensato. Cioè, ci è saltato in mente. Abbiamo fatto quell'ipotesi, probabilmente, perché prima erano già morti i gerbilli, ed erano morti i topolini bianchi, e la salamandra... be', almeno ora i bambini sanno che non li devono portare in giro dentro i sacchetti di plastica.

Naturalmente ci aspettavamo già che morissero i pesci tropicali, quella non è stata una sorpresa. Quando sono cosí tanti, basta guardarli e te li ritrovi a pancia in su sul pelo dell'acqua. Ma il programma delle lezioni esigeva un modulo sui pesci tropicali proprio in quel momento, quindi non potevamo farci nulla, succede tutti gli anni, basta dimenticarselo in fretta.

In teoria, non dovevamo nemmeno avere un cucciolo.

In teoria non dovevamo nemmeno averlo, era solo un cagnolino che la figlia dei Murdoch aveva trovato sotto un camion dei supermercati Gristede, un giorno, e temeva che il camion l'avrebbe investito quando l'autista sarebbe ripartito dopo la sua consegna, cosí se l'era infilato in cartella e se l'era portato a scuola. E cosí avevamo un cucciolo. Appena lo vidi pensai: «Cristo, scommetto che questo resta vivo piú o meno due settimane, e poi...» ed è successo proprio cosí. Non doveva nemmeno entrare nell'aula, ci sono delle regole in proposito, ma non puoi dire ai bambini che non possono tenere un cucciolo quando il cucciolo è già lí, davanti a loro, che gira in cerchio sul pavimento e fa bau bau. L'avevano chiamato Edgar: cioè, l'avevano chiamato come me. Si divertivano molto a corrergli dietro gridando: - Vieni qui, Edgar! Bravo Edgar! - Poi scoppiavano a ridere a crepapelle. Quell'ambiguità li divertiva. E divertiva anche me. Non mi dispiace farmi prendere in giro. Gli avevano costruito una piccola cuccia nello stanzino delle provviste, eccetera eccetera. Non so di cosa sia morto. Cimurro, credo. Probabilmente non era vaccinato. Ogni mattina controllavo lo stanzino delle provviste, di routine, perché sapevo già cosa sarebbe successo. Dopo l'ho lasciato al guardiano.

Poi c'era quell'orfano coreano che la classe aveva adottato tramite l'associazione Help the Children: ogni bambino portava un quarto di dollaro al mese, l'idea era quella. È stata davvero una disgrazia: il ragazzino si chiamava Kim e forse l'avevamo adottato troppo tardi, o roba del genere. Nella lettera che ricevemmo non specificavano le cause della morte, ma suggerivano che adottassimo un altro bambino al suo posto e ci avevano spedito dei resoconti di situazioni davvero significative, ma non ce la sentivamo proprio. La classe l'aveva presa piuttosto male: i bambini avevano cominciato a convincersi (o almeno credo, perché nessuno mi ha mai detto nulla direttamente) che forse la scuola aveva qualcosa che non andava. Ma non credo che la scuola abbia qualcosa che non va in particolare: ne ho viste di meglio, e ne ho viste di peggio. È stata solo una sfilza di casi sfortunati. Per esempio, un numero incredibile di genitori sono mancati. Ci sono stati due infarti, credo, e due suicidi, un annegamento e quattro morti insieme in un incidente stradale. Un ictus. E c'era il solito tasso alto di mortalità tra i nonni, o forse quest'anno era piú alto del solito, almeno cosí pareva. E infine è arrivata la tragedia.

La tragedia è successa quando Matthew Wein e Tony Mavrogordo stavano giocando nel punto in cui ci sono gli scavi per il nuovo palazzo del governo federale. C'erano tante grosse travi di legno impilate sul ciglio degli scavi, avete presente. C'è una causa in corso, i genitori dei bambini sostengono che le travi erano state impilate con incuria. Io non so cosa sia vero e cosa no. È stato un anno strano.

Ho dimenticato di citare il padre di Billy Brandt, che è stato accoltellato a morte mentre lottava con un intruso mascherato che era entrato in casa sua.

Un giorno abbiamo discusso in classe. Mi hanno chiesto: - Dove sono andati? Gli alberi, la salamandra, i pesci tropicali, Edgar, i papà e le mamme, Matthew e Tony, dove sono andati? - E io ho risposto: - Non lo so, non lo so -. E loro: - Chi lo sa? - E io: - Nessuno lo sa -. E loro: - È la morte che dà un senso alla vita? - E io: - No, è la vita che dà un senso alla vita -. Poi loro hanno detto: - Ma la morte, considerata come riferimento fondamentale, non è forse il mezzo grazie al quale la prevedibile futilità del vivere quotidiano si può trascendere in direzione di...

E io ho risposto: - Sí, può essere.

E loro: - Non ci garba.

E io: - Be', mi pare legittimo.

E loro: - È proprio un peccato, cavolo!

E io: - Sí.

E loro: - Maestro, puoi fare l'amore con Helen (la nostra tirocinante), cosí vediamo come si fa? Lo sappiamo che ti piace Helen.

È vero che mi piace Helen, ma ho risposto di no.

- Ne abbiamo sentito parlare cosí tanto, ma non l'abbiamo mai visto fare, - hanno detto.

Io ho detto che mi avrebbero licenziato, e che non si faceva mai l'amore a scopi dimostrativi. Helen guardava fuori dalla finestra.

E loro: - Dài, dài, fai l'amore con Helen, abbiamo bisogno di una manifestazione di valori forti, abbiamo paura.

Gli ho detto che non dovevano avere paura (per quanto capitasse spesso anche a me) e che di valori forti ce n'erano dappertutto. Helen è venuta ad abbracciarmi. Le ho dato qualche bacio sulla fronte. Ci siamo stretti. I bambini erano esaltati. Poi hanno bussato alla porta, io ho aperto ed è entrato il nuovo gerbillo. I bambini sono esplosi in un applauso selvaggio.

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