Autore Giulio Sapelli
Titolo Nella Storia mondiale
SottotitoloStati Mercati Guerre
EdizioneGuerini e Associati, Milano, 2021, Sguardi sul mondo attuale , pag. 338, cop.fle., dim. 14x21x2,5 cm , Isbn 978-88-6250-807-0
LettoreRiccardo Terzi, 2021
Classe politica , storia contemporanea , storia sociale












 

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Indice


 11  INTRODUZIONE

 35  I     I CAMBIAMENTI STRAORDINARI

 47  II    IL MONDO INVERTEBRATO DEI BOULANGER

 51  III   TEORIA PER IL NUOVO MONDO

 61  IV    LA RAGION DI STATO E LA RUSSIA

 69  V     INSTABILITÀ

113  VI    CRESCENTE DIVERGENZA MONDIALE

171  VII   HERE WE GO AGAIN

185  VIII  LA CRISI SIRIANA.
           VEDERE TRA IL GIOCO DI SPECCHI

191  IX    LA FOLLIA ECONOMICA, LE TECNOCRAZIE
           E LA TRANSIZIONE ENERGETICA

211  X     DOPO LA CITTÀ NEL CAPITALISMO COME RELIGIONE

223  XI    IL CORPO MISTICO DELL'EUROPA E DELLE BANCHE CENTRALI

265  XII   IL RITORNO ALL'ECONOMIA MORALE

303  XIII  PER CONCLUDERE (NELLA PANDEMIA GLOBALE)

329  RINGRAZIAMENTI

331  INDICE DEI NOMI


 

 

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Pagina 11

                        L'uomo è sempre vissuto nella storia ma tutte le culture
                        umane, salvo quella occidentale, hanno speso tesori di
                        energia creativa per mascherare la storicità
                        dell'esistenza.

                                          ERNESTO DE MARTINO, La fine del mondo.
                              Contributo alle analisi delle apocalissi culturali


                        Tutte le cose confluiscono l'una nell'altra: il bene nel
                        male, la generosità nella giustizia, la religione nella
                        politica, gli anni nelle epoche, il mondo nell'universo.
                        A chi ne tiene conto l'evoluzione della specie apparirà
                        come un minuscolo e banale processo entro quel medesimo
                        movimento.
                                                                    THOMAS HARDY





INTRODUZIONE



Il contenuto di questo libro è una ricerca Des choses cachées depuis la fondation du monde, per riprendere l'ispirazione del capolavoro di René Girard , ossia una ricerca sulle origini profonde di che cosa sia successo al mondo negli anni della cosiddetta «globalizzazione» sino a giungere alla crisi pandemica mondiale del 2020.

La mia ricerca si fonda, come tutti i miei lavori precedenti, sulla scorta dei «testi sacri» della teoria comune al «pensiero umanistico mondiale», pensiero rifiutato con sdegno isterico e ideologico dagli «imbecilli pubblicati» planetariamente: fastidio, sdegno e isteria incomprensibili se non ricorrendo alla psicoanalisi junghiana o freudiana che sia.

La mia convinzione profonda è che la causa prevalente, la variabile indipendente, insomma, di tutto ciò che è successo risieda nella cultura e non solo nei landscapes simbolici.

Si tratta in primo luogo della vittoria egemonica dell'ordo-liberismo teorizzato negli anni Trenta negli Usa e negli anni Quaranta del Novecento in Germania.

Se non si ricordano con lucidità, un'altra volta, quelle teorie e quelle condizioni socio-economiche che esse - in più di sessant'anni - hanno contribuito a creare nel mondo, non si può comprendere cosa succederà nel dopo-pandemia.

Infatti, se non poniamo mente a quali erano le condizioni dell'economia e delle società mondiali prima del coronavirus, non comprendiamo nulla di ciò che ci aspetta in futuro, se «la Resurrezione» non giungerà.

Le fondamenta mondiali «pre-pandemia» dei sistemi di proprietà e le radici profonde delle formazioni economico-sociali sono rimaste strutturalmente le stesse sino a oggi.

Le trasformazioni politiche sono state, invece, profonde e sono di fatto culminate in tutto il mondo nell'indebolimento delle strutture statali weberiane, sostituite via via da forme estese di patrimonialismo che va dagli Stati africani, dove esso ha radici post-coloniali e territoriali e clanistiche, al modello sudamericano che ha esacerbato il neo-caciquismo descritto da Joaquin Costa nel suo capolavoro sulla vita politica spagnola, pubblicato nel 1901 ma sempre più attuale. Si va dallo spappolamento dei partiti politici in clan dominati da imprenditori politici ed economici aggregati in piccoli gruppi, al modello degli Stati a common law dove i caucus plutocratici degli affari si sono mescolati ai «quasi gruppi» locali di interesse multietnici afroamericani, wasp, neri e latini in un mosaico formidabile per varietà e libertà di espressione, sino alla poliarchia europea dominata dagli Stati indeboliti dalla sottrazione di sovranità dall'alto per le tecnostrutture ordo-liberiste dei trattati che si sono susseguiti da Maastricht e oltre.

Con tutti i «regolamenti» che ci attanagliano ben si comprende come i partiti si siano sgretolati in Europa con la sola eccezione della Germania, unitamente a un pugno di Stati scandinavi anch'essi con partiti sopravvissuti «dentro» e «attorno» a forti Stati weberiani ordo-liberisti da manuale. Lo stesso fenomeno di sgretolamento dei partiti politici storici è avvenuto in Sud America, con la dissoluzione dell'Apra in Perù, con la letterale scomparsa politico-istituzionale del desarollismo radicale in Argentina, con la decomposizione rapida dei partiti «liberali» storici colombiani (mentre la guerra civile e la lotta armata clandestina - che gode di immensi appoggi tra le popolazioni rurali - invece continuano).

Senza dimenticare ciò che è successo in Messico, dove la frantumazione dell'istituzionalismo - che aveva guidato la liberalizzazione e la distruzione del welfare - si è affermata senza dare a quella storica nazione una stabilità che consenta di sconfiggere il narcotraffico e gli omicidi di massa provocati dai narcos per governare così vasti territori e minacciare lo Stato con il terrore.

Gli Usa sono nudi dinanzi agli occhi di tutti, con la profonda trasformazione delle loro classi politiche: il sistema dei partiti è, tuttavia, rimasto intatto, ma in questi ultimi anni il complesso militar-industriale - che è il motore fondamentale della potenza nordamericana - ha costretto alle corde l'arrogante prevalenza distruttrice della finanza sregolata, con le conseguenti disfunzioni nella circolazione delle élite paretiane.

In definitiva, la grande trasformazione che è avvenuta nel mondo a partire da Bretton Woods pareva simile a quella che avvenne tra il Congresso di Vienna e la Prima guerra mondiale; ma nella sostanza è stata esattamente opposta.

Allora si fondò il mondo moderno e si generò il mercato regolato non dallo Stato, ma dalla haute finance e dalle big corporations, con i correttivi allo stesso mercato costituiti dai partiti politici: essi, mentre organizzavano la democrazia, come per primo capì Ostrogorski , che Gaetano Quagliariello ha fatto conoscere in Italia tanti anni orsono, costruivano un rapporto tra Stato e cittadini fondato su sistemi di welfare. Un loro ruolo sempre sottovalutato e non riconosciuto dalla stessa teoria sulla macchina partitica. Lo fecero, quel miracolo, i partiti di massa rank and file, dando vita alle basi della «società del welfare», tra le due guerre e nel corso della guerra civile europea contro l'Urss, fase della storia mondiale che segue quella ben descritta da Karl Polanyi in quel suo immenso libro che è La grande trasformazione.

Quello che accadde dopo la Seconda guerra mondiale fu complesso e per molti versi imprevedibile: per un breve arco di anni parve continuare intatto il mondo che ho evocato, mentre si ponevano, invece, le basi della sua profonda trasformazione.

Da Bretton Woods a oggi quello che è avvenuto, come ho cercato di descrivere in alcuni dei miei lavori e come due studiosi francesi hanno minuziosamente e meravigliosamente ricostruito con gli strumenti della storiografia intellettuale, è una trasformazione ancora più profonda, forse, di quella descritta da Polanyi. Sfortunatamente per l'umanità, tale trasformazione ancora si tiene in vita. Gli anni che sono intercorsi dalla fine del secondo conflitto mondiale agli anni Ottanta del Novecento, che pareva fossero - per i molti - fondativi di un nuovo ordine socialdemocratico che elevava a modello il sistema europeo di economia mista e di welfare, erano in sostanza, invece, solo il frutto caduco della crescita economica mondiale nella congiuntura della post-guerra coreana.

Negli anni Ottanta del Novecento, infatti, tutto sarebbe mutato.

Mi riferisco alla «rivelazione», che dopo gli anni della crescita - dal decennio Cinquanta al decennio Settanta del Novecento - avvenne di quel nuovo liberismo economico che aveva costruito, nell'ignavia del mondo, il costrutto istituzionale europeo e mondiale fondato su una serie di trattati e sul dominio, in Europa, delle idee dell'ordo-liberismo teutonico e della scuola della regolazione francese. Era la risposta europea al neoliberismo nordamericano, che non si fondava più sul rifiuto dell'azione dello Stato, per lasciar mano libera a un mercato fantasmatico abitato da attori robinsoniani che avrebbe dovuto esistere in natura, come esisteva nell'immaginario fisiocratico e in quello della scuola austriaca in economia. Non esistendo in natura, lo Stato doveva inverarlo.

Dopo la Seconda guerra mondiale, grazie al lavoro intellettuale di gruppi di studiosi spesso neppure tra loro legati, tanto in Usa, quanto e soprattutto in Germania, si posero le basi del mondo di oggi.

Fondamenta culturali, non economiche, che oggi drammaticamente rallentano e rallenteranno la fuoriuscita mondiale dalla pandemia sul piano economico, sociale e soprattutto culturale: il più importante di tutti gli altri.

Quel mondo neoliberista impedisce la «Resurrezione» dopo la tragedia pandemica, come sempre ci esorta, invece, a fare escatologicamente la «lettera» di san Paolo ai Romani.

Ciò di cui oggi siamo prigionieri sta scritto nelle opere non di grandi pensatori, di immensi intellettuali, ma di severi accademici di grande onestà e di sobrio stile di vita che non raggiungono affatto le vette né della scienza né della gloria filosofale: funzionari del «capitalismo regolato», sorretto dallo Stato e dalla legge e da ordinamenti di fatto quando sia le leggi sia le Costituzioni tacciono.

Elite non legittimate governano il mondo.

E qui si comprende la tragedia in cui siamo incorsi, tra Hollywood e la torsione illiberale della democrazia.

Mi riferisco ai pensatori che fondano il mondo che ha preparato le società allo sgretolamento sotto i colpi della pandemia: Walter Lippmann (fondamentale il suo The New Imperative) e soprattutto, altrettanto e forse ben più fondamentale, Walter Eucken.

Per intenderci, codesti modestissimi pensatori non sarebbero mai stati ritratti in una «Scuola di Atene» del divino Raffaello. Ma le loro idee, fatte proprie dai poteri situazionali di fatto della finanza e prima ancora delle grandi corporations, hanno dominato e dominano il mondo tra le «serie televisive» e i regimi illiberali che stiamo da molti anni costruendo come umanità dotata di mondi vitali privi di cultura umanistica.

A opporsi a questa trasformazione, nel mondo borghese e non in quello marxista e sovietico, fu sino agli anni Sessanta del Novecento il pensiero critico francese che ebbe in Charles de Gaulle e in Jacques Léon Rueff i suoi illustri campioni, ma che fu sconfitto allorché si trattò di ricostruire l'economia mondiale iniziando da un'Europa in pericolo per la pressione sovietica. Allora si decise, dopo il 1957, di dare un nuovo volto all'Europa: un volto ordo-liberista.

Vinsero coloro che propugnavano e propugnano, ieri come oggi, il ruolo dello Stato non solo per imporre l'economia di mercato, ma per imporre altresì una minuta regolamentazione della stessa, attraverso la creazione di istituzioni internazionali tutte ispirate, anche nel loro vestire tecnocratico, all'utopia della pace universale propria dell'Onu e prima ancora al Patto Briand-Kellogg, del 1928. Solo che Fmi, Ocde, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale della Sanità e, infine, i Trattati europei, via via succedutisi, non sono i fautori della pace universale. Ciò che accadde a Parigi, nel 1928, nel Salon de l'Horologe del Quai d'Orsay, là dove si firmò il Patto Briand-Kellogg, e dove si era già tenuta la prima riunione della Società delle Nazioni nel 1920, non era che l'anticipazione della trasformazione via via più compulsiva del governo del mondo avvenuta con sempre maggiore intensità dal finire del decennio Settanta del Novecento, con l'avvento della finanza sregolata e delle famiglie nordamericane da essa nutrite e portate al potere. Un potere che sarà non più fondato sul principio del realismo dettato da Vegezio: «Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum», ma, come discorrerò in questo libro, al contrario, sui principi dell'umanitarismo neocon, sulle orme tutte ideologiche di Leo Strauss. La guerra unipolarista, come l'ha definita nelle sue opere fondamentali David Calleo, velata da un'ideologia sempre più oppressiva e fondata sulla falsità dei landscapes della political correctness, diventerà il nuovo credo universale degli «Internationalists». Essi sono, inoltre e conseguentemente, i propugnatori perennemente attivi del governo tecnocratico non eletto, delegato.

L'Europa, esempio tragico e preclaro dell'inveramento di questa avventura dello spirito, l'Europa sottoposta al controllo dei Trattati non ha una Costituzione, ma solo dei rapporti di potenza nazionali schermati dai regolamenti, ignoti ai più e in primo luogo a coloro che dovrebbero farli agire attraverso le democrazie nazionali. Esse, le democrazie nazionali, ancora rimangono in piedi, ma senza più forza vitale.

Il conflitto di potenza è, infatti, alla base di un insieme di Stati non uniti da un disegno costituzionale né federale né confederale, con un profilo giurisprudenziale dell'ordine ricercato volta a volta con sempre più fatica attraverso il dominio del paradigma di mercato.

Paradigma continuamente imposto da una schiera di non eletti nelle vesti della tecnocrazia schermata ideologicamente, creando in tal modo un velo che oscura la verità e che alimenta scenograficamente un palcoscenico illusorio.

Sul palcoscenico politico mondiale recitano un manipolo di compagnie di ventura. La questione sì è aggravata quando è apparsa sulla scena l'altra grande trasformazione: la trasformazione del capitalismo neoliberista in capitalismo a finanza dispiegata.

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Pagina 19

La crisi esogena di blocco simultaneo della domanda e dell'offerta provocata nel 2020 dalla pandemia non ha bloccato la finanza e la sua tecnologica virulenza. Anzi, grazie alla stessa innovazione che ha consentito di ricostruire le relazioni tra i viventi in condizioni virtuali di comunicazione interattiva tramite le onde magnetiche (è sempre Marconi che ci ha donato tutto ciò che riguarda il dominio tecno-umano dell'etere) il mondo è andato avanti tra webinar e costrutti dell'intelligenza artificiale. Quest'ultima ha abbandonato il campo della ricerca militare per confluire nella creazione di «ondate Kondratiev» che dilagano nell'economia civile regolata.

L'economia mondiale è arrivata all'appuntamento con il Covid-19 nella peggiore delle situazioni possibili, con alta vulnerabilità al debito e alta leva finanziaria speculativa: la pandemia ha avuto un effetto catalizzatore amplificando tutta una serie di drammi sociali che erano evidenti da tempo e che dovevano essere portati, dalla crisi pandemica, a un'inusitata esplosione.

Le bolle speculative su credito ed equity che circolavano prima del coronavirus attendevano la miccia della crisi esogena per esplodere: la crisi finanziaria, del resto, sarebbe arrivata comunque, anche solo per una semplice recessione. E questo perché il modello mondiale del capitalismo a finanza dispiegata si fonda sull'eccesso di leva, sull'abbassamento dei redditi, su un enorme debito speculativo e deboli investimenti nell'economia reale per la deflazione secolare in cui siamo immersi, banche centrali e non banche centrali.

Ecco un sistema socio-economico non solo europeo, ma mondiale che dipende da quanto debito si è in grado di fare, senza tenere conto della qualità del debito e della sua utilizzazione. Qualità del debito che è invece essenziale per evitare o non evitare le crisi cicliche: esse si evitano, sia pure per breve tempo, se il tasso di crescita del debito è inferiore al tasso della crescita economica, grazie agli investimenti in stock di capitali, in capitale organico.

Il tutto in un costante deperimento dei redditi reali del 99% dei viventi umani mondiali. Il debito pubblico e privato, invece, cresce da trent'anni più del reddito e si cerca di sostenerlo con la leva finanziaria provocando le crisi sistemiche continue. Esse sono iniziate con le crisi asiatiche di fine del secondo millennio (Thailandia) e continuano ciclicamente sino a oggi.

Il debito diventa, insieme, da un lato un teorico divieto europeo e mondiale e dall'altro la condizione della vita artificiale dello stesso capitalismo europeo e mondiale.

È una nuova versione delle contraddizioni capitalistiche marxianamente intese tra rapporti sociali di produzione e sviluppo delle forze produttive: è indubitabile, anche se l'economia borghese di oggi fa di tutto per non vedere e per nascondere.

È per questa contraddizione, per esempio, che si sta dividendo l'Europa: tra Stati che ripiegano lentamente verso una maggiore autoregolazione non ordo-liberista ma di «economia mista», ponendo di fatto il tema di un ritorno crescente a politiche economiche nazionali (gli Stati che con a capo la Francia rifiutano, nel 2020, di ricorrere agli aiuti del cosiddetto Esm che sottostà alle regole fondate sul rifiuto ordo-liberista del debito tout court) e Stati che sono, invece, decisi a fare - grazie al loro potere situazionale di fatto, frutto della coesione sociale e ideologica - dell'Esm uno strumento per muovere verso un più forte controllo (nazionale, si noti) delle leve tecnocratiche europee. Decisivo è, tuttavia, sempre il controllo nazionale e asimmetrico - unitamente alla qualità delle persone nominate - delle nomine dei burocrati europei, così da aver possesso, per via regolatoria, della vita economica e sociale di tutti gli altri Stati.

La Germania - per gli effetti del conflitto storicamente endemico con la Francia e allo stesso suo interno tra i poteri situazionali di fatto della sua poliarchia - potrebbe divaricarsi tra i sostenitori di un ordo-liberismo assoluto, come quello descritto, e un'altra Germania, che è trascinata lentissimamente verso il cambiamento in virtù della sua stessa storia borbonica e bavarese, ossia dal legame storico, ideale ed economico con l'Italia, la Spagna e il Sud dell'Europa, giù giù sino alla Turchia: Turchia che, del resto, è già nel cuore stesso della vita sociale tedesca con le migrazioni operaie e che è destinata a un nuovo ruolo internazionale nel conflitto di potenza tra il debole gigante euroasiatico russo e il dominio di quel lago atlantico che è il Mediterraneo, ormai contendibile. In tal modo la Turchia sfida il dominio Usa e declassifica le presenze italiane e francesi nell'area. Può far ciò forte dell'appoggio degli Stati poligamici sunniti e dell'Egitto. L'Egitto si staglia nella storia come la nuova Germania del Grande Medio Oriente, dopo che la Siria, per le guerre iraniane del fondamentalismo sciita contro quello sunnita di origine wahabita - e quindi saudita -, ha distrutto quel geniale accordo che fu il Trattato Sykes-Picot franco-inglese. Oggi esso è stato devastato dall'emergere - ecco una nuova pericolosissima forma della disgregazione degli Stati - della guerra per procura in Iraq, in Yemen e in Siria e in tutto il Grande Medio Oriente. Ecco allora l'emersione di quello Stato asimmetrico che è il fondamentalismo islamico, che altro non è che un capitolo terribile di quella di cui in questo libro voglio discutere: la destatualizzazione del mondo.

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Pagina 22

L'Europa è inerte dinanzi a questi tragici processi. L'impero francese non può dominarli e la Russia deve ricostruire la sua potenza euroasiatica. Solo il risveglio democratico e quindi il riarmo confederale o federale (quale che sia purché sia il frutto di ciò che oggi tragicamente manca: una Costituzione europea), solo il riarmo della Germania può cambiare il corso degli eventi. Se così non avverrà lo spirito dello scorpione tedesco risorgerà e ucciderà la rana che lo trasporta a riva facendo tutti annegare, non solo l'Europa.

E su ciò dirò in chiusura di questo plesso di ragionamenti.

La tentazione al suicidio è sempre presente nella storia tedesca.

Un grande cambiamento è in corso e lega e collega, senza unificare, tutte le frastagliate faglie, gli incerti frattali del mondo che emerge dalla crisi pandemica, tutto disvelando.

Del resto, come cerco di discutere e di proporre in una parte centrale di questo libro, il nesso fondamentale da cogliere tra tutte le trasformazioni in corso è quello della struttura cangiante delle poliarchie mondiali.

Parlo del ruolo crescente di poteri situazionali tecnocratici via via conquistati da strutture non elette e dotate di potere compulsivo non legittimato, ma imposte, invece, dalla trasformazione subita dagli ordinamenti giuridici nazionali per il ruolo crescente assunto da ordinamenti transnazionali di fatto, di natura tecnocratica. Ordinamenti di fatto che un tempo, prima della Seconda guerra mondiale - se si fa l'eccezione dell'Onu, istituzione nata dal cervello wilsoniano dei sognatori della pace perpetua kantiana -, non esistevano.

È questa trasformazione istituzionale mondiale che ci fa dire che il lascito più profondo che una cultura nazionale ha dato al mondo di oggi, il mondo che i più credono che sia quello della cosiddetta globalizzazione, è, invece, il ritorno del cameralismo prussiano. Si tratta del «magico» lascito di una cultura nazionale potentissima quanto a intensità di potenza formativa allo Zeitgeist dell'oggi. Essa è stata insuperabilmente interpretata - e non a caso - sulle sponde nordamericane all'inizio del Novecento da Albion Small, che scrisse nel cuore del capitalismo monopolistico di Stato nascente più potente del mondo il libro migliore su tale cameralismo. Questo riferimento a Small è per me fondamentale per interpretare quanto esso - il cameralismo - sia attuale, più di quanto non fosse ieri, per comprendere l'oggi. Un'attualità, del resto, già stupendamente evocata da Schiera e Miglio negli anni fervidi della mia gioventù.

Nel cameralismo, come è noto, elementi di scienza dell'amministrazione, di economia, di scienza delle finanze, di politica e tecnica agraria e industriale miravano a fondare - come fu - una «possibile» scienza unitaria dello Stato. Stato che veniva inteso come «macchina» che poteva raggiungere l'equilibrio sociale evitando il conflitto, grazie al ricorso continuo a un «ordine» composito e pluridisciplinare, imposto giuridicamente o con ordinamenti «di fatto». Il tutto senza affrontare il problema perenne della scienza politica: ossia quel problema sempre aperto e sempre periglioso tanto per l'ordine quanto per la crescita economica che è la Costituzione e ciò che ne consegue: la democrazia parlamentare.

Di qui l'attualità oggi del cameralismo allorché lo Stato costruito «attorno» e «per» la democrazia parlamentare sta disfacendosi in tutto il mondo. Di qui il ruolo del neo-cameralismo in quello che, sempre i più, definiscono «globalizzazione». Essa altro non è, invece, che «la ricerca di una interdipendenza economica» almeno superiore a quella vigente nel mondo prima della Prima guerra mondiale.

In questo libro si tenta di dare di questo fenomeno molto complesso, che si presenta in forme velate dalle ideologie della pace kantiana o dalle altrettanto irrealistiche volontà revansciste neo-antisemite e neo-fasciste, una spiegazione non transeunte, weberianamente protesa alla comprensione.

Lo Stato e il benessere dello Stato sono il centro dell'ordine sociale: il sistema di finanza pubblica è la soluzione possibile e insieme il problema perenne dell'ordine nazionale. In questo senso i «cameralisti» non erano economisti, ma «teorici non eletti della politica», politica che erano chiamati a esercitare senza mandato popolare.

Di qui il superamento «silente» di ogni teoria della sovranità: essa veniva sostituita dalla teoria dello Stato.

Ma c'è un problema che dovrebbe rendere evidente a tutto il mondo ciò che il neo-cameralismo mondiale non può risolvere e tanto meno lo può l'ordo-liberismo mondiale dispiegato. Parlo dell'immenso problema delle migrazioni, della distruzione degli insediamenti umani stabili che sono frantumati e dissolti con immense nubi di dolore, di sofferenze, di morti e di obnubilamento di ogni pensiero umanitario (dove sono finiti i teorici della pace perpetua kantiana?). Le emigrazioni di massa sono il fenomeno più devastante e doloroso del tempo presente. Solo la politica come «virtù dei migliori» può risolvere problemi di tal fatta.

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Pagina 25

Nel tempo passato, il tempo della creazione dell'accumulazione allargata del capitalismo (su cui, lo si deve ammettere, marxismo o non marxismo, Rosa Luxemburg ha scritto le pagine essenziali e ineguagliate), lo Stato, gli Stati, si ponevano il compito di coordinare e regolare, con la collaborazione dei corpi intermedi (organizzazioni religiose in primis), il traffico umano che doveva garantire l'accumulazione capitalistica e spesso la creazione delle nuove nazioni capitalistiche mondiali con le migrazioni oltreoceano. Oggi, invece, il mercato e quindi la sregolazione amministrata dalla malavita assolve questo compito che non viene «accompagnato» dall'azione delle immense sovrastrutture «regolatrici». Esse, mentre diffondono il pensiero umanitario degli imbelli dinanzi alla guerra, alla morte di massa con nuovi genocidi, al neoschiavismo dilagante, si ritirano dal ruolo che invece dovrebbero assolvere. Ruolo che le numerose Ong non possono certo sostituire. Il tutto viene configurandosi come un'infame menzogna che nasconde il conflitto di potenza dietro il velo delle perdute vite di milioni di persone sofferenti, in un mondo sconvolto dalle guerre locali e dai conflitti nazionali.

Una tragica commedia umana si fonda su un liberismo dispiegato che fa dilagare la malavita e il traffico delle persone, mentre non riesce - quel neoliberismo dominante - a trovare un «ordine» che possa non si dirà risolvere, ma almeno arginare il problema.

La maschera del mondo è un ghigno satanico: il ghigno di un pensiero debole che non riesce a nascondere l'infamia. O meglio: ci riesce benissimo. Ed è, questa, una vera tragedia: spirituale.

In questo contesto mondiale di dissoluzione istituzionale che i professionisti della magia e gli esorcisti neoliberisti e ordo-liberisti chiamano globalizzazione, la «Vecchia Talpa» della storia ritorna: scava. Ma in che direzione? Il «pianeta politico» è immoto e trascinato nella polvere dai soft powers esterni, che non sono più solo quelli delle potenze europee o di quella nordamericana, ma cinesi.

E gli Usa sono investiti da un conflitto interno mai visto prima, con una poliarchia che marcia veloce verso crescenti perdite di potenza internazionale.

E la Cina sta crollando. È il conflitto di potenza che viene velato, anche in questo caso, come cerco di spiegare in questo libro: velato dall'ideologia irrealista degli eredi di Leo Strauss che hanno dimenticato il realismo di Kissinger per occultare di fatto il conflitto di potenza.

Solo recentemente si delinea un ritorno obbligato al realismo, così come accadde nei prodromi delle due guerre mondiali del Novecento per l'emergere di una potenza revisionista. Allora fu la Germania: oggi è la Cina. Anch'essa, come fu per la Germania, ha tratto vantaggio da dei «nuovi Trattati di Monaco». Oggi lo spirito di Monaco è rappresentato nel suo risorgere dall'entrata della Cina nel Wto nel 2001. E oggi come ieri sono essenziali, per comprendere ciò che accade, le divisioni tra le nazioni stabilmente insediate nel gioco di potenza mondiale: allora fu la Francia contro la Germania, mentre gli Usa furono irretiti da un possibile isolazionismo sino a Pearl Harbor. Oggi è la Germania divisa dagli Usa sull'atteggiamento da tenere nei confronti di una Cina ormai decisamente aggressiva in tutto il mondo, a partire dal Pacifico e dall'Eurasia. A dimostrazione di ciò stanno sia il conflitto cino-indiano sempre latente, sia le violazioni continue del diritto marittimo nei Mari della Cina del Sud e nell'Oceano Indiano, che segnalano altresì lo sforzo militare marittimo cinese (anche qui con impressionanti similitudini con le situazioni prebelliche del Novecento).

È stupefacente (come stupefacenti furono l'ignavia e la cecità delle classi dominanti prima delle due guerre mondiali) la cecità delle cuspidi del capitalismo europeo incapace di centralizzazione e di quello finanziario mondiale, a dispetto di numerose vere e proprie manifestazioni dispiegate di codesta aggressività.

E basterebbe leggere, come esempio di tale colpevole cecità o di ignavia interessata, i testi di un intellettuale raffinato come Yan Xuetong , che ci presenta un'esemplificazione raffinata, ma non meno minacciosa, dei disegni dell'attuale gruppo dirigente cinese.

Occorre che ci si renda conto, nella storia presente, del pericolo che la civilizzazione sta correndo, e occorre che il tutto non si risolva in un problema storiografico: un'altra volta.

Questa volta la riproduzione della civiltà sarebbe posta in serio pericolo. Come fu, del resto, dinanzi alle minacce hitleriane e staliniane.

Ma secondo quanto cerco di dimostrare in questo libro, la Cina sta crollando per il peso delle intime contraddizioni insite nella sua struttura di capitalismo monopolistico di Stato a dittatura terroristica. E allora che succederà?

Trascinerà l'intero mondo con sé?

Queste domande esprimono bene il dramma di questo tempo.

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Pagina 28

È certo, tuttavia, che il grande gioco mondiale è solo, di nuovo, un'altra volta, all'inizio. E questa volta, di nuovo e di nuovo e di nuovo, sarà il conflitto tra potenze di mare e potenze di terra a decidere del futuro del mondo.

Gli Usa paiono risvegliarsi da un lungo sonno e nessuno lo prevedeva. Gli Usa hanno reso manifesta, alla fine del luglio dell'anno 2020, una trasformazione del loro orientamento geopolitico che più chiara non poteva essere. A tutti fu evidente il significato delle esercitazioni navali che si svolsero contemporaneamente nell'Oceano Indiano in cooperazione con la Marina militare indiana e nel Pacifico in stretta cooperazione con la Marina militare giapponese. Esse erano dirette contro la Cina.

Iniziava un nuovo corso della politica estera mondiale che vede gli Usa porre le basi, nello stesso tempo, sia dell'abbandono dell'unilateralismo rovinoso su cui David Calleo ha scritto anzitempo pagine antiveggenti, sia nel contempo inaugurando una nuova guerra fredda. Essa, mentre ha la Cina come bersaglio, non potrà non portare a un inarrestabile rafforzamento dell'avvicinamento degli Usa con la Russia di Putin. L'Indopacific Command, con sede nelle Hawaii, tiene sotto controllo il 52% delle acque del pianeta e più di ogni altro esempio rende manifesto il potere talassocratico degli Usa. Contemporaneamente, più a est, nel Mare delle Filippine, la Marina militare americana si era impegnata, come dicevo, in una manovra che vide unite la Royal Australian Navy e la Forza navale di autodifesa giapponese. Tutto si è svolto su quel varco orientale del quadrante del Mar Cinese Meridionale, che il Pentagono - e ora, a quanto pare, anche il Dipartimento di Stato - ha individuato come antemurale di contenimento di Pechino. L'accordo bipartisan in Usa è stato sancito nel 2020 tra i partiti e i poteri situazionali di fatto - sempre instabili - della poliarchia nordamericana, che pone in moto i suoi servo-meccanismi mondiali, e ciò nonostante il durissimo confronto elettorale, a riprova dell'importanza storica delle decisioni assunte.

Gli Usa dimostravano ancora una volta la loro centralità mondiale insuperabile.

Ma la debolezza delle potenze che fondano il loro dominio sul mare, come bene spiega la storia a partire dalle Guerre del Peloponneso sino a quelle napoleoniche e alla Seconda guerra mondiale e come ricordava Alfred Thayer Mahan, ancora insuperato teorico della lotta di potenza marittima, è tuttavia fondata sulla necessità di difendere territori eterogenei e lontani fra loro. La talassocrazia è una forma di esercizio del potere, quindi, estremamente costosa e per comprenderlo basta pensare quanto una flotta bene armata nel crescente confronto tecnologico mondiale richieda enormi investimenti, non solo in materiali, ma altresì in addestramento di truppe, specializzate quanto mai.

Lo spostamento di risorse dalle truppe di terra a quelle di mare e di cielo (con le conseguenze nella distribuzione del potere militar-industrial-burocratico che ne derivano) dovrà essere, se si accetta definitivamente il confronto con la Cina, enorme. Come il segretario di Stato Usa Mike Pompeo affermò significativamente in quel fatidico 2020, e come dimostrano gli incidenti diplomatici che si sono susseguiti nel 2020 negli Usa nei confronti della rete spionistica delle diplomazie parallele cinesi, la via scelta dagli Usa fu allora tracciata e le conseguenze in ogni campo della vita associata saranno enormi. Anche Xi Jinping dovette affrontare il problema del controllo delle forze armate, diminuendo di molto il potere dell'Esercito di terra - principe della guerra quando il nemico era l'Urss e poi la Russia - per spostare il peso delle armi e quindi del complesso militar-industriale centralizzato del Pcc sulla marina e sull'aviazione, che sono gli strumenti per eccellenza della potenza marittima. In fondo gli Usa affrontano questo problema con la Nato: ma alla caduta dell'Urss non ha fatto seguito la possibilità di diminuire il prezzo da pagare alla difesa terrestre per spostare, invece, tutto l'asse delle risorse nei confronti delle armi del mare e del cielo a cui appartiene il futuro della minaccia della guerra e quindi della pace mondiale.

L'Europa, come dimostrarono, del resto, gli avvenimenti del 2020 in merito ai piani di interventi economici anti-pandemici, sta affogando nelle sabbie mobili della potenza di terra. Solo l'atlantica Francia e la mediterranea Italia, con gli Stati del Sud, Grecia, Spagna e Portogallo unitamente alla potenza imperiale francese, potrebbero affrontare le nuove battaglie che attendono gli Stati europei nel Mediterraneo quando le spinte neo-ottomane e neo-faraoniche della Turchia e dell'Egitto minacceranno il potere degli Stati europei in Libia, a Cipro, persino nella stessa Israele, stretta tra un Libano in decadenza e una Siria fragilissima e con pericolose tendenze allo smembramento in tutto il Grande Medio Oriente. Unica tendenza che può opporsi a tale smembramento è l'evolversi del rapporto economico, politico, diplomatico, quindi, tra Israele e gli Stati arabi del Golfo, pur nelle loro divisioni scismatiche, come pare inverarsi dopo l'accordo tra Israele e gli Emirati Arabi del 2020. Certo in funzione anti-Iran e contro il neo-imperiale espandersi del potere turco in versione neo-ottomana, ma certo decisivo, e destinata, questa tendenza, a mutare le sorti del Mediterraneo e del Grande Medio Oriente, così mutando le sorti del mondo.

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L'Italia ritorna, con gli Stati dell'Europa del Sud e con la Francia, ad avere un ruolo fondamentale per ordinare il Mediterraneo irreversibilmente contendibile - lo voglia, lo capisca o no - mentre la potenza solo terrestre tedesca non può assolutamente riuscire a rappresentare e a unificare i suoi destini economici con tutta l'Europa. Senza esercito il peso geopolitico tedesco può rafforzarsi solo nel vuoto della potenza militare e quindi solo alleandosi sempre con i nemici degli Usa e degli altri Stati europei che ne insidiano il dominio, così come è sempre stato nella storia tedesca, sin dalla Prussia che trovava le sue alleanze contro l'Impero austro-ungarico e con il Regno Unito contro la Francia, come pienamente si disvelò poi nell'Ottocento e nel Novecento e come attende anche ora di nuovamente disvelarsi. Alla storia non si sfugge. La Cina è ora questa potenza «di risulta», che serve alla Germania per assumere quel ruolo geopolitico che senza esercito non può assumere, se non combattendo contro quelle medie o grandi potenze che dovrebbero essere, invece, i suoi alleati. Ora e sempre si ripete la stessa vicenda. La Cina è molto più debole di quanto non appaia. Ma, come dimostra la storia degli ultimi trent'anni dell'Europa, ossia dopo la caduta dell'Urss e la riunificazione tedesca che nessuna di quelle storiche potenze desiderava, l'alleanza tra tutti gli Stati europei e gli Usa è essenziale per l'ordine mondiale. Una potenza senza esercito come la Germania può perdere la testa e fare più danni di quanto non si pensi, proprio perché è una potenza disarmata, ma potente economicamente. Il vuoto che essa provoca nel sistema delle alleanze talassocratiche deve essere colmato da potenze vassalle della potenza marittima imperiale. Per questo l'Italia diventa, con il suo stesso posizionamento geografico, potenzialmente strategica nella nuova bilancia del potere mondiale, quale che sia il suo governo. Anzi, per le potenze a pulsione imperiale, più è tecnicamente sprovveduto meglio è: esse, geopoliticamente più accorte, potrebbero - come già accade «a frattali» - utilizzare il suo potenziale geopolitico, e c'è da augurarsi che non siano potenze distruttrici. La potenza della Cina va contenuta, infatti, anche nel Mediterraneo, che è la porta dell'Africa e del Grande Medio Oriente.

È questo pericolo di spossessamento che corrono i governi europei allorché sono costrutti prevalenti delle compagnie di ventura pluri-affiliate internazionalmente alle potenze che si contendono ciò che si può conquistare nel sistema di potenza internazionale, mentre la nuova guerra fredda si delinea. Ma il perno delle potenze talassocratiche è sempre stato la necessità di disporre di alleati fedeli con cui affrontare i costi e le sfide strategiche del dominio del mondo attraverso i mari e i cieli. Ricordiamoci della storia politica europea recente. Anche le guerre balcaniche degli anni Novanta del Novecento costituirono un imprevisto e, per i più, un imprevedibile punto di svolta. Si dovette agire e il dominio dei cieli e dei mari fu di nuovo essenziale, come essenziale fu il dispiegarsi del dominio talassocratico Usa.

La posta in gioco è stata magistralmente riassunta da Alessandro Mangia:

È un'area, quella franco-tedesca, tutta di terra che è oggi sotto pressione dal mare tanto da ovest, quanto da sud, e cioè dal Mediterraneo, attraverso l'Italia. Non sono ricorrenze casuali quelle in corso, per il semplice fatto che la geopolitica ha una sua logica e che, come aveva capito benissimo Schmitt settant'anni fa, il mostro mitologico di terra, il Behemoth, è destinato ad essere sempre strangolato dal mostro mitologico di mare, il Leviatano. Una volta che gli equilibri di potere americani si saranno definitivamente stabilizzati, sarà solo questione di tempo perché l'anglosfera riprenda il controllo del piccolo gigante di Terra, e riduca a ragione uno strumento - in realtà un esperimento - di governo regionale sfuggito di mano ai suoi creatori e che è stato venduto alle popolazioni di questa parte di Eurasia come «sogno europeo», infarcendolo di richiami a Kant, alla «pace perpetua», all'ideologia dei diritti in impossibile, perenne espansione, all'economia «in equilibrio» dell'ordo-liberismo, e ad altre amenità del genere.


Per questo la palude europea di terra deve essere ciclicamente bonificata da ostacoli che a questo dominio si oppongono. Ma i mezzi per far ciò si troveranno ancora?

La risposta rischia di non essere affermativa se si guarda ai cambiamenti culturali in corso nel cosiddetto mondo occidentale, ossia in quella culla della civilizzazione universale che sono state l'Europa e la Mesopotamia e le altre civiltà che sono gemmate dal «miracolo europeo» e del Grande Medio Oriente: gli Usa e l'America Latina.

È ciò che ci ricordava Giambattista Vico:

... Ora con tal Ricorso di cose Umane Civili... si rifletta su i confronti, che per tutta quest'Opera in un gran numero di materie si sono fatti circa i tempi primi e gli ultimi delle Nazioni Antiche e Moderne; e si avrà tutta spiegata la Storia, non già particolare, ed in tempo delle Leggi, e de' fatti de' Romani o de' Greci; ma sull'identità in sostanza d'intendere, e diversità de' modi lor di spiegarsi: si avrà la Storia Ideale delle Leggi eterne, sopra le quali corron' i fatti di tutte le nazioni, ne' loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze, e fine, se ben fusse, lo che è certamente falso, che dall'Eternità nascessero, di tempo in tempo, Mondi Infiniti.


La finitezza del tempo presente viene resa evidente dalla distruzione della statuaria storica su cui si fonda l'immagine del divenire delle nazioni con quel che di travolgente e di diverso che sempre accompagna la loro storia. Essa ora si nega con i riti del capro espiatorio che, come ci insegnava Girard, promanano dal mimetismo fondativo dell'essere degli umani. Oggigiorno il mimetismo dilaga, con una regolarità mondiale e fondata sulle tragedie nazionali delle nazioni che del mondo sono state la culla nel tempo della modernità. Sì, il mimetismo dilaga, sia esso scatenato dalla differenza sessuale nelle nascite non più riconosciuta come fondativa dell'essere o sia esso scatenato dalle radici agnatiche tracimate dai tempi della formazione del mondo moderno del nascente capitalismo estrattivo e un tempo schiavistico. Ebbene, queste diversità non divengono motivo di arricchimento spirituale, come dovrebbero e come sempre ci insegna Vico.

Sono frutto, invece, di lacerazione mimetica, fondativa del capro espiatorio, che Girard discute magistralmente nel capitolo XII del suo capolavoro, dedicato a «I Demoni di Gerasa». Ivi così si legge:

Che cosa può motivare tutto un branco ad autodistruggersi senza esservi costretto da chicchessia? La risposta è evidente. Si chiama spirito gregario, quello che fa di un branco appunto un branco; in altre parole la tendenza irresistibile al mimetismo. Basta che un primo porco cada in mare, per caso o per una ragione qualsiasi, per effetto di una paura improvvisa o per le convulsioni provocate dall'invasione demoniaca, perché tutti i suoi congeneri facciano altrettanto. La frenesia di accodarsi va perfettamente d'accordo con la proverbiale docilità della specie. Al di là di una certa soglia mimetica, quella stessa che definisce la possessione, l'intero branco riproduce istantaneamente ogni comportamento che gli sembra fuori dalla norma. È un po' come il fenomeno della moda nelle cosiddette società avanzate, nel senso in cui diciamo avanzata quella di Gerasa. ,int 3

Sono questi i fenomeni non previsti ma ricorrenti che segneranno il destino delle società future.

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CAPITOLO XIII
PER CONCLUDERE (NELLA PANDEMIA GLOBALE)



La crisi pandemica del 2020 ha fatto divenire attuale il problema del lavoro, unitamente al tema digitale, al centro della riproduzione della società in forma omeostatica con la difesa della salute e mai in forma separata: questa è la tendenza che prevarrà se vogliamo sopravvivere e che fa apparire l'incompetenza e i conflitti di interesse come residui manifesti di un mondo che muore.

Ma «les morts saisi les vives»: e questo è vero, oggi, in forma emblematica.

Il nostro modo di costruire sino a oggi la poliarchia - senza una buona governance - con la separazione degli interessi privati da quelli pubblici - con la prevalenza dell'interesse particolare su quello generale - deve trasformarsi, pena la distruzione della società, senza alternative.

L'innovazione globalmente intesa, dalla tecnologia alla morale, è la sola via di salvezza.

Socialisme ou barbarie diviene non più il lemma di Castoriadis rispetto al rinnovamento del pensiero rivoluzionario, ma il salto teorico e pratico («Hic Rhodus, hic salta») necessario per la stessa riproduzione della società capitalistica.

Sorgerà, se ritroveremo la forza di piegarci sullo studio e sulla meditazione morale e filosofica metafisica, il concetto stesso di comunità, così come lo intendeva il pensiero sociologico tedesco tra fine Ottocento e inizio Novecento: Gemeinschaft nella Gesellschaft: perché la comunità può sempre ricostruirsi nella società, come ci insegnava anche quel grande economista che era Alfred Marshall.

E dovrà sorgere, di già sorge spontaneamente, dal lavoro umano associato una sorta di nuova territorialità con la scoperta che la delocalizzazione non è inevitabile.

Oggi, anche coloro che credevano nel mercato (o vi credono ancora), nella virtù allocativa ottimale del mercato, scoprono che la delocalizzazione ha delle esternalità negative su molteplici aspetti della vita sociale: dal lavoro all'ambiente, alla qualità dei prodotti e dei processi di produzione e distribuzione. Senza questo ripensamento l'economia circolare come nuovo modello di produzione e non solo di riciclaggio dei rifiuti non ha possibilità alcuna di inverarsi, così come la lotta contro il cambiamento climatico.

In tal modo anche il cosiddetto «interesse nazionale» sarà riclassificato e troverà un saggio fondamento non aggressivo, ma invece costruttivo.

E vi sono già emblematiche realizzazioni imprenditoriali creative a questo riguardo in tutto il mondo.

Ricostruire e costruire, per esempio, la manifattura nei territori tanto del Sud quanto del Nord del mondo, farà parte di un continuo lavoro di manutenzione e di riproduzione dei sistemi sociali territorialmente insediati nel pianeta, sia in forma stabile, sia in forma migratoria e in cerca di un radicamento.

Le forme di interstatualità costituzionale e non funzionalistiche e giurisprudenzialistiche - come è, invece, l'Unione Europea - dovranno trovare un ambiente più consono di quanto oggi non sia, per sorgere. E ciò avverrà con la valorizzazione di quelle forme di allocazione dei diritti di proprietà più consone a questa trasformazione come il not for profit e i common goods.

La regolazione neoliberista dell'economia - che tracima nella deflazione permanente (secolare) - non potrà che essere abbandonata.

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In ogni caso il 2020 sarà ricordato come l'anno della decelerazione della globalizzazione e della crisi evidente di un mondo che non riesce a riacquistare stabilità e a crescere economicamente per assenza di leadership.

Decelerazione, infatti, e non improvvisa rottura delle interconnessioni dell'economia internazionale. Decelerazione perché sono più di trent'anni che il Wto non riesce a raggiungere un accordo multilaterale di commercio. Le conferenze di Seattle del 1999 e di Cancun del 2003 si conclusero senza accordo alcuno. Il 2003 è l'anno decisivo e il fallimento di quell'anno disvela i limiti strutturali della globalizzazione dell'economia reale: l'accordo non si realizza perché le ventidue nazioni del «Sud del Mondo» si sono opposte ai sussidi all'agricoltura distribuiti dagli Usa e dall'Ue ai loro contadini e solo nel 2004, nei colloqui di Ginevra, le nazioni del mondo del Nord, quello «industrializzato», si impegnano a diminuire i sussidi agli agricoltori, mentre, come controparte, i paesi in via di sviluppo si impegnano a diminuire le barriere tariffarie ai beni manifatturieri del Nord del Mondo.

Ben si evince dalla storia che l'unica globalizzazione che si è realizzata nel pianeta è stata quella finanziaria: la moneta simbolica creata dalle banche centrali e quella digitale originata dalle banche universali sulle scommesse dei derivati è l'unica merce che si sposta in tutto il mondo senza barriere e a costi di transazione tendenti allo zero.

È questa discrasia tra super-globalizzazione finanziaria e semi-globalizzazione manifatturiera che crea le crisi mondiali e si somma con la deflazione secolare indotta dalla politica economica europea fondata sul liberismo a bassa intensità di investimenti pubblici e alta restrizione dei mercati interni e del profitto capitalistico colpiti dalla deflazione.

La Cina ha aggiunto a questo scenario un'asimmetria imprevista e che pareva sino a oggi inarrestabile con la sua entrata nel Wto.

Il coronavirus, se guardiamo a questo pericolo terribile per la salute umana in questo inusitato contesto, può contenere in sé una virtù e questa virtù è quella dell'umiltà: l'umiltà di riconoscere che la crescita inarrestabile della globalizzazione finanziaria e della Cina - che a essa è intimamente legata - possono entrambe subire una battuta d'arresto.

In questi ultimi vent'anni abbiamo letto troppo il Manifesto di Marx ed Engels che magnificava le sorti progressive della borghesia capitalistica e dimenticato il grande Giambattista Vico con la sua teoria dei cicli storici.

[...]

I simboli determinano la vita sociale, così come le regole economiche. Anzi, io sostengo da sempre che sono le regole culturali, è la cultura in senso antropologico, che determina l'economia e le relazioni economiche. Per questo credo che questa crisi degli universi culturali che il coronavirus sta provocando non potrà non avere effetti anche sulle regole economiche europee. E questo accadrà perché esse sono fondate - a parer mio - più su ipostatizzazioni dogmatiche al confine con la magia (il divieto di far debito e la convinzione che indebitarsi sia una colpa e che non si debbano fare investimenti pubblici e che gli Stati siano costrutti sociali simili alle famiglie e alle imprese, che se fanno debiti non possono far altro che estinguersi, ben differentemente dallo Stato, come ci dimostra una storiografia imponente). Ma se si manterranno i nervi saldi e non si cadrà ancor di più nel dominio dei maghi e degli esorcisti, quelle regole non potranno che cambiare. Per volontà politica, ossia per ragioni culturali, certo dettate dall'emergenza. Dall'emergenza può scaturire il vero, dal pericolo può nascere la salvezza, come diceva Hölderlin. Si dice sulle gazzette del mondo intero, infatti, che a poco a poco anche le cuspidi della politica europea e nazionale inizino a interrogarsi su tali politiche economiche.

[...]

Si può dire, infatti, come annunciarono inascoltati Richard Levins e Richard Lewontin , che, piuttosto che annunciare il declino inesorabile delle malattie infettive, dovremmo renderci conto che ogni grande cambiamento nella società, nella popolazione, nello sfruttamento della terra, nel clima, nella nutrizione o nelle migrazioni, è al contempo un evento sanitario con il suo quadro epidemiologico sempre potenzialmente minaccioso e un risultato dei rapporti di proprietà che determinano lo sfruttamento non solo del lavoro umano, ma altresì del patrimonio naturale, con le conseguenze non solo climatiche che abbiamo oggi dinanzi a noi.

Di qui l'importanza di studiare anche le scienze biologiche e la stessa industria farmaceutica nel processo di produzione capitalistico. In questo modo si sfugge sia al determinismo biologico e al riduzionismo, comprendendo che la scienza medica è parte di una scienza sociale che deve essere sottratta al puro sviluppo del capitalismo e che la forma proprietaria della produzione della ricerca medica e biologica è quella dell'allocazione dei diritti di proprietà in forma cooperativa e, ancora più propriamente secondo la teoria insuperata di Henry Hansmann, del not for profit così che, come ci insegnava Elinor Ostrom nelle sue opere qui ampiamente ricordate e poste a modello dell'analisi e dell'azione sociale, la ricerca scientifica sia posta al servizio dell'umanità e non del profitto capitalistico.

E se non si passerà dal determinismo medico-scientista e dalla paura con un ritorno all'utopia, non si sopravviverà alle pandemie.

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