Autore Ian Stewart
Titolo Il calcolo del cosmo
SottotitoloLa matematica svela l'Universo
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2017, Saggi Scienze , pag. 390, ill., cop.fle., dim. 14x22x2,2 cm , Isbn 978-88-339-2865-4
OriginaleCalculating the Cosmos. How Mathematics Unveils the Universe [2016]
TraduttorePier Daniele Napolitani
LettoreCorrado Leonardo, 2018
Classe matematica , astronomia , cosmologia , storia della scienza , scienze naturali , scienze della terra , inizio-fine












 

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Indice


  9        Prologo

           Il calcolo del cosmo

 22    1.  Attrazione a distanza

 43    2.  Il collasso della nebulosa solare

 60    3.  L'incostante Luna

 78    4.  Un cosmo a orologeria

 98    5.  Polizia celeste

115    6.  Il pianeta che inghiottì i suoi figli

129    7.  Gli astri di Cosimo

141    8.  Via su una cometa!

157    9.  Caos e Cosmos

179   10.  L'autostrada planetaria

195   11.  Grandi palle di fuoco

221   12.  Il grande fiume celeste

238   13.  Mondi alieni

263   14.  Stelle oscure

286   15.  Matasse e vuoti

304   16.  L'uovo cosmico

316   17.  Una bella gonfiata

330   18.  Il lato oscuro

349   19.  Fuori dall'Universo

371        Epilogo

377        Glossario
382        Fonti delle illustrazioni e delle tavole
385        Indice dei nomi


 

 

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Prologo


                                        «Beh, l'ho calcolata.»
                                        Risposta di Isaac Newton a Edmond
                                        Halley, che gli chiedeva come facesse a
                                        sapere che una legge di attrazione
                                        basata sull'inverso del quadrato
                                        implichi che l'orbita di un pianeta sia
                                        un'ellisse.

                                            Citato in Herbert Westren Turnbull,
                                                       The Great Mathematicians



Se il 12 novembre 2014 un alieno intelligente si fosse trovato a osservare il Sistema Solare, avrebbe assistito a un evento sconcertante. Per mesi, una piccola macchina aveva tallonato una cometa lungo il suo percorso intorno al Sole, ma senza far niente, quasi dormisse. Improvvisamente, la macchina si svegliò e da lei uscì fuori una macchina ancor più piccola. Quest'ultima scese verso la superficie — nera come il carbone — della cometa, la colpì e rimbalzò... Quando finalmente si fermò, la macchina giaceva rovesciata su un lato e incastrata contro una specie di parete rocciosa.

L'alieno ne avrebbe forse dedotto che l'atterraggio non era andato come previsto e avrebbe potuto non esserne molto colpito, ma i tecnici che avevano progettato e guidato le due macchine avevano portato a compimento un'impresa senza precedenti: l'atterraggio di una sonda spaziale su una cometa. La macchina più grande si chiamava Rosetta, la più piccola Philae e la cometa era la 67P / Churyumov-Gerasimenko. La missione era stata effettuata dall'Agenzia Spaziale Europea e soltanto per il volo c'erano voluti più di dieci anni. Nonostante l'atterraggio accidentato, Philae raggiunse la maggior parte dei suoi obiettivi scientifici, inviando sulla Terra dati di enorme importanza. Rosetta continua a funzionare come previsto.

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Inizialmente, i successi della teoria newtoniana hanno condotto a una visione del cosmo come un universo-orologio, in cui tutto doveva maestosamente seguire percorsi stabiliti all'alba della creazione. Per esempio, si riteneva che il Sistema Solare fosse stato creato praticamente nel suo stato attuale, con gli stessi pianeti che si muovevano lungo le stesse orbite quasi circolari. Certo, tutto oscillava un po': le variazioni dei periodi planetari nelle osservazioni astronomiche rendevano il fatto abbondantemente chiaro. Ma c'era una credenza diffusa che nulla cambiasse, che nulla fosse cambiato o sarebbe mai cambiato in modo rilevante nel corso di innumerevoli eoni. Per le concezioni religiose allora dominanti in Europa era impensabile che, data la sua perfezione divina, la creazione avesse potuto essere diversa in passato. La visione meccanicistica di un cosmo normale e prevedibile resistette per trecento anni.

Oggi non è più così. Le recenti innovazioni in matematica, come la teoria del caos, accoppiate ai potenti computer moderni, in grado di elaborare i numeri in gioco con una velocità senza precedenti, hanno notevolmente cambiato la nostra concezione del cosmo. Il modello di un Sistema Solare-orologio rimane valido per ridotti periodi di tempo, e in astronomia un milione di anni di solito è un tempo breve. Ma il nostro cortile cosmico ci si svela ora come un luogo in cui i mondi hanno migrato — e migreranno — da un'orbita all'altra. Sì, ci sono periodi molto lunghi di comportamento regolare, ma di volta in volta sono punteggiati da esplosioni di attività selvaggia. Le leggi immutabili che hanno dato origine all'idea di un universo-orologio possono anche causare cambiamenti improvvisi e comportamenti altamente irregolari.

Gli scenari che gli astronomi ora prevedono sono spesso drammatici. Durante la formazione del Sistema Solare, ad esempio, interi mondi entrarono in collisione con conseguenze apocalittiche. Un giorno, in un lontano futuro, essi lo faranno probabilmente di nuovo: c'è una piccola possibilità che su Mercurio o su Venere penda già una condanna, ma non sappiamo su quale dei due. Potrebbero essere entrambi destinati alla fine, e potrebbero portarci con sè. È una di queste collisioni che, probabilmente, ha condotto alla formazione della Luna. Vi suona come qualcosa di fantascientifico? Be', lo è..., ma è fantascienza del miglior tipo, fantascienza «hard», quella in cui solo una fantastica nuova invenzione va oltre la scienza conosciuta. Ma qui non c'è nessuna invenzione fantastica, soltanto scoperte matematiche inattese.

La matematica ha informato la nostra comprensione del cosmo su ogni scala: l'origine e il movimento della Luna, i movimenti e la forma dei pianeti e delle lune loro compagne, la complessità degli asteroidi, delle comete e degli oggetti della fascia di Kuiper e della solenne danza celeste che si celebra in tutto il Sistema Solare. È la matematica che ci ha insegnato come le interazioni con Giove possano scagliare asteroidi verso Marte e quindi verso la Terra; perché Saturno non sia il solo pianeta a possedere anelli; come si siano formati i suoi anelli e perché si comportino come si comportano, con trecce, increspature, e strani «raggi» rotanti. E ci ha mostrato come gli anelli di un pianeta possano sputar fuori delle lune, una alla volta.

L'orologio ha lasciato il posto ai fuochi d'artificio.

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La matematica è un potente motore di inferenze: ci permette di dedurre le conseguenze di ipotesi alternative fra loro sviluppandone le implicazioni logiche. Una volta accoppiata con la fisica nucleare — disciplina di per sé altamente matematizzata — essa aiuta a spiegare le dinamiche delle stelle, con i loro vari tipi, le loro diverse costituzioni chimiche e nucleari, i loro contorti campi magnetici e le macchie scure che ne chiazzano la superficie. La matematica ci permette di comprendere la tendenza delle stelle ad ammassarsi in grandi galassie, separate da spazi vuoti ancora più grandi, e spiega il motivo per cui le galassie hanno forme così interessanti. E spiega anche perché le galassie si combinino per formare ammassi galattici, separati a loro volta da vuoti ancora più vasti.

E c'è una scala ancora più grande, quella dell'universo come un tutto. Questo è il campo della cosmologia. Qui la fonte di ispirazione razionale dell'umanità è quasi interamente matematica. Possiamo osservare alcuni aspetti dell'Universo, ma non possiamo sperimentare su di esso nel suo complesso. La matematica ci aiuta a interpretare le osservazioni, ci permette di ragionare nello stile del «cosa accadrebbe se...», ovvero di mettere a confronto teorie alternative. Ma anche in questo caso, il punto di partenza era più vicino a casa. La teoria generale della relatività di Albert Einstein, in cui la forza di gravità è sostituita dalla curvatura dello spazio-tempo, ha rimpiazzato la fisica newtoniana. Gli antichi geometri e filosofi avrebbero approvato: la dinamica è stata ridotta a geometria. Einstein vide la sua teoria verificata da due delle sue stesse previsioni: la nota, ma non chiarita, precessione del perielio di Mercurio, e l'incurvarsi della luce del Sole, fenomeno osservato per la prima volta nel 1919 durante un'eclissi solare. Ma non poteva aver capito che la sua teoria avrebbe portato alla scoperta di oggetti fra i più bizzarri di tutto l'Universo: i buchi neri, dotati di massa così grande che nemmeno la luce può sfuggire alla loro attrazione gravitazionale.

Di certo non riuscì a riconoscere una potenziale conseguenza della sua relatività generale: la teoria del Big Bang. Si tratta di una teoria per cui l'Universo si sarebbe originato in una sorta di gigantesca esplosione, avvenuta in un unico punto in un certo momento di un lontano passato: circa 13,8 miliardi di anni fa, secondo le stime attuali. Ma ciò che esplose fu lo spazio-tempo stesso, non fu l'esplosione di qualcos'altro all'interno dello spazio-tempo. La prima prova di questa teoria fu la scoperta di Edwin Hubble che l'Universo si sta espandendo. Se si immagina di far tornare tutto all'indietro, tutto collassa in un unico punto; per tornare qui e ora, bisogna far riavviare il tempo facendolo scorrere nella sua normale direzione.

Einstein si lamentava del fatto che lui stesso avrebbe potuto prevedere questo fenomeno, se solo avesse creduto fino in fondo nelle sue equazioni. Ecco perché possiamo essere sicuri che non si aspettasse il Big Bang.

Nella scienza nuove risposte aprono nuovi misteri. Uno dei più grandi è quello che riguarda la materia oscura, un tipo completamente nuovo di materia la cui esistenza dovrebbe riuscire a conciliare le osservazioni del moto rotatorio delle galassie con la nostra comprensione della gravità. Tuttavia, le ricerche per trovare la materia oscura hanno costantemente fallito nel rilevarla. Per di più, per dare un senso al cosmo, sono necessarie altre due aggiunte alla teoria originale del Big Bang. La prima è l'inflazione, un effetto che fece sì che l'Universo primordiale crescesse in modo davvero enorme in un istante veramente infinitesimo di tempo. L'inflazione è necessaria per spiegare perché la distribuzione della materia nell'Universo di oggi sia quasi — ma non del tutto — uniforme. L'altra aggiunta necessaria è l'energia oscura, un'ipotetica forma di energia non direttamente rilevabile, diffusa omogeneamente nello spazio. Essa costituirebbe una forza misteriosa che fa sì che l'Universo continui a espandersi a un ritmo sempre più veloce.

Il Big Bang è accettato dalla maggior parte dei cosmologi, ma solo quando questi tre elementi extra — la materia oscura, l'inflazione e l'energia oscura — sono accolti nel mix. Tuttavia, come vedremo, ognuno di questi deus ex machina presenta una serie di problemi preoccupanti. La cosmologia moderna non sembra più così sicura di sé come lo era dieci anni fa e potrebbe esserci una rivoluzione in arrivo.


La legge di gravitazione universale di Newton non è stato il primo modello matematico individuabile nei cieli; in esso, tuttavia, è cristallizzato l'approccio nel suo insieme, oltre al fatto che esso andò ben al di là di tutto ciò che era venuto prima. È uno dei temi centrali di Il calcolo del cosmo, è la scoperta fondamentale che sta alla base del libro. Più esplicitamente Newton ci dice che modelli matematici governano i moti e la struttura dei corpi celesti come di quelli terrestri, dalla più piccola particella di polvere fino all'Universo come un tutto. Comprendere questi modelli ci permette non solo di spiegare il cosmo, ma anche di esplorarlo, sfruttarlo, e proteggerci contro di esso.

Si potrebbe sostenere che il più grande passo avanti sia stato quello di rendersi conto che tali modelli esistono. Dopo di che, si sa cosa cercare e, se anche può essere difficile buttar giù una risposta, risolvere un problema diventa spesso una questione di tecnica. Magari dovranno essere inventate (e succede spesso) idee matematiche completamente nuove e non sto sostenendo che sia facile o semplice. È un gioco lungo e lo stiamo ancora giocando.

L'approccio di Newton ha anche innescato qualcosa di simile a un riflesso condizionato. Non appena l'ultimissima scoperta fa capolino fuori dal suo guscio, i matematici cominciano a chiedersi se una simile idea potrebbe risolvere altri problemi. La voglia di rendere tutto sempre più generale è un bisogno profondo della psiche matematica. Non è giusto dare la colpa a Nicolas Bourbaki e alle «nuove matematiche»: è cosa che risale a Euclide e ai Pitagorici. È da questo riflesso che sono nate la fisica e la matematica. I contemporanei di Newton, soprattutto nell'Europa continentale, applicarono gli stessi principi con cui era stato sondato il cosmo per capire il calore, il suono, la luce, l'elasticità e poi anche l'elettricità e il magnetismo. E il messaggio risuonò sempre più chiaro:

                La natura ha leggi.
                Sono matematiche.
                Possiamo scoprirle.
                Possiamo usarle.

Naturalmente, non è stato così semplice.

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Le dimensioni e la forma di un'orbita ellittica possono essere caratterizzate da due numeri. Di consueto si scelgono la lunghezza del semiasse maggiore e l'eccentricità; la lunghezza del semiasse minore può essere ricavata da loro due. L'orbita della Terra ha un semiasse maggiore lungo 149,6 milioni di chilometri ed eccentricità 0,0167; il semiasse minore è lungo 149,58 milioni di chilometri. Si tratta quindi di un'orbita molto vicina a un cerchio, come indica il valore piccolo dell'eccentricità. Il piano dell'orbita terrestre ha un nome speciale: eclittica.

La posizione spaziale di qualsiasi altra orbita ellittica attorno al Sole può essere caratterizzata mediante altri tre numeri, che sono misure di angoli. Il primo è l'inclinazione del piano orbitale rispetto all'eclittica. Il secondo fornisce effettivamente la direzione dell'asse maggiore in detto piano. Il terzo indica la direzione della linea in cui i due piani si incontrano. Infine, abbiamo bisogno di sapere in quale punto dell'orbita si trovi il pianeta, il che richiede un ulteriore angolo. Così per specificare l'orbita del pianeta e la sua posizione all'interno di tale orbita occorrono due numeri e quattro angoli, in tutto sei elementi orbitali. Un importante obiettivo dell'astronomia fin dai suoi albori è stato quello di calcolare gli elementi orbitali di ogni pianeta e asteroide che venisse scoperto. Alla luce di questi numeri, si può prevedere il suo movimento futuro, almeno fino a che gli effetti combinati degli altri corpi celesti non disturbano la sua orbita in modo significativo.

Keplero riuscì a produrre un insieme di tre eleganti modelli ma- tematici, che sono ora chiamate le «leggi di Keplero» del moto planetario. La prima afferma che l'orbita di un pianeta è un'ellisse con il Sole che occupa uno dei fuochi. La seconda dice che la linea che congiunge il Sole con il pianeta spazza aree uguali in uguali periodi di tempo. E la terza ci dice che il quadrato del periodo di rivoluzione (ovvero del tempo che il pianeta impiega a percorrere la sua orbita) è proporzionale al cubo della sua distanza dal Sole.


Newton riformulò le osservazioni di Galileo sui corpi che si muovono liberamente sotto forma di tre leggi del moto. La prima afferma che i corpi continuano a muoversi in linea retta a velocità costante, a meno che una forza non agisca su di loro. La seconda legge afferma che l'accelerazione di un corpo, moltiplicata per la sua massa, è pari alla risultante di tutte le forze che agiscono su di esso. La terza asserisce che ogni azione produce una reazione uguale e contraria. Nel 1687 egli riformulò le leggi planetarie di Keplero sotto forma di una legge universale su come si muovono i corpi celesti: la legge di gravitazione universale, espressa da un'equazione che permette di calcolare la forza gravitazionale con cui qualsiasi corpo attira qualsiasi altro corpo.

In effetti, Newton dedusse la sua legge gravitazionale dalle leggi di Keplero, assumendo l'ipotesi che il Sole eserciti una forza attrattiva, sempre diretta verso il suo centro. Sotto questa ipotesi, Newton dimostrò che la forza è inversamente proporzionale al quadrato della distanza e direttamente proporzionale al prodotto delle masse in gioco. Questo è un modo elegante per dire che se per esempio si moltiplica per tre la massa di uno dei due corpi, anche la forza triplica; ma se la distanza fra i due corpi triplica, allora la forza si riduce a un nono di quella che era. Newton dimostrò anche il contrario: questa attrazione regolata dalla «legge dell'inverso del quadrato» implica le tre leggi di Keplero.

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Per capire le origini del Sistema Solare e come esso nacque, dobbiamo cominciare con il capire come i suoi vari e multiformi corpi sono disposti. A prima vista sono un qualcosa di abbastanza eclettico: ogni mondo è un caso a sé e le differenze superano le somiglianze. Mercurio è una sfera di roccia rovente che completa tre rotazioni ogni due rivoluzioni, ovvero con una risonanza tra rotazione e rivoluzione pari a 3:2. Venere è un inferno acido la cui intera superficie si è riformata solo poche centinaia di milioni di anni fa. La Terra ha oceani, ossigeno e la vita. Marte è un deserto freddo con crateri e canyon. Giove è una gigantesca palla di gas colorati che disegnano fantasiose strisce sulla sua superficie. Saturno è simile, anche se meno spettacolare, ma in compenso ha splendidi anelli. Urano è un docile gigante di ghiaccio che ruota nel verso sbagliato. Nettuno è un altro gigante di ghiaccio, spazzato da est a ovest da venti che superano i duemila chilometri all'ora.

Tuttavia, ci sono anche allettanti accenni di un qualche ordine. Le distanze orbitali dei sei pianeti classici, espresse in unità astronomiche, sono:


        ---------------------------------
        PIANETA         DISTANZA DAL SOLE
        ---------------------------------
        Mercurio        0,39
        Venere          0,72

        Terra           1,00

        Marte           1,52
        Giove           5,20
        Saturno         9,54
        ---------------------------------



I numeri sono un po' irregolari e a prima vista è difficile trovare una qualche regolarità, anche se vi venisse in mente di andarla a cercare. Ma nel 1766 l'astronomo e naturalista tedesco Johann Titius (Johann Daniel Tietz) vi rintracciò qualcosa di interessante e lo descrisse nella sua traduzione tedesca della Contemplation de la Nature del naturalista svizzero Charles Bonnet:

Si divida la distanza dal Sole a Saturno in 100 parti; allora Mercurio è separato da quattro di tali parti dal Sole, Venere di 4 + 3 = 7 parti, la Terra da 4 + 6 = 10, Marte da 4 + 12 = 16. Ma si noti che da Marte a Giove c'è una deviazione da questa progressione così esatta. Dopo Marte segue uno spazio di 4 + 24 = 28 di tali parti, ma finora nessun pianeta è stato lì avvistato [...] Dopo questo spazio per noi ancora inesplorato, si erge la sfera di influenza di Giove a 4 + 48 = 52 parti e quella di Saturno a 4 + 96 = 100 parti.

Un altro astronomo tedesco, Johann Elert Bode nella sua Anleitung zur Kenntniss des Gestirnten Himmels (Guida alla conoscenza del cielo stellato), un'opera di astronomia divulgativa la cui prima edizione è del 1768, menzionava tale regolarità numerica in una nota senza accennare a quanto osservato da Titius. Anche se poi gliene diede credito, è spesso chiamata «legge di Bode». Un termine migliore, e oggi di uso generale, è «legge Titius-Bode».

Questa regola, che è puramente empirica, mette in relazione le distanze planetarie con una progressione (quasi) geometrica. Nella sua forma originale inizia con 0, 3, 6, 12, 24, 48, 96, 192, in cui ogni numero dopo il secondo è il doppio del suo predecessore e si aggiunge 4 a ciascuno di loro ottenendo: 4, 7, 10, 16, 28, 52, 100. Tuttavia, è utile riportare questi numeri alle unità di misura correnti (UA), dividendoli tutti per dieci, ottenendo:

0,4 0,7 1,0 1,6 2,8 5,2 10,0

Questi numeri si adattano sorprendentemente bene alle distanze tra i pianeti, a eccezione di un «buco» corrispondente a 2,8.

Titius pensava di sapere quello che ci doveva essere in questa lacuna. Nella parte della sua nota che qui sopra abbiamo omesso si legge:

Ma il Signore Architetto doveva lasciare quello spazio vuoto? Niente affatto. Supponiamo quindi che questo spazio appartenga senza dubbio ai satelliti ancora da scoprire di Marte e aggiungiamo anche che, forse, Giove ne ha alcuni altri più piccoli intorno a sé che non sono stati finora avvistati da nessun telescopio.

Ora ci rendiamo conto che i satelliti di Marte si troveranno vicino a Marte e idem per Giove, quindi per certi versi Titius non aveva proprio fatto un centro pieno. Ma la proposta che un qualche corpo dovesse occupare quella lacuna era perfetta. Tuttavia, nessuno la prese sul serio fino a quando Urano non fu scoperto nel 1781 e si constatò che la sua distanza orbitale si adattava al modello — la distanza prevista dalla legge di Titius-Bode è 19,6 UA, quella reale 19,2.

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5. Polizia celeste


                                        I dinosauri non avevano un programma
                                        spaziale, quindi non sono qui a parlare
                                        di questo problema. Invece noi ci siamo
                                        e possiamo anche fare qualcosa al
                                        riguardo. Non mi voglio ritrovare a
                                        essere la vergogna della galassia per
                                        aver avuto la possibilità di deviare un
                                        asteroide, non averlo fatto, e finire
                                        estinto.

                                          Neil deGrasse Tyson, Space Chronicles



Inseguiti da una flotta di navi da guerra interstellari che sparano sfrigolanti lampi di energia pura, un piccolo gruppo di coraggiosi combattenti per la libertà si rifugia in una cintura di asteroidi, zigzagando violentemente in mezzo a una tempesta di rocce delle dimensioni di Manhattan che rotolano in qua e in là e si schiantano in continuazione una contro l'altra. Le navi da guerra li inseguono, vaporizzando le rocce di dimensioni minori con raggi laser anche se questo fa sì che vengano colpite da numerosi frammenti. Con un'astuta manovra, la nave in fuga inverte la sua rotta e si tuffa in un profondo tunnel al centro di un cratere. Ma i loro problemi sono appena cominciati...

È un'immagine da cinema, mozzafiato.

Peccato che sia anche una sciocchezza totale. Non la flotta di navi da guerra, né i lampi di pura energia o i ribelli galattici. Nemmeno il verme mostruoso che è in agguato alla fine del tunnel. Queste cose potrebbero anche accadere, un giorno. No, è la tormenta di rocce. Non è proprio possibile.

Credo che tutto ciò sia causato dalla metafora della «fascia», evidentemente mal scelta.


C'era una volta il Sistema Solare senza fasce. Così lo si concepiva allora: al posto della fascia, c'era un vuoto. Secondo la legge di Titius-Bode, avrebbe dovuto esserci un pianeta tra Marte e Giove, però non c'era. Se ci fosse stato, gli Antichi lo avrebbero visto e l'avrebbero associato a un altro dio.

Ma quando Urano venne scoperto, la sua posizione si adattava in modo così perfetto al modello matematico della legge di Titius-Bode che gli astronomi si sentirono incoraggiati a cercare di colmare il divario tra Marte e Giove. Come abbiamo visto nel precedente capitolo, ci riuscirono. Il barone ungherese Franz Xaver von Zach fondò nel 1800 la Vereinigte Astronomische Gesellschaft (Società astronomica unita). Aveva venticinque membri — tra cui Maskelyne, William Herschel, Charles Messier e Heinrich Olbers. A causa della sua dedizione a mettere ordine nell'indisciplinato Sistema Solare, il gruppo divenne noto come la Himmelspolizei (Polizia celeste). A ogni osservatore venne assegnato uno spicchio dell'eclittica ampio 15 gradi, con il compito di cercare in quella regione il pianeta mancante.

Come succede fin troppo spesso in queste cose, tale approccio sistematicamente organizzato fu surclassato da un fortunato outsider: Giuseppe Piazzi. Costui era allora professore di astronomia nella Reale Accademia degli Studi di Palermo e non era alla ricerca di un pianeta ma di una stella, per la precisione «l'ottantasettesima del Catalogo del Signor La Caille». All'inizio del 1801, vicino alla stella che stava cercando, vide un altro punto di luce, che non corrispondeva a nulla nei cataloghi stellari esistenti all'epoca e, continuando a osservare l'intruso, notò che si muoveva. Quel puntino luminoso si trovava esattamente dove, secondo la legge Titius-Bode avrebbe dovuto trovarsi il pianeta mancante. Piazzi battezzò il nuovo pianeta con il nome di Cerere, la dea romana dei raccolti, che era anche la dea protettrice della Sicilia. In un primo momento pensava di aver individuato una nuova cometa, ma mancava la chioma caratteristica di questi corpi celesti. «Mi è venuto varie volte in mente che potrebbe trattarsi di qualcosa di meglio di una cometa», scrisse. Vale a dire: un pianeta.

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7. Gli astri di Cosimo


                                        Il pensier di Vostra Signoria intorno al
                                        porre i nomi ai quattro pianeti trovati
                                        da lei, con inscrivergli dal nome del
                                        Serenissimo Padrone [Cosimo de' Medici],
                                        è generoso et heroico, et conforme agli
                                        altri parti singolari del suo mirabile
                                        ingegno: et poiché ella ha voluto farmi
                                        l'onore del domandarmi il mio parere
                                        circa al chiamar dei detti pianeti o
                                        Cosmici o Medicea Sydera, io le dirò
                                        liberamente che questa seconda
                                        inscrizzione tengo per fermo che piacerà
                                        più, perché, potendosi la voce greca
                                        «Cosmici» interpretare in diversi sensi,
                                        non sarebbe forse interamente attribuita
                                        da ogn'uno alla gloria del Serenissimo
                                        nome della Casa de' Medici et della loro
                                        natione et città di Firenze, come
                                        necessariamente sarà la denominatione di
                                        Medicea Sydera; et però senz'altro a
                                        questa mi appiglierei.

                                                      Belisario Vinta a Galileo,
                                                                20 febbraio 1610



Quando Galileo per primo osservò Giove attraverso il suo nuovo telescopio, vide come quattro minuscoli granelli di luce in orbita attorno al pianeta: fatto che indicava che Giove aveva delle sue lune. Si trattava di una prova diretta che la teoria geocentrica doveva essere sbagliata. Nel suo taccuino disegnò gli schizzi della loro disposizione. Osservando più dettagliatamente, si possono mettere insieme i risultati, in modo da poter tracciare i percorsi lungo i quali quei puntini luminosi sembrano muoversi. Se lo facciamo, otteniamo delle belle curve sinusoidali. Il modo naturale per generare una curva sinusoidale è quello di osservare lateralmente un moto circolare uniforme. Forse fu così che Galileo dedusse che le stelle di Cosimo girano intorno a Giove nel piano dell'eclittica.

Telescopi migliorati hanno rivelato che la maggior parte dei pianeti del Sistema Solare possiedono lune. Mercurio e Venere sono le sole eccezioni. Noi ne abbiamo una, Marte ne ha due, Giove almeno 67, Saturno almeno 62 oltre a centinaia di piccole lune, Urano 27 e Nettuno 14. Plutone ne ha 5. Questi satelliti vanno dall'essere piccole rocce irregolari fino a ellissoidi quasi sferici grandi abbastanza da poter essere piccoli pianeti. Le loro superfici possono essere costituite principalmente da roccia, ghiaccio, zolfo o metano congelato.

Phobos e Deimos sono le piccole lune di Marte che percorrono il suo cielo. Phobos è molto vicino a Marte e sorge a ovest e tramonta a est; Deimos invece è più esterno e sorge a est e tramonta a ovest. Entrambi i corpi sono irregolari e sono probabilmente asteroidi catturati. Forse si tratta invece di un unico asteroide catturato che aveva una forma simile a un'anatra, come cometa 67P, per la quale è stato recentemente dimostrato che è costituita da due corpi che si sono pian piano avvicinati e sono rimasti poi bloccati insieme. Se fosse così, l'asteroide catturato da Marte si separò di nuovo in due parti a causa della gravità del pianeta: Phobos è uno dei due pezzi e l'altro è Deimos.

Alcune lune sembrano completamente morte; altre sono attive. Encelado, una luna di Saturno, produce geyser di ghiaccio che svettano per ben cinquecento chilometri al di sopra della sua superficie. Io, una luna di Giove, ha una superficie solforosa e almeno due vulcani attivi, Loki e Pele, che vomitano composti solforati; nel sottosuolo di Io deve esserci un'enorme serbatoio di zolfo liquido e l'energia per riscaldarlo probabilmente proviene dall'attrazione gravitazionale di Giove. Titano, una luna di Saturno, ha un'atmosfera di metano, molto più densa di quanto dovrebbe essere. Una luna di Nettuno, Tritone, orbita intorno al pianeta nel verso sbagliato, cosa che indica che si tratta di un satellite catturato: sta lentamente cadendo lungo una traiettoria a spirale verso Nettuno e tra 3,6 miliardi di anni si disintegrerà, quando supererà il limite di Roche: la distanza all'interno della quale le lune vanno in frantumi a causa delle tensioni gravitazionali.

Le lune dei pianeti più grandi spesso mostrano risonanze. Per esempio, tra i satelliti di Giove, Europa ha un periodo doppio di quello di Io e Ganimede ha il doppio del periodo di Europa, quindi quattro volte quello di Io. Le risonanze provengono dalla dinamica di corpi che obbediscono alla legge di gravitazione di Newton. Pianeti con sistemi di anelli lentamente vanno producendo per accrezione lune al bordo degli anelli, per poi «sputarle via» una per una, come le gocce d'acqua che escono da un rubinetto che non è chiuso bene. Ci sono regolarità matematiche in questo processo.

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9. Caos e Cosmos


                                                  Questo è del tutto irregolare.

                                 L'aereo più pazzo del mondo... sempre più pazzo



Le lune di Plutone oscillano.

Plutone ha cinque satelliti. Caronte è sferico e insolitamente grande rispetto al suo primario, mentre Notte, Idra, Cerbero e Stige sono piccoli corpi irregolari. Caronte e Plutone sono legati da forze di marea in modo tale che ciascuno presenta sempre la stessa faccia all'altro. Non così le altre lune. Nel 2015, il telescopio Hubble ha osservato variazioni irregolari nella luce riflessa da Notte e da Idra. Utilizzando un modello matematico per corpi in rotazione, gli astronomi hanno dedotto che queste due lune ruotano su sé stesse, ma non in modo regolare. Al contrario, il loro movimento è caotico.

In matematica, «caotico» non è solo una parola fantasiosa per dire «incorente e imprevedibile». Si riferisce al caos deterministico, cioè a un comportamento apparentemente irregolare derivante da leggi del tutto regolari. Probabilmente sembrerà paradossale, ma questa combinazione è spesso inevitabile. Il caos sembra casuale - e per certi aspetti lo è - ma deriva dalle stesse leggi matematiche che producono comportamenti regolari e prevedibili come il Sole che sorge ogni mattina.

Ulteriori misure fatte con il telescopio Hubble suggeriscono che anche Stige e Cerbero abbiano una rotazione caotica. Uno dei compiti svolti da New Horizons quando visitò Plutone era quello di verificare questa teoria. I dati raccolti dovevano essere trasmessi alla Terra nell'arco di un periodo di 16 mesi e, mentre sto scrivendo, i risultati non sono ancora arrivati.

Le lune oscillanti di Plutone sono tra le ultime notizie riguardanti le dinamiche caotiche del cosmo, ma gli astronomi hanno scoperto molti esempi di caos cosmico, che vanno da sottili dettagli riguardanti minuscole lune fino al futuro a lungo termine del Sistema Solare. Iperione, una luna di Saturno, è un altro corpo dalla rotazione caotica: è stato il primo satellite beccato a comportarsi male. L'asse terrestre è inclinato di un angolo abbastanza stabile di 23,4 gradi, inclinazione che fornisce la regolare successione delle stagioni, ma l'inclinazione assiale di Marte varia in modo caotico. Anche gli assi di Mercurio e di Venere si comportavano in modo simile, ma gli effetti di marea dovuti al Sole li hanno stabilizzati.

C'è un legame tra il caos e la lacuna di Kirkwood 3:1 nella fascia degli asteroidi. Giove elimina gli asteroidi di questa regione e li lancia, volenti o nolenti, in giro per il Sistema Solare. Alcuni attraversano l'orbita di Marte, che può reindirizzarli quasi ovunque. Forse è per questo motivo che i dinosauri si sono estinti. Gli asteroidi troiani di Giove sono stati probabilmente catturati dal pianeta come conseguenza di dinamiche caotiche. La dinamica caotica ha anche fornito agli astronomi un modo per stimare l'età di una famiglia di asteroidi.

Lungi dall'essere un gigantesco orologio, il Sistema Solare gioca alla roulette con i suoi pianeti. Il primo indizio (riscontrato da Gerry Sussman e Jack Wisdom nel 1988) fu costituito dalla scoperta che gli elementi orbitali di Plutone variano in modo erratico in conseguenza delle forze gravitazionali esercitate dagli altri pianeti. Un anno dopo, Wisdom e Jacques Laskar dimostrarono che anche l'orbita terrestre è caotica, seppure in modo meno deciso: l'orbita stessa non cambia notevolmente, ma la posizione della Terra lungo l'orbita è imprevedibile a lungo termine. Un piccolo errore di misurazione della posizione attuale del nostro pianeta, anche solo di 15 metri, renderebbe impossibile prevedere dove si troverà tra cento milioni di anni.

Sussman e Wisdom dimostrarono anche che, se non ci fossero stati i pianeti interni, a lungo termine Giove, Saturno, Urano e Nettuno si sarebbero comportati caoticamente. Questi pianeti esterni hanno un effetto significativo su tutti gli altri pianeti, il che li rende la principale fonte di caos nel Sistema Solare. Tuttavia, il caos non è limitato al nostro cortile cosmico. I calcoli indicano che molti pianeti extrasolari che girano intorno a stelle lontane probabilmente seguono orbite caotiche. C'è un caos astrofisico: la luce di alcune stelle varia in modo caotico. Il moto delle stelle nelle galassie può essere caotico, anche se gli astronomi di solito modellano le loro orbite come circonferenze (cfr. capitolo 12).

Il caos sembra governare il cosmo. Eppure gli astronomi hanno scoperto che, nella maggior parte dei casi, la causa principale del caos è data dalle orbite risonanti, cioè da semplici configurazioni numeriche. Come quello della lacuna di Kirkwood 3:1. D'altra parte, il caos è anche responsabile di configurazioni quali le spirali delle galassie come vedremo nel capitolo 12.

L'ordine crea il caos e il caos crea l'ordine.

[...]

I sistemi caotici hanno molte ripetizioni approssimative del loro comportamento, quindi il passato è una ragionevole guida — anche se ben lontana dall'infallibilità — al prossimo futuro.

La durata del tempo per cui tale previsione rimane valida può essere chiamato l'orizzonte di previsione (in gergo: tempo caratteristico o tempo di Lyapunov). Più accuratamente si conosce lo stato attuale di un sistema dinamico caotico, più lungo è l'orizzonte di previsione — ma l'orizzonte aumenta molto più lentamente della precisione delle misurazioni. Per quanto si sia precisi, il minimo errore nello stato attuale diventa tanto grande da superare la previsione. Il meteorologo Edward Lorenz ha scoperto questo comportamento in un semplice modello di tipo metereologico ed esso si verifica anche nei sofisticati modelli utilizzati per le previsioni del tempo. Il movimento dell'atmosfera rispetta regole matematiche specifiche senza alcun elemento di casualità, ma sappiamo tutti quanto le previsioni meteorologiche possano diventare inaffidabili nel giro di pochi giorni.

Questo è il famoso (e ampiamente frainteso) effetto farfalla di Lorenz: il flap del battito di un'ala di farfalla può causare un uragano all'altro capo del mondo un mese dopo.

Se pensate che suoni implausibile, non avete tutti i torti. L'affermazione è vera, ma solo in un senso molto speciale. La principale fonte di potenziali equivoci è la parola causare. È difficile immaginare come la minima quantità di energia presente nel battito di un'ala possa creare l'enorme energia in un uragano. La risposta è che in effetti non lo crea. L'energia dell'uragano non deriva dalla farfalla: è ridistribuita da altri luoghi quando l'ala della farfalla interagisce con il resto del sistema meteorologico altrimenti immutato.

Dopo che la farfalla ha battuto le ali, non abbiamo esattamente lo stesso tempo di prima — eccezion fatta per un uragano extra. È invece l'intero schema climatico, in tutto il mondo, che cambia. In un primo momento il cambiamento è piccolo, ma cresce: non cresce l'energia, ma la differenza rispetto a quello che sarebbe accaduto altrimenti. E questa differenza diventa rapidamente grande e imprevedibile. Se la farfalla avesse battuto le ali due secondi dopo, potrebbe aver «causato» un tornado nelle Filippine, compensato da tempeste di neve in Siberia. O un mese di maltempo nel Sahara, se è per questo.

I matematici chiamano questo effetto «dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali». In un sistema caotico, input che differiscono appena appena portano a output che differiscono assai notevolmente. Si tratta di un effetto reale e molto comune. Per esempio, nell'impastare la pasta si mescolano gli ingredienti in modo molto accurato. Ogni volta che l'impasto viene steso, granuli di farina vicini vengono allontanati. Quando l'impasto viene poi ripiegato per impedirgli di cadere dal tavolo della cucina, granelli che si trovano lontani possono (o no) finire uno accanto all'altro. Lo stendere la pasta, combinato con il ripiegarla, crea caos.

Questa non è solo una metafora: è una descrizione nel linguaggio di tutti i giorni del meccanismo matematico di base che genera dinamiche caotiche. Matematicamente, l'atmosfera è come la pasta. Le leggi fisiche che regolano il tempo «stendono» lo stato dell'atmosfera localmente, ma l'atmosfera non esce dal pianeta, quindi il suo stato «si ripiega». Pertanto, se potessimo replicare due volte gli stessi eventi atmosferici, con l'unica differenza che ci sia o non ci sia il battito d'ali della farfalla, i comportamenti risultanti divergerebbero esponenzialmente. Il tempo che fa sembrerà ancora il tempo che fa, ma sarà diverso.

In realtà non possiamo gestire due volte gli eventi atmosferici reali, ma questo è precisamente quello che succede nelle previsioni meteorologiche che utilizzano modelli che riflettono la realtà dell'atmosfera. Cambiamenti molto piccoli nei numeri che rappresentano lo stato attuale del tempo, quando vengono inseriti nelle equazioni che prevedono lo stato futuro, portano a grandi cambiamenti nella previsione. Ad esempio, un'area di alta pressione su Londra in una simulazione può essere sostituita da un'area di bassa pressione in un'altra. Il modo attuale di trattare questo fastidioso effetto è quello di eseguire molte simulazioni con piccole variazioni casuali delle condizioni iniziali e utilizzare i risultati per quantificare le varie probabilità. Questo è ciò che significa «c'è un 20% di probabilità di temporali».

Nella pratica non è possibile causare un particolare uragano impiegando una farfalla adeguatamente addestrata, poiché la previsione dell'effetto del battito delle sue ali è anch'essa soggetta allo stesso orizzonte di previsione. Tuttavia, in altri contesti, come il controllo del battito cardiaco, questo tipo di «controllo caotico» può fornire un percorso efficace per arrivare al comportamento dinamico desiderato. Vedremo alcuni esempi astronomici nel capitolo 10, nel contesto delle missioni spaziali.

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Gli effetti di eventi astronomici sulle creature viventi della Terra che sono effettivamente accaduti sono più interessanti di quelli ipotetici che non si sono verificati. Il più famoso è l'asteroide che sterminò i dinosauri. O era invece una cometa? E non può darsi che ci fossero anche altri fattori coinvolti, per esempio grandi eruzioni vulcaniche?

I dinosauri apparvero per la prima volta nel Triassico, circa 231 milioni di anni fa e sono scomparsi 65 milioni di anni fa alla fine del Cretaceo. In tutti quei milioni di anni furono i vertebrati di maggior successo, in mare e sulla terraferma. Al confronto, gli esseri umani «moderni» sono in giro solo da un paio di milioni di anni. Tuttavia, c'erano molte specie di dinosauri, e il paragone è un po' ingiusto. Per la maggior parte, una singola specie non sopravvive per più di qualche milione di anni.

I reperti fossili dimostrano che i dinosauri sono morti improvvisamente, improvvisamente per gli standard geologici. La loro scomparsa è stata accompagnata da quella dei mosasauri e dei plesiosauri (due gruppi di rettili acquatici), delle ammoniti, di molti uccelli, dei marsupiali, della metà dei tipi di plancton, di molti pesci, dei ricci di mare, delle spugne e delle lumache. Questa estinzione improvvisa è nota come «estinzione K-T» (abbreviazione per Cretaceo-Terziario) ed è uno dei cinque o sei eventi principali in cui un numero enorme di specie scomparve nel corso di un batter di ciglia dal punto di vista del tempo geologico. I dinosauri sono riusciti a lasciare alcuni discendenti: gli uccelli si sono evoluti da dinosauri teropodi nel corso del Giurassico. Verso la fine del loro regno i dinosauri hanno coesistito con i mammiferi, alcuni dei quali erano abbastanza grandi; la scomparsa dei dinosauri sembra che abbia scatenato un'esplosione evolutiva dei mammiferi, poiché il loro principale concorrente era stato rimosso dalla scena.

C'è un consenso diffuso tra í paleontologi che una delle cause principali dell'estinzione K-T fu l'impatto di un asteroide, o forse una cometa, che ha lasciato un segno indelebile sulla costa dello Yucatan in Messico: il cratere Chicxulub.

Se l'impatto sia stato la sola causa è ancora controverso, in parte perché c'è almeno un altro candidato plausibile: una serie di violentissime eruzioni vulcaniche, il cui magma formò i Trappi del Deccan in India. Tali eruzioni avrebbero diffuso nell'atmosfera enormi quantità di gas nocivi. Il nome «Trappi» deriva dalla voce scandinava trappa (scala, gradino) e sta a indicare l'aspetto a gradini che gli strati di basalto conferiscono al paesaggio di queste colline.

Forse furono coinvolti anche mutamenti climatici o il cambiamento del livello del mare. Ma l'impatto con un corpo celeste è ancora il principale sospettato e diversi tentativi di dimostrare che le cose sono andate diversamente si sono arenati via via che la ricerca forniva evidenze migliori.

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Allo stesso modo, il punto principale della teoria del caos è che il caos c'è davvero nel mondo naturale. In circostanze idonee e comuni, non è altro che un'inevitabile conseguenza delle leggi della natura, allo stesso modo di quei piacevoli e semplici modelli come le orbite ellittiche periodiche che hanno dato il via alla rivoluzione scientifica. Dal momento che c'è, dobbiamo abituarci. Anche se l'unica cosa che potessimo fare con la teoria del caos fosse quella di avvertire le persone a prevedere un comportamento irregolare nei sistemi basati su regole, sarebbe qualcosa che vale la pena conoscere. Ci impedirebbe di cercare influenze esterne inesistenti che altrimenti potremmo presumere che siano la causa delle irregolarità.

In realtà, la «teoria del caos» ha conseguenze più utili. Poiché il caos è una conseguenza delle regole, è possibile utilizzare il caos per dedurre le regole, verificarle e fare deduzioni su di esse. Poiché la natura si comporta spesso in modo caotico, dobbiamo cercare di capire meglio come funziona il caos. Ma la verità è ancora migliore. Il caos può essere una cosa buona, grazie all'effetto farfalla. Piccole differenze iniziali possono causare grandi cambiamenti. Prendiamola dall'altro lato. Supponete di voler provocare un uragano. Suona come un compito enorme. Ma, come ha sottolineato Terry Pratchett in Interesting Times, tutto quello che dovete fare è trovare la farfalla giusta, e... flap flap.

Questo è il caos visto non come ostacolo, ma come forma molto efficace di controllo. Se potessimo in qualche modo applicare l'ingegneria inversa all'effetto farfalla, saremmo in grado di reindirizzare un sistema caotico verso un nuovo stato con pochissimi sforzi. Potremmo far crollare un governo e avviare una guerra solo spostando un dito. Improbabile? Sì, ma ricordate il 28 giugno 1914 a Sarajevo. Se le circostanze sono giuste, un dito sul grilletto è tutto ciò che serve.

Il problema degli n- corpi in astronomia è caotico. Sfruttare l'effetto farfalla in quel contesto ci consente di reindirizzare una sonda spaziale senza usare quasi nessun propellente. Potremmo, ad esempio, lanciare una sonda lunare quasi usurata fuori dalla sua orbita destinata alla morte intorno alla Luna e inviarla a studiare una cometa. Anche questo sembra improbabile, ma in linea di principio l'effetto farfalla dovrebbe essere in grado di farlo.

Dov'è l'inghippo? (Ce n'è sempre uno. Non esistono pranzi gratis).

Bisogna trovare la farfalla giusta.

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Una domanda fondamentale è quanto lontane siano le stelle. Si dà il caso che (eccezion fatta per poche stelle distanti qualche decina di anni luce) l'unico motivo per cui conosciamo la risposta dipenda anch'esso dall'astrofisica, anche se inizialmente l'osservazione chiave fu di natura empirica. Fu Henrietta Leavitt a trovare una candela standard riuscendo a mettere un metro fra le stelle.

Nel VI secolo a.C. il filosofo e matematico greco Talete stimò l'altezza di una piramide egiziana utilizzando la geometria, misurando l'ombra del monumento e la propria. Il rapporto tra l'altezza della piramide e la lunghezza della sua ombra è uguale al rapporto tra l'altezza di Talete e la lunghezza della sua ombra. Tre di queste lunghezze possono essere facilmente misurate, di modo che se ne può ricavare la quarta. Il suo ingegnoso metodo è un semplice esempio di ciò che ora chiamiamo trigonometria. La geometria dei triangoli mette in relazione i loro angoli con lati. Gli astronomi arabi svilupparono appositi strumenti, utilizzati poi anche per l'agrimensura. Le distanze sono difficili da misurare direttamente, perché spesso ci sono di mezzo ostacoli, ma è facile farlo con gli angoli. È possibile utilizzare un palo e una corda, o meglio ancora una rilevazione telescopica, per misurare la direzione di un oggetto lontano. Iniziate misurando, con estrema precisione, la lunghezza di una linea di base conosciuta. Quindi misurate gli angoli da entrambe le estremità di questa linea a un altro punto e potrete calcolare le distanze da quel punto. Ora avrete due lunghezze in più conosciute, in modo da poter ripetere il processo e triangolare l'area da mappare e calcolare tutte le distanze partendo solo da quella linea di base misurata all'inizio.

È famoso il modo in cui Eratostene utilizzò la geometria per calcolare le dimensioni della Terra. Confrontò l'angolo del Sole a mezzogiorno ad Alessandria d'Egitto e a Syene (l'attuale Assuan) e disponeva della distanza tra le due città (forse calcolata sulla base del tempo impiegato da una carovana per recarsi dall'una all'altra). Conoscendo le dimensioni della Terra, è possibile osservare la Luna da due posizioni diverse e dedurre la distanza della Luna; e si può usare questa per trovare la distanza del Sole.

Come? Intorno al 150 a.C., Ipparco si rese conto che quando la fase lunare è esattamente a metà, la retta che congiunge la Luna e il Sole è perpendicolare alla retta tra la Terra e la Luna. Misurò l'angolo tra questa linea di base e la linea dalla Terra al Sole e calcolò quanto lontano era il Sole. La sua stima, 3 milioni di chilometri, era troppo piccola: il valore corretto è di 150 milioni. Sbagliò perché pensava che l'angolo fosse di 87 gradi quando in realtà è molto vicino a un angolo retto. Con strumentazioni migliori, si può ottenere una stima più accurata.

Questa progressione può fare un ulteriore passo avanti. È possibile utilizzare l'orbita terrestre come linea base per trovare la distanza di una stella. La Terra percorre metà della sua orbita in sei mesi. Gli astronomi definiscono la parallasse di una stella come la metà dell'angolo tra le due linee visuali della stella quando è osservata dalle estremità opposte dell'orbita terrestre. La distanza della stella è approssimativamente proporzionale alla parallasse, e una parallasse di un secondo di arco corrisponde a circa 3,26 anni luce. Questa unità è il parsec (parallasse di un secondo d'arco), e molti astronomi la preferiscono all'anno luce per questo motivo.

James Bradley cercò di misurare la parallasse di una stella nel 1729, ma i suoi strumenti non erano abbastanza precisi. Nel 1838 Friedrich Bessel, usò uno degli eliometri di Fraunhofer - un telescopio di nuova concezione diffusosi dopo la morte di Fraunhofer - per osservare la stella 61 Cygni. Misurò una parallasse di 0,77 secondi d'arco, paragonabile alla larghezza di una palla da tennis vista a dieci chilometri di distanza. Questo corrisponde a una distanza di 11,4 anni luce, molto vicina al valore corrente. Ovvero circa centomila miliardi di chilometri, il che dimostrava quanto fosse piccolo il nostro mondo rispetto all'Universo che lo circonda.

Il deprezzamento dell'umanità non era ancora finito. La maggior parte delle stelle, anche nella nostra galassia, non mostrano parallasse misurabile, il che implica che siano molto più lontane di 61 Cygni. Ma quando non esiste una parallasse rilevabile, la triangolazione non funziona più. Le sonde spaziali potrebbero sì fornire una linea di base più lunga, ma non di un ordine di grandezza maggiore, che è ciò che è necessario per stelle e galassie lontane. Gli astronomi avevano bisogno di pensare a qualcosa di radicalmente diverso per continuare a salire sulla scala delle distanze cosmiche.


Bisogna arrangiarsi come si può. Una caratteristica facilmente osservabile di una stella è la sua luminosità apparente. Essa dipende da due fattori: quanto è veramente luminosa - la sua luminosità intrinseca o luminosità assoluta - e quanto essa è lontana. La luminosità è come la gravità, diminuisce proporzionalmente all'inverso del quadrato della distanza. Se una stella con la stessa luminosità intrinseca di 61 Cygni ha una luminosità apparente pari a un nono di quella quantità, deve essere tre volte più lontana.

Purtroppo, la luminosità intrinseca dipende dal tipo di stella, dalla sua dimensione e da quali reazioni nucleari si stanno precisamente verificando al suo interno. Per fare funzionare il metodo della luminosità apparente abbiamo bisogno di una candela standard, ovvero di un tipo di stella la cui luminosità intrinseca sia conosciuta o che possa essere dedotta senza sapere quanto lontano essa si trovi. Ecco dove entrò in gioco Henrietta Leavitt. Nel 1920 Pickering l'assunse come calcolatore umano, con il ripetitivo compito di misurare e catalogare le luminosità delle stelle nella collezione di lastre fotografiche dell'Osservatorio del college di Harvard.

La maggior parte delle stelle hanno sempre la stessa luminosità apparente, ma alcune - che naturalmente suscitano particolare interesse tra gli astronomi - sono variabili: la loro luminosità apparente aumenta e diminuisce seguendo un regolare schema periodico. Leavitt fece uno studio speciale sulle stelle variabili. Ci sono due ragioni principali per la loro variabilità. Molte stelle sono binarie: due stelle che orbitano intorno al loro comune centro di massa. Se succede che la Terra si trovi nel piano di queste orbite, allora le stelle passano l'una di fronte all'altra con tempi regolarmente distanziati. Quando lo fanno, il risultato è simile a un'eclisse anzi, lo è proprio: una stella si avvicina alla compagna e ci blocca temporaneamente la visione della sua produzione luminosa. Queste binarie «eclissanti» sono stelle variabili e possono essere riconosciute dal modo in cui la luminosità osservata cambia: lampi di breve durata contro uno sfondo costante. Sono inutili come candele standard.

Tuttavia, c'è un altro tipo di stella variabile più promettente: le variabili intrinseche. Queste sono stelle con reazioni nucleari la cui produzione di energia fluttua periodicamente, ripetendo più e più volte lo stesso schema di cambiamenti: ciò fa fluttuare anche la luce emessa. Inoltre le variabili intrinseche possono essere identificate dal fatto che le modifiche dell'emissione luminosa non sono lampi di luce.

Leavitt stava studiando un particolare tipo di stella variabile, chiamata cefeide, perché la prima stella di questo tipo a essere scoperta era stata δ Cephei. Utilizzando un ingegnoso approccio statistico, scoprì che le cefeidi più deboli hanno periodi più lunghi, secondo una specifica regola matematica. Alcune cefeidi sono abbastanza vicine da avere parallasse misurabile, in modo da poter calcolare quanto sono lontane. Su questa base Leavitt poté calcolare la loro luminosità intrinseca. Questi risultati poi li estese a tutte le cefeidi, utilizzando la formula che mette in relazione il periodo con la luminosità intrinseca.

Le cefeidi erano la candela standard a lungo cercata. Insieme al metro di riferimento — la formula che descrive come la luminosità apparente della stella varia con la distanza — ci hanno permesso di intraprendere un altro passo avanti sulla scala delle distanze cosmiche. Ogni passo coinvolse una miscela di osservazioni, teorie e inferenze matematiche: numeri, geometria, statistiche, ottica, astrofisica.

Ma il passo finale, veramente gigantesco, doveva ancora venire.

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13. Mondi alieni


                                        Astronomi alieni avrebbero potuto
                                        esaminare la Terra per più di quattro
                                        miliardi di anni senza mai individuare
                                        segnali radio, nonostante il fatto che
                                        il nostro mondo sia il simbolo stesso
                                        dell'abitabilità.

                                                 Seth Shostak, Klingon Worlds,
                                         «The Huffington Post», 26 giugno 2013



Tra gli scrittori di fantascienza, il fatto che l'Universo sia pieno di pianeti è da molto tempo un articolo di fede. Questa convinzione è stata motivata principalmente da esigenze narrative: i pianeti sono necessari come luoghi per ambientarvi storie emozionanti. Al tempo stesso, però, è sempre stata una convinzione scientificamente sensata. Data la quantità di paccottiglia cosmica di ogni forma e dimensione che sferraglia in giro per l'Universo, ci dovrebbero essere pianeti in abbondanza.

Già nel XVI secolo, Giordano Bruno sosteneva che le stelle fossero soli lontani, con propri pianeti, che avrebbero potuto persino essere abitati. Finì al rogo come eretico, fra l'altro anche per queste sue idee. Nello Scholium generale con cui concludeva l'edizione del 1713 dei suoi Principia Newton scriveva: «Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté generarsi senza il progetto e il dominio di un Ente potente e intelligente. E se le stelle fisse sono centri di sistemi simili, essi tutti, costruiti secondo un simile progetto, soggiaceranno al dominio dell'Unico».

Altri scienziati non erano d'accordo e sostenevano che il Sole fosse l'unica stella dell'Universo a possedere dei pianeti. Ma la scommessa vincente era sempre sull'immaginare zillioni di esopianeti, come oggi si chiamano. La nostra migliore teoria sulla formazione dei pianeti è il collasso di una grande nebulosa di gas che dà origine ai pianeti contemporaneamente alla loro stella centrale e di queste nebulose ne esistono in abbondanza. Ci sono almeno 50 quintillioni (5 x 10^20) di grandi corpi (stelle) e un numero assai più grande di corpi di piccole dimensioni (particelle di polvere). Sarebbe strano se la dimensione intermedia fosse una sorta di taglia proibita e ancor più strano sarebbe se tale taglia coincidesse con le dimensioni tipiche dei pianeti.


Gli argomenti indiretti funzionano tutti molto bene, ma l'assenza di pianeti si faceva notare come i vestiti nuovi dell'imperatore. Fino a non molto tempo fa, non esisteva alcuna prova osservazionale che una qualche altra stella avesse dei pianeti. Nel 1952 Otto Struve suggerì un metodo pratico per individuare gli esopianeti, ma passarono quarant'anni prima che venisse messo a frutto. Nel primo capitolo abbiamo visto che la Terra e la Luna si comportano come un uomo grasso che balla con un bambino. Il bambino si muove in tondo mentre l'uomo ruota facendo perno sui suoi piedi. Lo stesso vale per un pianeta che orbita intorno a una stella: il pianeta leggero si muove lungo una grande ellisse mentre la stella pesante oscilla appena appena.

Struve suggerì di utilizzare uno spettroscopio per rilevare queste piccole oscillazioni. L'effetto Doppler fa sì che un qualsiasi movimento della stella si rifletta in un leggero spostamento delle linee spettrali. La quantità di spostamento fornisce la velocità della stella e possiamo dedurre la presenza del bimbo che gira vorticosamente osservando come l'uomo grasso oscilla. Questo metodo funziona anche se ci sono diversi pianeti: la stella continua a oscillare, ma in modo più complicato. La figura mostra come il Sole oscilla: la maggior parte del movimento è causata da Giove, ma anche altri pianeti contribuiscono. Il movimento complessivo è circa tre volte il raggio del Sole.

La tecnica della spettroscopia Doppler di Struve ha portato nel 1992 al primo avvistamento confermato di un esopianeta, effettuato da Aleksander Wolszczan e Dale Frail. Il primario è un curioso tipo di oggetto stellare noto come pulsar. Questi corpi emettono rapidi impulsi radio regolari e vengono attualmente interpretati come stelle di neutroni che ruotano velocemente; sono chiamati così perché la maggior parte della loro materia è costituita da neutroni. Wolszczan e Frail utilizzarono la radioastronomia per analizzare piccole variazioni negli impulsi emessi dalla pulsar PSR B1257+12 e ne dedussero che doveva avere almeno due pianeti. Questi alterano leggermente la sua rotazione e influenzano la temporizzazione degli impulsi. Il loro risultato è stato ulteriormente confermato nel 1994, insieme alla scoperta di un terzo pianeta.

Le pulsar sono oggetti piuttosto insoliti e non rivelano nulla di significativo sulle stelle ordinarie. Ma anch'esse cominciarono ben presto a cedere i loro segreti. Nel 1995 Michel Mayor e Didier Queloz hanno scoperto un esopianeta che orbitava intorno a 51 Pegasi, una stella di classe spettrale G, la stessa a cui appartiene il Sole. È risultato in seguito che entrambe le scoperte erano state sorpassate sul filo di lana nel 1988, quando Bruce Campbell, Gordon Walker e Stephenson Yang notarono che la stella Alrai (γ Cephei) oscillava in modo sospetto. Poiché i loro risultati erano al limite di ciò che poteva essere rilevato, non avevano rivendicato l'avvistamento di un pianeta, ma nel giro di pochi anni si andarono accumulando ulteriori prove e gli astronomi cominciarono a credere che il gruppo avesse fatto centro. L'esistenza del pianeta è stata definitivamente confermata nel 2003.

Oggi conosciamo più di tremila pianeti extrasolari: la cifra attuale (1 giugno 2016) è 3422 pianeti in 2560 sistemi planetari, di cui 582 sistemi con più di un pianeta. Per non parlare di migliaia di altri plausibili candidati ancora da confermare. Tuttavia, a volte ciò che è stato considerato un segno della presenza di un esopianeta viene riesaminato e scartato come qualcos'altro mentre nuovi candidati si affollano, per cui queste cifre possono scendere o salire facilmente. Nel 2012 è stato annunciato che un membro del sistema stellare più vicino a noi, Alfa Centauri, avrebbe un pianeta delle dimensioni della Terra, ma molto più caldo. Ora sembra che si trattasse di un prodotto dell'analisi dei dati e che questo pianeta, Alfa Centauri Bb, in realtà non esista. Tuttavia, è stato rilevato un altro potenziale pianeta extrasolare della stessa stella, Alfa Centauri Bc. Gliese 1132, una nana rossa distante 39 anni luce, ha sicuramente un pianeta, Gliese 1132b, che ha causato molto entusiasmo perché è di dimensioni terrestri (anche se troppo caldo per avere acqua liquida) e abbastanza vicino perché se ne possa osservare l'atmosfera. Molti degli esopianeti scoperti finora si trovano a poche decine di anni luce. Planetariamente parlando, non siamo soli.

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Forse la vita non ha affatto bisogno di un pianeta.

Non dobbiamo lasciar perdere il nostro sistema stellare troppo facilmente. Se la vita esistesse altrove nel Sistema Solare, dove sarebbe più probabile trovarla? Per quanto ne sappiamo, l'unico pianeta abitato nella zona abitabile del Sole è la Terra, quindi a prima vista la risposta dovrebbe essere: da nessuna parte. In realtà, i luoghi più probabili in cui si può sostenere la vita - probabilmente vita non più complessa di quella dei batteri, ma vita comunque - sono Europa, Ganimede, Callisto, Titano e Encelado. Scommettere su Cerere e Giove sarebbe azzardato.

Cerere, un pianeta nano, si trova sul bordo esterno della zona abitabile e presenta un'atmosfera sottile con vapore acqueo. La missione Dawn ha rivelato l'esistenza di punti chiari all'interno di un cratere che, inizialmente considerati ghiaccio, si sono poi rivelati essere un tipo di sale di magnesio. Se fosse stato ghiaccio, Cerere avrebbe avuto un ingrediente chiave per la vita di tipo terrestre, anche se congelato. Il ghiaccio probabilmente esiste a maggiore profondità.

Carl Sagan ha suggerito negli anni sessanta che nell'atmosfera di Giove potrebbero galleggiare forme di vita batterica e forse anche organismi più complessi simili a palloncini. L'ostacolo principale è che Giove emette una gran quantità di radiazioni. Tuttavia, alcuni batteri prosperano nell'alta atmosfera terrestre, dove i livelli di radiazione sono notevoli e i tardigradi - animaletti minuscoli popolarmente conosciuti come «orsi d'acqua» - possono sopravvivere a estremi livelli di radiazioni e temperatura, calda e fredda, che ucciderebbero noi umani.

Gli altri cinque corpi che ho elencato non sono pianeti o pianeti nani, ma lune, e si trovano ben al di fuori della zona abitabile. Europa, Ganimede e Callisto sono satelliti di Giove. Come abbiamo visto nel capitolo 7, hanno oceani sotterranei, formatisi perché il riscaldamento causato dalle forze di marea create da Giove scioglie il ghiaccio. In fondo a questi oceani possono esistere sorgenti idrotermali calde, che fornirebbero un habitat per la vita analogo a quello di simili sorgenti idrotermali terrestri, come quelle che si trovano lungo la dorsale oceanica dell'Atlantico. Qui le placche tettoniche terrestri divergono, trascinate da una sorta di nastro trasportatore geologico e i loro bordi esterni che subiscono la subduzione verso i continenti europeo e americano. La ricca infusione di sostanze chimiche di origine vulcanica, insieme al calore proveniente dal caldo gas vulcanico, fornisce un comodo habitat per vermi, gamberetti e altri organismi abbastanza complessi. Alcuni biologi evoluzionistici pensano che la vita sulla Terra provenga tutta da simili posti. E se funziona qui, perché non su Europa?

[...]


Se gli esseri umani si fossero evoluti su Marte, quanto sarebbero diversi?

Che domanda stupida. Gli esseri umani non si sono evoluti su Marte. Se la vita si fosse evoluta su Marte (e per quello che ne sappiamo avrebbe potuto farlo molto tempo fa e organismi a livello dei batteri potrebbero ancora esistervi), avrebbe seguito il proprio percorso evolutivo, una miscela di accidenti e dinamiche selettive. Se trapiantassimo gli esseri umani su Marte, morirerebbero prima di potersi evolvere per adeguarsi alle condizioni marziane.

Molto bene, allora. Supponiamo che gli alieni si evolvano su un certo pianeta extrasolare. A cosa assomiglierebbero? Questa è una domanda un po' più sensata. Tenete a mente che la Terra ospita attualmente milioni di specie diverse. Come sono fisicamente? Alcune hanno ali, altre hanno zampe e altre ancora le hanno entrambe, alcune vivono negli oceani a chilometri di profondità, prosperano in escrementi congelati o nei deserti, e via dicendo. La vita terrestre è anche molto diversificata e caratterizzata da una biologia bizzarra: il lievito ha venti sessi diversi, le rane Xenopus si mangiano i loro girini...

Gli alieni cinematografici e televisivi tendono a essere umanoidi (il che permette agli attori di impersonarli) o mostri generati al computer, progettati per avere un effetto orribile. Entrambi non sono una guida affidabile per farsi un'idea plausibile della vita aliena. La vita si evolve in base alle condizioni e agli ambienti prevalenti, ed è molto eterogenea. Possiamo speculare, naturalmente, ma è improbabile che un qualche specifico design di una creatura aliena possa mai sorgere da qualche parte nell'Universo. La ragione è una distinzione fondamentale nella xenoscienza, da tempo sottolineata dal biologo Jack Cohen: la differenza tra universale e parrocchiale (parochial). Devono essere presi come nomi, non aggettivi e sono abbreviazioni per «carattere universale» / «carattere parrocchiale». Un parrocchiale è una caratteristica speciale che si evolve per un caso della storia. Ad esempio, la via alimentare umana attraversa le vie aeree, provocando una serie di decessi ogni anno causati dall'inalazione di arachidi. Un difetto di progettazione che genera un numero di vittime troppo piccolo per essere eliminato dall'evoluzione; risale ad antichi antenati pisciformi che vivevano nel mare, dove questo non aveva importanza.

Al contrario, un universale è una caratteristica generica che offre evidenti vantaggi di sopravvivenza. Ne sono esempi la capacità di rilevare il suono o la luce e la capacità di volare in un'atmosfera. Un segno caratteristico di un universale è che esso si è evoluto più volte indipendentemente sulla Terra. Ad esempio, il volo si è evoluto in insetti, uccelli e pipistrelli, lungo percorsi evolutivi indipendenti. Questi percorsi differiscono per i loro aspetti parrocchiali; tutti usano le ali, ma ciascun disegno dell'ala è molto diverso dagli altri. Però, tutti sono stati selezionati dallo stesso universale sottostante.

Tuttavia, questo test ha un difetto: collega la funzionalità direttamente alla storia evolutiva della Terra. Non funziona più così bene per immaginarsi gli alieni. Ad esempio, l'intelligenza a livello umano (o superiore) è un universale? L'intelligenza si è evoluta indipendentemente nei delfini e nei polpi, ad esempio, ma non al nostro livello, quindi non è chiaro se l'intelligenza soddisfa il test «caratteristica evoluta più volte indipendentemente». Tuttavia, l'intelligenza sembra certamente un tocco generico che potrebbe evolversi in modo indipendente e offre buoni vantaggi di sopravvivenza a breve termine, dando al suo possessore potere sul proprio ambiente. Quindi l'intelligenza è senza dubbio un universale.

Queste non sono definizioni, e la distinzione tra universali e parrocchiali è al meglio un po' vaga. Ma concentra l'attenzione su ciò che è probabile che sia generico e ciò che è in gran parte un accidente. In particolare se la vita aliena esiste, può condividere alcuni universali terrestri, ma è improbabile che condivida uno dei nostri parrocchiali. Gli alieni umanoidi, proprio come noi, che si evolvono in modo indipendente in un altro mondo, avrebbero troppi parrocchiali per essere credibili. Per esempio, i gomiti. Ma alieni con arti di un qualche genere, in grado di muoversi a loro piacimento, sfruttano un universale.

Qualsiasi design specifico di un alieno sarà pieno di parrocchiali. Se è stato costruito in modo sensato, potrebbe essere simile a una forma di vita effettiva, che viva da qualche parte in un ambiente simile. Avrebbe universali idonei. Ma c'è poca probabilità che ogni singolo parrocchiale compaia nella creatura reale. Disegnate una farfalla con fantasiose ali colorate, antenne delicate, striature... e adesso andate e trovatene una vera che sia esattamente uguale. Non è probabile.

Dal momento che stiamo discutendo le prospettive di vita aliena, sembra ragionevole chiedere cosa si debba intendere con «vita». Una specificazione del significato di «vita» troppo rigida corre il rischio di utilizzare i parrocchiali per definire entità altamente complesse che devono chiaramente considerarsi come viventi. Per evitare questo pericolo dobbiamo attenerci agli universali. In particolare, la biochimica terrestre è probabilmente un parrocchiale. Gli esperimenti mostrano che ci possono essere innumerevoli varianti vitali sul nostro familiare sistema DNA/aminoacidi/proteine. Se incontrassimo alieni che hanno sviluppato una civiltà spaziale, ma non hanno il DNA, sarebbe un po' sciocco insistere a pensare che non sono vivi.

Ho detto «specificazione» piuttosto che «definizione» perché non è chiaro se abbia senso definire la vita. Ci sono troppe aree grigie e qualsiasi sequenza di parole probabilmente presenterebbe la sua eccezione. Le fiamme condividono molte caratteristiche della vita, compresa la capacità di riprodursi, ma non le conteggiamo fra i viventi. I virus sono vivi o no? L'errore è quello di immaginare che ci sia una cosa che noi chiamiamo vita e che dobbiamo mettere in risalto ciò che quella cosa è. La vita è un concetto che i nostri cervelli hanno estratto dalla complessità di ciò che ci sta intorno e che consideriamo importante. Cominciamo a scegliere quello che significa la parola.

La maggior parte dei biologi odierni vengono da studi in biologia molecolare, e di riflesso pensano in termini di molecole organiche (a base di carbonio). Sono stati straordinariamente intelligenti per scoprire come funziona la vita su questo pianeta, quindi non è sorprendente se la loro immagine predefinita della vita aliena assomigli molto alla vita che c'è qui. I matematici e i fisici tendono a pensare strutturalmente. In questa prospettiva, ciò che conta della vita, anche su questo pianeta, non è quello da cui è costituita. È come si comporta.

Una delle specifiche più generali della vita è stata inventata da Stuart Kauffman , uno dei fondatori della teoria della complessità. Usa un termine diverso: agente autonomo. Questo concetto significa «qualcosa che può riprodursi e compiere almeno un ciclo di lavoro termodinamico». Come per tutti i tentativi in questo campo, l'intenzione è quella di catturare le caratteristiche chiave che rendono speciali gli organismi viventi. Non è male. Si concentra sul comportamento, non sugli ingredienti. Evita di definire la vita concentrandosi sui suoi confini sfocati, piuttosto che riconoscere le sue notevoli differenze rispetto alla maggior parte degli altri sistemi.

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15. Matasse e vuoti


                                        La forma del cielo dev'essere poi di
                                        necessità sferica: è questa infatti la
                                        figura che più s'adatta al suo essere, e
                                        che in ordine di natura è prima.

                                           Aristotele, De coelo, II 4,286b 10-11



A cosa assomiglia l'Universo? Quanto è grande? Che forma ha? Sappiamo qualcosa sulla prima di queste domande, e non è ciò che gli astronomi e i fisici originariamente si aspettavano. Su scale più grandi che possiamo osservare, l'Universo è come la schiuma in una tinozza per il bucato. Le bolle nella schiuma sono giganteschi spazi vuoti, quasi privi di materia. I film di sapone che circondano le bolle sono i luoghi dove si accumulano le stelle e le galassie.

C'è da rimanere imbarazzati, dato che il nostro modello matematico preferito della struttura spaziale dell'Universo assume che la materia sia distribuita regolarmente. I cosmologi si consolano supponendo che, su scale ancora più grandi, le singole bolle cessino di essere discernibili e la schiuma sembri piuttosto omogenea, ma non sappiamo se la materia nell'Universo si comporti davvero così. Finora, ogni volta che abbiamo osservato l'Universo su una scala più grande, abbiamo trovato grossi ammassi e grossi vuoti. Forse l'universo non è affatto omogeneo. Forse è un frattale: una forma con struttura dettagliata su tutte le scale.

Abbiamo anche alcune idee sulla seconda domanda: le dimensioni. Le stelle non stanno su una ciotola emisferica che sovrasta la Terra, come credevano alcune antiche civiltà e come sembra supporre la Genesi. Sono l'accesso a un Universo così vasto che sembra infinito. In effetti potrebbe davvero essere infinito. Molti cosmologi la pensano così, ma è difficile immaginare come si possa mettere alla prova scientificamente questa affermazione. Abbiamo un'idea abbastanza precisa di quanto grande sia l'Universo osservabile, ma al di là di esso come possiamo anche solo cominciare a scoprire qualcosa?

La terza domanda, la forma, è persino più spinosa. Fino a oggi non c'è accordo sulla risposta, anche se un consenso di massima favorisce il contendente più banale, una sfera. La tendenza ad assumere che l'Universo sia sferico, l'interno di una grande palla di spazio e di materia, risale a molti secoli fa. Ma in tempi recenti sono state proposte varie alternative: una spirale, una ciambella, un pallone da calcio o una forma geometrica non euclidea chiamata corno di Picard. Potrebbe essere piatto o curvo. Se fosse così, la sua curvatura potrebbe essere positiva o negativa o variare da luogo a luogo. Potrebbe essere finito o infinito, semplicemente connesso o pieno di fori, o addirittura sconnesso, fatto di pezzi separati che non possono mai interagire tra loro.


La maggior parte dell'Universo è spazio vuoto, ma c'è anche molta materia: circa duemila miliardi di galassie, ciascuna delle quali possiede fra i duecento e i quattrocento miliardi di stelle. Il modo in cui viene distribuita la materia — cioè quanta ce n'è in una determinata regione — è importante, perché le equazioni di campo di Einstein mettono in relazione la geometria dello spazio-tempo con la distribuzione della materia.

La materia nell'Universo non è assolutamente spalmata uniformemente sulle scale che abbiamo osservato, ma questa scoperta risale solo a qualche decennio fa. In precedenza, si riteneva generalmente che, al di sopra della scala delle galassie, la distribuzione complessiva della materia fosse omogenea, allo stesso modo di un prato all'inglese, che sembra uniforme se non si vedono i singoli fili d'erba. Ma il nostro Universo sembra più come un prato con grosse chiazze di trifoglio e pozze di fango, che creano una nuova struttura — anch'essa non omogenea — su scale più grandi. E quando si tenta di lisciarla passando a una visione ancora più ampia, il prato sparisce e si vede il parcheggio del supermercato. Meno metaforicamente, la distribuzione cosmica della materia mostra una chiara tendenza ad aggrumarsi su una vasta gamma di scale.

Nei nostri dintorni, la maggior parte della materia nel Sistema Solare si è aggregata per formare una stella, il Sole. Ci sono anche pezzi più piccoli, i pianeti, e pezzi ancora più piccoli: lune, asteroidi, oggetti della fascia di Kuiper... Per non parlare di piccole rocce, ciottoli, polvere, molecole, atomi, fotoni assortiti. Andando nella direzione opposta, alle scale più grandi, troviamo altri tipi di grumi. Alcune stelle possono legarsi gravitazionalmente formando un sistema binario o multiplo. Gli ammassi aperti sono gruppi di migliaia di stelle che si sono formate tutte quasi contemporaneamente nel collasso della stessa nube molecolare. Si trovano all'interno delle galassie (infatti vengono detti anche ammassi galattici); nella nostra Galassia se ne conoscono più di mille e cento. Gli ammassi globulari sono composti da centinaia di migliaia di vecchie stelle che formano una grande sfera dai bordi sfumati e generalmente si presentano come se fossero un satellite orbitante intorno al centro di una galassia. Nella Via Lattea se ne conoscono 158 e forse ce ne sono 180 in totale.

Le galassie sono esempi sorprendenti della grumosità dell'Universo: masse informi, dischi e spirali che contengono tra mille e centomila miliardi di stelle, con diametri che vanno dai 3000 a 300 000 anni luce. Ma le galassie non sono distribuite uniformemente. Tendono a presentarsi strettamente associate sotto forma di gruppi e ammassi di galassie. I raggruppamenti a loro volta si aggregano per formare superammassi, che si legano fra loro con filamenti e muri di galassie allungandosi fino a livelli inimmaginabili nei vuoti che rimangono.

Noi, per esempio, ci troviamo in una Galassia che fa parte del gruppo locale di galassie, insieme alla Galassia di Andromeda M31 e altre 52 galassie, molte delle quali galassie nane come le due Nubi di Magellano che fungono da satelliti delle due spirali dominanti: Andromeda e noi. Circa dieci galassie nane non sono legate gravitazionalmente al resto. L'altra grande galassia principale del gruppo locale è la Galassia del Triangolo (detta anche Galassia Girandola), che potrebbe essere un satellite di Andromeda. Tutto il gruppo locale è di circa dieci milioni di anni luce. Il gruppo locale fa parte del superammasso della Vergine, a sua volta contenuto nel superammasso Laniakea, identificato nel 2014 in un esercizio per definire matematicamente i superammassi analizzando quanto velocemente le galassie si muovano l'una rispetto all'altra. Laniakea si estende per 520 milioni di anni luce e contiene 100 000 galassie.

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16. L'uovo cosmico


                                        All'inizio non c'era niente. Ed esplose.

                           Terry Pratchett, Streghe di una notte di mezza estate



Visto dal nostro confortevole e ospitale pianeta, brulicante di vita e ricco di bellezze naturali, il resto dell'Universo sembra ostile, remoto, austero e relativamente poco importante. Vista da luoghi remoti del Sistema Solare, tuttavia, la nostra casa planetaria si restringe a un singolo pixel blu in una fotografia digitale: il famoso puntino azzurro, l'ultima immagine scattata da Voyager 1 nel 1990. Non faceva parte del programma scientifico previsto per quella sonda, ma il visionario astronomo Carl Sagan, pensava che fosse una buona idea. È diventata un'icona sociale e psicologica. La sonda era approssimativamente lontana da noi quanto lo è Plutone: ancora nel cortile di casa, da un punto di vista cosmico. Eppure, anche così, il nostro stupendo pianeta si era ridotto a un puntino insignificante. Dalla stella più vicina, una macchina fotografica migliore di qualsiasi altra di cui attualmente disponiamo, dovrebbe fare una gran fatica anche solo per vedere il nostro caro pianeta. Da stelle più lontane, forse sarebbe come se non fossimo mai esistiti, per la differenza che la nostra presenza farebbe, e lo stesso vale per il Sole. E quando si passa alle altre galassie, anche la nostra Galassia madre diventa insignificante su scala cosmica.

È un pensiero che ispira umiltà e dimostra quanto davvero fragile sia la nostra Terra. Al tempo stesso, ci fa stupire della grandezza dell'Universo. Più costruttivamente, ci porta anche a chiederci che cosa d'altro ci sia là fuori e da dove provenga il tutto.

Forse, domande come queste se le fecero anche gli uomini preistorici. Certamente se le posero più di quattromila anni fa le civiltà che ci hanno lasciato documenti scritti, come quelle della Cina, della Mesopotamia e dell'Egitto. Le loro risposte erano immaginifiche, se si ritiene che eserciti l'immaginazione l'attribuire tutto ciò che non si capisce a divinità invisibili con corpi bizzarri e bizzarri stili di vita. Ma, in ultima analisi, erano risposte poco istruttive.

Nel corso dei secoli, la scienza ha proposto le proprie teorie sull'origine dell'Universo. In genere erano meno emozionanti rispetto alle tartarughe che sostengono il mondo, alle battaglie tra il dio serpente e un gatto magico armato di spada o agli dei tagliati in una dozzina di pezzi e ritornati alla vita quando le parti venivano rimesse insieme. Ma le teorie scientifiche sono anche potute rimanere altrettanto lontane dalla verità, perché le risposte della scienza sono sempre provvisorie e bisogna metterle da parte se nuove evidenze le contraddicono. Una delle teorie più diffuse per gran parte dell'era scientifica, è noiosissima. Secondo questa versione non succede niente: l'Universo non ha origine perché è sempre esistito. Ho sempre sentito che questa risposta non esaurisce completamente la questione: restiamo con il bisogno di spiegare perché sia sempre esistito. «Lo ha fatto, e basta» è una risposta ancora meno soddisfacente che invocare un dio serpente. Ma molti non la vedono così.


Oggi la maggior parte dei cosmologi pensano che l'intero Universo — spazio, tempo e materia — sia nato circa 13,8 miliardi di anni fa. Un granello infinitesimo di spazio-tempo apparve dal nulla e si espanse con straordinaria rapidità. Dopo un miliardesimo di secondo la violenza degli inizi andò calando abbastanza perché potessero venire al mondo particelle fondamentali come i quark e i gluoni; dopo un altro milionesimo di secondo queste particelle si combinarono per formare i più familiari protoni e neutroni. Ci sono voluti alcuni minuti perché si unissero formando semplici nuclei atomici. Gli atomi sono fatti da nuclei ed elettroni; e dovettero passare altri 380 000 anni prima che gli elettroni fossero gettati nel mix e si formassero gli atomi degli elementi più semplici: l'idrogeno, l'elio e il deuterio. Solo allora la materia poté cominciare ad aggregarsi sotto l'influenza della gravità, e alla fine si accesero le stelle e si formarono i pianeti e le galassie. I cosmologi hanno calcolato la linea temporale di questa evoluzione con straordinaria precisione e con notevoli dettagli.

Questo scenario è il famoso Big Bang, un nome coniato — non senza sarcasmo — da Fred Hoyle che era un fiero sostenitore della principale teoria concorrente alla sua epoca, la teoria dello stato stazionario dell'universo, il cui nome è abbastanza esplicativo. Ma, a dispetto del nome, l'universo della teoria dello stato stazionario non era un universo in cui niente accade. È solo che ciò che è accaduto non ha causato cambiamenti fondamentali. La visione di Hoyle era che l'Universo si diffonde gradualmente, guadagnando spazio in più, via via che nei vuoti tra le galassie nuove particelle appaiono silenziosamente dal nulla.

I cosmologi non hanno inventato dal nulla. Edwin Hubble notò un semplice schema matematico nelle osservazioni astronomiche, che fece sembrare quasi inevitabile supporre questo grande botto iniziale. Tale scoperta era un sottoprodotto inaspettato del suo lavoro sulle distanze galattiche, ma l'idea era di qualche anno precedente e risaliva a Georges Lemaître. All'inizio del XX secolo la vulgata cosmologica ortodossa era molto semplice. La nostra Galassia conteneva tutta la materia nell'Universo; all'esterno di essa stava un vuoto infinito. La Galassia non collassava sotto la propria gravità perché ruotava, quindi l'intera disposizione era stabile. Quando Einstein pubblicò la relatività generale nel 1915, si capì subito che questo modello di universo non era più stabile. La gravità avrebbe fatto collassare un universo statico, rotazione o non rotazione. Nei suoi calcoli assumeva un universo sfericamente simmetrico ma, intuitivamente, lo stesso problema avrebbe afflitto qualsiasi universo statico relativistico.

Einstein cercò una soluzione e la pubblicò nel 1917. Aggiunse un termine matematico extra alle sue equazioni di campo, sommandovi la metrica moltiplicata per una costante A, che fu successivamente chiamata costante cosmologica. Questo termine fa sì che la metrica si espanda; regolando attentamente il valore di A l'espansione cancella esattamente il collasso gravitazionale.

Nel 1927 Lemaître intraprese un progetto ambizioso: usare le equazioni di Einstein per dedurre la geometria dell'intero Universo. Usando la stessa ipotesi semplificatrice che lo spazio-tempo sia sfericamente simmetrico, derivò una formula esplicita per questa ipotetica geometria dello spazio-tempo. Quando interpretò il significato della formula, Lemaître scoprì che prevedeva qualcosa di notevole.

L'Universo stava espandendosi.

Nel 1927 la visione predefinita era che l'Universo fosse sempre esistito, praticamente nella sua forma attuale. Esisteva, e basta; non faceva niente. Proprio come l'universo statico di Einstein. Ma ora Lemaître stava sostenendo — sulla base di una teoria fisica che molti suoi colleghi ancora ritenevano alquanto speculativa — che l'Universo crescesse. Anzi, che crescesse a un tasso costante: che aumentasse il suo diametro in proporzione al passare del tempo. Lemaître cercò di stimare il tasso di espansione sulla base di osservazioni astronomiche, ma a quell'epoca erano troppo rudimentali per essere convincenti.

Un Universo in espansione era una nozione difficile da digerire se si credeva che fosse eterno e immutabile. In qualche modo tutto ciò che esisteva avrebbe dovuto diventare sempre di più. Da dove sarebbe venuta tutta questa roba? Non aveva molto senso. Non aveva molto senso neanche per Einstein che, secondo Lemaître, gli avrebbe detto qualcosa del genere: «I Suoi calcoli sono giusti, ma la Sua fisica è abominevole». Né avrà aiutato il fatto che Lemaître chiamasse la sua teoria «L'uovo cosmico che esplode al momento della creazione», specialmente perché, oltre che astronomo, era un sacerdote cattolico e per di più gesuita. Il tutto sembrava un po' troppo biblico. Tuttavia, Einstein non era totalmente ostile e suggerì che Lemaître dovesse prendere in considerazione spazi-tempo in espansione più generali, senza ricorrere alla forte assunzione di simmetria sferica.

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Poiché il tempo si affaccia all'esistenza con il Big Bang, non c'è bisogno logico di dire cosa sia successo prima. Non c'era un prima. La fisica era pronta per questa teoria radicale, perché la meccanica quantistica aveva dimostrato che le particelle possono nascere spontaneamente dal nulla. Se una particella può farlo, perché non l'universo? Se lo spazio può farlo, perché non il tempo? I cosmologi ora credono che questo sia fondamentalmente corretto, anche se stanno cominciando a chiedersi se il prima possa davvero essere messo da parte tanto facilmente. Calcoli fisici dettagliati consentono la costruzione di una complessa e molto precisa linea del tempo, secondo la quale l'Universo è nato quasi quattordici miliardi di anni fa come un singolo punto. E da allora è in espansione.

Una caratteristica intrigante del Big Bang è che le singole galassie, e anche gli ammassi gravitazionali di galassie, non si espandono. Possiamo stimare le dimensioni delle galassie più lontane e la distribuzione statistica delle loro dimensioni è molto simile a quella delle galassie vicine. Ciò che sta succedendo è molto più strano. È la scala di distanza dello spazio che sta cambiando. Le galassie si allontanano perché tra di loro appare più spazio, non perché viaggiano in direzioni opposte attraverso una quantità esistente e fissa di spazio.

Ciò porta ad alcuni effetti paradossali. Le galassie lontane più di 14,7 miliardi di anni luce si muovono così velocemente che, rispetto a noi, stanno viaggiando più velocemente della luce. Tuttavia possiamo ancora vederle. Sembra che ci siano tre cose sbagliate in queste affermazioni. Dato che l'Universo ha solo 13,8 miliardi di anni e in origine era tutto nella stessa posizione, come può esserci qualche cosa distante circa 14,7 miliardi di anni luce? Dovrebbe spostarsi più velocemente della luce, il che è vietato dalla relatività. Per la stessa ragione, le galassie non possono superare la velocità della luce. Infine, se proprio lo stessero facendo, noi non le vedremmo.

Per capire perché tali affermazioni hanno senso, dobbiamo capire un po' di più di relatività. Sebbene essa vieti alla materia di muoversi più velocemente della luce, tale limite è rispetto allo spazio circostante. Tuttavia, la relatività non vieta allo spazio di muoversi più velocemente della luce. Così una regione dello spazio potrebbe superare la velocità della luce, mentre la materia all'interno di essa sarebbe rimasta al di sotto di tale velocità limite rispetto allo spazio che la contiene. In effetti, la materia potrebbe essere a riposo rispetto al suo spazio circostante, mentre lo spazio si allarga a dieci volte la velocità della luce. Proprio come quando ci troviamo in pace e comodità a bere un caffè e a leggere il giornale, all'interno di un jet passeggeri che vola a 700 km/h.

Questo è anche il motivo per cui queste galassie possono trovarsi a una distanza di 14,7 miliardi di anni luce. Non l'hanno percorsa in quanto tale. È la quantità di spazio tra noi e loro che è cresciuta.

Infine, la luce che osserviamo di queste, galassie lontane non è la luce che stanno attualmente emettendo. È la luce che emettevano in passato, quando erano più vicine. Ecco perché l'Universo osservabile è più grande di quanto ci si aspetterebbe.

Potreste desiderare un caffè e un giornale mentre ci pensate su.

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Quando la mia famiglia stava viaggiando in Francia qualche anno fa, rimanemmo divertiti nel vedere l'insegna del Restaurant Univers a Reims. Ci veniva in mente il Ristorante al termine dell'Universo posto in perpetuo all'orlo dell'ultimo punto dello spazio e del tempo nel secondo libro della serie della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams. Quello di Reims però era un ristorante perfettamente normale collegato all'Hotel de l'Univers che, a sua volta, era un albergo perfettamente normale, proprio nel giusto punto dello spazio e del tempo per quattro viaggiatori stanchi e affamati.

Il tema scientifico che ha motivato Adams a inventarsi il suo immaginario ristorante era il problema di come finirà l'Universo. Non con un concerto rock di proporzioni cosmiche (questa era la sua risposta). Potrebbe anche essere una fine del mondo che l'umanità si meriterebbe, ma forse non si dovrebbe infliggere ad altre civiltà che potrebbero esserci là fuori.

Forse non finirà affatto. Potrebbe continuare a espandersi per sempre. Ma se lo facesse, tutto andrà lentamente esaurendosi, le galassie recederanno finché la luce non potrà più passare dall'una all'altra e rimarremo soli, al freddo e al buio. Tuttavia, secondo Freeman Dyson , la «vita» complessa potrebbe continuare a esistere, nonostante questa cosiddetta «morte termica» dell'Universo. Ma sarebbe una vita molto rallentata.

In modo meno deludente per gli appassionati di fantascienza, l'Universo potrebbe collassare nell'inverso del Big Bang. Potrebbe anche collassare fino a ridursi a un punto. O la sua fine potrebbe essere ancora più caotica: forse l'attende il Big Crunch, in cui la materia viene fatta a pezzi mentre l'energia oscura squarcia da capo a piedi la trama dello spazio-tempo.

Quella potrebbe essere la Fine. Ma è concepibile che dopo il collasso, l'Universo possa rimbalzare e tornare a esistere. Questa è la teoria dell'universo oscillante. James Blish l'ha usata alla fine di A Clash of Cymbals. Forse le costanti fondamentali della fisica sarebbero diverse dopo il rimbalzo; alcuni fisici la pensano così, ma altri no. Forse il nostro Universo genererà una schiera di baby-universi, proprio uguali alla loro mamma o forse completamente diversi. O forse non lo farà proprio.

La matematica ci permette di esplorare tutte queste possibilità, e può un giorno aiutarci a decidere tra di loro. Fino ad allora, sulla fine (o non fine, a seconda dei casi) di tutte le cose possiamo solo speculare.

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18. Il lato oscuro


                                        Non c'era niente nel buio che non ci
                                        fosse anche quando le luci erano accese.

                                          George Clayton Johnson, Oltre il buio,
                                 episodio 81 della serie Ai confini della realtà



Il capitolo 12 finiva con la parola «oops». Era un commento sulla scoperta che le velocità di rotazione delle galassie non hanno senso. Vicino al centro, una galassia si muove piuttosto lentamente, ma la velocità con cui ruotano le stelle aumenta quanto più si va verso l'esterno e poi tende a rimanere grosso modo costante. Tuttavia, sia la gravità newtoniana, sia quella einsteiniana richiedono che la velocità di rotazione decresca nelle zone esterne della galassia.

I cosmologi risolvono questo enigma supponendo che la maggior parte delle galassie siano situate al centro di un vasto alone sferico di materia invisibile. A un certo punto speravano che fosse solo materia ordinaria che non emette abbastanza luce per farsi vedere da distanze intergalattiche, e la chiamavano materia oscura fredda. Forse — si pensava — si trattava solo di grandi quantità di gas o di polveri, che brillavano troppo debolmente perché noi potessimo notarle. Ma con l'accumularsi di altre prove, questo modo semplice di risolvere il problema è stato scartato. La materia oscura, per come viene attualmente concepita, è diversa da qualsiasi cosa che abbiamo mai incontrato, anche in acceleratori di particelle ad alta energia. È misteriosa e, per di più, dovrebbe essercene veramente tanta.

Ricordiamo che per la relatività la massa è equivalente all'energia. Il modello standard della cosmologia, insieme ai dati della sonda cosmologica Planck Surveyor dell'Agenzia Spaziale Europea, suggerisce che il rapporto massa/energia dell'Universo noto comprenda un semplice 4,9% di materia ordinaria, ma ben il 26,8% di materia oscura. Il che lascia un ancora più grande 68,3%, attribuito all'energia oscura. Sembra che la materia oscura sia cinque volte la materia ordinaria e nelle regioni a scala galattica dell'Universo la materia oscura e la massa equivalente di energia oscura messe insieme dovrebbero essere venti volte la massa della materia ordinaria.

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Nonostante la profusione di grande inventività, tempo, energia e denaro in questa ricerca del Santo Graal delle particelle di materia oscura, la maggior parte degli astronomi, specialmente i cosmologi, considera l'esistenza della materia oscura come cosa assodata. In realtà, il comportamento della materia oscura non è quello atteso. Supporre un alone sferico di materia oscura — l'assunto standard — non offre una curva di rotazione galattica molto convincente. Altre distribuzioni di materia oscura funzionerebbero meglio, ma allora si dovrebbe spiegare perché una materia che interagisce solo attraverso la gravità dovrebbe essere distribuita in tal modo. Questo tipo di difficoltà tende a essere ignorato, e mettere in dubbio l'esistenza della materia oscura è trattato come una forma di eresia.

Bisogna ammettere che dedurre l'esistenza di una materia invisibile osservando anomalie nelle orbite di stelle o di pianeti è un metodo con una storia lunga e assai onorevole. Ha portato alla previsione, coronata dal successo, della presenza di Nettuno. Ha avuto fortuna con Plutone, dove il calcolo è stato basato su ipotesi che si sono rivelate non valide, ma comunque un oggetto è stato trovato vicino alla posizione prevista. Ha rivelato diverse piccole lune dei pianeti giganti. E ha confermato la teoria della relatività quando è stato applicato a un'anomalia nella precessione del perielio di Mercurio. Inoltre, molti pianeti extrasolari sono stati scoperti deducendone la presenza dal modo in cui fanno oscillare la loro stella madre.

D'altra parte, in almeno un caso questo metodo ha avuto un risultato molto meno distinto: Vulcano. Come abbiamo visto nel capitolo 4, la previsione di questo mondo inesistente, che si presumeva essere in un'orbita più vicina al Sole rispetto a quella di Mercurio, era un tentativo di spiegare la precessione del perielio di Mercurio attribuendo l'anomalia alla perturbazione creata da un pianeta non osservato.

Visti questi precedenti, la grande domanda è se la materia oscura sia un Nettuno o piuttosto un Vulcano. L'ortodossia astronomica prevalente sostiene che sia un Nettuno. Ma se è così, è un Nettuno attualmente privo di una caratteristica fondamentale: Nettuno stesso. A confronto con questa visione dobbiamo registrare una crescente convinzione, specialmente tra alcuni fisici e matematici, che si tratti invece di un Vulcano.

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Potrebbe anche essere possibile sbarazzarsi di tutti e tre i componenti aggiuntivi - inflazione, materia oscura ed energia oscura - e, forse, anche del Big Bang stesso. La teoria sviluppata da Ali e Das, che elimina la singolarità iniziale del Big Bang e permette anche un universo infinitamente vecchio, è un modo per raggiungere questo obiettivo. Un altro, secondo Robert MacKay e Colin Rourke, è quello di sostituire il consueto modello di un universo omogeneo su grandi scale con uno che è grumoso su scale piccole. Questo modello è coerente con la geometria attuale dell'Universo — anzi, è più coerente della varietà pseudo-riemanniana standard — e non è richiesto alcun Big Bang. La distribuzione della materia dell'Universo potrebbe essere statica, mentre singole strutture come le galassie oscillerebbero lungo un ciclo della durata di 10^16 anni. Lo spostamento verso il rosso potrebbe essere geometrico (causato quindi dalla gravità), piuttosto che cosmologico (causato cioè dall'espansione dello spazio).

Anche se questa teoria fosse sbagliata, dimostra che il cambiamento di alcune ipotesi sulla geometria dello spazio-tempo consente di preservare la forma standard delle equazioni di campo di Einstein, espellere i tre deus ex machina dell'inflazione, dell'energia oscura e della materia oscura e derivare un comportamento ragionevolmente coerente con le osservazioni. Tenuto conto del «problema Rolls-Royce», è un buon terreno per considerare modelli più fantasiosi, invece di impegnarsi in una fisica radicale e altrimenti non supportata.


Ho un asso nella manica, una possibile maniera di mantenere le usuali leggi di natura, liberandoci al tempo stesso della materia oscura. Non perché ci siano alternative esotiche, ma perché il calcolo che sembra dimostrare l'esistenza della materia oscura potrebbe essere errato.

Dico «potrebbe essere» perché non voglio lodare esageratamente l'idea. Ma i matematici cominciano a mettere in discussione le ipotesi che entrano nell'equazione di Keplero; i loro risultati, seppur incompleti, mostrano che c'è un caso da discutere. Nel 2015 Donald Saari analizzò gli argomenti matematici usati dai cosmologi per giustificare la presenza della materia oscura e trovò prove che le leggi di Newton potrebbero essere state applicate male nella teoria da loro proposta sulla struttura galattica e sulle curve di rotazione.

Se le cose stessero così, la materia oscura sarebbe probabilmente un Vulcano.

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19. Fuori dall'Universo


                                        Di tanto in tanto il Costruttore
                                        scagliava via creazioni che erano in
                                        effetti gruppi di molti universi
                                        collegati fra loro, sistemi fisici
                                        interamente distinti, di tipo molto
                                        diverso.

                                    Olaf Stapledon, Il costruttore di stelle



PERCHÉ NOI SIAMO QUI?

È la domanda ultima della filosofia. Gli uomini guardano attraverso le finestre dei loro occhi un mondo molto più grande e potente di loro. Anche qualora l'unico mondo che si conoscesse fosse un piccolo villaggio nella radura di una foresta, ci sono cose come i temporali, i leoni e anche di tanto in tanto l'ippopotamo con cui confrontarsi e lottare, cose che bastano già a ispirare timore reverenziale. Se si pensa, come i cosmologi ora pensano, che da un capo all'altro il nostro mondo misura novantacinque miliardi di anni luce — e che sta crescendo — davvero ci si sente umili. C'è una spaventosa quantità di «qui» e molto poco di «noi». E questo lo rende un «perché» molto ingombrante.

Tuttavia, l'umanità ha un gran senso della propria importanza e non rimane mai umile molto a lungo. Fortunatamente, nemmeno rimangono tali il suo senso di meraviglia e la sua insaziabile curiosità. E così abbiamo il coraggio di porre la domanda definitiva.

Le obiezioni discusse nei due precedenti capitoli non hanno scalfito la convinzione dei cosmologi di sapere la risposta: il Big Bang e i suoi componenti aggiuntivi descrivono correttamente come è nato l'Universo. I fisici sono altrettanto convinti che la relatività e la teoria quantistica insieme spieghino come si comporta l'Universo. Sarebbe meglio riuscire a unificare queste teorie, ma in genere lavorano bene se si sceglie quella giusta.

La biologia racconta una storia ancor più convincente sull'origine della vita e sulla sua evoluzione nei milioni di specie che popolano la Terra oggi, tra cui anche noi. Certi devoti di alcuni sisterni di credenze sostengono che l'evoluzione richieda coincidenze incredibilmente improbabili, ma i biologi hanno ripetutamente spiegato i difetti di tali argomenti. La nostra comprensione della vita sulla Terra ha molte lacune, ma una per una sono state riempite. La storia principale sta in piedi, supportata da almeno quattro linee di prove indipendenti: i reperti fossili, il DNA, le cladistica (gli alberi genealogici degli organismi) e le sperimentazioni di riproduzione e allevamento.

Tuttavia, quando si tratta di cosmologia, anche i cosmologi e i fisici sono preoccupati che l'Universo per come siamo in grado di capirlo richieda alcune coincidenze abbastanza enormi. Il problema non è spiegare come si comporti l'Universo; è chiarire perché quella determinata spiegazione sia valida, piuttosto che una serie di altre che a prima vista sembrano ugualmente probabili. Questo è il problema del fine-tuning cosmologico e i cosmologi lo prendono molto sul serio al pari dei creazionisti.

Il fine-tuning entra in gioco perché la fisica dipende da una serie di costanti fondamentali, come la velocità della luce c, la costante di Planck h nella teoria dei quanti o la costante di struttura fine α, che determina la forza dell'interazione elettromagnetica. Ogni costante ha un suo specifico valore numerico, che gli scienziati hanno misurato. La costante di struttura fine è ad esempio circa 0,00729735. Nessuna teoria fisica accettata predice i valori di queste costanti. Per quanto ne sappiamo, la costante di struttura fine potrebbe essere stata 2,67743 o 842006444,998 o 42.

È importante? Molto. Valori diversi per le costanti portano a una fisica diversa. Se la costante di struttura fine fosse tarata su un valore un po' più piccolo o un po' più grande, gli atomi avrebbero una struttura differente e potrebbero anche diventare instabili. Quindi non ci sarebbero né persone, né un pianeta su cui vivere e nemmeno atomi con cui fare pianeti e persone.

Secondo molti cosmologi e fisici, i valori delle costanti che rendono le persone possibili devono essere compresi nell'arco di una piccola percentuale dei valori che hanno in questo Universo. La probabilità che ciò accada per una sola costante è uguale a quella di ottenere sei teste di seguito lanciando una moneta. Dal momento che ci sono almeno 26 costanti, la possibilità che il nostro Universo abbia i valori che ha - e che quindi sia adatto all'esistenza della vita - è come ottenere 156 teste si seguito. Il che dà una probabilità di circa 10^-47, ovvero


0,000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 01

Quindi, fondamentalmente, noi non dovremmo affatto essere qui.

Eppure... eccoci qui. E questo è un bel mistero.

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Il nocciolo più profondo di questo Calcolo del cosmo è la necessità e il successo sorprendente del ragionamento matematico in astronomia e cosmologia. Anche quando ho criticato le teorie in voga, ho iniziato spiegando la visione corrente e perché così tante persone la sostengono. Ma quando sembra che ci siano buone ragioni per considerare alternative (e specialmente quando queste alternative non vengono prese sul serio) penso che sia valsa la pena presentarle, anche se sono controverse o respinte da molti cosmologi. Non vorrei che le prendeste come baldanzose pretese di aver risolto gli enigmi dell'Universo quando rimangono tante questioni irrisolte. D'altra parte, però, ho voluto presentare anche soluzioni non convenzionali: sono bellissime applicazioni della matematica e potrebbero benissimo essere corrette. E se non lo fossero, stanno comunque aprendo la strada verso qualcosa di meglio.

Le alternative sembrano spesso radicali: non c'è stato nessun Big Bang, la materia oscura è una chimera... Ma solo qualche decennio fa, nessuna di queste teorie aveva sostenitori. La ricerca alle frontiere remote della conoscenza è sempre difficile, e non possiamo portare l'Universo in un laboratorio, metterlo sotto un microscopio, distillarlo per scoprire di che cosa è fatto o metterlo in tensione per vedere cosa si rompe. Dobbiamo impiegare deduzione e immaginazione. Insieme alle nostre facoltà critiche. È per questo che ho posto più enfasi, rispetto a quanto si fa comunemente, su idee che non riflettono l'opinione comune. Anch'esse sono parti valide del processo scientifico.

Abbiamo incontrato decine di teorie erronee che fino a non molto tempo fa sembravano del tutto ragionevoli. La Terra è il centro dell'Universo. I pianeti si formarono quando una stella che passava nelle vicinanze estrasse dal Sole una massa a forma di grande sigaro. C'è un pianeta che orbita più vicino al Sole rispetto a Mercurio. Saturno ha le orecchie. Il Sole è l'unica stella con i pianeti. La Galassia se ne sta ferma al centro dell'Universo, circondata da un vuoto infinito. La distribuzione delle galassie è uniforme. L'Universo è sempre esistito, ma si crea materia nuova nel vuoto interstellare. Ai loro tempi queste teorie furono ampiamente credute e condivise e per la maggior parte erano basate sulle migliori prove allora disponibili. Alcune erano un po' sciocche anche allora, badate bene: gli scienziati talvolta hanno idee molto strane, rinforzate dall'istinto del gregge e da un fervore quasi religioso piuttosto che da prove ed evidenze.

Non vedo nessuna ragione per cui le teorie di cui oggi facciamo tesoro dovrebbero andare meglio. Forse la Luna non è stata creata da uno scontro tra la Terra e un corpo delle dimensioni di Marte. Forse non c'è stato un Big Bang. Forse lo spostamento verso il rosso non è prova di un Universo in espansione. Forse i buchi neri non esistono. Forse l'inflazione non c'è mai stata. Forse la materia oscura è un errore. Forse la vita aliena può essere radicalmente diversa da qualsiasi cosa abbiamo mai incontrato, forse anche più di quanto possiamo immaginare.

Forse. O forse no.

Il divertimento starà nello scoprirlo.

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