Copertina
Autore Adalberto Vallega
Titolo La geografia del tempo
SottotitoloSaggio di geografia culturale
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2006, Frontiere , pag. 272, cop.fle., dim. 15x23x1,8 cm , Isbn 978-88-02-07477-1
LettoreLuca Vita, 2006
Classe geografia , semiotica , architettura
PrimaPagina


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Indice

VII Introduzione - Alla ricerca del tempo nei luoghi


  3 Parte I — Il tempo nell'esistenza


  5 Capitolo 1 - LUOGHI E TEMPO QUOTIDIANO

    1.1 Luoghi senza tempo, p. 5
    1.2 Tempo islamico, p. 10
    1.3 Tempo cristiano, p. 12
    1.4 Orologio e campanile, p. 15
    1.5 Verso il tempo moderno, p. 17
    1.6 Tempo e modernità, p. 22

 27 Capitolo 2 - CALENDARIO, TRAMA DI SEGNI

    2.1 La luna mesopotamica, p. 27
    2.2 Il Sole neolitico, p. 32
    2.3 Sole e luna sulla sinagoga, p. 36
    2.4 Il tempo della ragione, p. 38
    2.5 L'anno, tra mito e scienza, p. 42

 47 Capitolo 3 - CALENDARIO, TRAMA DI DISCORSI

    3.1 Collage di discorsi, p. 47
    3.2 Discorsi premoderni, p. 51
    3.3 Discorsi moderni, p. 62
    3.4 Modernità solida, modernità effimera, p. 75
    3.5 Debolezza della ragione, p. 81
    3.6 Tarda modernità, postmodernità, p. 83

 87 Capitolo 4 - TEMPO, MUSICA, LUOGHI

    4.1 Luoghi, musica pietrificata, p. 87
    4.2 Architettura classica e melodia, p. 90
    4.3 Architettura romanica e armonia, p. 93
    4.4 Architettura gotica e contrappunto, p. 95
    4.5 Architettura barocca e concerto, p. 98
    4.6 Architettura moderna e sinfonia, p. 104
    4.7 Rumore, p. 108
    4.8 Sentieri nascosti, p. 112
    4.9 Verso nuovi ritmi, p. 116


119 Parte II — Il tempo della ragione


121 Capitolo 5 - TEMPO E SPAZIO

    5.1 Spazio, luogo dei luoghi, p. 121
    5.2 Lo spazio senza tempo, p. 126
    5.3 Il tempo nello spazio, p. 130
    5.4 Spazio e tempo a priori, p. 134
    5.5 Spazio e tempo nella modernità, p. 137
    5.6 Approdo finale: il mondo come rappresentazione, p. 140
    5.7 Tempo compresso sullo spazio, p. 143
    5.8 Illuminazioni e provocazioni, p. 146

149 Capitolo 6 — LA FRECCIA DEL TEMPO

    6.1 Immaginazioni del tempo in sé, p. 149
    6.2 Tempo freccia e modernità, p. 151
    6.3 Tempo lineare e tempo circolare, p. 153
    6.4 Tempo lineare: grande narrazione, p. 156
    6.5 Tempo lineare e modernità, p. 158
    6.6 Tempo storia stadi, p. 162
    6.7 Stadi e proiezioni territoriali, p. 164
    6.8 Spirale, cerchio senza ritorno, p. 167

171 Capitolo 7 – TEMPO SENZA FRECCIA

    7.1 Al di là del tempo lineare, p. 171
    7.2 Tempo circolare e retorica dura, p. 173
    7.3 Tempo parabola e retorica incerta, p. 178
    7.4 Tempo circolare nel «mythos», p. 182
    7.5 Tempo senza traiettoria, p. 184
    7.6 Fuga dagli archetipi, p. 187


191 Parte III – Il tempo della religione


193 Capitolo 8 — OLTRE IL TEMPO

    8.1 Percorsi «post mortem», p. 193
    8.2 Oltretomba e Limbo, p. 195
    8.3 Giudizio individuale, p. 198
    8.4 Inferi, Inferno, «geenna», «djannam», p. 199
    8.5 Eden, Paradiso, «al-djanna», p. 203
    8.6 Purgatorio, p. 206
    8.7 Viaggio a ritroso, p. 208

211 Capitolo 9 – ETERNITΐ E TEMPO

    9.1 Il tempo in sé, p. 211
    9.2 Creazione e origine: «mythos» e «logos», p. 212
    9.3 Creazione, tempo, eternità, p. 216
    9.4 Fine e Giudizio, p. 219
    9.5 Millenarismo: intervento nella storia, p. 222
    9.6 Tempo umano, tempo cosmico, p. 225

231 Conclusione
235 Casi di studio
239 Bibliografia
253 Indice degli argomenti
267 Indice dei luoghi
269 Indice dei nomi

 

 

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Pagina VII

Introduzione

Alla ricerca del tempo nei luoghi


Da vari anni sto coltivando la geografia culturale cercando di integrare geografia e semiotica, costruendo così una visione geosemiotica, dalla quale percepire e rappresentare i luoghi. Muovendo dall'idea che la cultura consista nel produrre simboli e nell'attribuire significati ai simboli, prerogativa che distingue la specie umana dalle altre specie viventi, mi sono dedicato a considerare i luoghi non già nella loro materialità ma come segni impressi sul territorio a mano a mano che le comunità umane vi si sono insediate e, così facendo, hanno trasformato la natura. Da questa prospettiva, la geografia culturale si allontana dallo studio di luoghi in sé e di comportamenti sociali connessi ai luoghi, studio che ne ha caratterizzato l'evoluzione fin quasi alla fine del secolo scorso, per avviarsi allo studio dei «segni dei luoghi», o se si vuole allo studio dei luoghi in rapporto alla loro natura di essere «segni impressi sul territorio». L'impostazione conduce a individuare valori, teorie, ideologie e altri tipi di significati connessi ai singoli luoghi, fino ad entrare nel merito delle «grandi narrazioni» del mondo.

Favorito dall'insegnare discipline geografiche in una facoltà di architettura, ambiente per sua natura dedito alla rappresentazione, sono stato sempre più attratto dalla circostanza che i luoghi sono segni che connotano non soltanto il rapporto tra cultura umana e superficie terrestre, ma anche il modo con cui il tempo è percepito e rappresentato nelle singole culture. La questione è affascinante, perché apre prospettive che la geografia non ha ancora esplorato, o ha appena sfiorato. Da un lato, considerare il luogo in sé, nella sua materialità, e dall'altro lato considerarlo come «segno», genera due differenti itinerari nella rappresentazione geografica, che chiamano in causa due modi diversi di rappresentare il tempo. Quando sia considerato nella sua materialità, il luogo appare come un oggetto, una realtà, nell'ambito di un flusso temporale: una realtà che proviene da un passato e si avvia verso un futuro, per cui si è indotti a considerare il passato come causa e il futuro come effetto. Quando consideriamo il luogo come segno siamo investiti da un'onda emozionale, rapportiamo quel segno alla nostra sfera esistenziale, non ci interessa indagare il senso nel luogo nel corso del tempo, ma il suo valore nel nostro tempo. Così facendo, ci chiediamo quale senso del tempo sia racchiuso nel segno. A questo riguardo emerge una folla di problemi: a quale immaginazione delle nostre condizioni esistenziali conduce? come ci fa considerare il rapporto tra la vita e la morte, il senso dell'aldilà? E così via. Questo genere di emozioni e di immaginazioni è suscitato da un'idea del tempo, da un certo modo di «sentire il tempo» che noi attribuiamo al luogo, in quanto segno impresso sul territorio. Dunque, quando osserviamo un luogo, qualunque tipo di luogo, in quanto segno le nostre reazioni emozionali e le nostre immaginazioni riguardano contestualmente due elementi: spazio e tempo. La circostanza non ci deve stupire. Immanuel Kant ha dimostrato che la nostra conoscenza – adottando un linguaggio semiotico, potremmo dire la nostra «costruzione di segni e di significati» – si regge su due idee, quella di tempo e quella di spazio, e ha sostenuto che queste due idee sono innate nella nostra mente. Sono «forme a priori», che sottendono ogni nostra rappresentazione della realtà, ogni spiegazione e interpretazione. Se queste due idee non fossero innate, non potremmo neppure costruire conoscenza empirica, cioè non potremmo costruire spiegazioni della realtà, compresa la realtà geografica, costituita da forme fisiche più o meno intensamente trasformate in rapporto alla cultura delle singole comunità. Non potremmo, però, neppure costruire immaginazioni del mondo, del nostro «essere del mondo», del senso che i luoghi hanno per la nostra esistenza, del nostro essere «qui e ora». Se accettiamo questo assunto, dobbiamo convenire che, quando rappresentiamo i luoghi – il geografo su una carta geografica, il pittore in un dipinto paesaggistico, il compositore in una partitura musicale, e così via – ci basiamo non soltanto sull'idea innata di spazio ma anche sull'idea innata di tempo. In altri termini, il segno del luogo contiene una doppia natura: è un segno che evoca l'idea innata dello spazio e, nello stesso tempo, l'idea innata del tempo. Da qui la questione: in quali modi l'idea di tempo si combina con l'idea di spazio nel modo con cui percepiamo e rappresentiamo il singolo luogo, immergendolo così nella sfera delle nostre esperienze esistenziali.

Il fatto che i geografi non abbiano ancora affrontato una questione del genere – o l'abbiano appena sfiorata – non sta a significare che essa sia priva di interesse. Un esempio può essere indicativo. Quando consideriamo una chiesa gotica dal punto di vista geosemiotico, cioè come un segno che caratterizza un certo punto della superficie terrestre, ci troviamo, prima di tutto, innanzi a un modo di rappresentare, attraverso un certo stile architettonico, una grande tensione verso Dio, un desiderio di comunicare con una realtà che ci trascende. Quello stile architettonico, dominato da forme slanciate verso l'alto, mostra anche un modo particolare di intendere il «ritmo del tempo», cioè del modo con cui il tempo viene vissuto nella sfera esistenziale. Il ritmo del tempo incastonato nella chiesa gotica è quello del contrappunto, cioè di un ritmo che si caratterizza per la sovrapposizione di una pluralità di linee melodiche, ognuna delle quali è dotata di un senso musicale compiuto, le quali danno luogo a una combinazione di suoni dotati di una propria individualità, che nel loro innalzarsi e rincorrersi richiamano, appunto, il profilo verticale agile svettante, proprio della chiesa gotica. L'immagine dà ragione all'assunto secondo il quale l'architettura è «musica pietrificata», è ritmo espresso in segni sulla superficie terrestre. Passiamo a un altro esempio. Quando osserviamo la pianta ortogonale di una grande città, poniamo di una città statunitense, ci troviamo di fronte a un segno sul territorio il quale ci rappresenta la compressione del tempo sullo spazio, conseguita costruendo intelaiature di strade che si incontrano ad angolo retto per sveltire il traffico e ridurre così il tempo a parità di percorso. La compressione del tempo nello spazio dà luogo, di fatto, a un allungamento della vita perché ci consente di compiere, a parità di tempo, una quantità crescente di esperienze esistenziali. Ecco, dunque, un altro esempio di tempo incastonato in segni, questa volta nella planimetria urbana.

Gli esempi ci conducono al problema del metodo, cioè a chiederci come sia possibile cogliere il senso del tempo nel segno del luogo e, così facendo, come si possa scoprire a quali valori e a quali significati il tempo del singolo luogo conduca. In sostanza, si pone la questione del modo con cui affrontare un apparente paradosso, che consiste nel costruire una «geografia del tempo», intesa come rappresentazione del tempo che connota i luoghi. Di fronte a un problema del genere la letteratura geografica non offre molto. Spunti si possono trovare, invece, nella filosofia, la disciplina che più di ogni altra si è fatta carico della «questione del tempo», nella teoria della cultura, nella teoria dell'architettura e in concezioni che stanno alla base di indirizzi nelle arti figurative. Nondimeno, il campo che, almeno per quanto riguarda la costruzione di un metodo, fornisce i maggiori apporti è la semiotica. Muovendo da questo ambito è possibile scandagliare il senso del tempo racchiuso nei luoghi facendo uso di un triangolo, che potremmo denominare «triangolo geosemiotico».


Nel vertice in basso a destra del triangolo immaginiamo di collocare il luogo inteso in senso fisico, cioè come una porzione della superficie terrestre oggettivamente identificabile, creata dall'uomo intervenendo sulla natura. Θ la base di partenza della nostra esplorazione, una base che si dispone sul piano ontologico, perché ci mostra la realtà così com'è, cioè come se esistesse prescindendo da noi, una realtà di cui, da questa prospettiva, non ci interessa l'impatto sulla nostra sfera esistenziale. Supponiamo di trovarci a Parigi, in presenza dell'Arco di Trionfo, dedicato alle imprese napoleoniche, che si erge nel mezzo della Place d'Etoile, sullo sfondo degli Champs Elysées. La piazza, rigorosamente circolare, con una raggiera di boulevard che divergono in ogni direzione, è uno degli esempi più espressivi di quartiere urbano a pianta concentrica, la cui funzione consiste nello smistare il traffico in ogni direzione, assumendo così la veste di nodo intraurbano. Considerata in questo modo, la piazza esiste di per sé, è un oggetto che prendiamo in considerazione prescindendo dall'impatto emozionale che produce in coloro che ne vengono a contatto. Lo consideriamo cioè nella sua materialità e nelle sue funzioni, due aspetti che possiamo rappresentare in termini rigorosamente oggettivi, mediante planimetrie e schemi, cioè mediante disegni che si rifanno alla geometria euclidea e alla matematica.

V'è però un'altra prospettiva dalla quale, in presenza dell'Arco di Trionfo, il tempo può venire chiamato in causa. Osservando questo monumento che si erge sulla modesta altura della Place d'Etoile viene coinvolta la nostra sfera emozionale, per cui quel luogo si ammanta di senso e di valore. La nostra immaginazione ci conduce a rievocare i sacrifici e gli eccidi che hanno contraddistinto le imprese napoleoniche, ci interroghiamo sul rapporto tra violenza e progresso, ci chiediamo quale genere di progresso sia stato innescato dall'Illuminismo e diffuso con le armi e le rivoluzioni, perveniamo infine a interrogarci se questo modo di intendere il progresso possa adattarsi alle condizioni del mondo contemporaneo. Il luogo cessa di essere un semplice ambito fisico e diventa ciò che Yu-Fu Tuan propose di chiamare topofilia, cioè un luogo avvolto nei nostri sentimenti e nelle nostre emozioni e immerso nelle nostre immaginazioni: non più un luogo in sé, teatro di traffico e custode della memoria, ma un luogo vissuto, che diventa parte della nostra sfera esistenziale e della nostra spiritualità.

Questo vertice del triangolo, in basso a destra, ci presenta dunque un oggetto che possiamo vedere da due prospettive: una prospettiva oggettivistica in rapporto alla quale rappresentiamo l'oggetto – nel nostro esempio l'Arco di Trionfo – in sé e per sé; una prospettiva soggettivistica, che al centro della rappresentazione pone invece il soggetto nel momento in cui si rapporta all'oggetto e, sulla spinta di fattori emozionali, include l'oggetto nelle sue rappresentazioni del mondo. Da quel momento l'oggetto è «partecipato» dal soggetto, vive nella sfera intellettuale e spirituale del soggetto, produce — e continuerà a produrre — emozioni e immaginazioni.

A questo punto ci possiamo chiedere come il tempo sia parte di questo segno, o meglio in quali termini questo segno, che apparentemente si riferisce soltanto allo spazio – cioè al luogo «Arco di Trionfo» – riguardi invece anche il tempo. Per affrontare la questione ci trasferiamo sul secondo vertice del triangolo, in basso a sinistra. Questo è il vertice semiotico del nostro percorso, perché al luogo si sostituisce il «segno del luogo», cioè la sua rappresentazione. Ora consideriamo l'oggetto, l'Arco di Trionfo non più nella sua materialità ma come segno, cioè come qualcosa che, grazie al modo con cui è rappresentato, ci pone in grado di costruire significati e valori. Questo segno è dunque una metafora, cioè qualcosa che sta al posto di qualcos'altro: la rappresentazione dell'oggetto sta al posto dell'oggetto. Nel nostro caso, la rappresentazione dell'Arco di Trionfo si sostituisce al manufatto materialmente inteso. La rappresentazione può essere custodita nella nostra mente, riprodotta su un disegno o su una carta topografica, espressa in un brano musicale o in un dipinto: le diverse forme non mutano il suo essere «rappresentazione», cioè essere qualcosa che sta al posto di qualcos'altro. Adottando il linguaggio di Charles Sanders Peirce, il padre della semiotica, possiamo dire che il segno ha la funzione di rapresentamen, cioè di rappresentante dell'oggetto.

Θ in corrispondenza di questo vertice che possiamo identificare il senso del tempo annidato nel luogo. Scopriamo allora che emergono due sensi del tempo.

Il primo senso del tempo lo si individua rappresentando il manufatto «Arco di Trionfo» come realtà in sé, esterna al soggetto e che esiste indipendentemente dal soggetto. Da questa prospettiva il tempo è inteso in senso oggettivo, cioè come un flusso di istanti, giorni, anni, decenni, secoli. Possiamo considerarlo, ad esempio, come il flusso entro il quale è avvenuta la realizzazione del monumento ed è gradualmente cambiato il paesaggio urbano nel quale il monumento è inserito, oppure come il flusso entro il quale si collocano le vicende napoleoniche raffigurate nei bassorilievi disseminati sulle pareti del monumento. In ambedue i casi, il tempo ci è mostrato come una sequenza di eventi, come un «ordine» che si instaura tra passato, presente e futuro, tra il «prima» e il «dopo».

Il secondo senso del tempo lo si individua rappresentando invece le emozioni che il manufatto ci infonde. In un contesto emozionale non costruiamo più la storia, non ci interessano più i fatti ordinati in una sequenza temporale. I bassorilievi e gli ornamenti non ci parlano più dell'evoluzione della storia e dello sviluppo di vicende concatenate le une alle altre, ma ci portano a inquadrare le nostre vicende esistenziali in rapporto alla rappresentazione della società e dei fatti connaturata al manufatto e, quel che più conta, in rapporto al valore simbolico del manufatto. Le vicende napoleoniche rappresentate nel manufatto, e il «simbolo imperiale» insito nel disegno del manufatto, non ci parlano dell'evoluzione e delle leggi della storia, ma comunicano con la nostra sfera emozionale, sollecitano la nostra immaginazione, conducono al senso che esse posseggono per la nostra esistenza. Il monumento, infatti, ci porta a considerare il senso della vita, del modo con cui partecipiamo a un determinato momento storico: per usare un'espressione cara all'esistenzialismo della metà del Novecento, ci porta a riflettere sul nostro essere «qui» e «ora», sul nostro appartenere a un contesto piuttosto che a un altro. Possiamo riprendere in considerazione il termine «topofilia» per attribuirgli un senso più ampio di quello che Yu-Fu Tuan gli ha attribuito: non è semplicemente «sentimento per il luogo» ma «sentimento per il luogo ora», nell'esperienza esistenziale che sto vivendo.

Proseguiamo la nostra esplorazione del triangolo semiotico. Restando nel vertice in basso a sinistra, quello dedicato alla rappresentazione, ci rendiamo conto che il segno, attraverso il quale la rappresentazione ha luogo, è una sorta di Giano bifronte. Rivolto all'oggetto appare come rapresentamen, poiché rappresenta l'oggetto e, così facendo, lo sostituisce. Rivolto al terzo vertice del triangolo, quello situato in alto, appare invece come un interpretante, cioè come un segno che genera significati. Il terzo vertice ha, infatti, una funzione ermeneutica, perché accoglie, appunto, i significati, delinea cioè il senso attribuito al segno. I significati hanno natura diversa a seconda delle prospettive da cui ci muoviamo. Se consideriamo il luogo in senso oggettivo e rappresentiamo il tempo come movimento che si dispiega con ordine lungo una traiettoria che procede dal passato al futuro, perveniamo a costruire significati che posseggono, o che almeno presumono di possedere, un ordine logico. Costruiamo spiegazioni, teorie, ideologie. Se consideriamo il luogo in rapporto alle condizioni esistenziali, cioè come topofilia, e di conseguenza assumiamo il tempo come una componente delle emozioni e delle immaginazioni suscitate dal luogo nella nostra sfera spirituale, non costruiamo teorie, ma piuttosto valori: qualcosa che non si può disporre in un ordine logico, che non si può razionalizzare, ma che comunque contribuisce, almeno quanto una teoria o forse anche più, a costruire il nostro senso della vita, a forgiare la nostra sfera spirituale, a immergerci in esperienze esistenziali.

Le due prospettive, che ci hanno accompagnato nel percorso dall'oggetto al segno, e dal segno al significato, conducono quindi a costruire due rotte. La rotta che assume il luogo in sé e il tempo come flusso ordinato, muove dall'oggetto, costruisce rappresentazioni razionali dell'oggetto e perviene a spiegazioni. E la prospettiva che domina la costruzione di conoscenza scientifica e che potrebbe essere denominata «rotta del logos». La rotta che assume il luogo come topofilia, e rapporta il tempo alla nostra sfera emozionale e alle nostre immaginazioni, ci conduce a costruire valori piuttosto che spiegazioni; ci parla del senso della vita piuttosto che di teorie, di spiritualità piuttosto che di ideologie. Θ la rotta di cui scorgiamo traccia nella religione, nelle arti figurative, nella musica e nella poesia. In altre parole è la «rotta del mythos».

Nell'esaminare i casi di studio, in cui ci imbatteremo nel corso dei vari capitoli, vi sarà modo di mettere a confronto le due rotte, al punto da individuare due geografie parallele del tempo, l'una innestata nel logos e l'altra nel mythos. In sostanza, la distinzione fondamentale che caratterizza la costruzione di conoscenza, cioè la separazione tra conoscenza scientifica e conoscenza non scientifica, la prima affidata alla spiegazione e la seconda alla comprensione, saranno riflesse anche nell'esplorazione del tempo che si annida nei luoghi.


Questo inquadramento concettuale ci consentirà di compiere un'esplorazione della geografia del tempo articolata in tre tappe. Nella prima tappa (Il tempo nell'esistenza, capitoli 1-4) sarà discusso il senso del tempo muovendo dalla nostra esistenza quotidiana. Il tempo rappresentato nel calendario, espresso dalla configurazione dell'anno e della settimana, sarà scandagliato per scorgere come si trovi impresso sia nei luoghi sia nella rappresentazione dei luoghi che compare nelle arti figurative. Così facendo avremo modo di individuare valori che risalgono alla civiltà classica e si trovano associati, a volte così intimamente da non essere neppure avvertiti, con quelli della civiltà cristiana e della civiltà moderna. Il filo che lega valori classici, cristiani e moderni sarà evidente anche nella seconda tappa (Il tempo della ragione, capitoli 5-7), nel corso della quale esploreremo come la modernità abbia fatto del tempo il fulcro della rappresentazione razionalista del mondo. Le teorie del tempo, che mostrano come spazio e tempo siano intimamente associati, saranno esposte scandagliandone i modi con cui ci inducono a rappresentare i luoghi e ad attribuire loro significati. Il rapporto tra tempo e nontempo, cioè tra tempo e assenza di tempo, riflette il rapporto tra il modo di rappresentare il tempo maturato nel logos e il modo maturato nelle religioni, che del mythos costituiscono la componente più solida. La terza tappa (Il tempo della religione, capitoli 8-9) sarà dunque dedicata a esplorare il tempo rappresentato dalle religioni monoteiste e metterà in relazione il tempo del mondo con la dimensione senza tempo dell'aldilà. L'esplorazione si concluderà dunque in un'incursione sui luoghi della geografia escatologica, che si occupa dell'eternità e del post-mortem e si concentra sulle narrazioni scaturite dalle religioni.

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6 La freccia del tempo


6.1 Immaginazioni del tempo in sé

Il tempo può essere indagato occupandoci di segni impressi sul territorio, come possono essere ad esempio le piante urbane, e di segni disseminati in rappresentazioni, dai calendari alla carta dei fusi orari. I primi sono segni materiali e hanno natura contestuale perché fanno parte del paesaggio visibile. I secondi sono segni immateriali, hanno natura testuale e fanno parte di eredità culturali non visibili nel paesaggio, ma che del paesaggio contribuiscono molto a delineare senso e valori. Questi sono gli itinerari lungo i quali ci siamo mossi nei capitoli precedenti. C'è però un altro modo con cui possiamo affrontare il campo tematico, ed è quello di considerare il tempo in sé, esplorandone le manifestazioni che produce sul piano geografico, cioè sulle rappresentazioni del mondo. Da questa prospettiva ci chiederemo quale sia l'idea di tempo che si è fatta strada nella civiltà cui apparteniamo e che costituisce uno dei prodotti più significativi della cultura che avvolge la nostra esistenza. Sul tavolo della discussione non c'è, ovviamente, la teoria fisica del tempo, ma piuttosto il senso che il tempo ha acquisito nel nostro sistema di valori, nei modi in cui rappresentiamo i nostri spazi di vita e i luoghi ove conduciamo le nostre esperienze esistenziali. Tempo, nontempo, eternità, fine del tempo, tempo post mortem sono le idee di riferimento per questo genere di percorso geosemiotico. Per inoltrarvisi sono, però, opportune alcune puntualizzazioni.

Il primo modo di immaginare il tempo nel quale ci imbatteremo consisterà nel «tempo circolare». Con questa espressione il tempo è immaginato come una sorta di itinerario circolare in cui la realtà si muove tornando al punto di origine. Θ diffusamente condivisa l'opinione secondo la quale l'idea è nata e maturata osservando gli astri, soprattutto la Luna e il Sole, i cui percorsi tornano periodicamente sempre allo stesso punto della volta celeste, e constatando come essi si riflettano sui percorsi cui va soggetta la vegetazione, durante i quali le piante nascono, maturano e muoiono, per rinascere. Per analogia, l'esistenza umana è stata concepita come un percorso che conduce dalla nascita alla morte e che, dopo la morte, fa approdare a nuove forme di vita. Così facendo, il tempo è rappresentato come una traiettoria senza fine e sempre uguale a se stessa.

Le civiltà ebraica e cristiana hanno fornito, però, una diversa visione del tempo percorso dall'esistenza umana. L'esistenza, infatti, è stata con- cepita come un itinerario che conduce all'incontro con Dio, quindi come una traiettoria diretta verso un traguardo predeterminato da un'entità trascendente. In questo caso il tempo è immaginato come una linea tesa verso l'alto, diretta verso un traguardo di elevazione spirituale e morale, per cui si parla di «tempo lineare». A ben vedere, nonostante sia diffusamente impiegata, l'espressione non è felice, ma dalla nostra prospettiva quel che importa notare è che dà luogo a due conseguenze. La prima conseguenza consiste nel separare la natura dall'uomo: in natura si sviluppano processi circolari, mentre l'esistenza umana segue un percorso che non torna al punto di partenza. La seconda conseguenza consiste nell'immaginare un traguardo, un obiettivo, un punto di arrivo insomma, quindi nell'abbracciare quella che potremmo chiamare «visione teleologica», in cui il tempo viene immaginato come una «parentesi di attesa» nell'esistenza terrena, dopo la quale si approderà a una dimensione del tutto diversa, una dimensione senza tempo.

La modernità ha accolto questa dissociazione tra tempo circolare e tempo lineare e ha sviluppato soprattutto discorsi sul tempo lineare. Questo però è stato concepito in termini diversi da quelli maturati nelle civiltà ebraica e cristiana. Emergono almeno due differenze fondamentali. Prima di tutto, il tempo lineare della modernità non è riferito a un percorso spirituale, disegnato dalla religione, ma a un percorso «laico», inteso come un cammino di progresso, reso possibile dall'uso della ragione e dalla fede nella scienza. In secondo luogo, il tempo è concepito come un flusso nel quale si susseguono sequenze ordinate di fatti. La sequenza è «ordinata» quando un accadimento costituisce il «prima» rispetto a un altro accadimento che costituisce il «dopo», cioè quando vi sia la possibilità di delineare ciò che è passato e ciò che è futuro. Per sottolineare la forza di questa idea di fondo è stata coniata l'espressione di «tempo freccia», che induce a immaginare un oggetto in movimento lungo una traiettoria che conduce verso un traguardo chiaramente identificabile. Potremmo dire, quindi, che la modernità è rimasta ancorata all'idea di tempo lineare, ma ne ha adottato una versione innovativa rispetto a quella maturata in contesti religiosi, una versione in cui il tempo è immaginato come una freccia che si muove verso il progresso. Il suo percorso è costituito da sequenze ordinate di fatti, in cui è evidente un «prima» e un «dopo», il prima comportandosi come causa e il dopo come effetto. L'idea di tempo freccia è quindi il frutto della presunzione,caratteristica della modernità, di rappresentare la realtà – qualunque tipo di realtà – come costituita da tessiture ordinate di elementi, di «elementi causa», che appartengono al «prima» e connotano il passato, e di «elementi effetto», che appartengono al «dopo» e connotano il futuro. I fisici hanno dimostrato che questa idea di fondo non è applicabile a tutta la realtà, quindi non ha valore assoluto. Ad esempio, non vale per il mondo subatomico, dove le particelle elementari non si muovono in termini tali da distinguere un passato e un futuro. Queste discussioni, tuttavia, sono relegate in ristretti ambiti scientifici, lontane dall'appartenere ai patrimoni culturali delle comunità umane, cioè ai modi di rappresentare il mondo e i luoghi in cui il mondo si articola.

Tempo circolare, tempo lineare e tempo freccia sono dunque i tre archetipi attorno ai quali in questo capitolo e nei successivi prenderemo in considerazione il tempo in rapporto ai luoghi e allo spazio. Per evitare discorsi astratti partiamo da segni impressi su singoli luoghi.

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7.5 Tempo senza traiettoria

Le rievocazioni fin qui esposte mostrano come nella civiltà occidentale coesistano vari archetipi del tempo, in buona parte derivanti dalle eredità trasmesse dalle civiltà trascorse. Questa ampia articolazione che – come s'è detto — non mette in discussione la centralità dell'archetipo del tempo freccia, connotato fondamentale della modernità, è soltanto una testimonianza della ricchezza di apporti culturali che contraddistingue l'Occidente. Non si può dire, infatti, che l'archetipo del tempo circolare, ereditato da civiltà antiche, così come quello del tempo riconducibile alla parabola, generato da rappresentazioni di processi sociali maturate nell'epoca moderna, proiettino ombre sull'archetipo del tempo freccia che, con la variante del «tempo parabola», connota la rappresentazione del tempo nella modernità.

Θ venuto, però, il momento di chiederci se nell'attuale panorama della cultura occidentale siano venuti invece alla ribalta tentativi per confutare ogni archetipo e si propongano di disegnare un «tempo senza traiettoria». In altri termini, ci possiamo chiedere se vi siano segni in cui il tempo non è più rappresentato come un percorso al termine del quale si trova un significato, una narrazione o una grande narrazione, ma piuttosto un percorso lungo il quale far germinare immaginazioni in libertà. Per introdurre riflessioni in proposito possiamo prendere le mosse dalle arti figurative, ad esempio dal Sogno dell'Architetto, dipinto di Thomas Cole del 1840, custodito nel Toledo Museum of Art (Toledo, Ohio). A ragione Amedeo Belluzzi lo chiama in causa all'inizio della sua raccolta di scritti di Robert Venturi, celebre esponente dell'architettura postmodernista. La scena è inquadrata tra due tende, simili a quelle dei teatri, in modo da mettere in evidenza, appunto, che il quadro non rappresenta il mondo, ma piuttosto «rappresenta la rappresentazione del mondo». In primo piano, il pittore è autoritratto, semi-sdraiato sull'abaco di una massiccia colonna classica. Questa cornice, costituita dalle tende e dalla colonna, racchiude una scena fantastica: «da una quinta di alberi in controluce spunta la guglia di una chiesa gotica; sullo sfondo, una vertiginosa prospettiva delinea le moli colossali di architetture egizie, greche e romane, disposte lungo la riva di un fiume e abbagliate da una luce mediterranea» (Belluzzi, 1992, p. 3). Questo spazio, che Belluzzi definisce «irreale, onirico», dà luogo a una rappresentazione del tempo priva di connotazioni moderne. Il tempo, infatti, non è più immaginato come una successione di eventi e di momenti tra loro legati da un nesso di causalità, in cui il «prima» determina, o almeno influenza, il «dopo», ma piuttosto come un collage di stili architettonici, ognuno preso in esame soltanto per le emozioni che produce nel soggetto, rappresentato appunto dal pittore situato al di sopra della colonna. Il tempo è semplicemente un contenitore, in questo caso un contenitore di stili, i cui contenuti sono identificati soltanto nei termini in cui sono immersi nella sfera esistenziale del soggetto alimentando la sua immaginazione. Il paesaggio di Cole ci mostra l'immaginazione del soggetto, il mondo immerso nella sfera emotiva, visto come un teatro la cui rappresentazione non ha più connotazioni cronologiche, non conduce il soggetto verso significati prederminati, ma gli offre terreni per costruire significati in libertà.

Muovendo da queste prospettiva si finisce con il ribaltare un canone della modernità secondo il quale il passato «vive» nel presente attraverso le influenze che il prima esercita sul dopo. Nella visione antipodica, che soltanto per convenzione potremmo chiamare «postmodernista», accade il contrario: il presente si riflette sul passato e il «prima» diventa il contenitore dal quale si estraggono gli elementi utili per i momenti attuali delle nostre esperienze esistenziali, in altri termini gli elementi utili per vivere qui e ora. Il tempo senza ordine, rappresentato da collage di stili e di sorgenti emozionali, privo di itinerari che conducano a ideologie, e più in generale a significati predeterminati – proprio come abbiamo avuto occasione di constatare in Piazza d'Italia di New Orleans – è dunque la manifestazione di sforzi tesi a rifiutare gli archetipi delle traiettorie del tempo. L'assenza di significati è tanto più evidente quanto più i segni sono ambigui, cioè sono costruiti per aprire la strada a significati contradditori, sconcertanti. Le espressioni che possono sorgere nel paesaggio per effetto di questo atteggiamento di fuga dalla modernità sono numerose, come stanno a dimostrare la rassegne compiute da Charles Jencks (1982), e alcune di queste raggiungono grande intensità discorsiva.

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7.6 Fuga dagli archetipi

Si potrebbe continuare chiamando in causa segni che, in varie parti del mondo, soprattutto nel Nord America, hanno connotato il paesaggio urbano in termini nettamente diversi, o addirittura antipodici, rispetto all'idea del tempo freccia. Questa esplorazione confermerebbe l'esistenza di due itinerari divaricanti, l'uno costituito dal tempo inteso come una traiettoria tesa verso un traguardo e l'altro costituito dal tempo senza traiettoria. La divaricazione porrebbe il tempo assunto come sequenza di momenti e di eventi in ordine cronologico e tra loro connessi da relazione causali in contrapposizione con il tempo assunto come mero collage di eventi privi di ordine nella loro disposizione. In altri termini, al tempo assunto come ambito di riferimento per costruire spiegazioni, cioè rappresentazioni con significati univoci, si contrapporrebbe il tempo assunto come ambito in cui costruire comprensione, cioè rappresentazioni con significati plurivoci. Il tempo della ragione sarebbe contrapposto al tempo dell'emozione, il tempo della retorica dura al tempo della retorica morbida. I caratteri divaricanti potrebbero essere compendiati in questo quadro

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Modernità                           Tempo     Oltre la modernità
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• lineare (metafora: curva esponenziale)      senza traiettoria
• circolare (metafora: cerchio)               senza traiettoria
• circolare (metafora: parabola)              senza traiettoria
• cronologico                                 senza ordine
• caratterizzato da sequenze causali          non caratterizzato da sequenza
• ordinato                                    collage
• quadro di riferimento per la spiegazione    terreno fecondo per la comprensione
• fonte di significati univoci                fonte di significati ambigui
• terreno per la metanarrazione del progresso terreno per nessuna metanarrazione
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Se ne potrebbe dedurre che quanto più emergono rappresentazioni in cui il tempo freccia — riconducibile alla curva esponenziale — è rifiutato, tanto più ci si allontana da ciò che Heidegger ha chiamato «rappresentazione moderna del mondo». Ci si allontana, cioè, da rappresentazioni in cui spazio e tempo sono assunti in senso kantiano, come idee innate, concetti a priori, e il tutto, come ha dimostrato Schopenhauer, è governato dal principio di causalità. La discussione sugli archetipi del tempo, soprattutto l'esplorazione dei modi con cui l'archetipo fondamentale della modernità, espresso dal tempo freccia (curva esponenziale), possa essere trasceso, appare quindi nella sua vera natura: è un terreno in cui costruire conoscenza in modi alternativi a quelli, radicati nel razionalismo, che costituiscono i pilastri della modernità. Sotto questo punto di vista resta da chiederci se la concezione del tempo espresso da una traiettoria, il tempo nel quale il «prima» determina il «dopo», possa coesistere con una concezione in cui il tempo non ha traiettoria, per cui non si assume che il «prima» determini il «dopo». Può essere che le due impostazioni non siano alternative, ma piuttosto siano destinate a coesistere: da un lato, il tempo come traiettoria, proprio della conoscenza proclamata come «scientifica», dominata dal principio di causalità e orientata alla spiegazione; dall'altro lato, il tempo senza traiettoria, proprio della conoscenza non scientifica, connaturata all'arte e alla religione, e orientata alla comprensione. Ma questa ipotesi è da verificare, circostanza che richiede ampie discussioni.

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