Copertina
Autore Nichi Vendola
CoautoreLidia Ravera
Titolo La vita che vorrei
EdizioneAudino, Roma, 2012, La buona politica , pag. 112, cop.fle., dim. 15x21x0,9 cm , Isbn 978-88-7527-218-0
LettoreCristina Lupo, 2013
Classe politica , paesi: Italia: 2010
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Indice


Introduzione                                             5

Primo incontro
Tabelle millesimali e immaginazione                      9

    La narrazione degli altri                           10
    La Storia e le storie                               12
    La rimozione del tempo                              15
    Terlizzi come Macondo                               18
    Il prete e il comunista                             22
    Il teatro delle buone relazioni                     24
    Liberismo e populismo                               27
    Tra riformismo e sociologia del dolore              29
    Tra sinistra modernista e sinistra funeraria        31

Secondo incontro
Volare abbracciati                                      33

    Fango e giornali                                    35
    Dio è leggero, pesante è la Chiesa                  35
    Il sarto di Ulm                                     37
    Imparare dalle donne                                40
    Tenersi abbracciati                                 42
    Ago e filo                                          44
    Dalla civiltà dei parcheggi alla civiltà dei parchi 46
    Liberare la rivoluzione                             47
    Far tesoro del dolore                               51

Terzo incontro
Ricucire la sinistra                                    53

    La sinistra della riduzione del danno               53
    Fondamentalismi                                     54
    Fame di futuro                                      57
    Indulgenza                                          60
    Con le ossa rotte                                   62
    Vivere come se Dio non esistesse                    63
    Tra Francesco d'Assisi e Giacomo da Recanati        67
    Governo Monti e foto di Vasto                       69

Quarto incontro
Laboratorio Puglia                                      71

    Prevenzione civile                                  72
    Disabili e normodotati                              74
    Poeti e politica                                    77
    La Mecca-tronica                                    78
    I peggiori calzini del mondo                        78
    Primati                                             80
    Tu chi sei, acronimo?                               81
    Principi attivi                                     83
    Il patto col diavolo                                84
    La malattia come merce                              85
    Fidarsi è bello, ma...                              86
    ... non fidarsi è meglio                            87
    Il fidanzamento di Luca                             88

Quinto incontro
Furbi come serpenti, puri come colombe                  91

    Una sinistra non ornamentale                        91
    Un'Europa vulnerabile                               92
    Il liberismo è la malattia                          93
    Scegliere la fraternità                             95

Appendice
    La vita che vorrei                                  97


 

 

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Pagina 9

Primo incontro

TABELLE MILLESIMALI E IMMAGINAZIONE


«Nello studio di mio padre c'era uno strano quadretto. Non era una fotografia, non era un disegno, non era un dipinto. Era una tabella millesimale. Riesci a immaginarti qualche cosa di meno poetico? Numeri».


Lo guardo, seduto sulla poltrona di pelle rossa, nel mio salotto, i corti capelli grigi, l'orecchino, il sorriso da ragazzo.

Mi chiedo che cosa diavolo è una tabella millesimale, non glielo chiedo. Non lo voglio interrompere, parla guardando la parete di fronte, quella con i quadri. Non guarda me. Parla come se parlare fosse una necessità primaria. Tipo respirare. Per respirare non serve un interlocutore. Lo capisco da me, che cos'è una tabella millesimale. Seguendo la storia di suo padre, che faceva l'amministratore di condominio.


NICHI: «A lui piaceva. Era uno degli esercizi dell'arte della precisione».

LIDIA: «Perché me lo racconti?».


Siamo qui per parlare di narrazione, per dar corpo a questa parola. E allora bisogna lasciarle scorrere, le storie.


NICHI: «Mi è venuta in mente pensando alla sinistra, la tabella millesimale. È una sinistra così, questa sinistra, esperta in tabelle millesimali. Gestione condominiale, sembra questa la sua funzione. Parla quel linguaggio lì».

LIDIA: «In genere il linguaggio della politica è misero misero. Astratto. Burocratico. Contorto di neologismi. Irto di sigle. Con quelle metaforine modeste, quelle frasette ossessive: le mani nelle tasche degli italiani, un passo indietro, abbassare i toni, sonomoltosereno... Mai uno che dica: "Sono disperato, non ce la faccio più, mi vergogno, chiedo scusa...". Non si sente mai, ascoltando i politici parlare, una vibrazione di autenticità, è come se non avessero una storia. Niente che li situi fra noi. Noi mortali. Noi che nasciamo cresciamo maturiamo invecchiamo e moriamo. Noi che sbagliamo, che siamo incerti, che abbiamo paura... e poi tentiamo, azzardiamo, rischiamo, e certe volte va bene e siamo quasi felici... Loro no. Loro volano sopra. È per questo che gli hai tirato fra i piedi quella parola-bomba: "narrazione"? Volevi invitarli a riconoscersi nel consorzio umano?».


LA NARRAZIONE DEGLI ALTRI

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NICHI: «Mentre a sinistra si amministrava il condominio, la destra mondiale si riorganizzava, alla faccia della crisi delle ideologie, con un discorso spudoratamente ideologico».

LIDIA: «Infatti, l'ideologia è una narrazione. Pietrificata. Normativa. Degradata. Ma è una narrazione».

NICHI: «La destra si è presentata con un racconto. Ha detto: "Questo mondo è feroce, è una piramide". Ha detto: "Voi potete raggiungere il vertice della piramide". Questo ha creato entusiasmo, partecipazione, identificazione. La favola del capitalismo popolare. Quello per cui il disoccupato si interessa dell'indice MIBtel e il precario si spaventa dello spread. La destra l'ha saputa narrare una storia. E ha fatto digerire quella che noi abbiamo chiamato globalizzazione, che era sostanzialmente il capitalismo finanziario, svincolato da qualsiasi controllo, da qualsiasi obbedienza a regole, e capace di esercitare un vero comando autoritario nei confronti della politica. E mentre procedeva con questa globalizzazione sregolata e violenta, la destra si occupava anche delle ferite inferte dalla globalizzazione, stimolando il rinculo nazionalistico, localistico, lobbistico... ha cavalcato la società del frammento e ha curato il dolore di un mondo offeso, proponendo un piano di ricomposizione ideale sul terreno dell'individualismo proprietario».


Sul tavolino, fra due pile di libri, ci sono due registratori, eppure provo l'impulso di prendere appunti. Mi capita, quando qualcuno dice qualcosa che mi colpisce.

Lo faccio anche a cena, se un'amica o un amico, con generosità, invece di chiacchierare, come si dice "del più e del meno", prova a far lavorare il pensiero.

La gente si stranisce, se gli prendi appunti davanti.

Nichi no. Deve esserci abituato. Scrivo "individualismo proprietario" sul mio quaderno. Ci torneremo dopo.

Intanto lui, questo retore con la esse danneggiata, si scalda, descrivendo il racconto della destra.


NICHI: «Bisogna assumere il trentennio di Reagan, fino alla fine: il welfare raccontato come l'incarnazione del comunismo, l'intangibilità della ricchezza, cioè la ricchezza come prova della benevolenza di Dio, che si porta dietro la povertà come sintomo di qualche oscura colpa...».

LIDIA: «È la fiaba dei bei tempi andati?».

NICHI: «È il riepilogo delle culture reazionarie che si sono depositate nel tempo. E c'è un dato nuovo: è una destra fondamentalista. Non è una destra costituzionale, conciliata con la democrazia e con il progresso. È una destra che non si vergogna di esibire nella mano destra una pompa di benzina, perché sono petrolieri, nella sinistra una Colt e di tenere le chiappe sulla Bibbia... Di fronte a questo medioriente texano, l'onesto racconto dell'amministratore di condominio, con le sue tabelle millesimali, tu capisci...

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Pagina 18

TERLIZZI COME MACONDO

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NICHI: «Io sono cresciuto in un romanzo di Gabriel García Márquez. Il mio paese era pieno di storie, un'epopea. Io andavo al partito, di nascosto da mio padre...».

LIDIA: «Come di nascosto da tuo padre, non era entrato anche lui nel partito?».

NICHI: «Non voleva condizionarci. Non politicamente. Entrare nel partito doveva essere una scelta autonoma e adulta. Prima bisognava studiare. Tutte le sere ci chiedeva, a me ai miei fratelli e a mia sorella: "Avete detto le preghiere?"»

LIDIA: «E quello non era un condizionamento?».


Nichi non mi risponde, subito. Sta censendo i personaggi del suo pantheon infantile.


NICHI: «Ciccill u' strazzt, Francesco lo stracciato, leggendario capo della Camera del Lavoro; Marietta delle pezze vecchie, che si fece pugnalare nel comando dei vigili urbani dai fascisti, riuscì a non morire, restò comunista tutta la vita e, quando ai tempi della Bolognina il PCI decise di cambiarsi nome, disse: "Quelli possono fare quello che vogliono. Qui, nella mia Stalingrado, siamo comunisti".

LIDIA: «Stalingrado?».

NICHI: «Era un quartiere rosso, si chiamava Abbasc a po vicch, Casa bassa, perché incominciava con un arco nobiliare ma poi era tutto in discesa; il PCI prendeva il 70-80% dei voti, benché Terlizzi fosse un paese monarchico... Ricordo la mia infanzia e la mia adolescenza come un tempo abitato da una dimensione romanzesca: c'erano il prete don Pietro Pappagallo e il filosofo comunista Gioacchino Gesmundo, che fu insegnante di Pietro Ingrao e responsabile delle pagine culturali dell' Unità, entrambi martiri delle Fosse Ardeatine. Ho dovuto concentrarmi per separare i fatti dalle gigantografie... il mio passato è tutto attraversato da leggende... Ma quando parlo di narrazione penso a questo: a collocare le storie nella Storia, creare una relazione. Collocarle in una sequenza logica, metterle dentro un orizzonte. Perché soltanto partendo dalla nostra storia possiamo mettere in campo una visione di futuro».

LIDIA: «Ti ascolto e il confronto è inevitabile. Quali storie nella mia infanzia?... è come se contemplassi un deserto. Non trovo personaggi mitici, nessuna enfasi, né folclore, non il cuore pulsante di una umanità magica o tragica. Niente. È perché sono nata a Torino, in un ambiente di media borghesia urbanizzata? Anch'io mi sono affacciata alla politica giovanissima, seguendo una sorella di quattro anni più grande e molto amata. Ma ricordo, più che altro, un senso di leggera estraneità. Forse la timidezza di non capire. Ricordo il gioioso stupore quando qualcosa riusciva a penetrare la mia ignoranza di quattordicenne e farsi pensiero. Ma quali erano i miti? I partigiani li ho scoperti nei romanzi di Fenoglio. E già a quindici anni vivevo il PCI come il padre da contestare, il revisionista, lo stalinista, quello del centralismo democratico che invece era piramidale. E andava smascherato e combattuto...».


Mi distraggo, cercando di riannodare qualche filo reciso. Quando mi sintonizzo di nuovo sulla Storia e le storie, Nichi sta precipitando verso una dichiarazione inquietante.


NICHI: «Quando abbiamo tagliato il cordone ombelicale che ci legava alle storie del nostro passato, ci siamo accorti che non riuscivamo a raccontarci un futuro, peggio, che il futuro era diventato una proiezione ad infinitum del presente. L'eterno presente di cui parla Pietro Barcellona. Siamo incapaci di prefigurare qualcosa di veramente altro, di diverso. E questa incapacità è la madre di tutte le subalternità culturali. Siamo piantati qui, nel presente. Come nelle sabbie mobili. Ci agitiamo per tirarci fuori, e affondiamo sempre di più. Ci dimeniamo, senza fare un passo avanti né un passo indietro. È da trent'anni che la sinistra è nelle sabbie mobili, non riesce più ad attingere forza dal suo passato, non riesce a fare un balzo in avanti».

LIDIA: «E quindi? Che cosa dovrebbe fare, la sinistra?».

NICHI: «Rompere la barriera che ci separa dal nostro ieri e quella che ci impedisce di vedere il nostro domani. Perché la parola "narrazione" viene considerata scandalosa oppure usata a vanvera? Perché colloca la nostra situazione attuale in una tensione fra passato e futuro».

LIDIA: «Con i piedi nel passato, ben piantati, e lo sguardo fisso al futuro?».

NICHI: «È il contrario del volgare nuovismo corrente. Tutte le volte che si tenta una narrazione, non dico utopica, ma percorsa da un minimo di tensione ideale, dagli addetti della politica viene subito collocata nel passato, giudicata nostalgica. Basta che si nomini l'equità o la giustizia sociale che la stampa ti bombarda: ideologico, anticapitalista, ottocentesco, manca soltanto marxista-leninista...».

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Pagina 27

LIBERISMO E POPULISMO

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NICHI: «Abbiamo un anno di tempo. Un anno in cui può cambiare tutto nella vita politica italiana. Quello che è accaduto qui è veramente indicativo di un fenomeno molto inquietante: l'incompatibilità della democrazia con il dominio del capitalismo finanziario. Che il mondo si mobiliti per impedire il referendum in Grecia e le elezioni anticipate in Italia è impressionante. Io sono molto preoccupato, ho avuto la netta percezione che esista davvero un potere sovraordinatore a livello planetario. Quando sono stato negli Stati Uniti me l'hanno detto: conterà più la Goldman Sachs di qualunque partito democratico nel futuro delle scelte politiche italiane. Credevo che fosse una metafora. Invece mi stavano passando un'informazione. Questa manovra politica è riuscita a bloccare ogni possibile uscita a sinistra dalla crisi del berlusconismo. Hanno usato gli ultimi scampoli di socialismo europeo per chiudere operazioni di tipo neoliberista. Hanno usato Zapatero e hanno rimesso a posto i conti con la Spagna, ora in tutta Europa abbiamo soltanto Austria e Danimarca come governi di centrosinistra... L'Austria e la Danimarca, ti rendi conto?».


Il tempo sta per scadere.

Fra poco i ragazzi della scorta arriveranno qui sotto casa, a prelevare quest'uomo gentile e civile.

Che continua a parlare.


NICHI: «Per un trentennio, le gambe su cui ha camminato il sistema erano il liberismo e il populismo».

LIDIA: ««Un trentennio, certo, dai primi anni Ottanta. Fino a oggi, secondo decennio del secondo millennio«.

NICHI: «Ora vogliono amputare la gamba populista e costruire una retorica tecnocratica efficientista, che mette in campo il liberismo come ipotesi perfino morale. Cosa curiosa, come se Berlusconi fosse o fosse stato, davvero, soltanto un'anomalia e non la conferma patologica di un sistema, che è fondato sul conflitto di interessi, negli Stati Uniti d'America come in qualunque paese del nostro mondo occidentale. Finisce la stagione del berlusconismo e si enfatizza il trolley di Mario Monti... c'è un'estetica e un'etica del trolley... ma il tema che non può essere neppure evocato è il vero tema, quello di cui si dovrebbe parlare, quello per cui si dovrebbe lottare».

LIDIA: «Quale?».

NICHI: «La commistione tra pubblico e privato. Il conflitto di interessi. Non si può parlarne, perché c'è Passera... che è stato amministratore delegato della più potente banca nazionale e che adesso... anche se vende le sue azioni...».

LIDIA: «A me Passera non sembra così tremendo, non un Berlusconi, con la proprietà di tutti i media, dell'editoria, delle televisioni, delle distribuzioni, delle concessionarie di pubblicità... Ma forse voglio illudermi. Forse ho bisogno di prendere un break, una pausa dalla rabbia, dal disgusto. Forse...».

NICHI: «...perché noi dovremmo guardare gli anni che abbiamo vissuto e affrontare il futuro. Cioè: fare le riforme. Dedicarci a una modesta proposta riformista, non a una grande proposta rivoluzionaria. E partendo proprio dal rapporto fra pubblico e privato. Perché è stato quello, lo scandalo permanente di questi anni. Aver piegato la cosa pubblica a interessi privati, a interessi parziali, aver fatto, di ciò che è di tutti, una "cosa nostra". Il fatto che si pensi di poter ripartire senza fare parola di questa questione prioritaria mi mette angoscia».

LIDIA: «"Ripartire". Ecco, qual è la parola. Per la prima volta, dopo due decenni di ripetizione della stessa scena, ho la sensazione che si possa ripartire. Ho la sensazione che sia possibile cambiare qualcosa. Poco, molto, non so. Ma qualche cosa. Che si riaprano i giochi. Devo levarmi anche questa illusione? Non faranno davvero niente di buono questi professionisti di alto livello che si sono sostituiti ai famigli di un imprenditore pirata ignorante e avido?».

NICHI: «Vogliono fare il risanamento economico, forse, e forse quello lo faranno, nei limiti del possibile. Di sicuro vogliono fare il risanamento politico. La ricostruzione delle forze politiche in campo. Diciamo che l'operazione partorirà, forse, una sorta di partito democratico americano pre-Obama. Un partito democratico modello Marchionne. Un partito-azienda vagamente progressista, libertario ma non troppo. Il partito, cioè, che Veltroni sta immaginando. A guida Chiamparino, posto che sia ancora disponibile, un partito che ingloba democristianerie varie più un bel po' di matteorenzismo... Un partito liberista di massa».

LIDIA: «Ma che bel programmino! E tu, in tutto questo, che cosa hai intenzione di fare? Abbiamo qualche speranza? Possiamo immaginare qualcosa di sinistra... o ci mettiamo una pietra sopra e ci accontentiamo di non dover più passare giorni e giorni a parlare di orgette e illegittimi impedimenti... Basta saperlo... Magari mi ritiro in convento. Laicamente e tristemente. Mi cerco un eremo dove pensare ad altro. Mi metto in salvo. E i lavoratori, i precari, i disoccupati, tutti quelli che stanno alla base della piramide sociale, senza nessuno che li rappresenta, senza difese, che fanno? Si arrangiano? O si organizzano in rete e fanno saltare il banco?».

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Pagina 37

LIDIA: «Noi siamo l'ultima, vero? L'ultima generazione che è maturata per intero nel Novecento. Noi, nati negli anni Cinquanta e Sessanta, nella prima parte della seconda metà del secolo scorso».

NICHI: «E il nostro destino è quello di raccontare».

LIDIA: «Ma raccontare che cosa?».

NICHI: «Che il sarto di Ulm si è schiantato a terra ma l'idea del volo ha cambiato la storia dell'umanità».


IL SARTO DI ULM

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Il sarto di Ulm, Bertolt Brecht

Ulm 1592
«Vescovo, so volare»,
il sarto disse al vescovo.
«Guarda come si fa!».
E salì, con arnesi
che parevano ali,
sopra la grande, grande cattedrale.
Il vescovo andò innanzi.
«Non sono che bugie,
non è un uccello, l'uomo:
mai l'uomo volerà»,
disse del sarto il vescovo.
«Il sarto è morto», disse
al vescovo la gente.
«Era proprio pazzia.
Le ali si son rotte
e lui sta là, schiantato
sui duri, duri selci del sagrato».
«Che le campane suonino
erano solo bugie.
Non è un uccello, l'uomo:
mai l'uomo volerà»,
disse alla gente il vescovo.

LIDIA: «Questa è la poesia di Brecht. Da questa poesia Lucio Magri ha estratto il titolo del suo ultimo libro, Il sarto di Ulm. Il sarto di Ulm è davvero esistito, ed è morto provando una rudimentale forma di deltaplano, nel 1592. Quando il cielo era ancora appannaggio assoluto della Chiesa. Il sarto di Ulm si è schiantato a terra ma l'idea del volo ha cambiato la storia dell'umanità. Che cosa vuol dire, che bisogna coltivare aspirazioni elevate e impraticabili?».

NICHI: «Abbiamo bisogno di raccontare quello che è accaduto in un'epoca lunga. Non ieri e ieri l'altro. Almeno negli ultimi cent'anni. La memoria è il principale terreno di scorreria piratesca del nostro avversario. E bisogna praticarla, la memoria, non con incenso e naftalina, ma con la bilancia del presente. Noi non dobbiamo soltanto raccontare le cose che abbiamo imparato, le cose di cui siamo stati testimoni, o quelle che abbiamo capito, noi dobbiamo imparare di nuovo a raccontare, perché non ne siamo più capaci. La comunicazione è diventata così globale che ha smesso di comunicare. L'approccio con il mondo è diventato facile, ma è diventato superficiale. Quando avevo dieci anni avevo, appesa al muro, la cartina del Vietnam, seguivo le battaglie dei vietcong, piazzavo le bandierine... e poi sapevo dell'Africa e dell'America Latina... oggi un ragazzino conosce a malapena i posti dove è andato in vacanza».

LIDIA: «Nessun ragazzino di oggi ha messo le bandierine sulla cartina dell'Afghanistan o sulla mappa di Sarajevo...».

NICHI: «I vietcong eravamo noi, la guerra dell'imperialismo contro i vietcong era la nostra guerra».

LIDIA: «Ho la sensazione che abbiamo messo il dito in una piaga vera: oggi è difficile, per non dire impossibile, prendere le parti di uno dei combattenti, sposare una forza in campo, tifare per le sue ragioni. Non è che non ci siano più guerre, sarebbe troppo bello. È che non c'è certezza, non è possibile identificare dei buoni. Lo sai, perché la narrazione, in politica, oggi, resta un bel titolo senza niente dietro? Perché la narrazione ha le sue regole. E la prima è che ci vuole l'eroe. Non se ne può fare a meno, dell'eroe. Bisogna sapere (o presumere di sapere) chi sono i buoni. Oggi non è facile. Forse non è possibile. Tu dici che tuo fratello ti teneva sulle spalle, alla tua prima manifestazione. C'era Lindon B. Johnson in Italia. Ricordi le fiaccole nel buio e la tua eccitazione. Vie nuove pubblicava il fumetto delle battaglie. L'eroica resistenza di quel popolo di poveri, di gente piccola e mal armata, alle prese col gigante nordamericano. Tu, bambinetto di Terlizzi, partecipavi a quel conflitto lontano perché i vietcong erano stati identificati come eroi. L'invasione dell'Iraq ci ha fatto orrore. Era un guerra asimmetrica, costruita su una immane bugia, ma potevamo, noi, raccontare ai nostri bambini che quelli che si facevano saltare in aria imbottiti di tritolo contro le truppe degli invasori erano "i buoni"? E Al Qaeda? Non ti pare che il racconto delle guerre si sia un po' complicato? Come si salva il filo della narrazione dalla minaccia della complessità?».

NICHI: «Era più facile finché fare politica significava fare una scelta di appartenenza. Appartenevi a un punto di vista che aveva la sua latitudine e la sua profondità, che andava da Johannesburg fino a Bogotà. Chi non ha scritto almeno una poesia per Nelson Mandela... chi non si è sentito rinchiuso nel Garage Olimpo insieme agli oppositori del regime argentino negli anni Settanta, chi non si è sentito fratello di Jan Palach a Praga nel 1968... Il senso di appartenenza era ideologico, ma era innervato di realtà... di società, di mondi, di uomini, di donne, di città, di bandiere... C'era l'ideologia dell'odio, d'accordo. Adesso non c'è più l'ideologia, ma l'odio è rimasto. Il fondamentalismo è rimasto. E non soltanto quello di Al Qaeda, anche il fondamentalismo dei banchieri, e quello dei black bloc, e quello delle tante tifoserie politiche in campo. Un odio enorme, informe, angosciante. Dobbiamo farla finita con l'odio. Questa non è storia. Questa è preistoria. La preistoria è stata una vicenda infinita... secoli e secoli in cui la vita umana non valeva un cazzo, in cui la vita umana poteva essere piegata in ogni momento e per qualunque ragione. Non c'è storia nuova se non si ha la forza di ripartire da qui».

LIDIA: ««Dal rispetto della vita umana?».

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Pagina 40

LIDIA: «D'accordo l'offerta è stata un disastro, ma la domanda qual era e qual è?».

NICHI: «La domanda era ed è l'umanizzazione della società. Liberté, egalité, fraternité. Fallite egalité e fraternité, la libertà ha preso la via dei centri commerciali».

LIDIA: «La libertà è diventata licenza e consumismo?».

NICHI: «E la fraternità è diventata Big Brother... il grande fratello... bisogna stare attenti. Andiamo verso un tempo nuovo, incognito. Dobbiamo dimenticare i rancori, dobbiamo dimenticare la biografia della sinistra per dedicarci all'invenzione della sinistra. Dobbiamo iniziare una narrazione nuova».

LIDIA: «E qual è la prima frase, di questa narrazione nuova?».


IMPARARE DALLE DONNE

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NICHI: «Il mondo è due, il mondo è maschile e femminile, è questa la prima frase. Sulla traccia della fatica delle donne, dobbiamo incominciare a metter mano alla fatica degli uomini. Riflettere sul nostro genere, ricostruirlo. Scoprirne ambizioni e miserie. Non possiamo diventare femministi, declinare un femminismo di cortesia, rimanendo sostanzialmente immuni dal cambiamento necessario. Non dobbiamo nemmeno fustigarci. Dobbiamo riconoscere l'esistenza del problema. E il problema è che la coppia maschio-femmina è stata inghiottita dalla bocca vorace del maschile, che ha parlato per conto di tutti e due i generi, la coppia non è mai stata posta su un piano di parità, ma violata da una gerarchia, la differenza è diventata una minorità, una inferiorità, uno stigma... E questo ha generato una negazione. E il racconto di questa negazione l'hanno fatto le donne... le donne, che perfino nel tinello domestico, dove erano considerate poco meno di un brusio da parte del genere maschile, hanno costruito relazioni e un vocabolario bellissimo».


Lo ascolto in religioso silenzio.

Il registratore garantisce che nulla vada perso.

Sono seduta sul divanetto del suo studio. Lui cammina su e giù per questa stanza non grande, con la porta chiusa.

Al di là della parete arriva, di tanto in tanto, qualche risata. Un cozzare attutito di bicchieri.

In altri tempi avrei diffidato di tanta sensibilità alla differenza di genere, di tante belle parole, di tanta riconoscenza per la rivoluzione interrotta delle donne, da parte di un uomo.

Adesso no.

Adesso me ne consolo.

Forse è il momento di riprendere a parlare davvero. Di stringere patti con i migliori.

Anche loro saranno stanchi di vedersi rappresentati dall'immaginario miserabile del maschilismo medio mondiale. O no?

Nichi continua, infervorato.


NICHI: «L'uomo deve riconoscere la propria parzialità. Come hanno fatto le donne. E deve scavare e scavare, come per una spedizione archeologica estrema, deve riattraversare tutti gli strati di formazione del maschile. Perché il genere maschile ha pensato il mondo. Ha pensato la spada e la guerra, come una protesi del proprio fallo mentale. Ha organizzato la politica come una palestra per le virtù muscolari... Gli uomini non devono cedere il passo alle donne per una sorta di subdola galanteria, non devono aggiungere un posto a tavola, e tantomeno relegare le donne in una quota rosa. Gli uomini devono scoprire l'infelicità legata al sentimento di onnipotenza che hanno regalato a sé stessi per duemila anni. Devono guarire da quell'elemento di psicosi che li porta a immaginarsi proiezione di Dio... Non c'è, nel tempo nuovo, cambiamento possibile se non si passa per una critica del vocabolario fin qui utilizzato... non c'è cambiamento che non passi per un lavoro degli uomini sul maschile, simmetrico al lavoro delle donne sul femminile. Devono partire, gli uomini, da una genealogia di genere».


TENERSI ABBRACCIATI

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LIDIA: «E la seconda frase fondante per la nuova narrazione... il secondo lavoro urgente, radicale, per ristrutturare la sinistra, qual è?».

NICHI: «Il secondo elemento è la più moderna delle profezie: san Francesco D'Assisi. Fratello sole, sorella luna. Questa religiosità creaturale che è un grande apologo ecologico. Nominare e valorizzare il creato. Nutrire il senso del limite. Praticare la sobrietà, l'austerità, in antitesi allo scenario gonfio di merci e minacciato dall'abisso in cui viviamo oggi».

LIDIA: «San Francesco come profeta della decrescita?».

NICHI: «Io la parola "decrescita" la riserverei alla storia, perché se mi misuro con la cronaca, ho qualche difficoltà ad accettarla. Governo un territorio con la disoccupazione a due cifre. Un punto di PIL significa fra i trenta e i cinquantamila posti di lavoro...».

LIDIA: «Ma la crescita non deve essere mica per forza industriale, si può crescere anche orizzontalmente... tutti pensano alla crescita come a un grande fallo universale che deve ergersi all'infinito, in un rilancio senza sosta del ciclo produzione-consumo. Il lavoro non è necessariamente e per sempre produzione di merci. C'è la conoscenza, il benessere, l'agricoltura da cui tutti sono scappati, si può lavorare la terra in un certo modo piuttosto che in un altro, ci sono i servizi, c'è il sapere, i beni immateriali, la creatività, la cura...».

NICHI: «Sono d'accordo, il destino della crescita è creare benessere, non profitto».

LIDIA: «Il profitto è sempre stato al servizio del benessere di pochi, del malessere di molti. È stato, è, e sempre sarà, diseguaglianza».

NICHI: «Competizione e cooperazione. Se la competizione non è equilibrata dalla cooperazione il mondo ha un destino segnato. Abbiamo bisogno di un grado, diciamo, discreto di competizione, per impedire il congelamento e la morte per inedia delle società. Ma deve essere completato e contrastato dalla cooperazione. Bisogna pensare che individui capaci di cooperare possono raggiungere obbiettivi di ricchezza. E di distribuzione della ricchezza.

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NICHI: «Che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo trovare un racconto collettivo, un programma, in cui riusciamo a dar conto della condizione umana, così come si declina oggi, facendo della politica non una saracinesca che si abbassa di fronte alla vita, ma un osservatorio celeste che la studia».

LIDIA: «Restiamo umani, ti ricordi? Si intitolava così il blog di Vittorio Arrigoni , quel giovane militante pacifista ucciso in Palestina, nella Striscia di Gaza. È un programma impegnativo, restare umani. Soprattutto per voi, che vi trovate a essere parte della mediazione fra i desideri e i bisogni dei cittadini e la macchina della politica. Certo tu hai ragione quando dici di ripartire dall'ingresso massiccio delle donne nel vostro freddo teatro. Il mondo è due generi, la storia ha due protagonisti, due soggettività ecc. Ma materialmente non sarà facile. Io credo in questa grande battaglia democratica sulla rappresentanza: 50% donne e 50% uomini. Che non è democrazia di genere, ma democrazia e basta, è, finalmente, la Democrazia. Perché quella vigente è asimmetrica, irregolare, inconclusa. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Da questo dato, da questa diffusa consapevolezza che così non va, si può, si deve, partire. Però... io lo so, e lo sai tu meglio di me, che ci sarà una forte resistenza maschile all'attuazione di questo progetto insieme semplice e complesso. Per dirla con una frase che mi disse anni fa una delegata bolognese, a un congresso del defunto PCI all'epoca ribattezzato PDS: "Per ogni culo di donna che deve sedersi in un posto, si deve alzare il culo di un maschio"... le più giovani, possono nutrire una visione presepesca di quella che, invece, sarà una sanguinosa battaglia, noi no. Nel teatro dei privilegiati della politica nessuno fa mai un passo indietro volontariamente. Nessuno decide di farsi da parte. Neppure gli inquisiti, i condannati, gli sputtanati, stanno tutti sempre lì, ferocemente aggrappati al posto... Questa del 50 e 50 non sarà una scaramuccia ma una guerra, non un aggiustamento ma una rivoluzione».

NICHI: «A me è sembrata miracolosa la manifestazione del 13 febbraio dell'anno scorso, al grido di "Se non ora quando". Dopo anni in cui il femminismo sembrava diventato soltanto una biblioteca — il che è anche molto importante — o comunque una vecchia storia incapace di far partecipi le giovani generazioni delle proprie vicissitudini, delle proprie conquiste... improvvisamente, le ragazze, che probabilmente non hanno confidenza con gli scritti di Carla Lonzi , con i classici del femminismo... ragazze che non conoscono tutte le finissime mediazioni culturali delle generazioni precedenti, scendono in piazza e animano una rivolta contro quello specifico maschilismo che è incarnato nelle maschere della classe dirigente rivendicando la propria dignità».

LIDIA: «E lo fanno insieme a donne di generazioni e formazioni diverse. Adulte, mature, vecchie, femministe e mai state femministe, ci sono tutte, anche quelle che erano sparite in una biblioteca. In tutta Italia. Spontaneamente. Qualcosa le unisce, anzi, ci unisce, e, ancora una volta, scopriamo che è più forte di ciò che potrebbe dividerci».

NICHI: «Mi ha fatto pensare al femminismo di mia madre, che non ha mai letto libri, non ha mai partecipato a collettivi, ma ha elaborato nella sua vita modelli di autonomia, di libertà, di allegria quasi anarchica. Un femminismo naturale. Depositato in profondità. E l'ho ritrovato in queste giovani, ho visto germogliare semi che erano stati piantati prima. E che sono germogliati comunque».

LIDIA: «Nonostante il lungo inabissarsi di quel fiume carsico che sono le lotte delle donne».

NICHI: «Questo fatto mi dà molta speranza. Mi dà la sensazione che sia giunto a saturazione il lungo ciclo culturale del berlusconismo. E noi, lo dico anche ai miei, non dobbiamo soltanto, dentro questa fase di saturazione del ciclo, individuare i punti di ricaduta politica, gli elementi che allargano il varco. Noi dobbiamo poter dire che la comunità è l'alternativa alla disperazione, che la solidarietà è meglio dell'individualismo proprietario, che la cooperazione è l'obbiettivo che dobbiamo assegnarci in questa nuova fase della storia».

LIDIA: «Insomma: bisogna decretare la fine del Novecento. Entrare finalmente nel nuovo millennio».

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POETI E POLITICA

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LIDIA: «Usciamo dalla metafora. Se no poi ti dicono che sei un poeta e quindi, per conseguenza logica, sei inadatto a governare. Facciamo un gioco, un'ipotesi tanto così, per raccontarci il futuro. Mettiamo che domani ci sono le elezioni. Mettiamo che le vince il centrosinistra, mettiamo che il centrosinistra vince alleandosi con la sinistra e non col centro. Mettiamo che tu ti trovi a essere il numero uno o il numero due. Che fai? Come ci porti fuori da questa crisi? Come fai in modo che non rischiamo di finire come la povera Grecia, costretta a morire di fame per non morire di fame?».

NICHI: «Prima di risponderti vorrei dire una cosa. Questa faccenda della mia eloquenza. Non è quello il punto. Non è una questione stilistica. Non riguarda la modalità comunicativa. La resistenza nei miei confronti riguarda ciò a cui alludo, testardamente, cioè il dovere della politica di fare i conti con la verità».

LIDIA: «Addirittura la verità? Non è un po' troppo...?».

NICHI: «Di fare i conti, se preferisci, con il nocciolo duro della condizione di alienazione e di sofferenza sociale, di sconnettere i meccanismi di esclusione... Tant'è vero che appena fai un discorso un po' alto, appena guardi un po' più lontano... ti dichiarano poeta, profeta, come se il politico dovesse occuparsi soltanto della cronaca immediata, del contingente».

LIDIA: «Insomma: ti danno del poeta e del profeta per tirarsi fuori, ti lusingano per discriminarti. Certo: se tu sei soltanto una bizzarra eccezione, la regola è salva».

NICHI: «La realpolitik ha l'incombenza dello spread, dell'indice MIBtel, delle battute di Pierferdinando Casini...».

LIDIA: «Ma insomma non me lo vuoi dire che cosa faresti se...».

NICHI: «Preferisco essere valutato su quello che ho fatto, che raccontare quello che farei. Quello che ho fatto. Ho preso un pezzo di Sud ibernato culturalmente ed economicamente dissestato. E l'ho cambiato. I primi tempi, quando viaggiavo, dovevo prima di tutto spiegare dove stava la Puglia. Conoscevano solo Brindisi e solo come porta per la Grecia».

LIDIA: «Ci si passava per andare in vacanza».

NICHI: «Adesso è la regione d'Italia che attrae più investimenti privati. Quando è venuto, poche settimana fa, il Capo di Stato tedesco... è venuto con i manager delle grandi multinazionali che, dopo aver delocalizzato in tante aree d'Europa, in Puglia hanno aumentato il portafoglio di investimenti. Parlo di grandi imprese come la Getrag, che apre a Bari la sua più grande sede mondiale. Parlo della Bosch... tre anni fa volevano andarsene, e adesso rilanciano».

LIDIA: «E come s'è compiuto il miracolo?».


LA MECCA-TRONICA

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NICHI: «Ho messo soldi e idee progettuali. Ho fatto politica industriale. Ho detto: "Metto soldi, mi faccio carico della tua difficoltà, però tu trasferisci qui un pezzo di cabina di regia del sistema produttivo, non voglio che la Puglia sia il luogo dei semilavorati, perché è quello che mi rende fragile. Voglio che qui tu ti radichi, voglio il tuo know-how, le tue funzioni dirigenti, voglio che mi porti un pezzo di management, selezionato fra i migliori che hai a disposizione". Infatti sono arrivati un sacco di giovani manager dagli Stati Uniti. E poi puntiamo su progetti di innovazione, pezzi di automobili ecologiche. In questi giorni la Porsche è venuta a comprare una grande pista, quella di Nardò, per le automobili. Il nostro sistema produttivo ha conosciuto un grande consolidamento nei suoi apparati fondamentali che erano tutti a rischio, a cominciare dalla meccanica. Abbiamo costruito distretti tecnologici. Per esempio, la Meccatronica».

LIDIA: «Meccanica più elettronica?».

NICHI: «Meccanica più elettronica, perché multinazionali e locali, nel settore meccanico, potessero avere a disposizione laboratori di ricerca. Per innovare. E poi ho smesso con i finanziamenti a pioggia, che calavano in maniera non selettiva e senza obbiettivi di qualificazione».

LIDIA: «Adesso i finanziamenti vanno a chi se li merita? E a che cosa obblighi le aziende che vogliono guadagnarseli?».


I PEGGIORI CALZINI DEL MONDO

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NICHI: «Io finanzio le aziende che si costituiscono in distretti produttivi di filiera. Le aziende del tessile, per esempio: si mettono in rete, si confrontano sulla qualità dei prodotti, sulla realtà del mercato mondiale. Io non finanzio tutti, anche quelli che non hanno ragione di esistere perché sono morti sul mercato... perché fanno i peggiori calzini del mondo... i peggiori calzini del mondo è meglio che li facciano negli scantinati di Shenzhen, perché lì costano 1, negli scantinati di Barletta costano comunque 50... la globalizzazione porta a una competizione che non può essere affrontata da una azienda sola... ci vuole una rete. Si può fare insieme marketing, ricerca, si può proteggere sé stessi. Si può fare innovazione... e allora il finanziamento arriva».

LIDIA: «Quindi obblighi all'innovazione e alla costruzione di filiere. Altri vincoli?».

NICHI: «Il più importante: il rispetto dei diritti dei lavoratori. Posti di lavoro stabilizzati».

LIDIA: «Dunque: avete messo in piedi vari distretti tecnologici. La Meccatronica, l'agroalimentare a Foggia, le nanotecnologie, le biotecnologie... Perciò il tasso di disoccupazione in Puglia sarà vertiginosamente sceso, immagino...».

NICHI: «Il punto più alto di impennata della crescita anche occupazionale in Puglia è andato a sbattere, a fine 2008, contro la violenza con cui è arrivata la crisi da noi... Ero talmente euforico, così felice di come stavano andando le cose che volevo lanciare l'obbiettivo della disoccupazione a una cifra... scendere sotto il 10%... avevo preso la regione con un tasso del 15,8%... oggi siamo intorno al 13%, ma eravamo scesi di più. Tu credi che io avessi, a Roma, qualcuno con cui parlare, discutere di politica industriale? No. Non c'era mai nessuno. E così per l'agricoltura... la Puglia è il granaio d'Italia... ne vogliamo parlare? A Bruxelles passa una logica che premia il latifondo, perché gli incentivi vengono dati sulle estensioni delle proprietà agricole non più sulle produzioni... le campagne italiane si svuotano, si spopolano i paesi di campagna e di montagna, l'Italia si sta collocando tutta sulla fascia costiera. Vogliamo discuterne? Si rompe la spina dorsale del nostro Paese e non c'è un luogo dove si possono scambiare idee, prendere decisioni...

LIDIA: «Mi chiedo se è cambiato qualcosa, adesso, con i tecnici, con tutti questi stimati professori. Dovrebbero essere più reperibili, quando si tratta di discutere, di confrontare idee. Per formazione, per indole... se non per senso di responsabilità...».

NICHI: «...e non capivo a sinistra la febbre per Marchionne, non capivo proprio, rimanevo sgomento all'idea che questo signore, sgraziato nei modi, fosse così riverito... Uno venuto sostanzialmente a cooptare la FIAT nel gruppo Chrysler, perché è questo che ha fatto, anche se la cosa è stata presentata all'inverso, proponendo un modello di trasporto fra i più vetusti... quello fondato sul mito della super automobile privata, il Sud... un signore che funziona molto nella Borsa e funziona poco nei mercati dell'automobile, un signore che aumenta il disprezzo per i diritti sociali, per i diritti del mondo del lavoro e per le prerogative del sindacato, un signore che si consente di violare i principi democratici basilari, tanto che oggi è legittimo, in Italia, licenziare o non assumere chi ha la tessera della FIOM... Pensavo: una cosa come questa puo' accadere soltanto in un paese in cui non c'è stata una politica industriale. E non c'è stata perché non ci doveva essere. Una politica industriale che regolasse la relazione fra il pubblico e il privato. Dove il pubblico definisce gli obbiettivi, e il privato esegue... per esempio il pubblico dice: "Bisogna far girare le merci sulle rotaie e sulle autostrade del mare". E invece Trenitalia dismette anche il traffico merci dalla ferrovia... Non c'era, durante il governo Berlusconi, un luogo in cui si definisse una strategia industriale. In cui ci si potesse chiedere, per esempio: quali sono le nostre vocazioni industriali? Dobbiamo abbandonare o no la siderurgia? Tessile abbigliamento e calzaturiero... sono ormai definitivamente schiantati sotto l'urto dei cinesi? Se le nostre imprese fanno qualità e rifiutano lo schiavismo, possono ricollocarsi in quote di mercato interessanti?».

LIDIA: «...oppure vince sempre il peggiore, il più spregiudicato, il meno empatico?».

NICHI: «Il meno empatico... Io l'ho vista la fragilità della Puglia: economica, ambientale, sociale. E ci abbiamo lavorato. E adesso... leggili sul Sole 24 ore i dati della nostra impresa industriale. Fatti un giro per il territorio, conta gli asili nido, i luoghi di accoglienza, le infrastrutture. Abbiamo aperto quindici parchi in quattro anni, ristabilendo l'equilibrio fra territorio naturale e territorio antropizzato. Abbiamo bonificato, abbiamo fatto il primo esperimento al mondo di bonifica di una discarica, c'erano 400.000 tonnellate di rifiuti speciali, noi abbiamo impermeabilizzato la discarica con i rifiuti dentro. Abbiamo formato un centinaio di operai che adesso sono richiesti in tutto il mondo, per il loro alto grado di specializzazione. E questa è diventata una buona pratica, a livello mondiale, studiata nelle università... Abbiamo investito nell'acquedotto».


PRIMATI

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LIDIA: «Sì, lo so, l'acquedotto è il tuo fiore all'occhiello. La battuta corrente era: l'acquedotto pugliese dà da mangiare più che da bere. L'acqua mancava mediamente quattro/cinque mesi l'anno, c'era un sacco di gente che non pagava la bolletta, un po' per cattiva abitudine, un po' per protesta».

NICHI: «Era un'azienda decotta, la rete era in condizioni pessime, non c'era manutenzione, non si investiva... Nel 2011 l'acquedotto pugliese è stata l'unica società che ha visto il rating aumentato dall'agenzia Standard & Poor's. Chiude in attivo. E abbiamo 20.000 chilometri di rete. E tenerli tutti in buone condizioni è uno sforzo ciclopico, perché la terra ha un suo dinamismo, la rete si frattura in continuazione... Oggi siamo sui 250.000.000 di euro di spesa annua...».

LIDIA: «Sono un sacco di soldi!».

NICHI: «È l'acquedotto più grande del mondo. E lo costruisci sempre, lo migliori sempre, è un work in progress».

LIDIA: «E l'elenco dei primati non finisce lì, c'è anche il fotovoltaico, no?»».

NICHI: «Non un megawatt di energie rinnovabili nel 2005, oggi siamo i primi in Italia per il fotovoltaico, per l'eolico. Bisogna costruire un rapporto fra economia ed ecologia, e farlo in concreto».

LIDIA: «Dunque la Puglia è diventata un piccolo paradiso terrestre, senza un problema, una tara, un buco nero...».

NICHI: «Il male c'è e bisogna nominarlo. Per esempio il caporalato. Non bisogna far finta di non vederlo. O di non sapere che è un forma di riduzione in schiavitù dei lavoratori migranti. Bisogna accendere i riflettori. Non distrarsi. E lo stesso vale per la questione giovanile».

LIDIA: «Ah, ne parlano tutti, della cosiddetta "questione giovanile". La precarietà, la disoccupazione, i laureati che non trovano lavoro e quelli che interrompono gli studi perché intanto ormai si sa che studiare serve a poco... i giovani sono quotidianamente insultati e lusingati, rimossi e chiacchierati... bamboccioni mammoni o sfigati... Tu hai fatto qualcosa di concreto per loro, nel tuo laboratorio di buone politiche?».


TU CHI SEI, ACRONIMO?

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NICHI: «Innanzi tutto, la lotta agli acronimi. EDISU. Tu lo sai che cos'è?»».

LIDIA: «No, naturalmente».

NICHI: «Erano i cinque consigli di amministrazione che governavano il diritto allo studio nei cinque atenei pugliesi. Ognuno di diciotto membri. Ogni membro beccava uno stipendio. Quindi il denaro stanziato per il diritto allo studio finiva nelle tasche di quelli che avrebbero dovuto occuparsi del diritto allo studio. 3.000 euro a persona. Quando arrivava il momento di dare le borse ai ragazzi che ne avevano bisogno, i soldi erano finiti. Abbiamo smantellato tutto. Ho aperto una agenzia regionale, snella e unica. Ho recuperato un sacco di risorse. Che cosa produceva l'EDISU? Burocrazia, non diritto allo studio. Il diritto allo studio vuol dire costruire residenze per i fuori sede, mense per tutti, vuol dire mezzi pubblici e cinema e teatri gratuiti, vuol dire pagare tasse nella misura del proprio reddito...».

LIDIA: «Tutti soldi recuperati sopprimendo un acronimo. Ce n'è altri?».

NICHI: «Lo IACP».

LIDIA: «Questo lo so: Istituto autonomo case popolari».

NICHI: ««Mi sono chiesto: che cosa ha prodotto finora? L'equilibrio fra malavita e povertà. Clientele e consenso elettorale. Non è questa la sua mission. Quindi abbiamo smantellato tutto. E messo fuori la politica. Così si è incominciato a cacciare quelli che stavano nelle case popolari abusivamente, a ridefinire il prezzo delle locazioni, a ristrutturare... Le organizzazioni mafiose hanno radici nello IACP. I clan. C'è un circuito di controllo sugli alloggi, una sorta di subaffitto per conto di una intermediazione criminale. Ci sono i ricchi che si fanno dare la casa, vanno ad abitare da un'altra parte e affittano quella che hanno ricevuto, fingendosi poveri».

LIDIA: «Non hai avuto reazioni? Sono lavori delicati, sono ambienti, per così dire, poco ricettivi alle critiche...».

NICHI: «Una volta che siamo riusciti a tenere fuori i partiti da questo banchetto così succulento, io ho affidato la gestione dell'urbanistica a una donna straordinaria – le donne della mia giunta sono tutte straordinarie –, Angela Barbanente. Docente universitaria. Grande competenza, specchiata moralità».

LIDIA: »Spesso sono le persone che fanno la differenza. Chissà perché a scegliere personale dirigente di genere femminile sono ancora così pochi. Bisogna prima dichiarare guerra ai misteriosi acronimi e ai maschietti che ci hanno fatto il nido?».

NICHI: «Bisogna fermarsi un attimo e chiedere: tu chi sei, acronimo? Se non ci si ferma un momento a pensare si dimentica che ogni acronimo ha una missione. Cioè: io ti pago per fare una cosa, ma l'obbiettivo è la cosa da fare, non sei tu. Bisogna controllare instancabilmente come vengono impiegate le risorse, come funzionano. La maggior parte degli acronimi funziona male apposta per poter continuare. Per eternizzarsi. È paradossale ma... se i servizi sociali funzionano bene, aiutano le persone a non dipendere dai servizi sociali. Quindi mettono a rischio la propria sopravvivenza».

LIDIA: «Bene. Smascherare gli acronimi, tagliare i rami secchi, monitorare quelli che lavorano per sé stessi e non per gli utenti. E in positivo? Hai in costruzione qualcosa di nuovo? Ti concedo ancora dieci minuti di soddisfazione da bravo governatore...».

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Quinto incontro

FURBI COME SERPENTI, PURI COME COLOMBE


Questa volta siamo seduti in un ristorante di Campo de' Fiori.

Ci hanno dato un tavolo al primo piano, vicino alla finestra aperta.

Davanti a noi la statua di Giordano Bruno e gli ombrelloni del mercato.

Nichi guarda fuori con una specie di golosità da recluso, il cielo è chiaro e il vento spinge le nuvole a coprire e scoprire il sole, così la luce cambia costantemente ed è come se la città, dopo l'inverno, ricominciasse finalmente a respirare.

Dai tavoli vicini sorridono a Nichi, lo salutano, alzano il bicchiere verso di noi accennando a un brindisi di buon augurio.

Siamo soltanto io e lui, e senza registratore.


UNA SINISTRA NON ORNAMENTALE

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LIDIA: «Ma tu, che cosa vuoi fare? Vuoi davvero continuare fino al 2015 a fare il presidente della Regione Puglia?».

Nicui: «Il 2015 è la fine naturale del mio secondo mandato, ma nel 2013 devo guidare una formazione politica neonata come Sinistra Ecologia Libertà dentro una stagione politica nuova. Io spero con funzioni di governo. Per una coalizione di centrosinistra in cui la sinistra non sia una funzione ornamentale, ma una agenda di futuro».

LIDIA: «Se questa cosa accadesse, tu che faresti, come ti muoveresti per traghettare il Paese fuori dalla crisi? Prendendo i soldi dove. Facendo riforme quali...».

NICHI: «Intanto bisogna dire che se avessimo governato noi, il Paese non avrebbe conosciuto tre anni di occultamento della crisi. Non avrebbe conosciuto quel crimine: nascondere la realtà perché i fasti berlusconiani non contemplavano notizie sgradevoli. Noi abbiamo lottato perché si disvelassero la realtà e la natura della crisi economica e finanziaria negli anni della menzogna. Di fronte a questa crisi, che adesso è sotto gli occhi di tutti, non si può sventolare una ricetta, non sono ammesse semplificazioni».

LIDIA: «Semplificazioni no, ma da qualche parte bisogna ben partire. O restiamo a contemplare la nostra impotenza...».


UN'EUROPA VULNERABILE

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NICHI: «Dall'Europa. Bisogna interrogarsi sulla vulnerabilità dell'Europa. Che cosa l'ha resa così fragile? Non il cumulo del debito pubblico di tutti gli stati. L'Europa è molto meno indebitata del Giappone o degli Stati Uniti. L'Europa è vulnerabile perché i cannibali della speculazione la divorano e adesso vogliono spolpare quel che resta della Grecia e poi sputare l'osso ai cani. Perché l'Europa non è un soggetto politico reale, è una consorteria di stati nazionali unificati dalle dottrine economiche liberiste. Ha smesso da troppo tempo di nutrire l'ambizione di costruirsi, di costruire gli Stati Uniti d'Europa. In questo clima l'allargamento alla Turchia è diventato un vecchio ricordo e non il più importante appuntamento dell'Europa che si apre e dà un colpo mortale al fondamentalismo islamico. L'euro mediterraneo che era sembrata una buona intuizione della classe dirigente europea è stato travolto dal bunga bunga e dalle troppe loffie trame che legavano gli europei agli autocrati della costa Sud e della costa Est del Mediterraneo. L'euro mediterraneo: ma come, non sai che stava covando una rivolta, non sai chi è Gheddafi, non sai chi è Mubarak, non sai chi è Ben Alì. Tu, che davi i tuoi soldi a Gheddafi per fare i campi di concentramento nel deserto così non dovevi farli qui in Italia... Insomma, allora... la crisi è questa. La crisi è la crisi politica dell'Europa, che rende difficile perfino immaginare la trasformazione della Banca Centrale Europea in ciò che è la Federal Reserve negli Stati Uniti. Ma l'Europa non c'è, se la Germania per mesi e mesi discute della Grecia con la spocchia con cui ne ha discusso, dimenticando, guarda caso, che la rovina della Grecia è stata intermediata dalle banche tedesche. L'Europa è la Germania e i satelliti della Germania?».

LIDIA: «Insomma, l'Italia non si può salvare da sola. Siamo troppo interconnessi, dipendiamo gli uni dagli altri. È così? Le severe prescrizioni del governo tecnico sono palliativi, non servono a migliorare le condizioni del malato?».

NICHI: «Ma si può arrivare al punto in cui la ricchezza finanziaria è dieci venti trenta quaranta volte più del Prodotto Interno Lordo? La moneta è una convenzione per scambiare delle cose, è il valore di tutto quello che sta in questa sala. Io dico che il valore di tutto quello che sta in questa sala è 100.000.000.000 di euro, naturalmente non è vero. Il differenziale che c'è tra il valore di quello che veramente c'è nella sala di questo ristorante e 100.000.000.000 di euro è una bolla. E una bolla, prima o poi, scoppia in faccia a qualcuno».

LIDIA: Il governo Monti sostiene che bisogna lavorare per una crescita dell'economia reale, il famoso PIL...».


IL LIBERISMO È LA MALATTIA

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NICHI: «Ma come si fa a immaginare la crescita economica mentre si fanno politiche recessive? Come posso sperare in una crescita dei consumi, se diminuisco redditi e salari? Da quando hanno imposto la prima terapia shock alla Grecia il debito pubblico ha incominciato a galoppare. Il debito pubblico lo puoi diminuire se fai alcuni tagli, ma non se i tagli distruggono il potere d'acquisto dei cittadini. Se non puoi comprarti le scarpe, andare in pizzeria, andare al cinema... il debito pubblico aumenta perché diminuisce il gettito. La giustizia sociale non è una bandiera ideale, è la medicina per curare quella malattia che si chiama liberismo. Il liberismo non è la medicina, è la malattia. Ed è così contagiosa che perfino i professori, gente studiosa e tecnicamente attrezzata, usa la parola crescita in modo inappropriato. Come se la crescita fosse sempre buona. La crescita deve essere sostenibile ecologicamente. Mentre discutono di spread non si accorgono della neve e del fango a Genova e del ghiaccio di Roma prigioniera...».

LIDIA: «E degli smottamenti di interi paesi e dei danni al patrimonio archeologico e delle alluvioni e di Pompei che cade a pezzi...».

NICHI: «In un paese come l'Italia io farei subito un piano straordinario per la messa in sicurezza e la manutenzione del territorio. Territorio urbano, territorio rurale, montuoso, fluviale, costiero. È tutto lavoro. Posti di lavoro».

LIDIA: «Con che soldi?».

NICHI: «Con un prelievo straordinario sulle transazioni finanziarie e sui grandi patrimoni. Un decreto salva Italia che salva veramente l'Italia. Il suo patrimonio. Storico, artistico, naturale».

LIDIA: «E le liberalizzazioni? Secondo te sono utili, urgenti, risolutive... oppure no?».

NICHI: «L'Italia subisce le grandi corporazioni, questo è vero. Ma nel liberalizzare bisogna partire dal più grande e arrivare al più piccolo, perché se parti dal più piccolo succede che ti fermi a metà strada e al più grande non ci arrivi mai».

LIDIA: «E chi sarebbe il più grande?».

NICHI: «Le grandi banche. E le compagnie di assicurazioni. Non certo i taxisti. È vero che Roma è l'unica capitale dove è un problema trovare un taxi... ma se i soldi che circolano sono pochi non è che avere mille taxisti invece di cinquecento produca crescita economica di per sé. Si spartiranno miseria, non moltiplicheranno ricchezza. Il problema è il reddito degli italiani. Fino all'inizio degli anni '70, in Italia, il lavoro operaio, il lavoro nell'industria privata era tra i più pagati d'Europa. Oggi siamo, credo, agli ultimissimi posti. In trent'anni la svalorizzazione del lavoro operaio è stata impressionante. Sono stati valorizzati i capitali e le rendite. Cioè la ricchezza è stata scientificamente spostata ogni anno, diversi punti di PIL, cioè diversi miliardi di euro sono stati stornati dal mondo del lavoro e trasferiti alla rendita con un effetto negativo su tutta l'economia. Perché se i soldi io li spendo, sono ossigeno per l'economia. Ma se li metto in banca, li accumulo, li tengo fermi, non produco ricchezza».

LIDIA: «Produce ricchezza chi non ne possiede. Chi spende quello che guadagna, chi non può permettersi di accumulare danaro».

NICHI: «Una ricchezza spalmata sul ceto medio-basso è una ricchezza che entra nel ciclo economico, una ricchezza che resta fra i ricchi diventa rendita. Non aiuta certo l'economia a ripartire».

LIDIA: «Redistribuzione della ricchezza. Che qualcosa vada anche verso il basso. E poi?».

NICHI: «L'ambiente. L'ambiente non è un limite allo sviluppo. È il contenuto di un nuovo sviluppo possibile. Avremmo anche la possibilità di stimolare la nascita di nuovi segmenti di mercato... se veramente l'Italia si mettesse a fare la raccolta differenziata: quante imprese nuove ci vogliono per recuperare le materie per il riciclo, per commercializzare il riciclato

LIDIA: «Quindi, secondo te, il governo Monti, in fondo, manca di fantasia e concretezza. Si accanisce contro l'articolo 18 come se l'economia avesse bisogno soprattutto di poter licenziare per poter rifiorire e non investe in nuovi settori, non immagina nuovi mercati...».

NICHI: «Io non posso accettare l'idea che il sapere dei tecnici possa surrogare il sapere politico, che è il sapere della comunità. E poi... diciamocelo... i tecnici a cui è stato affidato il Paese sono quelli di una certa scuola di pensiero, hanno una certa idea di organizzazione sociale e l'hanno perseguita privatamente quando erano professori e continuano a perseguirla sulla scena pubblica».

LIDIA: «Sarebbe bello poter tornare a un'idea alta di impegno. Riaffezionarci al primato della politica. Crederci di nuovo. Senza la protezione fideistica delle ideologie. In questo tempo dominato dagli ossimori: la solitudine socievole degli "amici secondo Facebook", tutti connessi, tutti lontani. La mancanza di senso sovraccarica di informazioni, il fracasso del dibattito che cade nel silenzio dei delusi. La democrazia diretta, resa possibile dalle nuove tecnologie e resa impotente da una politica pietrificata, autoreferenziale, asserragliata nel Palazzo. Incapace di vero ascolto. In questi anni di crisi terminale, con questo senso di fine di un'epoca, certe volte ho la percezione che tutto potrebbe ricominciare, rinascere dalla cenere di quello che sta arrivando a esaurimento. È un attimo di speranza. Irragionevole, ma bello. E... naturalmente passa subito».


SCEGLIERE LA FRATERNITÀ

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NICHI: «Siamo in un passaggio in cui l'avversario sta esaurendo il suo racconto. Il capitalismo finanziario sembra contemporaneamente la culla e la tomba di sé stesso. Sembra scivolato in una dimensione in cui non può che produrre crisi. Non ha più un'idea di civiltà. Sembra essere in una deriva inarrestabile. Allora io dico che oggi non può nascere una nuova politica senza una nuova antropologia. Dobbiamo ritrovare un senso del vivere collettivo. Le società sono completamente secolarizzate. Non c'è un dio protettivo che dia senso alla comunità. Non c'è un'autorità che possa godere di una legittimazione divina. L'autorità è in ogni momento sottoposta a falsificazione. Può essere messa in dubbio. Tutto questo è d'esito incerto, ma è anche un momento rivoluzionario. Siamo sull'orlo del cambiamento. Siamo anche in una torre di Babele... è possibile che il grande cambiamento ci riporti a un punto oscuro della storia umana. Come attraversare questo tempo? Facendo politica, facendola con tutte le competenze della politica, senza presentarci come giardino d'infanzia, senza pensare a un partito come luogo autocoscienziale o ridotto a codice etico... dobbiamo fare politica, sapendo che cos'è la politica... Dobbiamo essere furbi come serpenti e puri come colombe. Cercare le alleanze necessarie, costruire i compromessi necessari, rilegittimando fino in fondo la parola "mediazione" e la parola "compromesso". Sono parole buone. Sono l'unica alternativa ai fondamentalismi. Non sono deteriori i compromessi quando sono tra interessi legittimi, le mediazioni quando sono tra soggetti legittimi. Ma mentre facciamo tutto questo, dobbiamo sapere che la domanda fondamentale è una domanda di senso. Una domanda resa urgente da una crisi antropologica, da una deriva della civiltà. Noi dobbiamo, con le nostre modeste forze, evocare una nuova antropologia. Dobbiamo immaginare una vita segnata dalla scelta della fraternità. Non la fraternità come destino. La fraternità come libera scelta. Siamo tutti figli di Dio».

LIDIA: «E se dovesse risultare acclarato che Dio non esiste, che cosa siamo? Tutti figli della Rivoluzione francese?».

NICHI: «Liberté, egalité, fraternité. Ripartiamo da lì. È questa, forse, l'opportunità che la crisi ci offre».

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