Copertina
Autore Jean Verdon
Titolo Bere nel Medioevo
SottotitoloBisogno, piacere o cura
EdizioneDedalo, Bari, 2005, Storia e civiltà 60 , pag. 310, cop.ril.sov., dim. 145x215x22 mm , Isbn 978-88-220-0560-1
OriginaleBoire au Moyen Age [2002]
TraduttoreMarina Karam
LettoreRiccardo Terzi, 2006
Classe alimentazione , storia medievale , storia sociale
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Indice

Introduzione                          5

PARTE PRIMA
Un bisogno...


Capitolo primo
L'acqua                              11

    Scegliere                        11
    Approvvigionarsi                 21
    In viaggio                       32

Capitolo secondo
Il latte                             41

    Il bambino piccolo               41
        La madre                     41
        La nutrice                   50
    Gli adulti                       61

Capitolo terzo
In mancanza di vino                  67

    Cervogia e birra                 67
    Il sidro                         81

PARTE SECONDA
...O un piacere


Capitolo primo
Approvvigionarsi di vino             93

    I vigneti                        93
        I vitigni                   115
        I metodi di coltivazione    117
        La vendemmia                121
        Il materiale                124
    Commercio                       128

Capitolo secondo
Consumare                           147

    Qualità                         148
        Classificare                148
        Conservare e guarire        151
        Colore                      155
        La forza e la dolcezza      158
        Il prezzo                   163
        La diffusione               166
    Quantità                        173
        Consigli                    173
        Dal VI al XIII secolo       181
        Dal XIV al XV secolo        190

PARTE TERZA
USI E COSTUMI


Capitolo primo
Vita sociale                        207

    L'alta società                  207
        Buone maniere               207
        Organizzazione              210
        Bevande fresche             216
        In Oriente                  218
    Il popolo                       223
        Pasti in famiglia e
        festività                   223
        La taverna                  227

Capitolo secondo
Usi terapeutici                     257

    L'acqua                         260
    Il vino                         268
    Immaginario                     274
        Religione                   274
        Sessualità                  277

Conclusione                         283

Bibliografia                        287

 

 

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Pagina 5

Introduzione



Se per vivere l'uomo ha bisogno di mangiare, deve anche bere, anzi, resiste meno alla sete che alla fame. Si tratta quindi di un bisogno, ma il verbo bere è spesso utilizzato in modo intransitivo, e in questo caso si sottintende «vino» o «alcol». Eppure l'acqua rappresenta la bevanda più naturale, conviene quindi prendere in considerazione un concetto diverso dalla neessità. D'altronde l'acqua stessa può procurare un immenso piacere al bevitore assetato.

Questo duplice aspetto è stato ben evidenziato dall'illustre gastronomo Brillat-Savarin (1755-1826) nella sua Fisiologia del gusto:

L'appetito, finché non diventa fame, è accompagnato da una sensazione gradevole. La sete invece non conosce crepuscolo; appena si fa sentire, ecco il disagio e l'ansia, ansia che diventa atroce quando non si ha speranza di potersi dissetare. Per una giusta compensazione, l'azione del bere può, a seconda delle circostanze, procurare un piacere estremamente vivo: e quando si placa una sete molto intensa oppure si risponde ad una sete moderata con una bevanda deliziosa, tutto l'apparato papillare, dalla punta della lingua alle profondità dello stomaco, è piacevolmente sollecitato.

Questa citazione pone un altro problema, quello della varietà delle bevande: acqua e acquavite, nonostante una certa omonimia, sono due cose ben diverse; vinello e vino pregiato non vanno assolutamente versati nello stesso bicchiere; latte e birra hanno sapori molto diversi. Uno studio sulle bevande ha quindi lo scopo di mettere ordine in una vasta gamma di prodotti.

È nostra intenzione studiare questi prodotti non per come si presentano attualmente, ma per quello che erano e per come erano conosciuti durante il Medioevo, cioè in quel lungo periodo che va dalle invasioni barbariche del V secolo al Rinascimento del XVI. Nel corso di quel millennio, gli uomini si dissetavano in vari modi in funzione delle loro possibilità, che variavano a seconda delle loro disponibilità economiche o del loro insediamento geografico. Molto spesso non bevevano da soli; il piacere era quindi condiviso, nelle taverne come pure durante i banchetti reali.

Per mettere in evidenza le specificità dell'atto del bere nel Medioevo, è necessario far ricorso a tutti i tipi di documenti, soprattutto alle fonti scritte: le fonti legislative e più precisamente giudiziarie, quali le lettere di remissione del basso Medioevo che, concedendo la grazia reale ad autori di misfatti, citano in modo preciso le circostanze degli atti delittuosi commessi da alcuni sotto l'effetto dell'alcol; le fonti narrative, quali le cronache, che ripercorrono la vita quotidiana degli uomini di quell'epoca, in particolare quella dei personaggi importanti la cui esistenza lascia ampio spazio alle feste e ai banchetti; le fonti letterarie, opere d'immaginazione che però descrivono gli usi e i costumi dell'epoca; e in particolar modo i testi dedicati completamente o in parte all'arte culinaria. Citiamo come esempio Le Mesnagier de Paris, opera scritta intorno al 1393 da un ricco borghese parigino alla sua giovanissima sposa per darle consigli sia sul piano religioso e morale che su quello dell'economia domestica.

A questi testi vanno aggiunte le opere iconografiche quali Les Très Riches Heures du duc de Berry, come pure i documenti archeologici. Un torchio, ad esempio, risulta molto più eloquente di numerose pagine scritte. I reperti archeologici hanno un altro vantaggio, quello di darci informazioni sulle classi popolari, mentre gli scritti riguardano soprattutto l'aristocrazia.

In questo modo si delineano le principali tracce di quest'opera. Bere è un bisogno che può trasformarsi in piacere, che non dipende solo dal liquido ingerito ma anche dalle persone con le quali si beve. Inoltre, le bevande e il modo di bere nel Medioevo erano diversi rispetto a quelli della nostra epoca e non possono essere rimasti immutati nel corso di quel millennio.

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Pagina 11

Capitolo primo


L'acqua



L'acqua costituisce la prima bevanda della società medievale occidentale, accessibile a tutti, in qualsiasi regione. Non costa niente, salvo lo sforzo talvolta richiesto per procurarsela.

Per valutare l'importanza dell'acqua, la cosa migliore è far riferimento alla Bibbia che la presenta innanzi tutto come fonte di vita; può anche seminare la morte, ma purifica sempre. Il Cristo non è forse la roccia spirituale che disseta gli Ebrei in cammino verso la Terra promessa (Prima lettera ai Corinzi, 10,4)?

L'acqua ha varie origini. Può provenire dal cielo – acqua piovana – o dalla terra – sorgenti e fiumi. La sua qualità varia considerevolmente. È importante quindi valutare quale acqua sia in grado di dare maggior soddisfazione grazie alle sue qualità, e poi in quale modo procurarsela, poiché non è sempre immediatamente disponibile. Talvolta, la sua estrema rarità, pone problemi specifici.


Scegliere

Le conoscenze degli uomini del Medioevo derivano soprattutto dalle Opere dell'Antichità. Iniziamo quindi dalla Storia Naturale di Plinio il Vecchio – nato nel 23 d.C. e morto nel 79, durante l'eruzione del Vesuvio, vittima della sua curiosità scientifica – il cui libro XXXI è dedicato alle acque.

Egli dice che i medici

giustamente condannano quelle stagnanti e pigre e stimano migliori quelle che scorrono: nello scorrere e nell'urtarsi diventano infatti più fini e migliorano; perciò mi stupisco che alcuni apprezzino soprattutto l'acqua delle cisterne. Costoro tuttavia adducono la ragione che l'acqua piovana è la più leggera, dato che ha potuto alzarsi e restare sospesa nell'aria. Perciò preferiscono la neve e alla neve preferiscono il ghiaccio, dove la finezza sarebbe spinta all'infinito. Queste sostanze sarebbero infatti più leggere e il ghiaccio molto più leggero dell'acqua.

Plinio non condivide questa teoria.

La leggerezza, non si può percepire che per sensazione.

D'altronde, «cadendo l'acqua si sporca dell'esalazione della terra». E tra gli stessi medici, alcuni sostengono «che le bevande ricavate dalla brina o dalla neve sono le meno salubri». E aggiunge:

I medici dichiarano che l'acqua di cisterna, per la sua durezza, è dannosa al ventre e alla gola e, più d'ogni altra, contiene fango e animali che provocano disgusto. I medici devono anche riconoscere che neppure l'acqua dei fiumi è automaticamente la migliore, come non lo è l'acqua di nessun torrente, e che quella di moltissimi laghi è salubre.

Quali acque dunque sono le più bevibili? Dipende dai luoghi e da vari fattori.

Più di tutte vengono condannate le acque amare e quelle che riempiono immediatamente lo stomaco a berle [...] le acque che alla fonte creano un deposito fangoso e quelle che conferiscono un colorito cattivo a chi le beve [...]. E anche un difetto dell'acqua non solo il puzzare ma avere un qualsiasi odore, ancorché piacevole e gradito e, come spesso accade, affine a quello del latte. L'acqua salubre deve essere il più possibile simile all'aria.

In conclusione, l'acqua salubre non deve avere né sapore né odore.

Tra due acque simili è migliore quella che si riscalda e si raffredda più in fretta. Quale sarà dunque il tipo d'acqua più consigliabile?

Certamente quella dei pozzi, come osservo essere l'uso generale nelle città, pozzi però in cui, venendovi spesso attinta l'acqua, si fa conto che è ben smossa, e la finezza è garantita dal filtraggio del terreno. Queste sono le condizioni sufficienti per la salubrità dell'acqua; perché sia fresca è necessaria l'ombra e la veduta del cielo.

Queste constatazioni di Plinio il Vecchio sono riportate nelle enciclopedie medievali. Aldobrandino da Siena, medico italiano del XIII secolo, nel suo Régime du corps – primo trattato d'igiene e di dietetica scritto direttamente in francese e ispirato ai testi medici arabi tradotti in latino – afferma che l'acqua da utilizzare deve essere chiara, non deve avere né sapore, né odore, né colore. Di natura fredda, non nutre ma permette di fornire il nutrimento a tutto il corpo e di raffreddare le membra di complessione fredda. Bisogna utilizzare un'acqua leggera e astenersi da quelle torbide e salate.

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Pagina 20

Tuttavia, secondo Paolo Squatriti, nell'Italia dell'alto Medioevo, il motivo per cui solitamente bisogna diffidare dell'acqua per la sua mancanza di purezza, appare discutibile. Non è possibile dimostrare che in quell'epoca l'acqua fosse di qualità scadente o che il suo stato avesse dissuaso la gente dal berla. Del resto, si trattava di un'acqua la cui temperatura era stata modificata o alla quale erano state aggiunte delle sostanze. Bisogna quindi cercare altre spiegazioni. La ragione più plausibile di questa ostilità starebbe nell'influenza della cultura classica. L'origine della diffidenza degli scrittori dell'alto Medioevo nei confronti dell'acqua va ricercata, più che in un'ipotetica mancanza di purezza, nella concezione che i Romani avevano dell'acqua, considerata bevanda delle classi popolari per il suo basso costo, adatta ai bambini, agli schiavi, alle donne alle quali ben presto durante la Repubblica venne proibito il vino.

Eustache Deschamps nel suo Sermon fort joyeux de Saint Raisin scrive:

        Prendiamo come esempio Cristo Gesù
        e il primo miracolo che di lui fu:
        cambiò l'acqua in vino
        alle nozze di Architriclino.
        Se l'acqua fosse stata così buona,
        l'avrebbe bevuta ogni persona;
        ma poiché il vino più valeva,
        il gran buon Dio l'acqua in vino trasformava.

L'acqua, pur non essendo molto apprezzata, viene sicuramente bevuta dalla maggior parte degli autori che la disprezzano. È anche utilizzata nella preparazione degli alimenti, in particolare delle minestre. In conclusione, gli uomini del Medioevo probabilmente consumano più acqua di quanto lasci supporre la letteratura dell'epoca; il popolo non prova la stessa diffidenza degli scrittori nei suoi confronti, tuttavia cerca di procurarsene come meglio può.

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Pagina 41

Capitolo secondo


Il latte



Se i poveri sono costretti a bere l'acqua, il bambino piccolo ha bisogno del latte, che rappresenta il suo nutrimento essenziale per un periodo che nel Medioevo era più lungo rispetto ai nostri giorni. Il latte, che gli adulti consumano poco nella sua forma liquida in Occidente, in Asia è una bevanda diffusa.

Secondo il medico senese Aldobrandino — condividendo un'opinione diffusa — la natura del latte assomiglia molto a quella del sangue e assume il colore bianco nelle mammelle dove si riscalda. È diverso a seconda delle bestie che lo forniscono. E Aldobrandino cita a tal proposito l'asina, la capra, la pecora, la giumenta, la cammella, la scrofa. «E conviene bere tutti questi tipi di latte a digiuno e non si deve mangiare la carne fintantoché il latte non abbia lasciato lo stomaco». Il latte delle bestie vecchie è cattivo, è meglio quello delle giovani, ma il migliore è quello che proviene dalle bestie di età media, soprattutto quando sono grasse. Il latte di primavera è di qualità migliore rispetto a quello d'inverno. Quello che si beve subito dopo la mungitura fa buon sangue. Ma il latte migliore per il lattante è quello di donna.


Il bambino piccolo

La madre

Per i miniaturisti è sempre Maria che allatta Gesù. Il latte materno ha un valore particolare. Essendo il prolungamento del sangue che nutre il bambino nel seno materno, trasmette le qualità familiari; c'è continuità tra la vita intra- ed extra-uterina. Bartolomeo Anglico scrive che «il latte della donna è fatto della materia di cui il bambino si nutre nella pancia, e quindi si nutre della stessa materia sia nella pancia che fuori». Il medico ebreo Gershon ben Shelomo, affermando che lo scopo principale del sangue delle mestruazioni è quello di nutrire l'embrione, ne deduce che «la maggior parte delle donne che allattano non rimarranno incinte poiché questo sangue servirà al nutrimento del lattante e salirà fino ai seni». Pur spiegando ai genitori come assumere una nutrice — e averne una buona piuttosto che il contrario è il male minore — i medici consigliano l'allattamento materno.

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Pagina 50

La nutrice

L'allattamento materno è consigliato, ma può capitare che non sia né possibile né auspicabile. Secondo Sorano, è necessario ricorrere a una nutrice se la madre non vuole invecchiare prima del tempo. Ma, come gli altri medici, sceglie con molta attenzione la nutrice, che deve avere tra i venti e i quarant'anni, deve astenersi dai rapporti sessuali, essere temperante, evitare i piatti conditi e accompagnati da salse. Esige anche che sia greca. Allo stesso modo, in Spagna, le Cortes di Jerez, nel 1268, proibiscono alle donne ebree o more di allattare bambini cristiani, ma questo divieto non è rinnovato e non viene applicato alle nutrici orientali. D'altronde, nell'Italia del XV secolo, le nutrici italiane e orientali sono trattate alla pari.

Ibn Sina, noto agli Occidentali con il nome di Avicenna, vissuto in Persia dal 980 al 1038, è l'autore del Canone della Medicina che rappresenta il fondamento dell'insegnamento medico in Europa fino al XVII secolo. Il Canone è stato riassunto da Avicenna in un poema di 1316 versi. Ecco i suoi consigli per la scelta di una nutrice.

Scegli una nutrice di età media, bene in carne, con la pelle tesa, un temperamento ben equilibrato, un corpo sodo, i seni voluminosi, la testa e gli occhi puliti, che non abbia malattie interne, con arti e articolazioni robuste, il cui latte non sia né troppo fluido, né troppo denso, di colore bianco, dolce e con un gusto gradevole, un buon odore e omogeneo quando lo si versa. Dalle un'alimentazione dolce e grassa, del pesce fresco condito con l'olio.

Jacques Despars, medico francese del XV secolo spiega non senza umorismo, i motivi che spingono Avicenna a scegliere una donna né troppo grassa né troppo magra. Certo, la qualità del latte varia a seconda della corpulenza, ma da essa dipende anche la comodità del neonato: una nutrice ossuta non offrirebbe un appoggio piacevole.

Il padre di Dinah dà ulteriori precisazioni per quanto riguarda le qualità della nutrice:

Per nutrire il bambino, la nutrice ottimale avrà già partorito due volte, dovrà avere una piacevole costituzione, il petto largo e i capezzoli né troppo rientranti né troppo sporgenti, non troppo piatti e senza ragadi; dovrà avere un corpo né troppo corto né troppo stretto; intelligenza, vivacità, pazienza, compassione, igiene e fascino saranno le sue prerogative. Si nutrirà a sazietà di cibi sani e buoni. Si dondolerà con un movimento leggero e controllato, farà bagni e si frizionerà con unguenti, si terrà lontana dall'alcol e dagli alimenti pesanti da digerire. Subirà un leggero trattamento per migliorare la qualità e la quantità del suo latte affinché questo sia rapidamente digerito. Si guarderà bene dall'andare a letto con un uomo per evitare gli scossoni delle sue parti naturali durante il coito, il che bloccherebbe l'abbondanza di latte che verrebbe quindi a mancare. Durante i primi giorni di allattamento del bambino, si alimenterà semplicemente e berrà acqua, affinché il latte non scenda troppo abbondante né troppo pesantemente nelle strette vie di una gola non ancora elastica; bisogna quindi abituare le nutrici e il neonato al fatto che più egli si rafforza, più aumenta il nutrimento. All'inizio, niente vino aromatizzato per la nutrice prima che il bambino non sia robusto: così il latte sarà, come abbiamo già visto, sano, buono e non arrecherà danno. Una nutrice ubriaca nuocerà al bambino, poiché la sua ubriachezza lo farà ammalare...

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Pagina 113

Le tecniche


Nel corso del Medioevo, una delle principali preoccupazioni dei proprietari terrieri riguarda la vigna, il suo trattamento e le tecniche per la produzione del vino. Carlo Magno nel suo Capitulare de villis, già citato, prescrive:

Che i torchi delle nostre aziende siano ben costruiti e gli iudices provvedano affinché nessuno prema coi piedi la nostra uva (il frutto della vendemmia), ma tutto avvenga nella più grande pulizia.

Vogliamo che tutti gli iudices abbiano sempre pronte delle buone botti cerchiate di ferro, che si possano mandare in guerra e a Palazzo, e non facciano mai otri di cuoio.

Otto secoli dopo, il vescovo arlesiano Senez Quiqueran de Beaujeu dimostra anch'egli interesse per la vigna, forse in modo eccessivo per un ecclesiastico:

Per quanto riguarda la coltivazione delle vigne, la nostra gente è così orgogliosa che non si degna di spargere il concime, anche se la terra è tra le più povere e leggere. Sapendo che il concime fa perdere al vino gran parte del suo valore [...] ritengo, cosa che sanno tutti, che più la vigna è lavata dalla pioggia, non appena l'uva diventa rigogliosa, più perde forza. Ne abbiamo la prova quando attenuiamo la forza del vino con l'acqua. È quindi proprio vero che le vigne piantate in terre umide e grasse danno vini insipidi e ordinari e non sono così ricche di pampini, né così abbondanti, per la semplice ragione che attirano più umidità. Ecco perché si concimano le vigne, solo per dare loro maggior nutrimento e riscaldarle se si trovano in un clima più freddo. Vengono impalate solo perché assorbano meglio la pioggia. Spesso vengono arate per la stessa ragione, affinché le erbacce intorno ad esse non consumino la sostanza e la forza della terra. Inoltre, è ben noto che l'umidità peggiora il gusto del vino... .

Il nostro vescovo, desideroso di mostrare i lati positivi del suo paese, probabilmente esagera indicando che la gente si accontenta di due metodi di coltivazione, «l'aratura e la potatura». I lavori sono più numerosi, ma sicuramente molto meno importanti rispetto a quelli praticati dai vignaioli della Francia del Nord. Se vogliamo pensare a una certa svogliatezza, a un'incuria da parte degli uomini, non bisogna tuttavia dimenticare che la Francia comprende tre zone: una zona mediterranea dove la vigna produce, senza grandi sforzi, vini robusti di facile conservazione; una zona intermedia in grado di fornire vini buoni a condizione di avere molta cura della coltivazione, della vendemmia e della vinificazione; infine, le regioni settentrionali dove grappoli mediocri danno vini asprigni e poco abbondanti.


I vitigni

È importante che i vitigni siano adatti ai terreni, e che quindi non temano l'umidità in pianura e che possano resistere ai venti e alla siccità sui pendii delle colline. Il buon vitigno deve dare un vino di qualità, ma bisogna anche tener conto delle necessità economiche, del gusto e dell'interesse.

In una novella di Franco Sacchetti, il curato di un villaggio vicino a Firenze, dopo aver sentito dire che un cavaliere fa arrivare dei vitigni da Corniglia, riesce a scambiarli e a impossessarsene. Infatti,

tanto è grande lo studio di-vino che da un gran tempo in qua gran parte delli Italiani hanno sì usato ogni modo d'avere perfettissimi vini che non si son curati di mandare, non che per lo vino, ma per li magliuoli d'ogni parte; acciò che ognora se li abbino venduti e usufruttati nella loro possessione; e perché siano stati chierici, non hanno auto il becco torto.

Qui sta l'astuzia del curato.

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Pagina 121

La vendemmia

Il periodo della vendemmia varia a seconda degli anni, in funzione del terreno e del clima. Quando un signore possiede un buon numero di vigneti, fissa le date, che però pare derivino spesso da una decisione collettiva. Ciò che può rendere difficile la scelta del momento più opportuno è il banvin, poiché il padrone ha il diritto di vendere prima il vino rimanente. In Sicilia, alla fine del Medioevo, la vendemmia comincia presto, già alla fine di luglio per le uve da tavola. Nel Bordolese, tra la fine di agosto e l'inizio di ottobre, i signori proclamano il banno della vendemmia sui loro domìni, che indica l'inizio della raccolta dell'uva al quale bisogna attenersi, poiché se si inizia la vendemmia prima si rischia un'ammenda, e il trasporto illegale dell'uva comporta la confisca del carro e la condanna alla gogna. Vicino ad Amiens, nel XIV secolo, la vendemmia avviene tra il 10 settembre e il 15 ottobre. Nelle vigne appartenenti all'arcivescovo di Rouen e citate sopra, iniziano il 2 ottobre e terminano il 20.

La vendemmia, che spesso dura parecchie settimane, rappresenta un periodo importante di convivialità. Sono spesso le donne che tagliano i grappoli, talvolta in compagnia di salariati. A Rochechouart, nel Limosino, il primo giorno vengono assunte quindici donne del castello, e dodici il secondo giorno. Se non sono ancora sufficienti, ne vengono chiamate altre cinque, probabilmente contadine dei dintorni. Gli uomini portano al torchio le gerle piene. Intorno al 1390, in Piccardia, ci vogliono da tre a cinque giorni, in ragione di una dozzina di ore di lavoro quotidiano, perché dieci donne e due portatori di gerle vendemmino un vigneto di tre giornate. È difficile conoscere il rendimento dei vigneti; in Sicilia, sembra misero: 9,6 ettolitri per ettaro, ma questo dato così basso va messo in relazione con la densità troppo scarsa della piantagione. Nella regione di Arles, due citazioni che risalgono al 1469 permettono di calcolare un rendimento di dieci ettolitri per un appezzamento, e di quindici ettolitri per ettaro per un altro. Nei dintorni di Amiens, nella prima metà del XV secolo, la media è di dodici ettolitri per ettaro, senza contare un moggio di agresto. I rendimenti sono quindi molto inferiori rispetto a quelli dei nostri giorni.

Il vino si fa in casa, oppure con il torchio del signore – in cambio ovviamente di un tributo –, ma l'obbligo di ricorrere a quest'ultimo è ben lungi dall'essere la regola. Gli acini sono versati in un tino, generalmente di legno, con la buccia e talvolta le foglie. Il vino bianco si ottiene ovviamente da uve bianche, ma anche da uve nere vinificate in bianco. Per avere il vino rosso, il procedimento è più complesso. Un primo succo, senza pigiatura, esce dal tino e passa in una vasca di pietra; si tratta della «prima goccia». Poi viene effettuata la pigiatura con i piedi o con degli appositi pestelli. Talvolta una mola che ruota intorno a una vite di legno rende il lavoro più facile. Il secondo succo, detto «da torchio», è spesso mescolato al primo. Il vinello poco alcolico – 2° o 3° – si ottiene a partire dalla vinaccia alla quale viene aggiunta l'acqua.

Si passa quindi alla vinificazione. La fermentazione dei mosti si effettua nei fusti di legno. Seguono varie procedure: colmare le botti, cioè riempirle quando il livello cala, aggiungere delle erbe al succo ancora giovane per il «chiaretto», oppure togliere le bucce per rendere il succo più puro.

L'agresto è il vino ottenuto da grappoli non ancora maturi oppure da alcuni vitigni. Secondo l'autore del Mesnagier de Paris, «se desiderate avere l'agresto a Natale, tagliate il grappolo all'inizio del gambo, quando comincerà a svilupparsi e prima che fiorisca; procedete in questo modo per tre volte, poi lasciatelo crescere fino a Natale». La parte di raccolto chiamata «agresto» può tuttavia essere casuale. Per evitare che alcuni vignaioli siano tentati di imbrogliare, vengono emanati dei regolamenti che prescrivono di esaminare le botti o proibiscono di mescolare i succhi.

Secondo un'usanza antica, già citata da Palladio e Columella, alcuni vini venivano cotti. Tanaglia distingue quattro tipi di vino in funzione della durata della cottura, dal vino detto a «lunga conservazione», risultato dell'evaporazione di un quarto del liquido, alla «sapa», molto zuccherata e quasi solida, ottenuta in seguito all'evaporazione dei tre quarti del liquido.

Il vino caldo, che riscuote grande successo nei paesi germanici, è citato nello statuto dei telonei di Strasburgo come pure la malvasia e altri vini dolci mediterranei. Questi ultimi, molto apprezzati dalle persone agiate, non possono essere acquistati da tutti i consumatori. Coloro che non hanno le possibilità, li sostituiscono con il vino caldo, di qualità inferiore, ma il cui prezzo è più accessibile.

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Pagina 257

Capitolo secondo


Usi terapeutici



Ci sono bevande che servono per curare, ma bere con consapevolezza permette anche di prevenire le malattie. Infatti, dato che alcuni medicinali si presentano sotto forma liquida, i Regimina sanitatis non possono trascurare l'utilizzo delle bevande.

Per comprendere bene il loro ruolo, è importante ricordare brevemente lo stato della medicina medievale in Occidente i cui princìpi fanno riferimento innanzi tutto agli autori dell'Antichità, in particolare durante l'alto Medioevo. A partire dal XII secolo, grazie a traduzioni in latino, la medicina araba esercita una profonda influenza sul pensiero medico occidentale.

Se il greco Ippocrate (460-377 a.C. circa) appare come il più grande medico dell'antichità, Dioscoride, che esercita a Roma nel primo secolo della nostra èra ma scrive in greco il suo trattato Sulla materia medica (De medicinali materia), svolge un ruolo importante in materia di farmaci. L'opera, molto utilizzata nella sua traduzione latina, analizza circa seicento piante e quasi mille rimedi. Galeno, nato a Pergamo nel 129 e morto tra il 210 e il 216, trascorre gran parte della sua vita a Roma come medico imperiale, e raccoglie i risultati della medicina greca aggiungendo le sue osservazioni personali. Nel mondo bizantino, le opere di questi due autori sono citate e ricopiate a più riprese, spesso insieme, e questo fin dal primo trattato medico bizantino, quello di Oribasio, medico dell'imperatore Giuliano nel IV secolo e autore delle Collectiones medicae in 70 libri.

L'Occidente trae beneficio dai trattati antichi tradotti nell'Africa del Nord nel V secolo, poi a Ravenna nel VI. A partire dall'XI secolo, la cultura antica è completata dalla traduzione dei trattati arabi iniziata da Costantino Africano nell'Italia del Sud, proseguita poi in Francia, nell'Italia del Nord e soprattutto a Toledo, nel XII secolo, da Gherardo da Cremona e dalla sua scuola. La pratica farmacologica riceve l'apporto soprattutto dell' Antidotarium di Nicolò Salernitano (prima metà del XII secolo), basato su fonti greche, latine e arabe.

Anche i Regimina sanitatis fanno riferimento alle opere antiche e arabe. Galeno fa la sintesi delle idee ippocratiche, dell'aristotelismo e delle conoscenze ellenistiche. Il Medioevo latino ha probabilmente conosciuto il suo trattato Sull'Igiene attraverso due traduzioni effettuate in Italia da Burgundio da Pisa nel XIII secolo, che lo riassume, e da Niccolò da Reggio che, nel secolo successivo, fornisce il testo integrale. Per Galeno, la salute deriva da un'armonia la cui alterazione provoca la malattia. Per evitare questa alterazione, bisogna rispettare alcune norme d'igiene e, tra l'altro, preoccuparsi di bere. Tra le opere della tarda Antichità, segnaliamo il trattato di un medico chiamato Antimo, scritto per Teodorico, re dei Franchi dal 495 al 525; il concetto principale è che la salute deriva dagli alimenti consumati dall'uomo. Secondo questo trattato le bevande devono conciliarsi con gli alimenti e non conviene abusarne. È sorprendente constatare che il vino è limitato al ruolo di condimento di alcuni piatti.

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