Copertina
Autore Bernard Wood
Titolo Evoluzione umana
EdizioneCodice, Torino, 2008, Paperback , pag. 160, ill., cop.fle., dim. 12x18x1,2 cm , Isbn 978-88-7578-109-5
OriginaleHuman Evolution. A Very Short Introduction [2005]
TraduttoreAllegra Panini
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe evoluzione , antropologia
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Indice


VII Ringraziamenti

    Capitolo 1
  3 Introduzione

    Capitolo 2
  9 In cerca di un posto nella natura

    Capitolo 3
 31 Gli ominini fossili: scoperta e caratteristiche dei ritrovamenti

    Capitolo 4
 49 Gli ominini fossili: analisi e interpretazione

    Capitolo 5
 75 I primi ominini: specie possibili e specie probabili

    Capitolo 6
 91 Ominini arcaici e transizionali

    Capitolo 7
107 Homo premoderno

    Capitolo 8
127 Homo anatomicamente moderno

147 Cronologia
153 Bibliografia e siti web
155 Indice analitico


 

 

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Pagina 4

Capitolo 1

Introduzione


Molti dei più importanti progressi compiuti dai biologi negli ultimi 150 anni si possono ridurre a un'unica semplice metafora. Tutti gli esseri viventi attuali (animali, piante, funghi, batteri, virus) e tutti i tipi di organismi vissuti in passato si possono collocare da qualche parte sulle ramificazioni più o meno grandi di un arbor vitae o "albero della vita" (figura 1).

Tramite le ramificazioni dell'albero della vita noi siamo collegati a tutti gli organismi che vivono oggi e a quelli che sono vissuti in passato sulla Terra. Gli organismi estinti presenti sulle ramificazioni che ci connettono alla radice dell'albero sono i nostri antenati. Gli altri, collocati su ramificazioni unite alla nostra, sono strettamente imparentati con l'uomo moderno, ma non rientrano nel gruppo dei nostri diretti antenati.

La versione "lunga" dell'evoluzione umana è un viaggio che ha inizio indicativamente 3 miliardi di anni fa, alla base dell'albero della vita, con le più semplici forme di organismi. Il viaggio prosegue poi dalla base del tronco verso la parte dell'albero relativamente piccola che include tutti gli animali dotati di colonna vertebrale. Circa 400 milioni di anni fa si passa al ramo che include i vertebrati a quattro zampe; quindi, intorno a 250 milioni di anni fa, al ramo che include i mammiferi e poi a quello che contiene un sottogruppo di mammiferi indicati come primati. La base della ramificazione dei primati risale come minimo a 50-60 milioni di anni fa.

Milioni di
anni fa
                Uomo
                moderno       Scimpanzé
                |             |
    5-8     ----||------------|
                ||
                Scimpanzé e
                Uomo moderno    Gorilla
                ||              |
   9-11     ----|||-------------|
                |||
                Grandi scimmie
                africane
                antropomorfe      Orangutan
                |||               |
  12-15     ----||||--------------|
                ||||
                Grandi scimmie      Piccole scimmie
                antropomorfe        antropomorfe
                ||||                |
  16-19     ----|||||---------------|
                |||||
                Scimmie antropomorfe  Scimmie
                |||||                 |
  25-30     ----||||||----------------|
                ||||||
                Scimmie e               Altri
                scimmie antropomorfe    primati
                ||||||                  |
  35-40     ----|||||||-----------------|
                |||||||                   Altri
                Primati                   Mammiferi
                |||||||                   |
  c.>55     ----||||||||------------------|
                ||||||||                    Altri
                Mammiferi                   Tetrapodi
                ||||||||                    |
  c.250     ----|||||||||-------------------|
                |||||||||                     Altri
                Tetrapodi                     Vertebrati
                |||||||||                     |
  c.400     ----||||||||||--------------------|
                ||||||||||
                Vertebrati
Milioni di
anni fa

1. Schema della parte dell'albero della vita dedicata ai
   vertebrati, con le ramificazioni che portano all'uomo
   moderno messe in evidenza. © Bernard Wood.



Nella parte seguente di questa versione "lunga" del viaggio dell'evoluzione umana si raggiunge la ramificazione delle scimmie in generale, poi quella delle scimmie antropomorfe e quindi quella ancora più sottile delle grandi scimmie antropomorfe. Da qualche parte, tra 15 e 12 milioni di anni fa, si distingue un ramo ancora più piccolo che porta all'uomo moderno e alle specie viventi delle scimmie antropomorfe africane. Tra 11 e 9 milioni di anni fa il ramo dei gorilla si separa, lasciando una sola esile ramificazione che comprende gli antenati dell'uomo moderno e delle specie viventi di scimpanzé. Tra 8 e 5 milioni di anni fa quest'ultima ramificazione, davvero molto sottile, si divide in due ramoscelli. Uno dei due giunge all'apice dell'albero della vita e porta agli scimpanzé attuali, l'altro porta invece alla nostra specie. La paleoantropologia è la scienza che cerca di ricostruire la storia evolutiva di questo piccolo ramoscello esclusivamente umano.

Questo libro è dedicato all'ultimo passaggio del viaggio dell'evoluzione umana, una fase compresa tra i più recenti antenati comuni di uomo e scimpanzé e la comparsa della nostra specie. Per analizzare questo passaggio devo però introdurre qualche termine tecnico. Invece di fare riferimento a generici "ramoscelli" o ramificazioni farò uso del termine biologico corretto, cioè "clade"; per indicare le ramificazioni laterali estinte parlerò invece di "sottocladi". Le specie che si trovano da qualche parte sul ramo principale dell'evoluzione umana, o sulle sue dirette ramificazioni laterali, sono indicate come "ominini" (in quanto appartengono alla tribù Hominini), le specie equivalenti poste però sul ramo dello scimpanzé sono indicate come "panini" (in quanto appartenenti alla tribù Panini).

Questo volume ha tre obiettivi principali. Primo, spiegare in che modo i paleoantropologi cercano di migliorare la nostra conoscenza dell'evoluzione umana; secondo, rivelare quanto finora pensiamo di aver capito della storia dell'evoluzione della nostra specie; terzo, cercare di dare un'idea dei punti non ancora chiari nella ricostruzione della nostra evoluzione.

[...]

Il Capitolo 2 Si apre con un resoconto di come i filosofi prima e gli scienziati in seguito sono giunti a capire che l'uomo moderno fa parte del mondo naturale. In questo capitolo in particolare ho spiegato perché gli studiosi ritengono che gli scimpanzé siano vicini all'uomo moderno più dei gorilla e perché si pensa che l'ultimo antenato comune tra uomo e scimpanzé sia vissuto tra 8 e 5 milioni di anni fa.

Nel Capitolo 3 ho passato in rassegna le prove utili per ricostruire le caratteristiche del clade degli ominini tra 8 e 5 milioni di anni fa. Si tratta di un "cespuglio" oppure di una linea diritta come il fusto di una pianticella lunga e sottile? Fino a che punto possiamo ricostruire questo clade basandoci sull'analisi delle variazioni dell'uomo anatomicamente moderno e quando invece dobbiamo ricorrere alla scoperta di nuovi dati dedotti dallo studio dei fossili e delle testimonianze archeologiche? Dove si devono cercare nuovi siti fossiliferi e come si datano?

Nel Capitolo 4 ho spiegato in che modo i ricercatori stabiliscono il numero di specie da inserire nel clade degli orninini e ho quindi esaminato i metodi adottati dagli studiosi per determinare quanti sono i sottocladi e quali relazioni hanno gli uni con gli altri.

Nel Capitolo 5 ho preso in considerazione i "possibili" e i "probabili" antichi ominini e ho analizzato i quattro gruppi di fossili corrispondenti ad altrettanti taxa "candidati" a rappresentare la base dell'intero clade degli ominini.

Ho poi dedicato il Capitolo 6 agli ominini considerati "arcaici" e "transizionali". Esistono infatti taxa fossili quasi certamente appartenenti al clade degli ominini, ma che, allo stesso tempo, sono distanti dall'uomo anatomicamente moderno.

Nel Capitolo 7 ho esaminato gli ominini considerati dai ricercatori come i primi rappresentanti del genere Homo: queste forme sono indicate come "Homo premoderno". Partendo dalle più antiche testimonianze fossili di Homo premoderno scoperte in Africa, ho seguito il genere Homo fuori dall'Africa e in tutto il Vecchio Mondo.

Il Capitolo 8 è dedicato all'origine dell'uomo anatomicamente moderno, o Homo sapiens, e alle sue successive migrazioni. Dove si trovano le prime testimonianze fossili dell'uomo anatomicamente moderno e qual è la loro età? Il passaggio da Homo premoderno a uomo anatomicamente moderno è forse avvenuto varie volte e in diverse regioni del mondo? Oppure l'uomo anatomicamente moderno è comparso soltanto una volta, in un unico luogo, e poi si è diffuso, migrando e incrociandosi, fino a sostituire tutte le popolazioni locali di Homo premoderno?

Ecco infine che cosa non troverete in questo libro. Questa breve introduzione è dedicata agli aspetti morfologici e anatomici dell'evoluzione umana e non considera invece quelli culturali. L'evoluzione culturale, che rientra nel campo della cosiddetta "archeologia preistorica", è il tema di un altro volume della collana delle Very Short Introduction, dedicato alla preistoria.

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Capitolo 2

In cerca di un posto nella natura


Molto tempo prima che i ricercatori incominciassero ad accumulare prove per capire quali sono le affinità tra l'uomo moderno e gli altri animali e anche prima che Charles Darwin e Gregor Mendel ponessero le basi della nostra conoscenza dei principi e dei meccanismi che stanno alla base del nostro legame con il mondo dei viventi, gli studiosi dell'antica Grecia si erano già chiesti se l'umanità facesse parte del mondo naturale. A quando risale il primo tentativo di capire quali sono le origini dell'uomo e come si sviluppò questo tipo di conoscenza? Quando è stato applicato per la prima volta il metodo scientifico allo studio dell'evoluzione umana?

Platone e Aristotele nel V e nel VI secolo a.C. furono tra i primi a scrivere testi riguardanti l'origine dell'umanità. Questi filosofi dell'antica Grecia pensavano che l'intero mondo naturale, incluso l'uomo moderno, costituisse un unico sistema. Ciò significava che l'origine dell'uomo moderno doveva essere stata simile a quella degli altri animali.

Il filosofo latino Lucrezio, che scriveva nel I secolo a.C., ipotizzò che i primi uomini fossero diversi dai Romani suoi contemporanei. Secondo Lucrezio, gli antenati dell'uomo vivevano nelle grotte, non avevano strumenti e non sapevano parlare. I pensatori dell'antica Grecia e dell'antica Roma consideravano l'utilizzo di utensili e del fuoco, insieme all'uso del linguaggio verbale, come una caratteristica fondamentale dell'essere umano. L'idea che l'uomo moderno si sia evoluto a partire da una forma più antica e primitiva ha trovato molto presto una sua collocazione nel pensiero occidentale.

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Pagina 16

Un catalogo della vita

Gli stessi esploratori e mercanti che ritornavano in Europa raccontando la vita dei popoli primitivi portavano in patria anche descrizioni e talvolta campioni ben conservati di molte piante e animali esotici. Quando queste scoperte si affiancarono alle specie più familiari di piante e animali d'Europa si scoprì l'esistenza di una sorprendente varietà di vita animale e vegetale. La necessità di sviluppare un sistema per descrivere e catalogare il mondo dei viventi diventò allora sempre più urgente. Vennero così proposti vari tipi di schemi, tra i quali uno dei più degni nota è quello di John Ray che, all'inizio del XVIII secolo, introdusse il concetto di specie. Il metodo che giunse però fino a noi venne sviluppato da Karl von Linné, più noto con il nome latinizzato Carolus Linnaeus, o semplicemente Linneo.

I vari schemi di classificazione cercano di raggruppare oggetti simili in categorie via via più ampie. Consideriamo il seguente esempio di classificazione delle automobili, che comprende sette diverse categorie. La classificazione incomincia con la categoria più ampia e termina con un piccolo gruppo. Le categorie sono "veicoli", "veicoli a motore", "automobili", "auto di lusso", "Rolls-Royce", "Silver-Shadow" e "Silver-Shadow II del 1970". Anche il sistema di classificazione di Linneo riconosce sette categorie fondamentali. La più ampia, equivalente a "veicoli" nel nostro esempio, è il regno, seguito da phylum, classe, ordine, famiglia, genere, specie. La specie è l'ultima, cioè la categoria formale meno ampia della classificazione linneana. L'originario sistema a sette livelli elaborato da Linneo è stato successivamente ampliato con l'aggiunta della categoria "tribù", posta tra genere e famiglia, e con l'introduzione del prefisso "super-" al di sopra di una categoria fondamentale, e dei prefissi "sub-" e "infra-", al di sotto. Con queste aggiunte il numero potenziale di categorie al di sotto del livello di ordine è passato a dodici.

I gruppi riconosciuti a ogni livello della gerarchia linneana sono indicati come "gruppi tassonomici". Ognuno dei singoli gruppi è detto "taxon" (plurale "taxa"). La specie Homo sapiens è dunque un taxon, proprio come è un taxon l'ordine Primati. Quando il sistema è applicato a un gruppo di organismi correlati, la classificazione prende il nome di tassonomia linneana o, più semplicemente, tassonomia. Il sistema tassonomico è anche noto come sistema binomiale, perché il nome latino che identifica ciascuna specie è indicato usando insieme due categorie, il genere e la specie (per esempio Homo sapiens = uomo moderno; Pan troglodytes = scimpanzé).

Il nome del genere può essere abbreviato, ma non quello della specie. Si può dunque scrivere H. sapiens e P. troglodytes, ma non Homo s. o Pan t., perché in alcuni casi lo stesso genere comprende più specie che, di conseguenza, incominciano tutte con la stessa lettera, come, nell'ambito del genere Homo, H. sapiens e H. soloensis.


Le prove di una connessione

Gli alberi sono spesso usati come metafore. In campo religioso, per esempio nel cristianesimo, la grande catena dell'essere è talvolta rappresentata come un albero: l'uomo moderno è in cima all'albero, mentre tutti gli altri viventi sono collocati sull'albero ad altezze diverse, che corrispondono al loro grado di complessità. Tuttavia nel campo delle moderne scienze naturali, l'albero della vita non è una metafora, ma ha un valore più letterale. In un albero della vita scientificamente moderno la dimensione relativa della ramificazione attribuita a un particolare gruppo di esseri viventi riflette il numero di taxa; il numero e il tipo di ramificazioni rispecchiano invece l'idea che gli scienziati hanno delle correlazioni tra le varie specie di piante e animali.

Nel XIX secolo, quando venne costruito il primo albero della vita basato su considerazioni scientifiche, il grado di affinità tra ognuno degli animali venne stabilito usando prove morfologiche tratte da osservazioni a occhio nudo o effettuate con un microscopio ottico convenzionale. La premessa fondamentale adottata era la seguente: più è alto il numero di strutture condivise da due organismi più i rami corrispondenti a questi organismi devono essere vicini sull'albero della vita. Lo sviluppo della biochimica nella prima metà del XX secolo aggiunse alle prove morfologiche tradizionali a disposizione degli scienziati anche prove relative ai caratteri fisici delle molecole. I primi tentativi di utilizzare l'informazione biochimica per determinare le relazioni tra organismi si basavano sul confronto tra le molecole di proteine presenti sulla superficie dei globuli rossi e nel plasma. Entrambe queste prove hanno evidenziato fin da subito la stretta relazione esistente tra uomo moderno e scimpanzé.

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Pagina 24

Uno dei primi studiosi a condurre una sistematica analisi delle differenze tra uomo moderno, scimpanzé e gorilla è stato Thomas Henry Huxley. In un saggio intitolato Sulle relazioni tra l'uomo e gli animali inferiori (On the relations of man to the lower animals) che costituiva la parte centrale del suo lavoro del 1863, Il posto dell'uomo nella natura (Evidence as to man's place in nature), Huxley concludeva che le differenze anatomiche tra uomo moderno, scimpanzé e gorilla erano meno profonde di quelle tra le due grandi scimmie africane e l'orangutan.

Darwin si basò su questa descrizione nell' Origine dell'uomo (The descent of man) del 1871 e suggerì che se le scimmie antropomorfe africane sono morfologicamente più simili all'uomo moderno e somigliano di meno all'unica grande antropomorfa nota dell'Asia, allora gli antenati della nostra specie con buona probabilità si potranno trovare in Africa piuttosto che in una qualsiasi altra parte del mondo. Questa deduzione fu particolarmente importante perché concentrò l'attenzione della maggior parte dei ricercatori sull'Africa quale luogo potenziale in cui si potevano trovare gli antenati dell'uomo. Come vedremo nel prossimo capitolo, chi considera gli orangutan i nostri più stretti parenti indicava invece l'Asia sudorientale quale luogo più probabile in cui trovare gli antenati della nostra specie.

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Pagina 26

Interrogare il genoma

La scoperta della struttura chimica della molecola di DNA ha fatto sì che le affinità tra organismi si possano ricercare a livello del genoma. Questa possibilità elimina sostanzialmente la necessità di basarsi sulla morfologia, che si tratti dell'anatomia tradizionale o della struttura delle proteine, per ottenere informazioni sulla parentela tra specie. Invece di basarsi su derivati, i ricercatori studiano le parentele confrontando direttamente i DNA delle specie in esame. In una cellula il DNA è presente sia nel nucleo (DNA nucleare) sia all'interno di organelli detti mitocondri (DNA mitocondriale o mtDNA). Sequenziando il DNA si stabilisce l'ordine delle basi costituenti il DNA di ciascun animale e quindi si possono fare confronti tra le varie sequenze.

I metodi di sequenziamento sono stati applicati agli ominoidei viventi e ogni anno cresce il numero di studi basati sul confronto tra DNA. Per esempio sono stati sequenziati i DNA di alcuni uomini moderni e scimpanzé. Le informazioni dedotte dall'analisi del DNA nucleare e di quello mitocondriale suggeriscono che l'uomo moderno e lo scimpanzé sono più vicini tra loro di quanto lo siano con il gorilla. Associando queste differenze alle "migliori" testimonianze paleontologiche in nostro possesso, relative alla separazione tra scimmie antropomorfe e scimmie del Vecchio Mondo, e considerando neutrali le differenze del DNA, Si può dedurre che l'ipotetico antenato comune tra uomo moderno e scimpanzé deve essere vissuto tra 8 e 5 milioni di anni fa. Usando altri dati più vecchi per la calibrazione, la data stabilita per questa cruciale separazione risulta un po' più antica (per esempio > 10 milioni di anni fa).

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Pagina 131

Scoperte archeologiche, nuovi dati e prove molecolari

Nella seconda metà del Novecento, grazie a tre nuove tipologie di dati, alcuni ricercatori incominciarono a prendere in considerazione l'idea, piuttosto radicale, per cui l'Africa, ben lontana dal costituire un evento marginale nella storia evolutiva e un luogo isolato dal punto di vista dell'evoluzione culturale degli ominini, poteva invece essere davvero il luogo di origine dell'uomo anatomicamente moderno e delle abitudini comportamentali della nostra specie.

La prima delle tre prove era rappresentata dalle nuove datazioni, compiute con metodi più sofisticati, delle raccolte di ominini fossili del Vicino Oriente. Queste datazioni evidenziavano il fatto che i fossili di neanderthaliani di Kebara e Amud non erano più antichi dei fossili di uomo anatomicamente moderno di Skuhl e Qafzeh, ma piuttosto era vero il contrario. I fossili di aspetto moderno degli ominini di Qafzeh erano infatti più antichi dei fossili di Kebara e Amud che, evidentemente, appartenevano a una specie di Homo arcaica. Questa scoperta impediva ai ricercatori di basarsi sulle datazioni per sostenere che i neanderthaliani si fossero evoluti dando origine all'uomo anatomicamente moderno.

La seconda novità era il ritrovamento di fossili di uomo anatomicamente moderno nell'Africa meridionale e in Etiopia. La scoperta più rilevante è stata compiuta nel 1968 presso Klasies River Mouth in Sud Africa. In questa località i ricercatori trovarono frammenti di cranio appartenenti senza alcun dubbio a un uomo anatomicamente moderno, pur avendo un'età di circa 120 000 anni. Una datazione simile era stata suggerita in precedenza per un cranio di aspetto moderno proveniente da una località chiamata Kibish nella regione dell'Omo nell'Etiopia meridionale. Sulla base di dati biocronologici piuttosto deboli, al cranio di Omo 1 era stata attribuita un'età di circa 120 000 anni, ma una datazione più recente dello stesso reperto ha permesso di retrodatarlo addirittura a 200 000 anni fa. Alcuni fossili provenienti da Herto, un altro sito etiopico, confermano che ominini simili alla nostra specie fossero già presenti in Africa tra 200 000 e 150 000 anni fa.

La terza novità non proveniva dalla paleoantropologia, ma dall'applicazione dei metodi della biologia molecolare allo studio della variabilità dell'uomo anatomicamente moderno. I primi studi basati sull'uso di questa metodologia sono stati pubblicati nel 1987 da Rebecca Cann, Mark Stoneking e Allan Wilson, biologi molecolari della University of California di Berkeley. Per vari motivi questi studi consideravano il DNA mitocondriale e non il DNA nucleare. Le mutazioni che interessano il mtDNA Si accumulano con una rapidità maggiore rispetto a quelle relative al DNA nucleare e, diversamente da quanto avviene per il DNA nucleare, tra i cromosomi non avvengono scambi di parti di mtDNA quando si formano le cellule germinali. Questo DNA inoltre non ha gli stessi meccanismi intrinseci del DNA nucleare per riparare i danni dovuti alle mutazioni. L'assenza di un simile meccanismo potrebbe giustificare il tasso di mutazione elevato del mtDNA e rende anche ragione del fatto che, quando si verificano, le mutazioni del mtDNA tendono a conservarsi. Nel loro studio la Cann e i suoi colleghi hanno confrontato la sequenza del mtDNA estratto da 147 individui moderni (46 originari dell'Europa, dell'Africa settentrionale e del Vicino Oriente, 20 dell'Africa subsahariana, 34 dell'Asia, 26 della Nuova Guinea e 21 dell'Australia). I ricercatori hanno così potuto individuare 133 varianti diverse del mtDNA, quindi le hanno ordinate e riunite nei più semplici alberi filogenetici possibili. La forma dell'albero così costruito e ritenuto più attendibile è apparsa sorprendente, proprio come la distribuzione geografica delle differenze osservate tra i vari tipi di mtDNA. L'albero era caratterizzato da un lungo e antico ramo africano e da una seconda ramificazione che includeva le varianti nel mtDNA osservate nelle persone provenienti da luoghi al di fuori dell'Africa subsahariana. La variazione nel mtDNA non appariva uniforme nelle varie ramificazioni. Nel ramo corrispondente all'Africa subsahariana si poteva infatti osservare una variazione maggiore rispetto alla somma delle variazioni osservate in tutte le altre parti del mondo messe insieme. E non era finita, la maggior parte delle varianti del mtDNA sembrava aver avuto origine proprio in Africa.


Eva mitocondriale

Da questi risultati si è così giunti a due conclusioni, che non si escludono peraltro a vicenda. Primo, l'uomo anatomicamente moderno è esistito in Africa più a lungo che in qualsiasi altra parte del mondo. Secondo, la dimensione della popolazione di uomo moderno in Africa deve essere stata maggiore di quella di tutte le popolazioni sparse nel mondo, considerate nel loro complesso. Questa conclusione è la logica conseguenza del fatto che più persone ci sono in una popolazione, più è facile che si abbiano mutazioni all'interno della stessa.

Rebecca Cann e i suoi collaboratori proponevano altre tre ipotesi nel loro lavoro. Primo, dato che, come comunemente si pensava all'epoca della pubblicazione di questa ricerca, le differenze di mtDNA non sono soggette all'influenza della selezione naturale (le mutazioni sono cioè "neutrali") e poiché la maggior parte di queste differenze nel mtDNA non modifica la funzione cellulare dei geni per i quali codificano, ne consegue che una qualsiasi differenza nel mtDNA riscontrabile confrontando due popolazioni campione è semplicemente una funzione del tempo, più o meno lungo, durante il quale le due popolazioni hanno seguito un'evoluzione indipendente.

Secondo, le differenze tra le popolazioni subsahariane e quelle non subsahariane di uomo anatomicamente moderno devono aver impiegato circa 200 000 anni ad accumularsi e dunque gli autori ipotizzavano che l'uomo anatomicamente moderno si fosse evoluto in Africa circa 200 000 anni fa.

Terzo, dalla distribuzione delle varianti di mtDNA si poteva dedurre che, da quando era uscito dall'Africa, l'uomo anatomicamente moderno non si era incrociato con nessun'altra delle popolazioni di ominini arcaici incontrate nelle principali regioni abitate del Vecchio Mondo. La Cann e i suoi collaboratori affermavano infine che soltanto le popolazioni arcaiche africane di Homo avevano contribuito al pool genico dell'uomo anatomicamente moderno e dunque si poteva sostenere, come conseguenza logica, che gli ominini arcaici in altre parti del mondo non avessero contribuito al nostro genoma. In effetti per la Cann e i suoi colleghi tutti gli antichi ominini successivi a 200 000 anni fa possedevano soltanto geni "africani". Dato che noi ereditiamo il mtDNA quasi esclusivamente dalla madre, la storia evolutiva del mtDNA è di fatto una storia di ereditarietà matrilineare. Non ci si deve dunque sorprendere del fatto che i giornalisti e anche gli altri ricercatori abbiano battezzato l'interpretazione della Cann e dei suoi colleghi come ipotesi dell'"Eva mitocondriale". L'ipotesi ha ricevuto questo nome perché implicava che la madre di tutta l'umanità fosse una donna africana vissuta circa 200 000 anni fa. Considero questa teoria come un'ipotesi SROAH (Strong Recent Out of Africa, "Uscita recente dall'Africa nella versione rigida") ma, come vedremo in seguito, la maggior parte degli autori che sostiene l'ipotesi di una "uscita recente dall'Africa" per l'origine dell'uomo anatomicamente moderno oggi è più favorevole a una versione meno estrema della teoria.


Che lo scontro abbia inizio

Ecco che dunque i contendenti si erano schierati: da un lato l'ipotesi multiregionale "morbida" (WMRH, "Weak Multiregional Hypothesis"), dall'altro l'ipotesi "morbida" dell'uscita recente dall'Africa (WROAH, "Weak Recent Out of Africa") (figura 16). Come ho già accennato, alcuni ricercatori poco convinti dalla versione "rigida" dell'ipotesi multiregionale erano più inclini a considerare valida l'interpretazione "morbida", che prevedeva l'esistenza di un flusso genico tra le varie regioni. Peraltro, quando altri ricercatori cercarono di ottenere di nuovo i risultati della Cann e dei suoi colleghi servendosi di metodi di analisi molecolare più aggiornati e tecniche statistiche più rigorose, i risultati raggiunti furono diversi. L'Africa veniva ancora indicata come luogo di origine di una sostanziale percentuale della variazione del mtDNA mitocondriale dell'uomo anatomicamente moderno, tuttavia erano state scoperte prove della presenza di contributi al genoma della nostra specie provenienti anche da paesi extra-africani.


Nuovi dati dal genoma maschile e dal DNA nucleare

Mentre i ricercatori erano impegnati a trovare il modo di ricavare dalle varianti di mtDNA nuovi dati sull'origine dell'uomo anatomicamente moderno, altri studiosi avevano incominciato ad analizzare, con la stessa finalità, anche parti diverse del genoma. Una delle parti del genoma che è stata presa in considerazione è il DNA di origine maschile, ovvero quello del cromosoma Y che non ha un equivalente nel cromosoma femminile, cioè nel cromosoma X. Dato che non ha una controparte femminile, il DNA del cromosoma Y non viene rimescolato durante la divisione che porta alla formazione delle cellule germinali. Il DNA del cromosoma Y e il mtDNA, usando un termine tecnico, rappresentano entrambi regioni "non ricombinanti" del genoma. Dunque la parte del DNA che costituisce il cromosoma Y è simile a quella del mtDNA, tranne per il fatto che viene trasmessa da una generazione alla seguente attraverso i maschi e non attraverso le femmine.

I risultati degli studi compiuti sul cromosoma Y si sono rivelati simili a quelli dei lavori in cui si analizzava il mtDNA. Su 27 varianti del cromosoma Y prese in esame, 21 hanno avuto origine in Africa; inoltre la variazione riscontrata nel cromosoma Y degli africani appariva più ampia di quella di tutte le persone esaminate provenienti da altre parti del mondo. I risultati ottenuti dallo studio del mtDNA non erano dunque "un fuoco di paglia". Più o meno gli stessi risultati sono poi stati ottenuti dallo studio dei geni nucleari ma, come nel caso del mtDNA e del cromosoma Y, anche dagli studi dei geni nucleari si è potuto dedurre che in qualche misura i genotipi dell'uomo arcaico e di quello anatomicamente moderno si sono mescolati.

Dall'analisi del DNA che si tratti di mtDNA, di quello del cromosoma Y o del DNA estratto dal genoma nucleare autosomale, si può dedurre un dato fondamentale: la maggior parte, ma certamente non la totalità, dei geni dell'uomo anatomicamente moderno ha avuto origine in Africa. Un secondo dato deducibile da questi studi è l'origine africana, risalente a circa 2 milioni di anni fa, degli "impulsi" che rappresentano le novità evolutive proprie degli ominini. Il primo impulso fu l'emigrazione di ominini simili a Homo ergaster, a cui seguì quella delle forme come Homo heidelbergensis. Successivamente ci furono forse diverse altre ondate migratorie di ominini simili all'uomo anatomicamente moderno, ma con differenti capacità culturali e abilità. Oggi è diffusa l'idea che l'uomo anatomicamente moderno sia derivato da una migrazione fuori dall'Africa orientale relativamente recente, che si può far risalire a un'età compresa tra 50 e 45 000 anni fa. Uno dei ricercatori impegnati in questi studi, Alan Templeton, il cui importante lavoro ha messo in luce prove di numerose migrazioni, ha dato al suo articolo un titolo appropriato: Out of Africa agaín and again ("Ripetutamente fuori dall'Africa").

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Cronologia

Progressi culturali e scientifici rilevanti per la conoscenza delle origini e dell'evoluzione della nostra specie


VI secolo a.C. I filosofi greci considerano gli esseri umani come parte del mondo naturale.

I secolo a.C. Lucrezio ipotizza che gli antenati dell'uomo moderno fossero rozzi cavernicoli.

V secolo d.C. Predomina l'interpretazione biblica.

XIII secolo d.C. Tommaso d'Aquino cerca di conciliare le idee degli antichi Greci con la narrazione biblica.

1543 Andrea Vesalio (Andreas van Wessel) pubblica la prima descrizione accurata dell'anatomia dell'uomo moderno.

1620 Francesco Bacone (Francis Bacon) stabilisce i fondamenti del metodo scientifico.

1758 Carlo Linneo (Karl von Linné) realizza la prima classificazione sistematica, o tassonomia, degli esseri viventi e indica la nostra specie con il nome Homo sapiens.

1800 Georges Cuvier stabilisce i principi base della paleontologia.

1809 Jean-Baptiste Lamarck propone una prima spiegazione scientifica dell'albero della vita.

1822-1823 Il primo fossile di uomo anatomicamente moderno viene scoperto presso Paviland,nella penisola di Gower, a ovest di Swansea nel Galles.

1829 Scoperta a Engis, in Belgio, di un cranio successivamente attribuito a un bambino neanderthaliano.

1830 Charles Lyell propone una spiegazione scientifica per l'origine della Terra.

1848 Ritrovamento nella Forbes' Quarry a Gibilterra di un cranio più tardi attribuito a un neanderthaliano adulto.

1856 Scoperta dello scheletro di neanderthaliano di Feldhofer in Germania.

1858 Alfred Russel Wallace e Charles Darwin giungono a stabilire, in modo indipendente, che l'evoluzione può essere efficacemente spiegata come un effetto della selezione naturale.

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